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Autore: cartacciabianca    19/02/2010    3 recensioni
[ SOSPESA ]
In una New York devastata dalla Guerra tra sani e portatori, sono emersi un gruppo di patriottici eroi. Uomini e donne sottoposti a crudeli esperimenti allo scopo di sopprimere definitivamente il Virus e ogni suo esponente. Sono gli Angeli, nati dalle ricerche fatte sul precedente campione Zeus e protettori della specie umana. La battaglia per il dominio sul pianeta volge al termine dopo due anni di scontri sulla frontiera della scienza e della tecnologia meccanica. Due anni di sangue e vittime innocenti capitate nelle mani dei predatori più spietati.
"Mi sentii puntare sulla schiena qualcosa di estremamente freddo, sottile e affilato più di un rasoio.
Ingoiai a fatica, trattenendo il fiato e sollevandomi sulle punte degli stivali. Dalla mia bocca schiusa venne solo un flebile sospiro quando Alex affondò la lama tra le mie scapole traversandomi orizzontalmente da un capo all’altro. Un fiume di sangue mi bagnò la divisa, raccogliendosi poi sul terreno impolverato tra i miei piedi. Quel rosso vivo e accecante mi finì anche negli occhi, mentre il dolore risucchiava nel suo vortice la sensibilità del mio corpo.
Inclinai la testa da un lato scoprendo una parte di collo, sul quale Mercer posò appena le labbra.
-Sai… ora capisco cosa ci trovava quel Turner di tanto interessante in te- mi sussurrò all’orecchio dopo aver risalito il mio profilo di piccoli baci, minuziosi come graffi. –Quando sanguini così sei davvero eccitante- rise."

[Alex Mercer x nuovo personaggio + altri nuovi personaggi]
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 27° - Attacco al Paradiso

