Crossover
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Autore: Feel Good Inc    14/02/2010    2 recensioni
~ 7_crossovers: Death Note x Kingdom Hearts - Theme Set: 12. Disney Classics
Prompt #5: Peter Pan; Near x Sora | «Quando sulla Terra una mamma non vuole un bambino, quello finisce nel Mondo Che Non Esiste. È un posto lugubre e spaventoso, e i bambini perduti hanno il compito e il desiderio di renderlo migliore. Per questo motivo ogni notte vengono a visitare i sogni dei bimbi tristi e li colorano di allegria: perché ogni bel sogno porta nel loro buio un raggio di sole.»
Prompt #1: Lady and the Tramp; Axel x Misa | Ora erano vicini alla porta, e poterono assistere allo spettacolo di uno pseudo-chef che usciva nel vicolo, posava a terra una grossa cassa di legno insieme a due scatoloni sudici e cominciava ad apparecchiare la tavola improvvisata. Misa si fermò, a bocca aperta, mentre l’uomo spariva di nuovo nella cucina – ormai era chiaro che di questo si trattava – e tornava con una candela già accesa, posate ed un gigantesco piatto fumante. Spaghetti e polpette.
Prompt #3: Alice in Wonderland; Light x Kairi | Vede tutto questo, vede che il paese delle meraviglie è costellato di cadaveri. Ma non ha paura, no, non ce n’è motivo. Perché c’è ancora la sua voce che la chiama, con le sue promesse e le sue speranze. Lui l’aspetta.
Prompt #6: 101 Dalmatians; Zexion x Sayu | Guardò di nuovo la scatola. Uno, due, tre, quattro, cinque… Quindici cuccioli minuscoli, gli occhi ancora semichiusi dal recente arrivo nel mondo, se ne stavano rannicchiati gli uni sugli altri. Alcuni erano immobili, altri tremavano. Sembrava un miracolo che fossero ancora vivi. Ma, in nome del cielo, se erano troppi.
Prompt #2: The Little Mermaid; L x Naminè | Mosse quei passi come se fossero i primi di tutta la sua vita. E forse era proprio così. In acqua non c’è bisogno di camminare. Percorse lenta la stanza bianca in cui aveva trascorso quei [primi?] tre giorni nel mondo asciutto; accanto a lei, tanto vicino da poterla sostenere e tanto distante da poterla lasciare a se stessa, il ragazzo seguiva attento i suoi passi.
Prompt #7: Beauty and the Beast; Mello x Xion | Quel posto che la gente chiamava semplicemente biblioteca, per lei era un mondo a parte. Un mondo in cui viaggiare per ore senza muoversi e un mondo in cui smettere i propri soliti panni anonimi. E poter indossare senza vergogna un vestito dorato che [altrove] non la rappresentava per niente.
Prompt #4: Sleeping Beauty; Near x Naminè | Non riusciva a spiegare il desiderio assurdo che lo stava assalendo da dentro. Non c’era nulla di sensato, nulla di logico in quella voglia di respirare il suo respiro e premere la bocca sulla sua e verificare se fosse davvero un sapore dolce come immaginava che fosse.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quinto capitolo. Confesso che è stata un’impresa scriverlo. Innanzitutto perché all’inizio avevo immaginato un pairing diverso (Near x Xion, che ho poi scartato, probabilmente perché odio Xion e la odierei ancora di più se “circuisse” quel cucciolo incompreso di Near è__é x’D); in secondo luogo, perché ho dovuto modificare davvero molto della trama originale del film prescelto. Spero anzi di non aver combinato disastri. u.u

Per certi versi, questo capitolo potrebbe essere considerato un eventuale seguito di “#3. Alice in Wonderland”. Detto questo, non è che mi convinca poi molto, il che mi dispiace da morire perché ci tenevo moltissimo a questo pairing: coinvolge i miei due personaggi preferiti tra quelli trattati finora… ç__ç Beh, spero comunque che vi piaccia, anche se è scritto in modo un po’ confuso.

Ringrazio come sempre tutti i miei meravigliosi lettori! *-* E per le recensioni:

Rein94: x’D Hai ragione, è stato un po’ avventato far restare Sayu a dormire da Zexion nello scorso capitolo… Sono così perversa a volte! >w< xD Per quanto riguarda Mello, beh, l’idea che lo coinvolge c’è… Vedremo cosa ne verrà fuori! ^^ Un milione di grazie, sei sempre dolcissima!

