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Autore: _Princess_    21/02/2010    20 recensioni
La disarmava, questo era il fatto. La lasciava indifesa.
“Su, vuota il sacco.” Le intimò, senza alcuna pietà verso il suo essere così disperatamente persa in lui.
Kuu osò voltare il viso verso il suo, incontrando così i suoi occhi sorridenti, e il suo cuore saltò un battito.
Quegli occhi…
Non si sarebbe mai abituata alla loro imperscrutabile profondità, alla bellezza infinta che traspariva da quel suo sguardo mite, un misto di luci e ombre che faceva venire i brividi, che cancellava ogni capacità di respiro, di raziocinio.
Li amava, quegli occhi, così come amava l’anima che vi stava dietro.
Ed era orribile pensarci. Era orribile amare tanto qualcosa che non sarebbe mai stato alla sua portata, ed anche peggio era essere pienamente consapevole che non sarebbe mai riuscita a farsene una ragione.
[Sequel di The Truth Beneath The Rose]
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Where do you go when you’re lonely?
Where do you go when you’re blue?
Where do you go when you’re lonely?
I'll follow you

(When The Stars Go Blue, The Corrs)

 

***

Sfoglio i miei giorni all’indietro pensando a uno sguardo.
Ci sono cose che cambiano
Senza sembrare diverse.
Tremo, e nella mia mano un sussurro spento. Non conosco il volto che mi cerca nel buio.
Tramonta al contrario questo sole senza luce che mi è entrato nell’anima.
Nascere
Patire
Esistere senza vivere
Morire.
Forse le luci non sono la via.
E tu, che mi guardi senza parlare… Chi sei?

 

***

 

Non erano diecimila persone.

Il rumore di tutte quelle voci mischiate non le era nuovo, ma  era diverso sentirlo da lì. Le altre volte che aveva sentito una folla urlare, era stata nel mezzo, non su un placo. Era stata lei a urlare, le altre volte. Adesso, urlavano per lei.

Ed era come se ci fosse un oceano ai suoi piedi. Un oceano con infiniti volti, infiniti colori, che pulsava febbrilmente in perfetta sintonia con i battiti accelerati del suo cuore.

No, non erano diecimila persone. Erano diecimila scintille di vita.

E Kuu lo sapeva che quegli applausi e quelle grida calorose non erano tutti per lei, ma solo in esigua parte. Lei e Kaaos erano lì per fare da contorno, per riscaldare l’atmosfera in preparazione al vero, grande evento. Eppure era soddisfatta di sé, perché quella sera, per la prima volta, aveva guardato giù da un palco e aveva visto ciò che aveva sempre accarezzato nei suoi sogni: tra le miriadi di cartelli e striscioni dedicati ai Tokio Hotel – ‘Bill, ti amo!’, ‘Georg & Tom, sposate noi!’, ‘Tokio Hotel, you’re Too Hot!’, ‘Sei il mio angelo, Gustav!’, e una lunga serie si slogan affini – se ne potevano scorgere alcuni dedicati anche ai Pristine Blue. Non molti, certo, ma un discreto numero, considerato che era la prima volta che suonavano a Lussemburgo.

Quello che più le piacque, che la colpì maggiormente, inorgogliendola, fu il cartellone che reggeva un ragazzo delle prime file, nero scritto di bianco, che diceva ‘Kuu, la tua voce mi ha salvato la vita’.

Sarebbe servito del tempo prima che i Pristine Blue potessero raggiungere la popolarità dei Tokio Hotel, ma ce l’avrebbero fatta, Kuu non aveva dubbi in merito.

Si sentiva potente, lì sul palco, con il suo microfono in mano, a guardare dall’alto un tappeto sterminato di persone che sembravano apprezzare lo spettacolo finora offerto.

Kaaos le si avvicinò sfiorando le corde della sua Fender mentre lei accennava alle battute finali di Angel of Fame:

Don’t fly, so you won’t fall…

Hide, so you’re safe from the world…” le fece eco lui, accostandosi al lei al microfono.

