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Autore: velvetmouth    19/02/2010    6 recensioni
un'altra storia sui Beatles. Quando smetterò di tartassarvi? Mmm...Credo mai xD
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17
Il ricordo.

8 dicembre 1980


La mia mano trema, sfiorando il cassetto di legno sotto la scrivania, lo apro piano, come se dovesse saltare fuori qualcosa.
Ma non succede niente.
Un'infinità di lettere tenute assieme da un nastro rosa, sono tutte lì, la maggior parte di esse ancora sigillate, qualcuna strappata.
E' buffo,una pila di lettere chiuse in un cassetto bastano e avanzano a far galoppare lontano la memoria...
Quante notti ho passato a ricordare?
Quante notti ho cercato di dimenticare?
Ma è inutile...Il passato è un mostro con lunghi artigli che riesce sempre a riacciuffarti, anche nei momenti in cui non te lo aspetteresti mai.
Ne sfilo una dal mucchio.
Ad Audrey Jennifer Wendy Mitchell.
Immagino la mano della persona che le ha scritte, il tratto deciso e leggermente inclinato, in quella calligrafia così scomposta e incomprensibile.
Sorrido, forse per mascherare la tristezza, forse per mascherare la rabbia che mi attanaglia.
''Audrey''
Una lacrima bagna la carta, ingiallita dal tempo.
''Ti ho fatto del male, non volevo.''
Ne prendo un'altra.
''Ti prego dimmi almeno come stai...''
Non ho mai risposto a nessuna.
''Ti penso sempre, ti amo.''
Scorro le righe infinite di quelle lettere, sento le mani chiudersi in una morsa attorno alla carta sottile.
Scoppio a piangere.
John Lennon è morto.
John Lennon è morto.
John Lennon è morto.
John è morto.
E io non gli ho mai risposto...
Io non l'ho mai più rivisto.



Sono in salotto di un albergo, a Londra.
Non tornavo in Inghilterra da anni, ormai...
Tutto mi sembra così estraneo, tutto fa parte di un passato lontano e al quale la mia mente vorrebbe fare volentieri a meno, mentre il cuore si ostina a tornare...
Mi guardo intorno, cercando di identificare la persona che mi ha chiamata...
Non avrei mai pensato che sarebbe successo...Cosa vuole da me?
-La signora Mitchell?-
Chiede una voce dietro di me.
Sussulto, voltandomi.
E' proprio lei...
L'ho vista molte volte in televisione.
Mi avvicino.
-Sono io.-
Ha gli occhi nascosti dietro un paio di occhiali scuri,i capelli lunghi che le scivolano sotto le spalle ed è avvolta in un lungo cappotto nero.
Mi prende per mano, a quel tocco rabbrividisco sentendomi a disagio.
Prende una scatolina dalla tasca del cappotto.
-John mi parlava sempre di lei...-
Sussurra con quel suo accento straniero.
Anche dopo tantissimo tempo, ogni qual volta qualcuno pronunciava quel nome, rimanevo bloccata, come una statua di ghiaccio.
John.
-Sempre, sempre, sempre.
Era come ossessionato, il rimorso lo divorava.-
Mi sento trafitta dal suo sguardo, seppure oscurato dalle lenti.
-Voleva dargliela di persona...-
Aggiunse alludendo alla scatolina blu scuro che tenevo fra le mani.
-Ma non l'ha più rivista...-
Mi mordo il labbro inferiore.
Avevo come un guazzabuglio di emozioni contrastanti che circolavano nella mia mente, mi sentivo in colpa per non aver mai risposto alle sue lettere, per non averlo incontrato, per molte cose...dall'altra provavo un ostinato rancore verso le sue bugie, il suo doppiogioco...
Ma tutto si annullava nel dolore... Saperlo morto, sparito per sempre senza la minima speranza di poterlo rivedere mi lasciava senza fiato.
E allora capii che non era la sua assenza che riusciva a farmi dimenticare il passato, ma era la sua presenza di sfondo, lontana ma palpabile a permettermi di sopravvivere.
Ora che non c'era più era come se una parte di me fosse morta, per sempre.


