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Autore: Meiko    28/10/2003    4 recensioni
L'ispirazione mi è venuta ascoltando "At the beginning", un pezzo molto bello, che è stato usato per il cartone di "Anastasia". Quando l'oscurità è attorno a te, hai solo due possibilità: conviverci, o impazzire. Lei ha scelto la prima, e da quel momento la sua vita ha preso quella piega. Poi...qualcosa risvegliò in lei la curiosità perduta. Un viso che non sarebbe mai riuscita a vedere...
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La villa era grande quasi quanto quella dei Wakabayashi, se non di più.
Neko era rimasta letteralmente a bocca aperta nell’ammirarla, ed aveva scatenato l’ilarità di tutti, mentre la ragazza arrossiva, Yuko che le teneva la mano.
Questa aveva respirato l’aria fresca del lago, avvertendo i vari rumori, imparando a memoria la mappa del luogo in poche ore, seguita dalla sorellina, Inuki era rimasto a casa con la madre.
-Gia me lo immagino. Di fronte alla porta d’ingresso, ad aspettare il nostro ritorno-
Neko rise, immaginandolo, per poi lasciare la mano della sorella, correndo via, ammirando lo splendore di quel lago, sembrava quasi che il cielo, in quei giorni limpido, fosse finito dentro a quel grandissimo buco, riempiendolo.
Attorno a loro il paesaggio di dolci colline e la villa, che appariva molto pittoresca agl’occhi verdi di quel gatto, che riprese a correre, seguita con l’udito da Yuko, che sorrise, mettendosi seduta alle rive del grande lago, i ragazzi in quel momento si stavano allenando, anche se molto spesso avrebbero fatto volentieri un bagno in quel luogo così meraviglioso, nonostante fossero solo agl’inizi di Marzo faceva caldo.
Yuko sorrise malinconica, ricominciando a fare il solito apri e chiudi, per poi sdraiarsi, assaporando la brezza leggera che le spettinava qualche filo di capelli.
Sentì i passi di Neko rallentare, fino a fermarsi, la ragazza che con uno sbuffo stanco che si metteva seduta accanto alla ragazza, che sorrideva, continuando ad ascoltare il sussurrare di quella brezza delicata.
Neko che si lasciava accarezzare dal vento, Yuko che invece assaporava la morbidezza dei ciuffi di erba della riva del lago.
Iniziarono a parlare, divertite, descrivendo con gli occhi della fantasia storie che nascevano dalla superficie liscia del lago, che rifletteva come il più lucente degli specchi il cielo azzurro e la dolci colline, l’immensità del sereno era turbata da qualche piccolo sbuffo bianco, come di piccoli batuffoli di cotone.
Le loro voci, chiacchieranti sembravano propagarsi veloci e guizzanti sulle rive leggermente increspate del lago, mentre le due sussurravano, quasi temessero che tutto intorno a loro svanisse, si sciogliesse come neve al sole, mentre invece volevano restare ancora un po’ ad ammirare quel capolavoro creato dalle mani sapienti di madre natura, che ora affettuosa accoglieva le sue figlie predilette, in quell’atmosfera le due ricordavano molto due fate, due ninfe felici e sorridenti.
Le due sorella erano sempre state così unite.
Ogni volta che una cadeva, l’altra la prendeva per mano e riprendeva a camminare con lei.
E anche se sapevano che prima o poi una delle due se ne sarebbe andata, l’altra avrebbe continuato a camminare, e se fosse caduta si sarebbe rialzata da sola.
Ma nessuna delle due poteva immaginare che la prima delle due che se ne sarebbe andata fosse stata proprio Yuko!
-Ora che si penso, hai deciso cosa fare?-
-Riguardo a cosa?-
Neko sbuffò divertita dello gnorri della sorella.
-Riguardo a tua madre, a Genzo…e a Taro-
-Allora lo hai saputo…-
Neko annuì con la testa e facendo verso di si con la bocca, mentre Yuko sorrideva in quel suo modo particolare, mentre lentamente apriva gli occhi, lasciando che il lago ammirasse incantato quelle iridi, che ora brillavano preoccupate.
-Sono così indecisa…
Più che altro, per Genzo e Taro…
Ho gia detto a mia madre che non l’avrei seguita, ma immagino che questo tu lo sapevi-
Neko si fece un po’ triste, sorridendo.
-Mamma ha detto che non sperava in una tua risposta positiva, anzi, era certa che avresti rifiutato la sua proposta.
Ormai ha capito che tu non speri più…-
-Non dirlo in questo modo. Io sto solo guardando la realtà dei fatti, cosa che mamma certe volte non fa, e non vuole fare-
Yuko era sempre stata una ragazza che guardava i fatti, credeva poco nei “miracoli”, ma alcune volte ci credeva.