I long for your tears…

Your smile is so cold…

Alone with your dreams, broken wings to unfold…

La musica si spense su quell’ultima frase cantata insieme. Fu quello a ricordare a Kuu che la loro esibizione era conclusa. Nonostante fosse la prima data e fosse andata così bene, questa consapevolezza la fece sentire stranamente vuota.

“Grazie!” esclamò automaticamente, rivolgendosi al pubblico applaudente con un piccolo inchino. Kaaos fece lo stesso. “Grazie a tutti!” Urla, applausi, anche qualche fischio, accuratamente ignorato. Non le importava delle invidiose. “Buon proseguimento!”

Un boato di urla esaltate esplose nell’arena. Mano nella mano, lei e Kaaos si inchinarono e ringraziarono, rimasero a salutare per qualche secondo, come Griet aveva detto loro. Raccolsero qualche peluche, poi ringraziarono e salutarono ancora, infine lasciarono lo stage. Kuu si sentiva le mani gelide.

Quando arrivarono nel backstage, Griet corse subito da loro per complimentarsi.

“Meravigliosi, ragazzi! Sono senza parole! Sono così orgogliosa di voi!”

Li strinse in un vigoroso abbraccio. Kaaos sorrideva compiaciuto, la chitarra ancora a tracolla. Kuu si infilò in fretta la felpa che aveva lasciato in un angolo prima della performance e prese il caffè che uno dei tecnici le aveva portato. Faceva un freddo incredibile, non se n’era accorta, finora.

“Te lo scordi!” urlò in quell’istante una voce femminile. Kuu si voltò incuriosita: dalla porta che conduceva ai camerini erano appena piombati in scena Tom e la sua ragazza. Le loro espressioni parlavano chiaro: scocciata quella di lui, incandescente quella di lei. Erano decisamente sul piede di guerra. Degli altri tre membri dei Tokio Hotel, invece, ancora non c’era traccia.

“Vi, dai! Sarà divertente!” la esortò Tom, con un tono accomodante che però la lasciò completamente indifferente.

Vibeke, infatti, truccata in un modo che Kuu trovava piuttosto volgare, si ravviò capricciosamente i lunghi capelli bianchi e neri.

“Nemmeno per sogno! Fattelo da solo, questo cazzo di servizio fotografico!”

“Ma così non avrebbe senso!”

“Non me ne frega niente, non ci voglio finire su un giornale!”

Il volume delle voci si alzava progressivamente, ma nessuno dello staff sembrava badarvi. Sembrava si trattasse di ordinaria amministrazione per tutti.

“Ci sei già finita un sacco di volte!” stava protestando Tom, stringendo i pugni come se stesse lottando contro la voglia di picchiarla. Lei, però, sapeva come tenergli testa:

“Sì, ma non certo per mia spontanea volontà!”

“Ver so god!” (“Per favore!”)

Kuu non capì quella risposta.

“Nei!” (“No!”)

Doveva essere una lingua nordica. L’aveva letto da qualche parte che Vibeke era straniera.

“Jeg kjenner som du elske meg und kan gjøre det for meg!” (“Io lo so che mi ami e che per me lo puoi fare!”)

“Questa te la sei fatta fare da BJ!”

“Ok, confesso, ma –”

“No! No, no, no e ancora no! Te l’ho detto mille volte: tu in pasto ai media, io dietro le quinte, cazzo!”

“Ma la gente ormai ti conosce!”

“E allora perché devo fare questo maledetto photoshoot con te?!”

“Perché sei mia e siccome è un articolo su di noi, mi hanno chiesto se potevi esserci anche tu!”

“Allora rispondi pure a chicchessia che non ci sarò.”

L’espressione di Tom si fece improvvisamente scura e rassegnata, quasi dolente.

“Va bene,” mugugnò tra i denti, voltandole bruscamente le spalle. “Fa’ come ti pare. Come al solito.”

Tom si accese nervosamente una sigaretta e se la portò alle labbra, allontanandosi. Vibeke lo ignorò del tutto.