Sono di fronte ad un cancello, alto, quasi maestoso.
Premo il citofono.
-Sì?-
Esito, apro la bocca più volte senza però riuscire a parlare.
-Sì?-
La voce ripete.
-Cynthia Powell?-
Chiedo tremando.
-Sì sono io...Ma chi è?-
Rimango in silenzio...
-Se siete dei giornalisti, potete anche andarvene! Io non parlo con nessuno!-
Cerco di domare il singhiozzo incessante che mi fa incrinare la voce.
-Cyn...Sono io, Audrey.-

Quando mi apre la porta, non c'è bisogno di spiegazioni, perchè entrambe sappiamo...
Entrambe sappiamo di aver amato lo stesso uomo, di esserci incontrate per caso e di essere diventate amiche, anche se per poco, anche se in situazioni difficili.
Ci abbracciamo e a me sembra l'abbraccio più sincero che abbia mai ricevuto...
-Lui ti ha amata, veramente...
Sapevo che mi tradiva ma, in un certo senso...Sono sollevata che fossi tu...Io...Mi dispiace...-
Mi guarda con quei suoi occhi che non sono cambiati, per niente...
Non la lascio finire, non deve scusarsi...Sono stata io quella che non avrebbe dovuto esserci, che non doveva entrare nella sua vita...
In nessun modo.

Tornando verso Liverpool dopo tanto tempo, mi sento leggera, finalmente libera dai rimorsi...
Non so perchè sto sorridendo, ma lo faccio.
Apro la scatola blu, c'è una chiave ed un biglietto.
''Tu sai cosa apre...
Ti amo.''
Io lo so.
Tengo premuto l'acceleratore e mi dirigo in periferia, la zona portuale.
Scendo dalla macchina, mi guardo intorno...
Non è cambiato niente...Tutto è rimasto lo stesso, il panificio all'angolo, il parco e...il palazzo, quel palazzo che è sempre stato mezzo malandato, con i mattoni rossi screpolati e l'intonaco grattugiato dal tempo.
Mi avvicino al portone, è aperto.
Faccio le due rampe di scale a balzi e finalmente sono lì davanti, dopo  un'eternità.
Non mi ero accorta di tenere la chiave così forte tra le dita da farmi male...La infilo nella toppa, due giri e la porta si apre, lentamente con un cigolo.
Faccio un passo e mi accorgo che neanche lì dentro è cambiato niente,è come se il tempo si fosse fermato...a 17 anni prima.
Richiudo la porta dietro di me e rimango allibita.
Una marea di foglietti è attaccata lungo tutta la superficie della casa,neppure un angolo privo, sul frigorifero pieno di ragnatele, sul divano polveroso, sull'arco della cucina, nella camera da letto, sul vetro del bagno, persino dentro il caminetto.
Mi avvicino a leggerne il contenuto.
''Mi dispiace''
Respiro affannosamente, scuotendo la testa e tenendomi all'attaccapanni, anch'esso pieno di foglietti, per non cadere.
''Scusami''
''Perdonami''
Singhiozzo, sfioro la superficie dei foglietti, tutti diversi...
Ovunque mi volti c'è un post-it diverso, pieno di parole, di scuse...
E' troppo per me, mi rannicchio e inizio a piangere, piango così tanto da sentirmi stanca, da buttar fuori tutte le emozioni represse in questi 17 anni...
Urlo il suo nome, fra i singhiozzi...Mi sento male.

Quando torno a casa, a Melun,mi sento bene.
Mi siedo sul letto, sfioro quella foto che non ho mai avuto il coraggio di buttare.
Guardo quei volti sorridenti e sorrido anche io...
Rimango ad occhi chiusi, stringendola fra le mani.
-Mamma?-
Apro gli occhi.
-Cos'hai?-
Scuoto la testa, sorridendo.
-Niente, tesoro...Niente...-
Si  avvicina, stringendomi con un braccio,gli bacio una guancia.

''Ha il tuo profilo, sai John?
Ogni volta che lo guardo mi sembra di vederti su quella sedia del Cavern mentre ridi della mia ordinazione...
A volte vi immagino insieme, ma...so che è impossibile...
So che ti arrabbieresti, perchè non te l'ho mai detto ma...
E' il più bel ricordo che potessi lasciarmi,
Ti amo.
Tua, Audrey.''
  
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