Credeva a sufficienza nell’occulto e nel mistero, ma preferiva a volte la realtà della scienza e delle prove.
Forse l’ho spiegato un po’ male, ma così era fatta Yuko, era ambigua.
Infatti nemmeno sua madre e Neko riuscivano a capirla.
Solo il padre sembrava riuscire a capire quel sorriso misterioso che possedeva fin da piccola, e spesso parlavano a bassa voce, dicendosi confessioni segrete, che Yuko ricordava come scritte su carta.
La ragazza sbuffò, si era messa seduta, al suo fianco il suo bastone che stonava in quel capolavoro naturale, mettendosi una mano tra i capelli, mettendone parte dietro l’orecchio, lasciando liberi gli altri.
-Comunque…sono così indecisa…-
-Parlane. Magari così ti fai un po’ di chiarezza-
Neko si mise comoda, le braccia appoggiate alle gambe piegate, mentre Yuko sorrideva, mettendosi anche lei seduta, piegando le gambe di lato e rimettendosi sdraiata.
-Allora…Taro mi ha chiesto di andare in Belgio con lui.
Gia a Parigi e a Roma mi ha detto che mi amava, e anche a casa me l’ha ripetuto…-
-Ma?-
-…ma per me è un caro amico, un fratello, un angelo custode…tutto qui…
E seguirlo sarebbe prenderlo in giro…-
-E Genzo?-
Neko giocherellava con un filo d’erba, prendendolo tra le dita e lisciarlo tra le dita, per poi metterlo sulle labbra e soffiandoci sopra, procurando un lungo fischio che risuonò in tutto il lago, forse fino alle rive opposte, l’eco era come un cantico silenzioso procurato dalle leggere increspature del lago, come di esseri che si liberavano dalla superficie liscia del lago, cantando le loro melodie.
Yuko ascoltò il fischio, socchiudendo gli occhi, imprigionandoli di nuovo tra le ciglia.
-Genzo…non lo capisco…
Forse…perché non sono ancora riuscito a vederlo in faccia…-
Neko si voltò stupita.
-Vuol dire che non l’hai ancora toccato in viso?-
Yuko scosse la testa, il suo sorriso si fece ancora più dolce e misterioso, con una sfumatura di divertimento.
-No, ogni volta lui si scostava.
Mi ha chiesto di seguirlo ad Amburgo…perché…
Perché mi vorrebbe sempre avere accanto…-
Arrossì, stupendo Neko, che sorrise allegra.
-Sei arrossita!-
Yuko si stupì molto, tastandosi le guance calde.
Neko annuì con il capo.
-Eh si, il grande SGGK ha colpito ancora! Però, io ti avverto…-
Neko si fece seria, voltandosi verso Yuko, il vento si fece più forte.
-Genzo Wakabayashi non è uno stinco di santo. Potresti rimanere ferita con lui.
E non parlo di ferite fisiche…-
La ragazza fissò preoccupata la sorella, che si limitò ad annuire.
-Ho capito-
Yuko si voltò, fissando un punto a vuoto sul terreno ai piedi di Neko, che la guardò preoccupata e ansiosa, stringendo con forza il filo d’erba.
-…avevi ragione…parlarne ti fa diventare più lucida…-
-Allora hai deciso?-
-…si, credo di si…piuttosto…-
Yuko si prese le gambe tra le braccia, per poi inginocchiarsi e avvicinarsi felina alla sorella, che guardò stupita il sorriso malizioso della sorella.
-Ho saputo che Kojiro ha lasciato Maki. Hai intenzione di approfittarne…micetto?-
Neko arrossì vistosamente, per poi scuotere la testa, mentre Yuko s’immaginava la scena, ridendo divertita.
-NON E’ DIVERTENTE!-
-Ma l’immagine della tua faccia arrossita si!-
Neko uggiolò come Inuki, e Yuko si calmò, facendosi più seria.
-A parte gli scherzi…cosa vuoi fare?-
-…niente…-
Yuko restò sorpresa da quella confessione, Neko si rivolgeva al lago, i suoi occhi verdi si perdevano nell’immensità del cielo riflesso in quel gigantesco specchio d’acqua.
-Non voglio fare niente, perché so che in fondo in fondo, Kojiro ha bisogno di tempo per riparare la ferita al cuore.
In fondo, Maki è stata il suo primo amore…-
-Ma lo sai meglio di me che poi tornerà in Italia –
Neko annuì, facendosi pensierosa, il sorriso triste svanì completamente dal viso, gli occhi si fecero seri.
-…non fa nulla. Mi basta anche la sua amicizia-
-Menti proprio come Sanae. Pazienza! Tanto, è la tua di vita!-
Yuko si alzò in piedi, pulendosi i pantaloni, il bastone in mano.
-Io torno alla villa-
-Io vengo più tardi. Questa situazione mi ha fatto riflettere-
la ragazza restò in silenzio, restando in piedi, una leggera brezza mosse ciocche dei suoi capelli, che come onde di un mare castano- oro si agitavano come in mezzo ad un maremoto.
-…d’accordo…-
Yuko sorrise dolce, allontanandosi dalla sorella, che riprese a perdere lo sguardo nel grande specchio d’acqua, che sembrava riflettere anche i suoi pensieri.