Nel medesimo istante in cui Tom scompariva burrascosamente giù per le scale, Bill fece capolino nel backstage, fiero e impettito nel suo completo nero disegnatogli praticamente addosso. I loro sguardi si incrociarono per un interminabile attimo. Kuu reggeva ancora in mano il proprio microfono. Un tecnico le stava sistemando sulle spalle un asciugamano. stava per distogliere lo sguardo, infastidita, quando, stupita, si accorse che l’espressione distaccata di Bill si era appena ammorbidita in un vago accenno di sorriso.

Le fece un effetto strano. L’adrenalina che le era rimasta in corpo dopo l’esibizione sembrò dissolversi in quell’istante, sostituita da un improvviso senso di tiepido torpore.

“Su, togliamoci di qui, stiamo intralciando.”

Kaaos le avvolse le spalle con un braccio e la condusse via. La crew dei tecnici si stava già affaccendando per preparare il palco per i Tokio Hotel. Kuu si voltò per cercare di nuovo gli occhi di Bill, ma lui si era messo in un angolo, rifugiato dietro un paio di occhiali da sole, mentre Ebel gli parlava di chissà cosa.

Cinque minuti più tardi, Tom ritornò, ancora scuro in volto, stavolta accompagnato da Gustav e Georg. Erano tutti pronti per lo spettacolo. Kuu vedeva l’eccitazione nei loro occhi, fomentata dalle urla provenienti dal pubblico. Vedeva l’ansia e la voglia di cominciare. Trovava un pezzo di sé in ognuno di loro: nell’alterità di Bill, nell’indifferenza di Tom, nella rigidità di Georg, nell’alienazione di Gustav.

Vedeva se stessa in loro.

Riconosceva se stessa in quattro sconosciuti.

E questo, almeno per lei, non era normale.

 

***

 

“Quella stronza! Quella  stronza, stronzissima stronza!”

“Tom…”

“Io la mollo! Giuro che questa è la volta buona che la faccio finita!”

“Tom…”

“Ma l’avete sentita?! ‘Te lo puoi ficcare dove dico io, il tuo photoshoot!... Dio, è insopportabile!”

Gustav sospirò per la millesima volta, quella sera. Era da prima dell’inizio del concerto che Tom non faceva che lamentarsi, per lo più della propria ragazza. I due erano talmente ai ferri corti che, per il ritorno in hotel avevano voluto viaggiare in van diversi. A Gustav era così toccato prendere in mano la situazione e trascinarsi via Tom assieme a Georg, prima che anche Benjamin e Dunja dessero in escandescenza. Bill, invece, era rimasto con Vibeke. Se ci fosse rimasto Gustav, con lei, probabilmente Tom non avrebbe risposto delle proprie reazioni.

Il solito gelosone…

“Tom,” Gustav si rivolse all’amico con tutto il tatto possibile. “Lo sai che Vibeke si sente a disagio, sotto ai riflettori.”

Tom, le braccia conserte, guardava fuori dal finestrino.

“Sì, lo so.”

“Però ci viene con te agli eventi, si lascia intervistare assieme a te…” soggiunse Georg, paziente.

“Lo so.”

“E sai anche quanto le costi, vero?”

“Sì.”

“Allora perché vuoi a tutti i costi sottoporla al supplizio di un photoshoot?”

Tom tacque per un paio di minuti. Gustav conosceva il significato di quel silenzio compunto, ma preferì non interferire. Era Georg quello bravo a far ragionare Bill e Tom. Gustav aveva la modesta consapevolezza di non disporre di pazienza sufficiente per un onere simile. Poco dopo, comunque, Tom mormorò:

“Non ti è mai capitato di aver voglia di gridare al mondo quanto sei orgoglioso di avere Nicole?”

La fronte di Georg era solcata da un’increspatura perplessa, ma la sua espressione rispose per lui.

“Credo che Vi non si abituerà mai all’idea di essere diventata oggetto di tanta attenzione mediatica.” Proseguì Tom, abbacchiato. “Fa tanto la disinvolta provocante, ma so che le pesa. So che un giorno si sveglierà, mi guarderà negli occhi e mi dirà ‘Addio, Kaulitz. Non ne vale la pena.’…”

Gustav scambiò con Georg uno sguardo compassionevole

“Fortuna che la drama queen era Bill, eh?”