Dany92: Ma non sei affatto monotona nei tuoi commenti, Dany-chan, anzi! Ogni volta mi fai emozionare come se fosse la prima… E guarda che dico sul serio! *////* Non so come ringraziarti. Un bacione enorme!

Vi lascio al capitolo. Buona lettura! :)

 

 

 

 

 

* * *

 

 

 

 

 

*A few simple fairytales*

 

 

Prompt: #2. The Little Mermaid

Personaggi: Naminè [Kingdom Hearts], L [Death Note]

Genere: Introspettivo, Drammatico

Rating: Giallo

Note: AU (vale solo per Naminè)

 

 

 

 

 

Acqua. Tanta acqua.

Non riusciva a vedere altro. Sopra e sotto di lei, dentro e fuori di lei. Acqua scura e fredda.

Non riusciva a sentire nulla, se non che il suo posto era quello.

E vi si lasciava andare senza opporre resistenza. Il suo posto era quello.

 

 

Si svegliò dopo molto tempo [una vita? un secondo?] e la prima sensazione che la colpì fu quella dell’asciutto.

Dov’era la sua acqua? Dov’era il suo mondo? Non era lì che doveva stare. Non era quel profumo di lenzuola calde che doveva sentire, ma l’odore pungente del salmastro. Non era il ritmo lento del suo respiro che doveva scuoterla, ma il movimento ipnotico dei flutti.

Là – dovunque fosse quel ‘là’ – non era il suo posto.

Dove mi hanno portata?

Aprì gli occhi.

Dopo l’asciutto, fu il colore. Un bianco immacolato si distendeva a perdita d’occhio davanti al suo sguardo. Le ci volle qualche istante per capire di essere distesa sotto il baldacchino candido di un letto sconosciuto ed immenso.

Anche questo era sbagliato. Lei voleva il blu del cielo lontanissimo che si specchiava nell’acqua. Non quel bianco, non quel letto.

Si mosse con estrema lentezza. Ricordò di avere due mani e se le portò al petto, stringendo piano le dita attorno al lenzuolo. I piedi nudi scorsero sul materasso morbido. Che cos’aveva indosso? Una vestaglia?…

«Ben svegliata.»

La voce arrivò improvvisa. Le fece anche un po’ paura. Voltò il capo sul cuscino, finché poté vedere la persona seduta accanto al letto.

A prima vista si sarebbe detto un ragazzo normalissimo. Occhi e capelli neri, pelle chiara, qualche anno più di lei. Ma ad un’occhiata più attenta si potevano intravedere mille piccole stranezze, mille sfaccettature inusuali, che per qualche motivo glielo rendevano simpatico, così, a pelle. Ad esempio il modo in cui se ne stava appollaiato sulla poltroncina in cuoio bianca. O il leccalecca gigante, di quelli che i bambini guardavano con occhi sognanti, appoggiato alle labbra nascoste al suo sguardo. O anche il modo attento e gentilmente curioso in cui la guardava.

Io non sono me. Non sono quella che ricordo di essere.

Sono una principessa, mi sono appena svegliata, ed un principe che vuole conoscere la mia storia aspetta che io gliela racconti.

Che pensiero buffo. Di certo aveva dormito molto.

[ Prova ne era che aveva ancora voglia di sognare. ]

Il ragazzo dagli occhi neri scostò appena il leccalecca e parlò di nuovo.

«Sei qui da poche ore. Cominciavo ad essere curioso.»

Lo guardò interrogativamente – più per il desiderio di capire dove fosse quel ‘qui’ piuttosto che di conoscere il motivo della sua curiosità. Ma lui rispose soltanto al secondo perché. Inclinò la testa e allontanò ancora di più il dolce, portandosi un polpastrello al labbro inferiore.

«Curioso di vedere i tuoi occhi.»

Lei non reagì in alcun modo. Continuò a guardarlo dal basso del cuscino, respirando l’odore caldo di quel letto non suo e lasciando che la mente riaffiorasse a poco a poco alla realtà.

Niente da fare. Vedeva soltanto acqua.

Perché il principe mi ha strappata all’acqua?

Avrebbe voluto chiederglielo. Avrebbe voluto saperlo fare, aprire la bocca e far uscire le parole. Ma non ci riusciva. Forse non c’era abituata. In acqua non c’è bisogno di parlare.

