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Autore: mamma Kellina    01/02/2010    4 recensioni
Primi anni del Novecento. Miniere della Sardegna sud occidentale. Il giovane ingegnere gallese Robert Forrest, vedovo con un figlio piccolo, e la sfortunata ma indomita Barbara decidono di sposarsi pur senza amarsi. Ma il loro non sarà un patto facile da mantenere perché in fondo è l’amore che vogliono, come tutti gli esseri umani. Il cammino in comune sarà difficile e forse non riusciranno a trovare ciò che cercano, ma di sicuro impareranno a riconoscere le cose che contano davvero nel rapporto tra un uomo e una donna.
Si tratta di un vero e proprio romanzo, molto intenso e drammatico. Il genere è piuttosto classico, alla Jane Austen per intenderci, ed anche se non ho la presunzione di paragonarmi ad una tale Autrice, ho cercato di dare un certo spessore psicologico ai miei protagonisti. Ho provato anche a rendere con efficacia l’epoca ed i luoghi con un accurato lavoro di ricerca. Spero di esserci riuscita. Le località minerarie sarde e la loro storia sono del tutto autentiche. Non così le vicende ed i personaggi di cui narro che sono frutto invece solo della mia fantasia e pertanto non si riferiscono, se non in maniera casuale, a persone realmente esistite e a fatti davvero accaduti.
Vi va di accompagnarmi in questo viaggio?
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 30

 

Padre Giustino aveva sempre sostenuto che la chiesa della Madonna della Neve doveva restare sempre aperta per dare riparo ai viandanti. D’altronde, come ripeteva spesso dal pulpito, lì non c’era niente di prezioso da poter essere portato via se non l’amore del Signore ed il conforto che dava il pregarLo. Però, nel piccolo paesino di mare posto ad un passo dalla miniera di Ingurtosu, non è che ci fossero tante persone di passaggio   e gli abitanti del luogo, in una serata fredda e piovosa di febbraio come quella, se ne stavano tutti al riparo ed al calduccio nelle loro case. Per questo il vecchio sacerdote ebbe un sussulto quando nell’entrare in chiesa verso le dieci scorse accasciata nei primi banchi la figura di un uomo avvolto in un mantello fradicio di pioggia.  Il suo buon cuore gli fece vincere la naturale paura e, trepidante, gli si avvicinò per portargli aiuto. Solo quando gli fu abbastanza vicino si rese conto che si trattava di Robert Forrest.

- Ingegnere, cosa ci fate qui in una notte tanto brutta? – gli chiese stupito.

Lui lo guardò con uno sguardo assente e nei suoi occhi chiari c’era così tanta disperazione da farlo spaventare.

- Ditemi, che succede?- gli domandò ancora con l’ansia nella voce.

- Mia moglie: sta partorendo ed è un parto prematuro e difficile – mormorò alla fine il giovane in un sussurro, tenendosi la fronte in un gesto desolato.

Il prete gli posò una mano sulla spalla.

- Avete fatto bene allora a venire qui a pregare – gli disse, ma la reazione dell’altro fu inaspettata. La tristezza nei suoi occhi si  trasformò in una collera insostenibile e, con il viso stravolto, gli urlò:

- Vi sbagliate di grosso, sono entrato solo per ripararmi dalla pioggia battente. Chi mai dovrei pregare poi? Io non credo più in niente, padre, e meno male! Se credessi ancora, allora dovrei odiare Colui che mi dite di pregare perché sarebbe un essere infinitamente crudele!

Sussultando di sgomento, il vecchio gli parlò con tutta la calma che riuscì a trovare e dandogli del tu. In quel momento non c’era più il Direttore della miniera seduto accanto a lui, ma solo un’anima smarrita bisognosa di aiuto.

- Sai, me ne sono reso conto, né tu né tua moglie avete molta fede. Ma è sbagliato, figlio mio.

- Davvero? Dovrei avere fede io che sto vedendo per la seconda volta morire una donna  mentre mette al mondo un figlio mio o magari la mia povera Barbara? Vi assicuro, padre,  è stata già colpita così duramente dall’esistenza che, ne sono certo, preferirebbe mille volte cessare di vivere lei stessa piuttosto che vedere la sua creatura morire.

- Però tutto questo non è ancora successo e forse non accadrà mai – lo rassicurò l’altro.