Yuko passeggiava tranquilla per i corridoi della grande villa, i tappeti soffici ammutolivano i suoi passi, mentre l’atmosfera tranquilla e silenziosa la inducevano ad ammutolire anche il flusso dei suoi pensieri, mentre con l’udito affinato cercava di captare la strada verso la sua stanza, tenendo il bastone stretto in mano, una mano tastava il muro di legno e gli occhi erano socchiusi, come se riuscisse a vedere il tappeto rosso scuro.
Ad un tratto, un altro frusciare interruppe il suo cercare, e la indusse a fermarsi, i passi si dirigevano verso di lei.
Vediamo…
-…Genzo…-
il portiere si fermò sbalordito, non ci era ancora abituato all’abilità di Yuko a riconoscere con l’udito le persone che le passavano accanto.
Vestiva di jeans blu e comodi, e una camicetta azzurra.
Deliziosa…
L’immagine di Taro interruppe quella descrizione mentale, e indusse il portiere a passare affianco a Yuko, duro come la pietra, impenetrabile.
Yuko lo fermò con un tocco leggero alla spalla, turbata, le sopraciglia aggrottate.
-Genzo…tutto bene?-
il portiere si limitò a interrompere di malavoglia quel tocco, allontanandosi a grandi falcate, mentre Yuko si stringeva, turbata, il bastone sottile tra le mani, per poi riprendere la strada verso la sua stanza, fermandosi all’ultimo momento a voltarsi, accorgendosi che il portiere si era fermato.
-…andrai con Taro?-
Yuko restò in silenzio, colpita da quella domanda, ma non per la domanda, ma dal modo in cui venne fatta.
Una voce ferita, delusa.
-…tu cosa pensi?-
la ragazza si strinse il bastone dalle mai, per poi lentamente lasciare la presa, mentre avvertiva Genzo che si allontanava, senza fiatare, superando la villa a grandi passi rabbiosi.
Yuko si limitò a stare in silenzio per qualche minuto, prima di passarsi una mano tra i capelli, poi sul viso, fermandosi un attimo tra le labbra, per poi scendere sul fianco, prendendo il bastone, i suoi passi ripresero il suo lento andare.