Lui proseguiva silenzioso il suo esame, osservandola con un’intensità quasi invadente. Concentrato sul suo viso, sui suoi occhi, come alla ricerca disperata di qualcosa.

[ Anche lui. ]

Alla fine aggiunse solo un’ultima parola.

«Riposa.»

Lei non voleva riposare. Lei voleva il suo mondo. Lo voleva indietro. Perché non poteva avere altro.

Eppure non riuscì a non seguire quel consiglio. Sentì le palpebre chiudersi, e il fruscio silenzioso dell’acqua calarle addosso dalla mente stanca.

La presenza del ragazzo restava lì, al margine del suo dormiveglia.

 

 

Poche ore, le aveva detto. Poche ore trascorse a dormire tra quelle lenzuola bianche e calde e asciutte, lontana da ciò cui apparteneva.

Prima di allora – prima dell’acqua – non ricordava nulla [di piacevole].

Si svegliò di nuovo, e questa volta si guardò intorno più a lungo nella stanza.

Pareti spoglie, chiare, asettiche. Mobili pochi, e poco vissuti. Una finestra chiusa che aveva l’aria di esserlo sempre stata. Soltanto la poltroncina in cuoio bianca sembrava corrotta da un uso prolungato. Ma era difficile notarlo: il ragazzo dagli occhi neri vi era ancora appollaiato sopra.

Non parlava, il ragazzo, come se volesse lasciarle il tempo di osservare il suo mondo. Senza chiederle come fosse quello da cui veniva lei.

Non parlava, limitandosi a sfiorarsi il labbro con il dito e a girare incessantemente il cucchiaino in una tazzina da tè colma fino all’orlo, posata sul bracciolo della poltroncina accanto ad una scatola di zollette di zucchero.

Non parlava e non pretendeva neppure che lei parlasse.

Forse l’hai capito che non volevo essere svegliata, principe.

 

 

Il primo giorno fu così; lungo e silenzioso. Si guardarono in silenzio e in silenzio lasciarono aleggiare in sospeso le domande.

Il secondo giorno il ragazzo continuava a non parlare, ma posò sul comodino accanto a lei un blocco di fogli bianchi e una scatola di colori.

Il terzo giorno, lei era seduta contro la testiera del letto, e i fogli bianchi erano pieni dell’azzurro dell’acqua.

 

 

«Sei brava.»

Il ragazzo la guardava dalla sua solita posizione. Erano le prime parole che le rivolgeva da molto tempo, dal momento in cui si era svegliata e l’aveva trovato ad aspettarla tranquillo in quel posto troppo asciutto.

Lei tenne gli occhi bassi e continuò a stendere l’azzurro sull’angolino del foglio. Questa volta non era un oceano, ma un lago; una distesa circoscritta dai limiti del foglio ma immensa [accogliente] nelle sue intenzioni. Il pastello era ormai un pezzo di legno consunto; ma era anche l’unica cosa, nell’asciutto, a poterla riavvicinare alla sua acqua.

Poi il ragazzo fece una cosa che non aveva mai fatto prima davanti a lei. Si alzò.

Sollevò lo sguardo, curiosa. Lo aveva sempre visto lì, quando si addormentava e quando si risvegliava, fermo sulla sua poltroncina di cuoio con un qualche immancabile dolce in mano. Ora che lo vedeva in piedi le sembrava diverso.

[ Uguale a tutti gli altri. ]

Ma c’era ancora qualcosa di lui nella sua postura, nelle spalle incurvate e nel capo chino; c’era lo stesso ragazzo strano che si sedeva sui talloni e si tormentava il labbro con il dito. C’era lo sconosciuto dai silenzi interminabili e gli sguardi insostenibili.

«Ti senti meglio, adesso?»

C’era il principe che senza il bisogno di alcuna parola aveva capito quanto lei fosse stata male.

Lo guardò a lungo, incerta. Non aveva ancora modo di rispondergli. Non voleva, o non ci riusciva. Sollevò lentamente le spalle.

Il ragazzo annuì, come se capisse. E probabilmente era proprio così.

All’improvviso le voltò le spalle e camminò in modo buffo verso la finestra alla parete opposta rispetto al letto. La raggiunse, si fermò e creò uno spiraglio nella pesante tenda di tessuto bianco. Uno spiraglio appena – ma sufficiente a scarcerare un filo di luce rossastra che lei identificò come un tramonto.