“Tom,” fece Georg, duro. “Sii obiettivo: tu e Vibeke siete fortunati. Il vostro problema più grave è decidere se fare o meno un servizio fotografico insieme! Possibile che non siate mai soddisfatti di niente?!”

Impietrito, Tom lo guardava come un bambino avrebbe guardato la madre dopo essere stato sgridato per qualche malefatta.

“Hai ragione.” Sussurrò, proprio mentre il van si fermava davanti all’entrata posteriore dell’hotel. “Scusami.”
“Non scusarti con me.” Ribatté Georg, scendendo dall’auto. “Scusati con lei.”

Gustav lo seguì, trattenendo un sospiro. Erano alla prima data ed erano già a questi livelli di tensione. Di questo passo si sarebbero presi a pugni entro metà tour.

Ci volle un po’ prima che ciascuno fosse scortato alla propria stanza, ma finalmente, all’una passata, Gustav riuscì a godersi una sospirata doccia calda. Erano quasi le due quando, insonne, decise che forse un giro alla cieca per l’hotel gli sarebbe stata d’aiuto. Uscì senza preoccuparsi troppo di nulla: a quell’ora di sicuro non poteva esserci molta gente sveglia e di fans era appurato che non ce ne fossero. Scese la scale, assaporando con piacere quell’innaturale quiete, soprattutto dopo il caos del concerto. Trotterellò giù dagli ultimi gradini guardando per terra e per poco non si scontrò con qualcuno. E non un qualcuno qualsiasi.

“Scusa.” mormorò la voce vellutata di Kuu, mentre lei arretrava di un passo.

Per la prima volta Gustav si ritrovò a sentirsi veramente mancare il respiro ad averla davanti. Il viso pulito, privo di qualunque traccia di trucco, le ciglia bionde, lunghe e sottili, e quegli occhi nudi, di quell’incredibile colore autunnale screziato di toni dorati: bella da disorientare.

“È stata colpa mia.” Replicò con un sorriso.

Kuu sembrava sorpresa di vederlo, ma non perse il suo superbo contegno. Era piccola, ma guardava tutti dall’alto in basso, con diffidenza, come da dietro a una parete di cristallo che la separava dal resto del mondo.

“Non fa niente.”

Portava jeans bianchi e una maglietta nera, abiti che su una ragazza qualsiasi sarebbero apparsi normalissimi, ma che su di lei assumevano un’inspiegabile eleganza.

“Stai andando al bar?” le domandò. Aveva appena notato che l’atrio da cui era arrivata era quello degli ascensori.

Lei assentì.

“Kaaos mi ha all’incirca spiegato dov’è, ma non sono sicura di aver capito. Non è molto affidabile quando ha un drink in mano.”

Gustav rise.

“Ci sto andando anch’io. Ti faccio strada, se vuoi.”

Lei lo occhieggiò senza mostrare grande interesse.

“Grazie.” disse semplicemente, e attese che lui le facesse strada.

Per Gustav fu strano: Kuu gli camminava accanto, lo sguardo fisso avanti a sé, e non fiatò fino a che non giunsero all’ingresso del bar:

“Spero vivamente che nessuno che ci conosca ci veda arrivare insieme.”

Gustav sorrise bonariamente a quell’affermazione equivocabile. Non fece in tempo a rispondere, che Kuu già stava aggiungendo:

“Non è il caso che inizino a circolare voci sospette già dal primo giorno.”

“Tranquilla, avevo capito.” La rassicurò. “Non mi sarei comunque offeso, anche in caso contrario.”

Si avvicinarono al bancone. Nonostante la tarda ora, c’erano almeno una decina di persone sedute qua e là, nessuna delle quali riconoscibile come fan. Un gruppo di uomini seduti a un tavolo in un angolo in fondo alla sala prese immediatamente a fissare spudoratamente Kuu e a bisbigliare. Anche se non capiva la loro lingua, per Gustav non fu difficile indovinare i loro discorsi. Kuu fece finta di niente. Probabilmente era abituata a essere guardata in quel modo.

“Posso offrirti qualcosa?” gli chiese, prendendo posto ad uno degli sgabelli del bancone. I suoi occhi luccicavano alle luci soffuse del locale.