GIORNO DELL’INFEZIONE 420°
POPOLAZIONE INFETTA: 30, 8%

New York,
Settore Angels, Base Phoenix,
Ore 4.43 am

Matt prese il caffè dalla macchinetta e lo chiuse con un tappo apposito in plastica. –A più tardi, Sall- disse avviandosi fuori dalla mensa. Un uomo sulla quarantina, di fronte alla stessa machina ad ordinare la sua bevanda, si voltò e salutò il ragazzo con un gesto della mano.
Il giovane traversò l’ingresso della mensa lasciandosi alle spalle una grande sala buia e deserta, popolata solo di quei tanti o pochi coordinatori soliti a svegliarsi presto la mattina, per monitorare i loro Angeli sul campo, giù a Manhattan.
Matt traversò un lungo, bianco e asettico corridoio, sbadigliando. In una mano aveva il suo espresso fumante e ben tappato, l’altra era nella tasca dei jeans tenendo sottobraccio una rivista ripiegata. Giunto in fondo al corridoio, chiamò uno dei due ascensori e attese paziente che le porte si aprissero. Nel fare ciò, si guardò attorno scrutando il silenzio, pensando quanto fosse palloso il mestiere di coordinatore in pensione: ora che il suo Angelo aveva comunicazioni e satellite irraggiungibili, poteva ritenersi un disoccupato fuori servizio. La Phoenix e lo stesso Lewis Martin erano occupati nel costante tentativo di comunicare con Emily Walker, ma per uno, due, tre giorni era stato impossibile solo stabilire la sua posizione sull’isola. Matt era seriamente in pensiero, ma non quanto Lewis Martin.
L’ansioso capo della sezione dava di matto da una settimana. Alcuni giorni lo si vedeva correre da una parte all’altra della base dettando comandi senza logica a chiunque gli passasse accanto. A Matt era successo più di una volta, e si sentiva sempre in imbarazzo, spaventato da una tale furia. Per lo più erano ordini di carattere militare: Lewis stabiliva turni di guardia più severi, una sorveglianza maggiore e un minore riposo per tutti. Così, anche i coordinatori in “pensione” come Matt erano costretti ad ore piccole e alzatacce alle quattro del mattino.
Non erano da meno Emmett e Lucy, rientrati alla base giusto una settimana prima portando con loro il cadavere del Capitano Cole Turner e un gravemente ferito Harry Brown. Gli Angeli della Squadriglia 90esima erano tornati nelle condizioni tali da mettere in allerta tutti gli altri “schiavi del settore”. Da quel giorno, per la base Phoenix, si viveva una certa bastarda tensione.
L’ascensore segnalò il suo arrivo, le ante si schiusero e Matt entrò in cabina sbadigliando di nuovo. Pigiò il tasto del piano, si voltò e attese che l’ascensore richiudesse le porte e partisse fissando il vuoto del corridoio appena percorso.
Ad un tratto, dal fondo del corridoio, una ad una tutte le lampade al neon cominciarono a spegnersi come fulminate. Nel giro di pochi secondi, il piano intero restò completamente al buio con un silenzio spettrale. Le ante dell’ascensore erano bloccate per via dell’assenza di corrente, constatò Matt allarmato, ma fortunatamente, a rincuorarlo fu l’accensione istantanea delle luci blu d’emergenza.
Il ragazzo uscì dalla cabina affacciandosi di qua e di là nelle varie direzioni. –Ehi, c’è nessuno?- chiamò, ma effettivamente “nessuno” gli rispose.
Cercando qualcosa nella tasca del giacchetto targato Angels che indossava, trasse il filo di un auricolare collegato ad un palmare. Si apprestò a contattare il centro energetico, gestito da alcuni suoi colleghi nel sottosuolo della base e attese, sentendo squillare. Il numero composto era quello di un suo carissimo amico, un Angelo finito a lavorare nelle cantine della Phoenix dopo essersi danneggiato a vita l’ala destra. Il suo mestiere era livellare il consumo e il contenimento d’energia all’interno dell’edificio, quindi chi altri poteva meglio accertarsi delle condizioni del generatore, in caso fosse saltato qualche pistone?
-Avanti, Lillo, rispondi…- sibilò Matt, teso come una corda di violino. Nel frattempo gridò ancora: -Ehi, c’è nessuno?!- guardandosi attorno. –Perché non rispondi, razza di ubriacone italiano?!- gemé Matt accumulando nervosismo ogni minuto di più. Da piccolo aveva sempre avuto paura del buio e del mostro sotto al letto, perciò la situazione iniziava a metterlo a disagio.
Lasciò stare i suoi vecchi contatti e decise di rivolgersi direttamente alla centrale. Finalmente qualcuno rispose, ed era una voce elettronica femminile.
-Settore Angels, Centrale Energetica della base Phoenix. Identificarsi, prego-.
-Matt Wilson, Angel’s Coordinator 1-9-2. Si è verificato un salto di corrente al terzo piano della base, e per poco non restavo bloccato in ascensore. Richiedo un accertamento delle condizioni del generatore-.
-Matt Wilson, lei non è autorizzato ad effettuare nessuna richiesta di supervisione. La preghiamo di contattare un suo superiore-.
-Fottutissima lattina, devo tornare alla mia postazione prima delle 5! Non ho né tempo né voglia di salire a piedi fino all’ultimo piano e richiedere un appuntamento con Lewis Martin!- sbottò Matt ormai sull’orlo della sopportazione. –La mia pazienza ha un limite! Richiesta di un operatore umano!- dettò.
-Attendere prego- rispose la voce elettronica, e seguì una lunga pausa destinata a non interrompersi tanto in fretta…
-Ma che cazzo sta succedendo?- si chiese Matt sempre più ansia. –Meglio avvertire di sopra che farò un po’ tardi, allora…- borbottò cercando nei numeri più frequenti quello del piano Coordinatori, dove erano riuniti tutti gli Angels col suo stesso mestiere. Dopodiché aveva già in progetto di contattare direttamente l’ufficio di Lewis Martin, o comunque un suo delegato. Ma i suoi piani andarono a cattivo fine ugualmente.
-COME NON C’E’ CAMPO?!- strillò disperato guardando il palmare. Un’icona rossa lampeggiante segnalava l’assenza di linea tra mittente e destinatario della chiamata, nonostante nella base fosse in uso ormai da anni un sistema monitorato di rete interna privata.
-Ma vaff…- Matt si cacciò il palmare nella tasca del giubbetto e s’incamminò per il corridoio, tornando sui suoi passi verso la mensa. –Speriamo che il vecchio Sall non sia inciampato nei lacci delle sue scarpe rompendosi l’osso del collo…- borbottò.