- Già, non è detto, dobbiamo continuare a sperare – osservò Robert,  ironico – può darsi che questa volta riusciamo a cavarcela! Ma cosa avverrà la prossima volta? E poi, anche se personalmente ci va bene, non ci sono accanto a noi tanti che invece si dibattono nella malattia e  nel dolore? No, padre, c’è troppa sofferenza nel mondo e la speranza è solo una cosa assurda e  vana che fa ancora più male. Non c’è nessun Dio che possa consentire tutto ciò e se c’è,  come facciamo a chiamarlo buono ed amoroso?

- Tu non conosci i suoi fini.

- Quali? La salvezza eterna? Il Paradiso? – Robert scosse la testa, amaro – Io vedo soltanto lacrime e disperazione, non c’è nessuna salvezza.

- Anche tu sei padre però. Quante volte hai visto il tuo piccolino prendere un capriccio  perché gli avevi impedito di fare ciò che voleva o perché qualcosa non andava secondo i suoi desideri. Anche lui era disperato in quel momento e non si spiegava il perché di tanta cattiveria da parte tua, eppure tu non hai smesso neanche un istante di amarlo ed agire per il suo bene.

Vedendolo continuare a scuotere la testa assai incredulo, il sacerdote continuò:

- Io ti capisco, Robert, siamo legati al nostro  corpo e all’esistenza terrena. Il nostro stesso essere si esprime solo attraverso i sensi e non riusciamo neanche ad immaginare che ci possa essere qualcosa di ancora più grande e meraviglioso dopo  questa vita. L’idea della morte nostra e di quella dei nostri cari ci avvelena ogni istante ed a poco a poco diventa talmente predominante che ci impedisce persino di guardarci intorno e scoprire quale immenso regalo sia l’esistenza e quanti doni ci sono stati fatti. Pensa, figlio mio, se il trapasso fosse solo  il passaggio obbligato ad un mondo migliore non saresti contento?

Robert sbuffò, irritato.

- Quante belle parole! Ma allora perché la sofferenza, perché il dolore, perché la malattia?

- Perché sono le uniche cose attraverso le quali arriviamo a capire ed  è proprio la sofferenza a far sbocciare nel nostro animo la compassione che ci insegna ad amarci l’uno con l’altro. Devi crederci, figliolo, tutti gli esseri vengono da Dio e solo quando ritornano a Lui  sono finalmente liberi dal greve fardello della materia e di nuovo compiuti!

- Come faccio a credere! Io ho paura, ho soltanto una paura immensa! – protestò l’uomo disperato  nascondendosi il viso tra le mani mentre le sue spalle robuste erano scosse da singhiozzi profondi.

- È vero, tutti abbiamo paura, per questo dobbiamo sforzarci di vivere in armonia con le Sue leggi ed abbandonarci a Lui con fiducia, solo così lo sentiremo vicino. Anche a questo serve la preghiera, a parlarGli come si fa con un padre.

- E se poi non ci ascolta?

- Siamo noi che dobbiamo ascoltare Lui, non l’inverso. Come fece Gesù nell’Orto di Getzemani, quando con tanta umanità gli chiese di allontanargli il calice amaro della sofferenza, ma poi si abbandonò nelle Sue mani ricevendone in cambio la forza di affrontare il proprio destino. Prega e vedrai che Iddio non ti lascerà solo anche se la Sua volontà è diversa dalla tua e poi… come fai a saperlo? Può darsi che non sia così ed allora ne trarrai ancora di più conforto  perché niente dà più gioia di veder realizzare le proprie speranze.

Il giovane non parlò più, se ne stette a capo chino, desolato e vinto. Allora il sacerdote si alzò e con il suo passo vacillante di anziano si avvicinò all’immagine della Madonna sull’altare. Dalla tonaca un po’ lisa e macchiata, trasse dei fiammiferi ed accese dei ceri davanti alla Sacra Effige poi si voltò a guardarlo. Alla luce tremolante delle candele fissò gli occhi colmi di lacrime dell’ingegnere.