Gustav le sedette accanto. Quella ragazza lo incuriosiva e intimoriva al contempo.

“Sei un tipo intraprendente…”

“Ti ho solo offerto da bere.” Ribatté lei.

Gustav percepì una sorta di ammonimento nel suo tono. Non aveva gradito la confidenza con cui si era rivolto a lei.

“Era solo una battuta di pessimo gusto.” Si scusò, e si augurò di non averle dato un’impressione sbagliata. “Comunque penso che una birra non la rifiuterei, grazie.”

“Bene.” Kuu si voltò e si rivolse al barista: “Una birra e un espresso.”

“Caffè a quest’ora?” si stupì Gustav.

Lei incrociò le braccia sottili al di sopra del bancone e sollevò le spalle.

“A qualunque ora.”

“Peggio di Bill!” ridacchiò lui.

Il barista consegnò loro le rispettive ordinazioni. Kuu si avvicinò il caffè.

“Il mio primo paragone alla grande diva…” rifletté, sollevando la tazzina, senza aggiungere zucchero. “Sono lusingata.”

Gustav si sentiva fuori posto, lì con lei. In tutta la sala aleggiava un vago profumo di magnolia e qua e là, su tavoli e mensole, erano posati vasi di vetro con rami di orchidee fiorite. Era un ambiente che si sposava bene con lei, con la sua grazia. Non con lui.

Bevvero in silenzio, senza guardarsi. Ripensando al concerto di quella sera stessa, a Gustav sovvennero un certo numero di osservazioni da fare, una meno opportuna dell’altra, ma le tenne per sé. Per quella sera, per i suoi standard, aveva già socializzato fin troppo.

“Non sono molto brillante nell’arte della conversazione, mi spiace.”

“Non sei obbligato a parlare con me.” Gli disse Kuu, lapidaria.

“Mi hai offerto da bere,” replicò lui con gentilezza. “Ricambiare la cortesia mi sembra il minimo.”

“Preferisco essere ignorata che considerata per ‘cortesia’.”

“Non ho detto che parlare con te non mi faccia piacere.” Specificò garbatamente Gustav. “Sono solo un po’ impacciato nei primi approcci. Abbiamo un tour intero da condividere, dovremo pur conoscerci prima o poi, no?”

Kuu si voltò appena nella sua direzione.

“Suppongo di sì.”

I corti capelli biondi le sfioravano il collo fine, circondato da un filo d’argento che si perdeva al di sotto dello scollo della maglietta. Con una certa amarezza, Gustav pensò che nessuno avrebbe puntato sul suo talento, se non fosse stata così attraente. Se la ricordava bene, com’era stata una volta.

“Hai veramente una bella voce.”

Si morse la lingua. La prima delle osservazioni in serie che gli erano sovvenute poco prima se n’era uscita dalle sue labbra senza che lui lo avesse voluto.

Kuu, tuttavia, non si lasciò lusingare:

“Grazie.”

“Di cosa?” fece lui, perplesso.

“Del complimento.”

Gustav scosse la testa.

“Era solo un’osservazione.”

Lei stava per dire qualcosa, ma fu interrotta dall’improvvisa intromissione di una melodia. Veniva dalla tasca posteriore dei suoi jeans.

So close your eyes
And think of someone that you phys-

Kuu recuperò rapida il cellulare e lo aprì.

“Scusami.” disse frettolosamente, saltando giù dallo sgabello.

“Fai pure.” Le rispose lui, e lei si allontanò a parlare.

“Pronto? Ciao, mamma.”

Fu quasi un sollievo per Gustav. La osservò passeggiare avanti e indietro di fronte a una parete di vetro che ospitava una piccola cascata. Anche lontano dalle telecamere, camminava come su una passerella. Era seria, sebbene fosse al telefono con la madre, e il suo sguardo non si abbassava mai a terra: indugiava sull’arredamento, sui volti delle persone che, per un motivo o per un altro, le gettavano occasionali occhiatine curiose. C’era qualcosa di magnetico in lei che sembrava catalizzare l’attenzione. Cinque minuti scarsi più tardi, era già di ritorno.