«I sotterranei della base Phoenix sono cunicoli bui e strettissimi che collegano una camera di contenimento energetico all’altra. I sotterranei, non solo ospitano i macchinari che sostengono l’energia elettrica della base, ma per quei spessi e grossi condotti passano gas, ossigeno riciclato e materiali organici proveniente dai laboratori di ricerca dell’ultimo piano. Insomma, un vero e proprio smistamento di rifiuti e materie prime. Gli addetti al sottosuolo sono per la maggior parte Angeli infortunati o esseri umani. Poiché sono impianti, quelli, collegati anche alla rete fognaria esterna e comunicano con tutta New York, i lavoratori vestono di tute ermetiche nonostante il rischio di contagio sia minimo. In tutta la mia vita sono scesa là sotto una volta soltanto, ed era la mattina del giorno 420° dell’infezione.»

Qualche istante prima…

Davanti all grata fognaria che divideva New York dal sottosuolo della base, faceva la guardia un comune umano, il cui cuore batteva normale in petto. Poggiava le spalle sulla grata, fischiettando un motivetto allegro e tenendo le mani nelle tasche della tuta ermetica verde. Dietro di lui, nell’oscurità del tunnel che scavava per chilometri e chilometri il sottosuolo di New York, balenarono due occhi azzurri carichi di frenesia omicida.
Forse un ciottolo, forse un topo, fatto sta che sul terreno sbatté una piccola superficie che produsse un suono ticchettante e ritmico.
L’uomo di guardia si voltò allarmato, e scrutò allungo il buio del tunnel. Prese una torcia che portava legata alla cintura e fece per accenderla, ma Zeus fu più svelto.
Allungando e tramutando un braccio oltre la grata, Alex affondò gli artigli con un sonoro e brutalissimo “crack”, incassando il cranio tra le scapole di quel poveretto. Il sangue schizzò sulle buie pareti del tunnel, mentre costui non aveva avuto tempo neppure di mugugnare per il dolore. Mercer lasciò che il corpo si depositasse inerme a terra e ritirò il braccio nell’oscurità, tornando normale.
Perché ucciderlo? Poteva semplicemente stordirlo, pensai con una smorfia storcendo il naso. Il puzzo di sangue, se amico, sapeva darmi il voltastomaco. Quell’uomo potevo averlo incontrato nella mensa quando condividevo il tavolo coi miei compagni di clan, e ora giaceva ai piedi della grata che, il cacciatore volante alle nostre spalle, sfondò con una cornata.
Il frastuono che ne venne avrebbe messo sicuramente in allerta tutto il sotterraneo, ma guardando il sorriso malvagio comparso sulle labbra di Alex, al mio fianco, mi rendevo conto di quanto fosse entusiasta anche di questo.
Lo afferrai saldamente per il gomito prima che potesse fare un solo passo avanti. Il ragazzo mi scoccò un’occhiata gelida quanto l’azzurro intenso dei suoi occhi, ma fui ben capace di sostenere il suo sguardo.
-Attieniti al piano- mormorai schietta, semplice, circoscritta.
Alex avvicinò il volto al mio, e, per quanto mi fu possibile, riuscii a percepire il suo respiro freddo solleticarmi le labbra. –Anche tu…- sibilò in risposta, traboccante di malizia e cattive intenzioni.
Glielo leggevo nell’atteggiamento, e non solo negli occhi: quel ragazzo cercava ancora vendetta, la stessa interrotta un anno prima e ripescata qualche giorno fa, prima di vedersi entrare la sua peggior nemica nel gruppo di sabotaggio che il 420° giorno dell’infezione avrebbe messo a soqquadro la base Phoenix del settore Angels.
Alex avanzò, e con lui il fedele cacciatore volante, ora docile come un gatto da compagnia, ma nei prossimi minuti aggressivo e affamato come un leone selvaggio.
Alle mie spalle comparve una seconda creatura. La condussi in una direzione del tutto opposta, con un differente incarico ben preciso.