Genzo si diede del cretino.
E così, dopo averle fatto quella domanda in QUEL modo, sperava ancora che lei lo seguisse ad Amburgo?
Ma poi, come cribbio gli era venuto in mente di fare una domanda del genere? Era impazzito?
Si…
Era pazzo…pazzo di lei…
Di quell’autunno eterno, così come eterne e immense erano le valli verdi delle sue iridi, velate di nebbia mattutina, luccicanti di stelle imprigionate e rugiada fresca.
Ma ora…come poteva…
Come poteva sperare di avere ancora la possibilità di ammirare quegl’occhi?
Come poteva avere solo il diritto di ammirare quella divinità? Quel canone di bellezza greca ellenistica? (Perdonatemi, Storia dell’Arte mi manda in corto circuito!*__* N.d.M.)
Voleva…averla ancora a se, e stringerla…senza farla fuggire più…assaporando ogni minima emozione e sensazione che la sua pelle e la sua mente provava.
Il portiere passò una mano sul berretto, calcandolo ancora di più, quasi cercando di coprirsi il viso del tutto, un lampo di rabbia e frustrazione attraversava quelle braci ardenti, mentre nella sua mente si formava l’immagine di Yuko che, lentamente, accompagnata dal vento del Maestrale, veniva portata via, foglie secche e la luce di tramonti freddi l’accompagnavano (in ricordo di “Luce”, di Elisa, magnifica canzone!N.d.M.)
Lei, bella come un tramonto, onde di un mare castano dorato, morbido al contatto, così come morbide dovevano essere quelle sottili labbra, che…
Che…
Genzo sentì il corpo fremere, al solo pensiero di quel breve e leggero contatto, solo pensarlo suscitava in lui una tempesta di sentimenti che lo facevano ribollire dentro, al solo pensiero che…
Che Misaki, forse, avrebbe assaporato quelle emozioni, al suo posto, portando via con se, come uno spiffero gelido e ladruncolo, quella dolce ninfa, magari sorridendo maligno, voltandosi verso Genzo.
Il portiere sentì le mani fremere, pronte a prendere a botte Taro.
Invece si limitò a respirare profondamente, ripartendo a percorrere la villa, quasi a passo di carica, cercando di staccare via da se il ricordo di Yuko, cercando di allontanarlo il più possibile, ma più ci provava, più quel pensiero s’insinuava, leggero, come leggera è la nebbia, che alle prime luci dell’alba svanisce…

Taro l’aveva incrociata al campetto, mentre con Tsubasa si allenava ancora un momento.
L’aveva vista raggiungere Sanae, con quella sua aria serena, anche se…
Anche se, nella presa di quelle mani sul bastone, si avvertiva un leggero tremore.
Se ci fosse stato Inuki, questo avrebbe guaito con forza.
Era nervosa, turbata.
Parlava serena con Sanae, ma dentro aveva paura…
Poi l’aveva vista volare via, come una foglia secca che vola via con il vento.
Era seriamente preoccupato per lei.
Ma non si pentiva di quello che le aveva chiesto.
Anzi.
Ci avrebbe provato una seconda e una terza volta, pur di convincerla a seguirlo, in Belgio…
Non poteva permettersi di perderla di nuovo.
Non poteva permettersi che Genzo la prendesse e la portasse via con lui.
Lui non era adatto a Yuko.
Era violento, testardo, orgoglioso, presuntuoso.
Lei, invece, era dolce, gentile, modesta, umile.
E tanto bella…
Dio, se era bella!
Non si può descrivere la perfezione semplicemente con queste parole che sto scrivendo, la perfezione bisogna vederla, assaporarla, ammirarla, desiderarla.
Lui desiderava Yuko…
La desiderava…perché lei era…
Era Yuko…
Ed era unica…
Unica al mondo…e lui voleva avere quel pezzo unico.
Poterla stringere a se, assaporando ancora quel calore sulla sua pelle, desiderando di assaporare quelle labbra sottili e dolci, che si dipingevano in sorrisi carichi di mistero…
Scoprire i suoi segreti, i suoi pensieri…
Scoprirla, pian piano, senza fretta…
E amarla…

Volevano amarla…
Amarla in tutto e per tutto…
Volevano amarla psicologicamente, entrare in lei così come lei entrava in loro, e scoprirla, così come si scopre un tesoro raro e prezioso.
E poi…sentire l’ebbrezza di poterla amare fisicamente, anche solo sfiorandola o abbracciandola, senza esagerare.
Pian piano, torturandosi e consumandosi dal desiderio che ogni suo minimo cenno e o movimento procurava a loro.
E lei…lei sarebbe stata li, a sorridere, misteriosa, restando sempre con loro, magari stringendogli la mano, sfiorandoli, mostrando solo a loro la lucentezza dei suoi occhi.
Solo…a loro…
Solo…a lui…Taro
Solo…a lui…Genzo