Il ragazzo parlò senza guardarla. Era la prima volta che lo faceva.

«C’è una cosa che vorrei tu vedessi.» Una breve pausa. «Se ti senti sufficientemente in forze da uscire.»

Lasciò cadere di nuovo la tenda sulla luce e si voltò a guardarla.

E lei, semplicemente, come al primo sguardo, si fidò del suo sguardo.

 

 

Mosse quei passi come se fossero i primi di tutta la sua vita. E forse era proprio così. In acqua non c’è bisogno di camminare.

Percorse lenta la stanza bianca in cui aveva trascorso quei [primi?] tre giorni nel mondo asciutto; accanto a lei, tanto vicino da poterla sostenere e tanto distante da poterla lasciare a se stessa, il ragazzo seguiva attento i suoi passi.

Fuori dalla porta, lungo un corridoio, giù per le scale. Il mondo del ragazzo le scorreva intorno, silenzioso e bianco, e lei pensò che era davvero il posto adatto a lui.

[ Ma a lei no. Lei apparteneva all’acqua. ]

Quando il ragazzo aprì la porta che la separava dall’esterno e dalla sua luce di sole al tramonto, istintivamente chiuse gli occhi.

«Non avere paura.»

Una frase sicura, limpida. L’aveva sussurrata piano, ma con il tono di chi se rassicura qualcuno è perché vuole farlo davvero.

Aprì gli occhi e continuò a seguirlo.

Fuori da quella costruzione che dal di fuori le sembrò un posto per anime confuse, e giù per un pendio dolce ed erboso, fino a che lo sguardo poté spingersi su quella stessa immagine che lei aveva trasfuso più e più volte sui fogli bianchi. Uno specchio d’acqua pura.

Il lago che aveva disegnato poco prima.

Per la prima volta in quei tre giorni, fu invasa da mille emozioni che la fecero sentire davvero viva. Rivisse tutto con chiarezza.

E l’ossigeno la soffocò.

 

 

 

«Che hai, piccola?»

«Mi sono persa.»

Lei si era persa, letteralmente. Aveva smarrito la coscienza di se stessa.

Era solo una bambina quando i suoi genitori erano rimasti uccisi in un incendio. A partire da quel momento, lei e sua sorella erano state perennemente sole e in balia degli eventi. Esposte alla crudeltà di quella domanda indifferente posta da una classica persona sconosciuta.

Sua sorella. La ragazza coraggiosa, la ragazza positiva. Così diversa da lei.

Le si era attaccata in ogni modo possibile, si era abbandonata alle sue cure e al suo modo di vedere colorate le cose anche quando intorno infuriava la tempesta. Perché se era vero che lei era la più saggia, la più assennata, lei era anche la più debole.

Non si va da nessuna parte, con la sola saggezza. Quando non hai coraggio non vivi. Esisti, soltanto.

Kairi no. Lei viveva. Per questo motivo era la sua ancora.

Per questo motivo, quando aveva perso anche lei, era rimasta spezzata.

 

«Non andare. Ti prego, non andare!»

«Devo farlo, Naminè

«Ma perché non riesci a capire…

«Sei tu che non capisci. Io so chi è! Devo dirlo alla polizia!»

«Ti ucciderà

L’aveva guardata, una determinazione incrollabile negli occhi azzurri identici ai suoi.

«Meglio morire, che sottostare alle leggi di un mostro.»

Si era voltata, incurante delle sue lacrime inutili, e aveva camminato sotto la pioggia fino al suo incontro con la giustizia.

Che era venuta per mano sbagliata.

 

Quella era stata l’ultima volta che aveva visto sua sorella.

Due lunghissimi, eterni giorni dopo, un gruppo di uomini l’aveva raggiunta e con poche parole senza senso aveva cercato di liquidare una vita senza fare troppo male alla ragazzina sopravvissuta.

Con loro c’era anche un ragazzo dai capelli neri, ma lei non era riuscita a guardarlo in faccia.

 

Li vedeva ancora, sulla collina che sovrastava il lago, raccolti insieme a decidere del suo futuro.

Li vedeva ancora, mentre i suoi piedi nudi sfioravano l’acqua fredda.