Il piano architettato da Mark Andrius Walker prefiggeva l’obbiettivo di eliminare qualsiasi comunicazioni interna della base, dalla rete telefonica alle segnalazioni computerizzate. Se le mie e le conoscenze di mio padre messe assieme potevano fornire buoni dettagli sulla posizione di tutti i posti di controllo e centraline elettriche, nessuno avrebbe mai sospettato che i tre portatori sani più pericolosi al mondo fossero coalizzati finalmente contro un nemico comune, tantomeno Lewis stesso. Il suo olfatto da Angelo predatore sarebbe servito a ben poco ora che, nell’arco di pochi minuti, l’intera base Phoenix sarebbe crollata nel caos.
I cacciatori volanti di mio padre erano serviti per volare indisturbati fino a destinazione, ovvero l’ingresso fognario costiero, collegato attraverso grossi tunnel e condotti a quello della base. Erano canali dei quali molti Angeli ignoravano l’esistenza, tunnel di evacuazione d’emergenza in caso di necessità che, fino ad ora, non c’era mai stato bisogno di utilizzare. Era stato Alex, qualche tempo prima della stesura del piano, a rivelarmene l’esistenza per la prima volta, nonostante avessi trascorso gli ultimi due anni della mia vita a combattere il virus dall’interno di quelle quattro mura. Mercer aveva usato questi condotti per infilarsi nella rete fognaria interna della base, e poi risalire fino ai laboratori. Grazie alle nostre conoscenze unite e l’alleanza di creature tanto pericolose come i cacciatori volanti controllati da mio padre, il settore Angels era destinato a soccombere prima del canto del gallo.
Niente più esperimenti, niente più sofferenza, morte… quello che Lewis Martin stava mettendo su con la sola scusa di abbattere il Virus, non era altro che un portentoso esercito personale di macchine inarrestabili e potenti come gli Angeli veri, al servizio di Dio. Se Martin credeva di avere ormai sentiero spianato, si sbagliava di grosso. Gli stessi mostri che prima la Blackwatch e poi il settore Angels avevano creato, stavano venendo a scassare le palle a qualcuno.
Proseguendo al buio col solo ausilio della vista termica, un tratto di strada lo feci scortata dal cacciatore volante, ma giunta alla prima destinazione, fui costretta ad indietreggiare perché a sorvegliare la cabina del controllo energetico c’erano non semplici umani, bensì due Angeli.
-Lillo, ti squilla il telefono!- disse un primo seduto comodamente alla postazione. Il secondo apparve poco dopo, venendogli incontro da un tunnel secondario. –Arrivo, non rispondere!- disse questi ripiegando le vecchie ali monche nella schiena. Si pulì le mani imbrattate di grasso sulla tuta ma, prima che potesse afferrare il telefono tesogli dal compagno, s’immobilizzò.
-Che ti prende?- chiese l’altro.
Lillo annusò l’aria. –Sarò pure vecchio, puzzolente e italiano, ma lo riconosco l’odore di virus- sibilò a denti stretti, nel frattempo che il suo braccio tramutava in un grosso spuntone nero petrolio.
L’altro si fece subito più attento. –Hai ragione…- confermò estraendo le ali dalla spina dorsale.
Tenendomi a distanza e ancora nascosta dietro l’angolo del tunnel, posai una mano sulla scapola del cacciatore volante. –Non far loro del male…- mormorai.
L’animale parve comprendere ogni sillaba e, nel momento in cui si lanciò all’attacco uscendo allo scoperto, colpì non fatalmente entrambi gli ex-angeli con un colpo di coda. Gli immobilizzò a terra schiacciandoli con le zampe artigliate e sbavò loro sulla faccia quando gli ruggì contro.
Era il mio turno di agire e così, uscendo dal tunnel, cercai di non badare agli sguardi sconvolti di uno e dell’altro.
-Traitrice! TRADITRICE!- strillò Lillo, il responsabile del settore energetico. Era un carissimo amico di Matt e aveva avuto modo di conoscermi in più di un occasione. Vedere il suo viso tirato in quel modo dalla paura di aver di fronte morte certa, mi ricordò i bei momenti trascorsi al fianco del mio Coordinatore. Rammentai anche le ultime scortesi parole che gli avevo detto prima di staccare definitivamente la comunicazione.