Yuko si sentiva la testa pesare.
Dannazione!
Era da quella mattina che si sentiva stanca, come sei suoi pensieri si fossero fatti ancora più pesanti e faticosi da sostenere.
“Vieni con me ad Amburgo”
“Vieni con me in Belgio”
Belgio…Germania…
Amburgo…Bruxelles…
Chi seguire, quale ramo di strada seguire?Qual destino scegliere?
Gli sembrava di vedere, quelle due strade.
In una…un enorme distesa di mare, acqua salata che s’infrangeva fragorosa sulle onde, oppure scivolava placida sulla lingua di sabbia.
E li, su uno degli scogli…
Quel ragazzo senza volto, coperto da un berretto rosso.
Come…come un demone maligno…
Un demone che la sconvolgeva, nonostante tutto il suo autocontrollo…
Dalla voce calda e gentile…il comportamento leggermente presuntuoso e freddo…e…dalla dolcezza e dal calore che la bruciavano…
E dall’altra parte…
La massa indefinita di un cielo coperto da nuvole bianche, che come batuffoli di cotone erano morbidi, soffici, caldi, dove riposarsi…
E su una delle nuvole…l’angelo custode…il suo angelo custode…
Dal sorriso gentile…dall’amore gentile e sincero…dal sorriso dolcissimo…pronto anche a morire per lei…
Il diavolo e l’angelo…
Quale delle sue strade scegliere?
L’inferno o il paradiso?
Era tutto così confuso.
Yuko si toccò la fronte, stanchissima, per poi riprendere la sua camminata verso la sua stanza, avevano parlato con Sanae, informandola che non sarebbe scesa per cena.
Aprì la porta scorrevole della sua stanza, fermandosi all’ultimo momento per ascoltare Tsubasa e Taro che rientravano alla villa dopo la serie di tiri, accaldati e sereni.
Taro…
La ragazza si richiuse dietro la porta scorrevole, svestendosi ed entrando in doccia.
Avvertì il benessere che il getto d’acqua calda le procurava sulla pelle, rilassando i suoi muscoli leggermente tesi, il rumore della doccia la stordiva sempre.
Sembrava di stare sotto la pioggia…
Lei amava la pioggia, la pioggia lavava via pensieri e stanchezza, le faceva sentire la testa più leggera, scacciava via ogni suo dubbio, che invece alla luce del sole si illuminava e offuscava la linea continua dei suoi pensieri.
Yuko si appoggiò con la schiena al muro in marmo, ripetendo quel giochetto, mentre l’acqua calda le rilassava i muscoli tesi delle braccia e delle gambe, sentiva il corpo tremare tutto, al solo pensiero…
Il calore ardente e passionale di un diavolo…il tocco leggero e dolcissimo di un angelo candido.
Apri e chiudi.
Apri e chiudi.
Ancora apri, e ancora chiudi…
Sorrise, mentre lentamente fermava il getto d’acqua, aprendo silenziosa la porta della doccia, avvolta da un getto di vapore come un apparizione celeste, afferrando il suo asciugamano e avvolgendolo intorno al corpo, un altro asciugamano per asciugare il mare in burrasca dei suoi capelli, che bagnati assumevano dorature accese.
Yuko, silenziosamente, rientrò in stanza, asciugandosi con lentezza ma meticolosità i lunghi capelli, lasciandoli semi-umidi, per poi sdraiarsi sul letto soffice e morbido, avvolta da un fresco profumo di pulito e del suo Shampoo che dava ai capelli una fragranza di fiori e frutta secca.
Si sentiva bene, adesso la stanchezza e il mal di testa erano passati, ma non la sua confusione.
Eppure sembrava finalmente aver preso una decisione.
Ma riavere contatti con quelle due voci, il ricordo di quei due esseri l’aveva di nuovo messa di fronte a quel bivio, confondendola ancora di più.
Sbuffò, mettendosi seduta sul letto, allacciando le gambe piegate al petto, mentre l’asciugamano aderiva al corpo ben fatto, i capelli leggermente umidi e caldi sfioravano il volto e le spalle scoperte, mentre le dita delle mani giocavano con quelle dei piccoli piedi nudi.
Restò così in silenzio, assaporando quel momento di tranquillità, tenendo gli occhi chiusi, socchiudendoli solo un attimo, quasi certa che…
No…
Niente…
-Non vedo…niente…-
sentì la sofferenza e frustrazione l’aveva di nuovo attanagliata, facendola arrabbiare, mentre lei afferrava la prima cosa che le capitò a tiro, buttandola contro il muro, provocando un fragore, mentre lei gridava, furiosa.
Era qualcosa di vetroso…
Il suo specchietto.
Di colpo, avvertì dei passi correre verso la sua stanza, passi veloci e sfuggenti.
-Sanae…-
-YUKO! E’ SUCCESSO QUALCOSA?-
la ragazza era entrata spalancando la porta, trovandosi di fronte Yuko che, seduta sul letto, era seduta tenendo saldamente le gambe al petto, sul muro di fronte a lei un segno sfuggente, e a terra una cornice di uno specchietto e tanti vetri rotti, che brillavano.
-Scusami, ma per sbaglio ho fatto cadere lo specchietto, e mi sono tagliata…-
la ragazza mostrò il pugno chiuso della mano, il pollice e l’indice erano feriti, alcune schegge di vetro ancora dentro le dita.
Sanae la guardò colpita, mentre Tsubasa e gli altri si affacciavano a vedere la ragazza che, tranquillamente, restava seduta, mostrando la mano ferita.
La manager restò ancora un attimo perplessa, per poi afferrare la cassetta del pronto soccorso che Yoshiko aveva preso, e avvicinarsi a Yuko, che silenziosa e tranquilla si lasciava medicare, la mano sana spostava delicatamente una ciocca di capelli, che erano scivolati sulla spalla nuda, una lingua di mare castano- oro copriva la pelle serafica, dalle sfumature alabastro prodotte dall’unica lampada accesa, quella sul comodino, tanto a Yuko non serviva la luce…
Non gli sarebbe mai servita…
La ragazza socchiuse gli occhi, mentre nella sua mente si delineavano figure a lei familiari, visi a lei conosciuti attraverso il tocco leggero dei polpastrelli sulla pelle di quei visi, che attraverso voci poteva delineare come una matita tracciava una linea, che prendeva forma.
Tsubasa, Ryo, Hikaru, Jun, Yayoi, Yoshiko…
Ne Genzo, ne Taro erano presenti…
-Dov’è Taro?-
la sua voce era così sottile e impalpabile che a stento Sanae riuscì ad udirla.
-…non lo so…forse è uscito, aveva un’espressione strana in volto…-
-Si, lo so-
Sanae guardò incuriosita Yuko, finendo di medicargli la mano, per poi uscire con gli altri, mentre Yuko la tranquillizzava.
-Rimetto io a posto, non temere…-
la ragazza si alzò, cambiandosi tranquillamente, per poi fare attenzione e raccogliere i vari vetri, ripulendo la stanza, per poi tastarsi i piccoli cerotti che aveva al pollice e all’indice.
Si era ferita di proposito, per poter nascondere la verità di quel momento di…
Di pazzia…
Non era riuscita a controllare la sua frustrazione.
Le capitava ogni tanto, raramente però gli attacchi degeneravano…
Come…come alla morte del padre…
Era totalmente impazzita, tanto che si pensò perfino di mandarla in manicomio…
Ma…arrivò Neko…e la salvò…
Neko…
Forse…era anche per questo…che non se la sentiva di partire…
Aveva una paura folle di…impazzire…
Non voleva che ne Genzo ne Taro la guardassero come lei era veramente.
Una matta, una schizofrenica.
L’avrebbero ripudiata, e lei…
Si sarebbe persa in un’oscurità che fino a quei momenti le era amica.
Distruggendola…
Si mise un maglione pesante, avvertiva un grande freddo dentro di lei, mentre sentiva dei passi irrequieti avvicinarsi alla stanza.
Senti i passi fermarsi, e sorrise, mentre avvertiva qualcuno arretrare, turbato, quella mano forse era a pochi centimetri dalla parete scorrevole…
Lei si limitò ad aprire la porta, e sorridere.
-Taro, se vuoi puoi entrare…-
il ragazzo la guardò stupito, mentre lei tranquillamente rientrava nella sua stanza, seguita dal moretto, che la fissava turbato.
-Ti sei fatta male?-
lei si mise con il viso di profilo, un raggio di sole illuminava la dolcezza di quel viso, che sorrideva quieto, mentre una mano si alzava, mostrando due cerotti alle due dita.
-Niente di grave. Lo specchio mi è scivolato…-
il ragazzo non poté fare a meno di sbuffare triste, avvicinandosi alla ragazza e fissando quei cerotti.
-Perché?-
-…forse…perché ho paura…-
Taro alzò lo sguardo verso gli occhi socchiusi di Yuko, che alzò il viso, allungando una mano, sfiorando quel volto a tratti così familiari, a tratti così sconosciuto.
-Da quanto ci conosciamo?-
-…da tanto tempo…-
Taro aveva sorriso, sentiva chiaramente la linea delle labbra formare un sorriso dolce e malinconico, lei lo dipingeva come colori ad olio nella tela della sua oscurità, mentre continuava a parlare.
-…ti ricordi…la prima volta che ti ho guardato in volto?-
-E chi se lo scorda! Le tue mani erano gelate-
la ragazza rise, ripensandoci.
Era avvenuto in un pomeriggio freddo a Parigi, lei di colpo gli aveva messo le mani sul viso, e lui era arrossito, lei avvertiva le guance scaldarsi.
Poi lui si era lamentato.