 

[ Meglio morire, che sottostare alle leggi di un mostro. ]

[ Meglio morire, che non avere coraggio. ]

[ Meglio morire, che restare soli. ]

 

L’acqua la chiamava a sé, illusione di pace, promessa di silenzio. Era tutto quello che lei desiderava: silenzio. Silenzio e liberazione da quella maledetta voce interiore che continuava ad urlarle addosso quelle accuse, ad urlare con la voce di Kairi.

Aveva mosso un passo, poi un altro, e un altro ancora.

Si può desiderare di morire a quindici anni?

[ Sì, forse sì. ]

Non poteva avere altro che questo. Non meritava nulla di diverso.

E quando non riuscì a vedere altro che acqua, sopra e sotto di sé, dentro e fuori di sé, acqua scura e fredda – non sentì più nulla, se non che il suo posto era quello.

E vi si lasciava andare senza opporre resistenza. Il suo posto era quello.

 

 

 

Tornò al presente, aprì gli occhi e si ritrovò abbandonata ed ansante sulla sponda del lago.

L’acqua, la stessa acqua in cui aveva cercato rifugio e conforto, compassione e assoluzione, era incendiata dal tramonto. Non aveva più l’aspetto rassicurante di quel pomeriggio non troppo lontano. Ora sembrava solo un inferno simile a quello che aveva devastato la sua mente e ogni sua forza di volontà.

L’erba le pungeva sotto le mani e sulla pelle, vincendo la resistenza leggera della vestaglia che si era ritrovata addosso. Era caduta in ginocchio. Alle sue spalle avvertiva ancora la presenza del ragazzo dagli occhi neri.

Mi ricordo di te, principe.

«Non è quello il modo di sfuggire al dolore.»

Di nuovo la sua voce bassa, ferma. E poi una cosa nuova. Il tocco leggero, quasi esitante, di una mano sulla spalla.

Ancora prigioniera del suo mutismo, si voltò in tempo per vederlo accosciarsi al suo fianco.

Per una volta, c’era una traccia di impaccio nelle sue iridi buie. Come se quel contatto sorprendesse lui per primo.

Mi hai salvata tu, principe.

«Lasciale scorrere.»

Non ebbe bisogno di chiedere per sapere a cosa si riferisse.

E le lasciò scorrere, e loro caddero dai suoi occhi con la forza della disperazione e degli innocenti che per troppo tempo hanno sognato l’evasione. E con le lacrime vennero i singhiozzi e con i singhiozzi vennero i ricordi. E uno ad uno, la uccisero di nuovo.

 

«Fa tanto male, Kairi…»

«Siamo insieme, sorellina. Finché saremo insieme, niente potrà mai fare male.»

 

Morì mille volte, e mille volte peggio di come sarebbe potuta morire in quel lago, mentre le lacrime le incidevano la pelle lasciando il dolore dei ricordi e dei rimpianti a germogliare dentro le ferite.

Morì mille volte e mille volte rinacque, perché la mano ampia del ragazzo dagli occhi neri riuscì sorprendentemente a sciogliere il ghiaccio dell’acqua del lago.

Mi hai salvata di nuovo, principe.

 

[…]

 

«Il tuo nome è Naminè, vero?»

Annuì lentamente.

«Puoi chiamarmi Ryuuzaki. Starai con me per un po’.» La stretta sulla sua spalla si fece di colpo più forte, più salda, accompagnando un velo impercettibile di amarezza nelle parole che seguirono. «Non sei sola, Naminè. Gente come me, abituata a camminare e muoversi dentro al dolore degli altri, lo è. Ma non tu. I tuoi occhi non sono vuoti come i miei; non lo saranno mai, se tu impedirai loro di svuotarsi.»

Forse non era vero. Ma dal modo in cui lo diceva, sembrava impossibile non crederci.

«Rientriamo. Comincia a fare freddo.»

Si alzò e rimase là curvo ad aspettare che lei facesse altrettanto.

Quando ci riuscì, Naminè inspirò più forte l’aria asciutta, augurandosi che stavolta le facesse un po’ meno male.

E alla fine racimolò le forze per esalare un’unica parola.

«Grazie…»

Il ragazzo la guardò, sorpreso, e non si mosse quando lei rifugiò la fronte sulla sua spalla.

[ Sapeva di caldo. Sapeva di asciutto. ]

Forse, dopotutto, non è vero che non volevo essere svegliata.

Forse è solo che stavo aspettando qualcuno che mi tendesse una mano.

Qualcuno che mi aiutasse a respirare.

   
 
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