“Bella la suoneria.” Osservò Gustav, mentre lei si sedeva. “Chi è?”

“Morissey.”

“Ah, The Smiths! Avrei dovuto riconoscerlo. Come si chiama la canzone?”

Lei ebbe una breve esitazione.

“Let Me Kiss You.”

Gustav non la conosceva. Non la aveva mai nemmeno sentita. Quelle poche note, però, avevano stuzzicato la sua curiosità.

“Me la cercherò. Mi ispira.”

“È molto bella.” Sussurrò Kuu, fissando il fondo del proprio caffè. “Molto triste.”

Le sue dita esili sfioravano assentemente la ceramica bianca. Aveva unghie curate, laccate di un bianco perlaceo, persino più impeccabili di quelle di Bill.

“Sei una da cose tristi, vero?”

Le labbra morbide di Kuu si dischiusero con un accenno di stupore.

“Corrispondo al canone?”

Fredda e rigida. Gustav si disse che si sarebbe dovuto abituare a quell’atteggiamento, perché aveva la sensazione che non sarebbe cambiato molto presto. A Bill non sarebbe andato giù, questo era certo.

“È solo una mia impressione.”

Kuu lo studio di sottecchi.

“Sei uno da cose tristi anche tu?”

“A volte.”

“Non ti sbilanci mai, vero? Sempre diplomatico, politically correct.”

A Gustav venne da sorridere. Per carattere o per forza di cose, aveva sempre attentamente ponderato ogni suo gesto e parola, anche prima di diventare famoso.

“Lavorando in quest’ambiente, impari ad esserlo. Anche al costo di passare per falso.”

“Già. È sottile il confine tra diplomazia e ipocrisia.”

“Quelli nella nostra posizione non hanno una gran scelta.” Ammise Gustav. “Se sei sincero, ti danno del presuntuoso; se ti trattieni, sei un ipocrita.”

Kuu annuì gravemente.

“Non abbiamo scelta.”

“La abbiamo: possiamo essere presuntuosi o ipocriti,” sottolineò semplicemente lui. “Sempre meglio di niente.”

Apparentemente colpita, Kuu azzardò una domanda delicata:

“E tu cosa sei?”

Gustav posò il bicchiere vuoto. Lei aspettava paziente, ma era difficile rispondere, perché avrebbe significato ammettere qualcosa che, apertamente, non aveva mai ammesso forse nemmeno con se stesso. Con lei, comunque, era in qualche modo certo che mentire sarebbe stato inutile.

“Ipocrita, in genere,” confessò suo malgrado. “Anche se odio ammetterlo.”

Evidentemente era la risposta giusta, perché Kuu inclinò il capo si lato e gli concesse l’onore di un vago sorriso.

“Un ipocrita che ammette la propria ipocrisia…” rifletté poi. “Paradossale, non credi?”

Sorrise anche lui. Era paradossale, sì, un po’ come tutto quel dialogo tra loro due.

“Sono dieci anni che vivo di paradossi. Non mi stupisco più di niente.”

Gli occhi di Kuu si adombrarono lievemente. Forse in un certo senso capiva quello che lui intendeva, ma indubbiamente non poteva ancora conoscerne fino in fondo il vero significato. Forse era presto perché i Pristine Blue potessero rendersi conto di ciò che comportasse davvero occupare una posizione come la loro. La loro carriera era solo agli albori, e se fosse decollata come tutti prevedevano, avrebbero presto avuto un bel po’ di cambiamenti di prospettive.

L’orologio metallizzato appeso alle spalle del barista, intanto, già puntava verso le tre.

“Penso che sia meglio che vada, ora.” Gustav si alzò. “Grazie mille per la birra. Mi sdebiterò.”

Kuu fece un cenno incurante.

“Non serve.”

Gustav avvertì del fastidio, ma non la poté biasimare: Kuu aveva l’aria di essere una ragazza molto riservata – ed era un bene, vista la sua professione – e nessuno meglio di lui poteva capirla. Tuttavia non avrebbe saputo definire il suo carattere. Magari la avrebbe capita meglio nei giorni a seguire. Per adesso, l’unica cosa che aveva imparato su di lei era che la teca di vetro da cui era circondata era pressoché inviolabile.