“Ma sei gelata!”

E lei aveva riso con forza, divertita.
Ora era diverso, le mani di lei erano tiepide e morbide, le sue carezzi erano dolci e rilassanti, e Taro avrebbe voluto che Yuko continuasse in eterno.
Ma lei si staccò, e aveva sorriso sofferente, stringendo quella mano che il ragazzo le aveva dato. Lui l’ha guardava turbato, gli sembrava persino di vedere perle di lacrime rotolare dal viso, anche se in realtà erano solo i giochi di quel sole birichino sul viso leggermente pallido di lei, che sorrise, scuotendo la testa, alzandosi in piedi.
-…stasera non scendo per cena…sono molto stanca…-
Taro la guardò stupito, per poi annuire, alzandosi.
Si voltò solo un istante, ad ammirarla ancora.
-Yuko…ti prego…
Abbiamo passato tanti momenti belli insieme…
Eravamo amici….eravamo fratelli….
Non vorresti vivere di nuovo quelle sensazioni? Magari…con amore…
Insieme…io e te…-

lei non rispose, e Taro sbuffò, uscendo dalla stanza, turbato e rattristato per non aver ricevuto alcuna risposta dalla ragazza.
Yuko restò in silenzio, per poi avvicinarsi alla fonte di un calore leggero che si spargeva lungo le braccia, raggiungendo la finestra, credo che fosse un termosifone...
Sfiorò con una mano il vetro freddo, lasciando che la mano formasse un’aura di vapore intorno a se, lasciando l’impronta di quella mano pallida e sottile.
Si sentiva così sola, adesso il freddo era forte.
Cosa aveva avvertito, quando aveva stretto la mano di Taro?
…un forte legame affettivo…
Yuko si strinse le mani, per poi sorridere, e alzare il capo in un punto morto davanti a se, ascoltando il rumore della porta scorrevole che, lentamente e in silenzio si apriva e si chiudeva dietro le sue spalle, una figura entrava con passi muti.
-Genzo…-
lui alzò lo sguardo da terra, dopo l’incidente di quella mattina si era sentito ancora più in colpa. Restò a bocca aperta, mentre l’ammirava.
Il tramonto che andava sul rosso fuoco creava un’aura di luce intorno a quella figura, che ora appariva come una visione del cielo, come un angelo sceso davanti a lui, comune mortale.
I suoi capelli erano mari dorati- castani, i suoi occhi semichiusi erano smeraldi imprigionati da ciglia lunghe e nere, come larghe trame di un tessuto pregiato.
La sua figura, magra e delicata, era illuminata da quel sole che, lentamente, andava a dormire, scambiando con la luna che saliva in cielo la promessa di un ritorno, di un nuovo bacio.
Yuko restò in silenzio, per poi muoversi verso il ragazzo.
-Genzo…-
lui non la fece parlare ancora, afferrandola per un braccio, trascinandola verso di se, abbracciandola con forza, scaldandola.
Yuko avvertì una vampata in mezzo al ventre, che si sparse lungo il corpo.
Qualcosa di bruciante come il fuoco, ma dolce come il miele.
Lei si limitò a stringersi ancora di più in quell’abbraccio, le sue mani si trattenevano nel sfiorare quel viso a lei inaccessibile, stringendosi contro la felpa nera del ragazzo, il cotone pesante tratteneva quel desiderio così insistente, mentre avvertiva le mani del ragazzo accarezzarle la schiena, una guancia appoggiata sulla sua spalla, il berretto rosso non c’era, poteva sentire chiaramente i capelli neri brizzolati solleticarle il collo.
Lei sorrise, dolce, lasciandosi cullare e cullando a sua volta il ragazzo, rimanendo così, cercando di mantenere quel contatto il più a lungo possibile.
-…stai bene?-
-Si, non preoccuparti…-
si sussurravano, spaventati nel parlare a voce normale, temendo che quella fragile atmosfera andasse a pezzi come il vetro di quello specchietto che aveva scagliato.
A proposito…
-…ho rotto uno specchio…-
-?-
-…mi aspettano sette anni di guai…-
Genzo sorrise, sbuffando divertito, alzando il capo, ammirando i giochi di sfumature su quel volto così sereno.
Gentilmente, il ragazzo la teneva per la vita, mentre lei si aggrappava alla sua felpa, le mani fervevano di desiderio nel poter sfiorare quel viso.
Il portiere sembrò non accorgersene, ma strinse ancora Yuko, una sua mano s’intrecciò nella morbidezza di quei capelli, intimando la ragazza ad affondare il viso in quello splendido corpo, caldo, dall’odore amarognolo e virile, dove lei si stava lentamente perdendo.
Oramai non riusciva più a seguire un filo logico nei suoi pensieri.
Voleva solo…poter…restare così…
Per l’eternità.
-…sono un po’ stanca…-
Genzo ascoltò quel piccolo desiderio, e annuendo, gentilmente, l’accompagnò a letto, facendola sdraiare, ammirando quella creatura, i capelli formavano un’aureola, mentre lei si lasciava guidare, stringendo la mano di Genzo, le sue dita sottili e lunghe s’intrecciavano in quelle grandi e forti del portiere.
-Resta-
lui si limitò ad alzarsi in piedi, mentre lei gli faceva spazio, avvertendo il grande corpo sdraiarsi sul giaciglio cigolante, lasciandosi attirare verso quella fonte di calore.
Era tutto così…tranquillo…
Bello…sereno…
Yuko chiuse gli occhi, inspirando l’odore virile del ragazzo, mentre lui assaporava ancora la morbidezza di quei capelli, che come onde di cascate si rovesciavano lungo la sua mano, le dita tastavano e s’intrecciavano con ciuffi oro-castani.
Restarono così, in silenzio, le loro mani intrecciate, lei che era accoccolata a lui, e lui che credeva in quegl’istanti, mentre si spostava per vederla meglio, che dormisse.
-…sei così bella…così dolce…
Io…non ho mai provato tutto ciò quando…quando andavo con altre donne…
Si, erano molto belle e affascinanti…ma nessuna…è stata capace…di questo…
Tu sei così…dolce…delicata…a tratti sei fredda o sfuggente, a volte sei calda e accogliente…
Io…io…io amo questo tuo essere…io amo te….
E…anche per questo…non potrei permettere a Taro…di portarti via da me…
So che non sono e forse non sarò un amante dolce e sempre presente…ma ti giuro…che farò di tutto…per starti accanto…-
gli baciò delicatamente la fronte, stringendola delicatamente a se, socchiudendo gli occhi, cercando di memorizzare quello che forse sarebbe stato l’ultimo contatto che avrebbero passato insieme.
Yuko socchiuse gli occhi, e sentì gli occhi pizzicare, trattenendo le lacrime, mentre li richiudeva, stavolta lasciandosi avvolgere dal calore delle braccia di Genzo e del sonno.