-Chi cazzo sei?!- gridò invece l’altro, intrappolato contro il pavimento tra un artiglio e l’altro del cacciatore volante.
Prima che qualcuno dei due potesse replicare, li misi a tacere con un fendente alla testa, fatale per un umano, ma stordente per un geneticamente-mutato. Quando mi risollevai, vidi il cacciatore fissarmi coi suoi grandi occhi rossi, e in quello sguardo carico di rammarico intravidi la coscienza di mio padre, legata alla sua. Gli carezzai il muso viscido e squamoso, ma fu giusto un istante di debolezza, perché udii un’esplosione assordante rimbombare per i tunnel del sottosuolo.
È il segnale, pensai sgranando gli occhi. La bomba è innescata: Alex sta cominciando a far danni e se tutto va come previsto, papà avrà libero accesso ai laboratori. L’attacco al Paradiso è iniziato. Ora sta a me muovere…
Corsi alla cabina di controllo e, tramutando il braccio in lama, feci più danni possibili con pochi affondi precisi e ben mirati là dove sapevo di dove colpire. In una frazione di secondo le luci tutte che illuminavano i tunnel sotterranei si disattivarono e la rete fognaria della base Phoenix, cadde nell’oscurità più intensa.
Stessa cosa fu per i piani compresi tra la mensa e i laboratori dell’attico.
Missione compiuta, pensai con una certa soddisfazione.
Ci fu una seconda esplosione.
Ecco Alex che disattiva la sorveglianza! Ridacchiai imboccando di corsa il primo corridoio che sapevo mi avrebbe condotta da lui. Seguivo il suo odore, e con la vista termica riuscivo a leggerne il calore anche attraverso i muri più spessi e i condotti più gassosi.
Trovai Mercer che finiva la sua opera straziando in più parti ciò che restava di un giovane Angelo, con tanto di giubbetto accademico con distintivo e casco integrale. Quando si voltò, incontrando la mia e la figura del cacciatore che era con me, aveva il fiato grosso non per lo sforzo, bensì per la furia.
-Sanno che siamo qui. Questa è solo una delle venti sentinelle che arriveranno venendo da quella parte- disse indicando una porta blindata che conduceva all’ascensore di servizio, unico ad arrivare sino al pian terreno dov’era situata la mensa. –Dobbiamo fare in fretta- ordinò andando in tale direzione.
-Va bene, ma… smettila per cortesia di farli a fette come animali…- gemei, -loro non c’entrano nulla. Insomma… È Lewis Martin il bersaglio, perciò gli altri lasciali andare, per favore- mormorai, seguendolo.
Alex si volò di colpo e m’inchiodò al muro con gli artigli, in un gesto tanto veloce che mi fu impossibile prevedere o anche solo contrastare. Mi fissò allungo negli occhi, mentre nei suoi potevo vedere riflessa la mia faccia sconcertata.
-Con o contro di me?- mi chiese in un sussurro freddo come il ghiaccio.
-Con…- bisbigliai esangue, spaventata ora più che mai.
Il suo braccio tornò normale, ma la sua presa salda attorno al mio collo persisteva. Mi tenne inchiodata al muro quel tanto che bastò perché alle sue spalle comparisse il cacciatore volante imbrigliato a distanza da mio padre. La bestia mandò un gorgoglio profondo e grattò il suolo con le unghie. Alex si fece allora da parte, ma non senza scoccarmi un’ultima occhiataccia, per poi riprendere il cammino nel tunnel.
Mi stanziai dalla parete accorgendomi del mio cuore che batteva forsennato nel petto. Posai una mano su di lui guardando la figura di Zeus che si allontanava nell’oscurità, seguito dal secondo cacciatore volante mentre il primo, fedelmente al mio fianco, mi osservava con sguardo carico di rimprovero.
-Non pensarlo nemmeno!- eruppi diretto a mio padre, che guardava me attraverso gli occhi della sua creatura. Mi avviai a grandi passi nel tunnel, raggiungendo Alex, e la bestia mi seguì a sua volta.
Alle mie spalle un telefono cellulare bagnato di sangue squillò tre volte, vibrando sul pavimento.








   
 
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