“Buonanotte, allora.” La salutò.

“Buonanotte.” Ricambiò lei, senza nemmeno sforzarsi di stiracchiare un po’ le labbra.

Lasciando il bar, Gustav si chiese se era così che lui apparisse, visto dall’esterno: un pezzo di ghiaccio privo di interesse per il mondo circostante. Gli dispiaceva essere malgiudicato dalle persone, ma era più forte di lui.

Si infilò le mani in tasca, entrò nell’ascensore e chinò il capo.

Il tour era cominciato, lo aspettavano altri otto mesi di corse da una parte all’altra dell’Europa e del mondo. Otto mesi di musica, eventi e adrenalina, ma zero tempo per vivere l’altra metà della sua vita.

Quanto tempo potevano ancora andare avanti così?

Le porte dell’ascensore si chiusero.

 

***

 

A Kuu non aveva fatto piacere incontrare Gustav. data la tarda ora, aveva dato per scontato che lui e i suoi compagni sarebbero stati tutti a letto, e invece si era dovuta ricredere. Non era stato tanto l’incontro in sé a infastidirla, quanto piuttosto il non esserselo aspettata. Era scesa solo per un caffè, malvestita e già struccata. Dovevano essere solo cinque minuti prima di andare a dormire. Invece Gustav le aveva scombussolato i piani. Sapeva di essere stata maleducata con lui, ma non le piaceva l’idea che lui la avesse vista così. Era stata una chiacchierata di cortesia e, tutto sommato, non era stata nemmeno poi tanto male, però era stata un imprevisto, e lei gli imprevisti li detestava.

Quando tornò di sopra, trovò la porta della stanza di Kaaos, di fronte alla propria, aperta. Se ne stava sulla poltrona con un bicchiere in mano, ancora vestito di tutto punto, e a quanto pareva la stava aspettando.

“Dove sei stata?”

“Mi stai controllando?” sbuffò lei, alterata.

“Sì.” Rispose Kaaos con naturalezza, poi ripeté la domanda: “Dove sei stata?”

“A bere qualcosa di sotto. Mi sembrava di avertelo detto.”

“Da sola?”

Il solito interrogatorio. Kuu non si mosse dalla soglia, così come lui non si mosse dalla sua poltrona.

“Con Gustav.”

Ci fu una pausa di silenzio.

“Gustav?” rise infine Kaaos. “Come ci sei finita con Gustav?”

Kuu incrociò le braccia, compunta.

“L’ho incontrato fuori dall’ascensore. Non fosse stato per lui, non avrei trovato facilmente il bar. Qualcuno era leggermente confuso quando mi ha dato indicazioni.”

Sempre ridendo, Kaaos levò il bicchiere in sua direzione e poi se lo portò alle labbra.

“Spero per te che non ci fossero ficcanaso in giro a spiarvi.” Disse. “E che non abbiate fatto nulla di compromettente.”

“Chiacchierare è compromettente?”

“Per me no. Per molti altri sì.” Affermò lui, poi si accigliò improvvisamente, fissandola. “Non sei truccata.” Osservò.

“Wow,” fece Kuu, sarcastica. “Sei ancora abbastanza sobrio da notare certi particolari.”

“E tu vorresti farmi credere che hai permesso che uno dei Tokio Hotel ti vedesse in vesti di comune mortale?”

“Sono già stata fin troppo sgarbata, con lui.” Rispose lei, impaziente. “Non potevo certo voltargli le spalle e fare finta di niente.”

Kaaos rise ancora, molto divertito.

“Forse ti ho sottovalutata, allora.”

Dai livelli di eccesso di ilarità, Kuu capì che era il momento di andarsene, prima che il tutto sfociasse nell’ennesima discussione.

“Buonanotte.” Disse, e chiuse la porta mentre lui stava ancora augurandole a sua volta ‘Buonanotte’.