- Lo sai chi raffigura questa Immagine? – gli chiese – Certo che lo sai, è la Madonna della Neve, ma forse non sai perché si chiama così. È per una bella leggenda nata nel Medioevo che narra di un sogno fatto da Papa Liberio. In esso gli apparve la Santa Vergine che gli ordinò di costruire una basilica sul colle Esquilino dove gli uomini potessero andare a pregare. Non doveva erigerla in un punto qualsiasi, però, solo nel luogo che avrebbe ritrovato l’indomani coperto di neve. Anche se si era in piena estate, Liberio ebbe fiducia nelle parole di Maria ed in effetti una neve miracolosa gli indicò il punto dove costruire la basilica desiderata dalla Vergine.

S’interruppe un attimo guardando l’immagine ed alzando verso di essa le mani in segno di implorazione, mormorò una preghiera. Dopo un po’ si girò ancora verso Robert che ora se ne stava a capo chino, tutto tremante. Continuò a parlargli:

- Forse non ti sembrerà un gran miracolo la neve in agosto, ma se ci pensi vuol dire che anche le cose più impossibili possono realizzarsi con la forza della preghiera. Non dobbiamo mai smettere di aver fede nell’aiuto divino, anche quando ci sembra  non esserci più speranza. Adesso ti lascio solo, ma rivolgiti alla Vergine e vincerai le tue paure – soggiunse mettendogli di nuovo una mano sulla spalla prima di allontanarsi.

Avvertendo la stoffa del mantello bagnata e sentendo ancora infuriare la bufera fuori della chiesetta silenziosa, gli disse dolcemente:

 - Passa in canonica prima di andartene. Berrai una tazza di latte caldo e potrai riscaldarti un poco al fuoco del camino prima di far ritorno a casa.

 

 

Poteva essere circa mezzanotte quando Robert arrivò nei pressi di Villa Bianca. La violenta pioggia di poco prima si era calmata, ma le foglie degli alberi grondavano ancora acqua e la strada sterrata era diventata solo una fanghiglia. Dopo aver lasciato Thunder alla stalla, si avvicinò all’ingresso non senza aver lanciato uno sguardo alla facciata dove solo dietro alle finestre della stanza di Barbara s’intravedeva la luce tremolante delle candele. Con l’animo combattuto tra l’angoscia e la speranza, attraversò l’atrio e si diresse su per le scale fino alla camera della moglie. C’era così tanto silenzio che quasi poteva sentire il proprio cuore battere all’impazzata. La prima cosa che scorse spalancando la porta fu la figuretta della piccola Nunzia che dormiva rannicchiata su una poltrona, il capo e le braccia poggiati su un bracciolo. Il suo sguardo corse al letto dove giaceva Barbara, rivestita di una camicia pulita e con i capelli legati da un nastro azzurro. La sua immobilità lo fece spaventare ed in punta di piedi si avvicinò al letto per osservarla da vicino. Aveva il viso gonfio, profonde occhiaie ed era assai pallida. Con ansia le guardò il petto e si calmò soltanto quando scorse il ritmo regolare del respiro. Solo allora si girò a guardare la piccola culla di vimini rivestita di pizzo già appartenuta a Charles. Trepidante vi si avvicinò. Dentro c’era l’esserino più piccolo che avesse mai visto in vita sua: tutta la faccina rugosa non era più grande di una grossa arancia e sulla testina c’erano una quantità di capelluzzi neri.

- È una bambina – mormorò piano alle sue spalle Nunzia  che si era svegliata. -  È prematura, ma secondo il dottor Bernardi ce la può fare. Anche la mamma sta bene - si affrettò a rassicurarlo.

Robert la guardò con un’espressione di tale gioia che la ragazza ne fu commossa.

- Grazie, piccina, grazie per tutto quello che hai fatto per noi - le disse con dolcezza -  ora però vai a dormire nel tuo letto. Resterò io a vegliarle, tu devi essere distrutta.

La ragazza lo era davvero e non se lo fece dire due volte, però prima si avvicinò anche lei alla culla in tempo per vedere il padrone prendere nella sua grande mano la manina minuscola della figlia appena nata e tenerla tra le dita con una tenerezza enorme.

- La chiameremo Maria Neve – le disse ancora vedendola accanto a sé.

- Mi piace, è un bel nome – sussurrò la giovanetta. Poi si affrettò ad andarsene un po’ perché era davvero stanca ed un po’ perché  l’ingegnere, grande e grosso com’era, forse non desiderava farsi vedere piangere da una servetta così come stava facendo in quel momento.

   
 
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