Neko si alzò in piedi, il vento soffiava con moderazione, alzando le corte ciocche dei suoi capelli ramati, i ciuffi corti accarezzavano i lineamenti di quel volto pensieroso, mentre una mano spostava le ciocche più fastidiose dai suoi occhi, mettendoli dietro l’orecchio, mentre ammirava il lago al tramonto.
Sembrava che l’acqua andasse al fuoco, il rosso e l’azzurro scuro del cielo ricordavano i giochi degl’acquarelli, mentre le colline si tingevano di ombre scure, e una palla lucente brillava con un‘energia inaudita, specchiandosi sull’increspare dolci di quelle acque.
Meraviglioso, Neko memorizzava ogni minimo tratto, quasi terrorizzata che domani quello spettacolo non si sarebbe più ripresentato, mentre le prime stelle, come lucciole timide, si mostravano dietro l’immensità blu della notte che, come una regina, dolce ma regale, copriva con il suo abito scuro il passaggio del sole, che andava a dormire dietro le colline.
E la ragazza restò li, accarezzata dal vento, sulle rive del lago, ad ammirare silenziosa gli ultimi saluti del sole a lei e alla villa.
E…anche ad un tigre, che silenziosa si avvicinava alla ragazza.
-Ehi, gatto!-
Neko fece un piccolo balzo, mentre si voltava spaventata, dietro di lei la tigre la guardava divertito.
-Kojiro! Per poco non mi fai prendere un infarto!-
il ragazzo ridacchiò, mentre Neko faceva un finto broncio, per poi ridere insieme al ragazzo, lui con la coda dell’occhio ammirò la sua figura magra e slanciata nello sfondo del lago, il vento muoveva con dolcezza le corte ciocche ramate, sembrava che un piccolo fuocherello vivesse tra quei capelli, senza però riuscire a toccare le dolci iridi verdi della ragazza, che dopo un attimo di silenzio arrossì lievemente, la vicinanza con il ragazzo le faceva ancora quell’effetto.
Più che altro…temeva…che lei…
Maki…
-Posso farti una domanda, Kojiro?-
il ragazzo la guardò stupito, annuendo con il capo, mentre lei si faceva seria, tenendo il capo basso, il bel sorriso era svanito, lasciando il suo posto ad un viso teso e preoccupato.
-Ecco…tu…a te manca Maki?-
era una domanda a bruciapelo, e per un attimo tra i due ci fu il più assoluto silenzio, turbato solo dal passare leggero del vento, che muoveva dolcemente i capelli di Neko, che teneva lo sguardo basso, incapace di guardare negl’occhi Kojiro, che era rimasto muto e stupito della domanda.
Poi, lentamente, il ragazzo si fece più torvo e incupito, voltandosi e dando le spalle alla ragazza.
-Muoviti, Sanae mi ha mandato a dirti che è pronta la cena…-
la ragazza lo guardò colpita, per poi annuire timorosa, affiancandolo, mentre lui manteneva lo sguardo davanti a se, freddo e impenetrabile, Neko che con la coda dell’occhio lo guardava, ammirando quel profilo, quella carnagione scura, quegl’occhi neri, brillanti come braci ardenti.
La ragazza restò in silenzio, e Sanae li guardò arrivare, lei sembrava ancora più piccola accanto alla “Tigre”, che con uno sbuffo infastidito entrava dentro, mentre Neko si guardava intorno, preoccupata.
-Dov’è Yuko?-
-Ha detto che non sarebbe scesa per cena, perché diceva di essere stanca…-
Neko si limitò ad annuire, per poi avviarsi verso la stanza della sorella, incrociando per caso Genzo, che le sorrise tranquillo ,scendendo per andare a tavola.
Neko lo guardò attentamente, per poi bussare la porta della stanza di Yuko, che con un lieve “avanti” fece entrare la sorella, sorridendo nel sentire il timido camminare della sorella, che le si sedette sul letto, appoggia dogli la testa sulla spalla, sbuffando come una pentola a pressione.
-Dimmelo: sono una stupida-
-Dirlo non servirebbe a molto, non credi?-
Yuko sorrise, mantenendosi seduta con le braccia che abbracciavano le gambe piegate, la schiena poggiata sulla testiera del letto, un’aura di serenità e leggera sonnolenza la coccolava.
Neko restò con la testa appoggiata alla spalla della sorella, che si limitò a sorriderle, accarezzandogli con una mano i capelli segosi, intrecciando le dita tra le ciocche ramate.
-Allora?-
-Ho fatto la cosa più stupida del mondo…-
-Riguarda la “Tigre”?-
Neko annuì, strusciandosi contro il maglione di Yuko, facendo le fusa con tristezza, mentre Yuko sorrideva affettuosa, spostando la testa della sorella dalla spalla al suo grembo, le gambe piegate poggiate sul materasso morbido, Neko che con le mani accarezzava le braccia della sorella, mentre con occhi tristi guardava il soffitto sopra di se.
-…gli ho chiesto…se gli mancava Maki…-
Yuko annuì, per poi sospirare.
-E lui cosa ti ha detto?-
-Niente, ha ignorato di proposito la domanda…-
-E questo secondo te cosa significa?-
Neko sentì gli occhi farsi lucidi, ma mantenne l’autocontrollo.
-…che…in fondo…ama ancora Maki…-
Yuko annuì, mentre avvertiva la sorella singhiozzare, e le sorrise affettuosa, abbracciandola e cercando di calmarla on sussurri gentili e strette calorose, mentre Neko si stringeva al corpo di Yuko, come un piccolo micio bisognoso della madre.
-Cosa posso fare?-
-…se non lo sai tu…-
Neko alzò lo sguardo verso la sorella, che si limitò ad accarezzargli il viso, le mani sapienti passavano sulla pelle leggermente umida, asciugando con gesti gentili le lacrime e la strada umida che avevano creato.
Yuko, lentamente, si alzò dal letto, lasciando sdraiata una Neko pensierosa.
Lentamente, la ragazza sorrise, mentre sentiva la sorellina uscire dalla stanza, il suo passo ancora più incerto ma, in qualche modo, più sereno.
“Ed ora…tocca a me…”

Doveva essere mezzanotte…
-Kojiro? Sei sve…-
Neko non finì la parola, rimanendo sull’uscio della porta scorrevole, mettendosi una mano sulla bocca, la figura di Kojiro di spalle l’aveva spaventata.
Il ragazzo era davanti alla finestra, le tende semi-aperte lasciavano passare un filo di luce di luna, che illuminava con un fascio bianco pallido una diagonale del corpo del ragazzo.
La ragazza restò ancora sull’uscio, intimidita dalla figura ancora in piedi del ragazzo, appariva ancora più grande e minaccioso di quella serata.
Lentamente, la ragazza si chiuse dietro la porta, rendendosi conto che ora non poteva più tornare indietro, ormai era dentro.
E lui lo sapeva.
Lei rimase sulla porta, le mani dietro la schiena poggiavano sulla parete liscia della porta, mentre i suoi occhi fissavano con un brillare ammirato ed emozionato la grande schiena di Kojiro, che si limitò a guardare a vuoto quel fascio di finestra, una parte della diagonale gli illuminava l’occhio sinistro.
I due restarono in silenzio, lei aveva abbassato e accelerato il respiro, temeva che il suo cuore si sentisse rimbombare in tutta la stanza, e si mise le mani in petto, stringendo con forza, le guance avevano assunto colorazioni rossastre.
Lentamente, prese qualche profondo respiro, per poi rialzare lo sguardo, lui era ancora voltato verso la finestra.
-Io…io non volevo…farti arrabbiare…questo pomeriggio…ma…ma io…io dovevo sapere…-
balbettava lievemente, la sua voce tremava, mentre a piccoli passi si avvicinava verso la grande schiena di Kojiro, la canotta aderente faceva risaltare il fisico atletico, e Neko ingoiò un colpo, avvertendo il rossore farsi più forte, sostituito poi da un’improvviso colpo di malinconia, il rossore svanì, e gli occhi brillarono ancora di più, mentre una mano, timidamente, si allungava verso quella schiena…
L’aveva sentita entrare, e si era fermato…aveva fermato il filo dei suoi pensieri…
Stava pensando a lei…a lei, piccolo gatto innocente…che però era capace di graffiare con forza, anche se involontariamente…
“A te manca Maki?”
…si
Odiava ammetterlo, ma gli mancava quella scatenata giocatrice di softball.
Era stata l’unica in grado di penetrare nella sua barriera, e di rimanerci.
Ma…Neko…
La conosceva da poco, e gia aveva avvertito qualcosa, mentre l’ammirava camminare a affianco a lui, quando sorrideva, quando arrossiva imbarazzata…
Si ricordò quel negozietto…
La sua fatina, dalle ali colorate, dal sorriso e dai modi di fare deliziosi…
Per un istante, Kojiro avrebbe voluto fermare il suo volo, e stringerla a se.
E quel desiderio si riproponeva, prepotente e autoritario nella sua mente, mentre guardava la sua figura magra e delicata, quale suo sorriso e i suoi occhi di giada.
Eppure sentiva che era ancora legato…a quella stupida ragazzina gelosa e possessiva…
Una volta non era stato così…una volta si erano voluti davvero bene…
Ma…era amore quello che provavano? O era solo una illusione dettata dai loro cuori desiderosi di affetto e di qualcuno da avere accanto a se?
Si…forse quello che avevano vissuto…era solo un’illusione…
Ma Neko…
Lei era invece era reale, e a volte quella realtà faceva dannatamente male.
Perché ogni volta che lui provava ad avvicinarsi, qualcosa lo bloccava.
La paura di prendere in giro…quella deliziosa creatura, quel piccolo micino, che adesso, con timido coraggio, aveva osato entrare nel covo della “tigre”, parlandogli con parole balbettate…
No…no nera arrabbiato…
Ma…non voleva…