Voleva bene a Kaaos: lo aveva avuto accanto fin dalla nascita ed erano cresciuti insieme, e spesso aveva la sensazione che, in un modo o nell’altro, avrebbero passato insieme anche il resto dei loro giorni, ma c’erano volte in cui avrebbe voluto chiuderlo fuori dalla propria vita almeno per un po’. Era così protettivo verso di lei da farla sentire in gabbia. Per di più Kaaos aveva anche una ragazza, Eva, che provava una gelosia morbosa verso di lei e causava non pochi problemi. A Kuu quella ragazza non era mai andata giù.

E adesso c’era anche il tour a cui pensare. Era iniziato ed era iniziato bene, ma doveva anche continuare bene, fino alla fine, perché da quello sarebbe dipeso il resto della sua carriera. Essere una diva in Germania non era sufficiente: era fondamentale conquistarsi l’Europa, almeno. Al mondo, forse, avrebbe pensato in futuro.

Sì, forse…

Entrò nella propria suite e chiuse, appoggiandosi alla porta con un sospiro stanco.

Chiuse gli occhi.

 

***

 

PRISTINEBLUE.DE presents: Kuu & Kaaos’ Tour-log – DAY 2

BREAKFAST TIME BEFORE THE ROCKIN'

 

Göde morgen, leute, this is Kaaos!

As you surely know, we had the opening of the tour yesterday in Luxembourg and all went superwell! Kuu and I are very proud: there were so many of your there for us… we didn’t expect it! Thank you all, guys!

We’re in Rotterdam now, getting ready for today’s gig at Ahoy’s. I’m writing from my laptop as I’m having breakfast with Kuu, Tokio Hotel and our crews. Tom and I ordered some very promising slices of cake with chocolate tulips on them! Too bad that the Kaulitz twins here are vegetarians… there’s so much good meat here that I can’t even choose. Kuu is glaring at me in this very moment, ‘cause she keeps saying that I do not eat healthily, but you guys want me in shape for tonight, alright? I need some good energy for a damn good performance, tell her! ; )

Stay tuned today for updates, we’re uploading some cool vids of the soundcheck we’re heading to in the afternoon!

 

Talk to y’all soon!

 

Kaaos

 

P.S. I shouldn’t be telling you this, since it’s a quite a huge spoiler, but Kuu has plans for Brussels: shopping! I can’t tell you anything else now, but I promise everything will be filmed and published, so that you can see where our earnings end up. ; )

 

Posted by: Kaaos; on Tue, 23rd Feb 2010 @ 09:23

 



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Note: lo so, anche stavolta avete temuto che non aggiornassi più… vi chiedo scusa. E vi chiedo scusa anche se questo capitolo è stato un po’ noioso, come è parso a me. Vi prometto che dal prossimo inizierete a trovare un po’ più di vita e eventi significativi. ;)

Per adesso ringrazio Lady Vibeke per avermi aiutata con la parte iniziale, che sarebbe più o meno uno stralcio di diario di Kuu, i suoi pensieri intimi, le sue riflessioni. Ci saranno altre parti così, in futuro.

Nelle recensioni allo scorso capitolo molte di voi hanno ribadito che trovano Kuu antipatica e penso (spero!) che sarà così ancora per un po’, o mi toccherà rivedere un po’ le mie capacità. ;)

Qualcuno mi chiedeva se Kuu e Kaaos fossero i loro veri nomi: no, sono solo nomi d’arte, che verranno poi spiegati meglio più in là, e anticipo anche la vostra prossima domanda: sì, i loro veri nomi saranno poi svelati, a suo tempo.

Per chi invece chiedeva se esistesse davvero un blog dei Pristine Blue… la risposta è decisamente no, visto che sono personaggi di mia invenzione. ^^

Qualcun altro chiedeva cosa sia la storia delle pillole di Kuu, ma su questo non posso sbottonarmi, o non avrebbe senso raccontare, poi. Abbiate solo un po’ di pazienza, prometto che anche questo sarà spiegato!

Ribadisco i soliti, adoranti ringraziamenti a tutti voi che mi seguite e che commentate con tanta passione le mie storie… senza di voi non sarebbe bello nemmeno la metà scrivere dei nostri adorati fantastici quattro. : )

Vi lascio, ora, come sempre aspettando pazientemente le vostre impressioni!

Alla prossima! (spero più in fretta di stavolta ^^)

   
 
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