Kojiro spalancò gli occhi, mentre avvertiva il calore del corpo di Neko dietro di se, con coraggio inaspettato la ragazza lo aveva abbracciato da dietro, le braccia stringevano la vita del ragazzo, mentre il viso si appoggiava alla pelle calda del ragazzo, che sentiva come una marchio fatto a fuoco sulla pelle, mentre lei continuava a parlare, questa volta con tono calmo e dolce.
-Kojiro, ti prego, perdonami. Io non voglio che tu mi odi. Voglio che tu mi consideri ancora tua amica. Io tengo troppo alla nostra amicizia…
Io…tengo troppo a te…-
La ragazza spostò le mani dalla vita al petto, e avvertì i pettorali tesi sciogliersi al suo tocco, il ragazzo rimaneva immobile, ma assaporava con gioia quel contato, a lungo desiderato.
-Kojiro…io…ti amo…-
non parlò, non diceva nulla, si limitava a stare immobile.
E per Neko quella fu la risposta alla sua affermazione.
Lentamente, slacciò il contatto, altrimenti rischiava d’impazzire al quel calore, a quel profumo pungente di menta che il ragazzo usava, indietreggiando di qualche passo, tenendo lo sguardo basso.
Sapeva, infatti, che se lo avrebbe visto, avrebbe pianto, e lei non sopportava di piangere.
Non in quella situazione.
-Scusami…se ti ho disturbato…-
la ragazza si voltò, una mano pronta ad aprire la porta, quelle parole sulle labbra, le lacrime che gia cominciavano a correr impazzite lungo le guance, lei che fissava il vuoto.
-Beh..buonanotte Ko…-
si sentì di colpo afferrare con forza alla vita, trascinata via dalla porta, di colpo un’improvviso calore le riempì il corpo svuotato, mentre gli occhi si spalancavano, stupiti.
No…
Non era una sogno…
Kojiro l’aveva presa di peso e stretta a se, sentiva le punte dei piedi toccare a malapena terra.
-Neko…gattino mio…
Perdonami…io non voglio che tu esca da questa stanza…
Resta con me…per sempre…-
Neko si voltò, e guardò il firmamento negl’occhi del ragazzo, le sue lacrime avevano smesso di correre impazzite, mentre avvertiva quelle grandi mani calde prenderle il viso a mo’ di coppa, sollevandola ancora di più da terra, mentre le sue mani scivolavano dal petto alle spalle, al collo. Fu come se un petardo esplodesse nella stanza, una miriade di fuochi d’artificio nelle loro teste.
Le loro labbra si sfiorarono, si toccarono, si accarezzavano, si stuzzicavano.
Si amavano.
E quando si staccarono per prendere aria, i loro occhi erano rimasti incatenati.
Poi, come se qualcosa l’avesse risvegliata, Neko abbracciò con foga Kojiro, stringendosi a lui, non voleva più andarsene, piangendo di felicità, stringendo le labbra in un sorriso colmo di gioia.
Lui la prese, la strinse, baciandole il capo, le spalle, le labbra più e più volte, mentre entrambi, lentamente, si sedevano a terra, senza staccarsi, senza dividersi, ormai erano due esseri uniti.
E rimasero così, seduti a terra, abbracciati, lei sorrideva felice, lui che la stringeva a se come se fosse fatta di cristallo o cartapesta, quel piccolo corpicino sembrava ancora più piccolo e indifeso al confronto di quello grande e atletico del ragazzo.
Così…semplicemente…

Nel frattempo, Yuko era scesa per le scale, quasi certa di trovare quei due che, scesi, si erano fissati a lungo.
Un angelo e un diavolo.
E lei, comune mortale, aveva scelto il suo destino, la sua strada, il vento da seguire.
Se quello caldo e portatore di pioggia dello Scirocco.
O quello freddo che portava sereno della Tramontana.
Lei sorrise, mentre avvertiva le due presenze, e parlò con voce chiara e decisa.
-Ho preso la mia decisione…-
i due erano in piedi, nervosissimi, al contrario di lei che, calma e sorridente, restava in piedi, il bastone davanti a se.
Prese un profondo respiro, e aprì gli occhi, le sue praterie si potevano ammirare sfuocate, alla luce di una lampada accesa in lontananza, che rifletteva la sia figura seminascosta.

Creatura misteriosa, che delle tenebre vieni inghiottita, chi sceglierai tra il cielo e l’acqua?
Chi, tra il diavolo di cui tu non vedi il viso, e il tuo angelo custode, avrà l’onore di poterti avere a se?
Chi, dei due litiganti, potrà stringerti tra le sue braccia?
Parla, o dunque, tu essere, le cui iridi non possono vedere che oscurità.
Sussurra il suo nome, in questa notte…

(Commenti!! Lo so, sono cattiva, ma presto il porssimo capitolo!
Meiko)

  
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