Nel
pomeriggio, ore quattordici circa.
Qualcosa
gli stava ostacolando qualunque movimento.
Era
come un fardello sullo stomaco, ma non era pesante; emanava un
piacevole
calore, era umido. Non era fastidioso, soltanto gli impediva i
movimenti.
Heiji
provò a sedersi, indebolito. Le ossa gli dolevano ancora,
tutto tremava intorno
a lui.
Percepì
l’ostacolo scivolare lungo il suo corpo e cadere piano sulle
sue gambe.
Incurante,
si portò le mani al viso e si massaggiò le
palpebre, ancora ben chiuse,
cercando di ricordare. Sentiva che qualcosa stava sfuggendo insieme al
sonno da
cui si era appena svegliato.
Aveva
inghiottito la pillola… Haibara l’aveva portato in
salvo… aveva parlato con
Kudo… poi non ricordava più nulla. Doveva aver
perso conoscenza.
Una
risata gli morì in volto. Era ovvio che fosse svenuto,
Haibara gli aveva detto
che avrebbe fatto male.
Ma
mai quanto poteva farne
vedersi di nuovo piccolo.
Il
ragazzo – ormai bambino – aprì gli occhi
di scatto, trattenendo a stento un
urlo di disperazione che minacciava di squarciargli il petto.
Le
sue mani si erano rimpicciolite diverse volte. Velocemente le
allontanò dal
volto e, distese le dita, cominciò a voltarle e rivoltarle
per osservarle
meglio. Il suo sguardo procedette poi, a turno, lentamente, lungo le
braccia,
fino alle spalle, al petto. In
quel
momento sentì il corpo crollare e la tensione nervosa lo
obbligò a chiudere gli
occhi e ad abbassare la testa. Non poteva già più
resistere.
E
non aveva ancora esaminato il proprio viso.
Stringendo
le labbra, lottava contro se stesso, esitando se arrendersi o
continuare a
lottare. Non pensava sarebbe resistito nel vedere le sue gambe di nuovo
gracili
e piccole, nel cercare di alzarsi su piedi minuscoli e scalpiccianti.
L’inquietudine
gli stava consumando lo stomaco.
Lentamente,
però, aprì di nuovo gli occhi, nonostante tutto.
Le
sue piccolissime ginocchia erano invisibili, perché occupate
da Kazuha, seduta
su uno sgabello al lato del letto, ma con il petto completamente
adagiato su di
lui, le braccia lunghe a stringergli le gambe. Non appena Heiji se ne
rese
conto arrossì completamente. Era lei
quel tenero fardello sullo stomaco.
“Cosa…”
esclamò timidamente, indispettito, ma quasi subito tacque:
la ragazza stava
dormendo.
I
suoi occhi erano chiusi, in gran parte coperti dalla frangetta che le
ricadeva
disordinata sulla fronte, la sua espressione usuale, ma il bambino
riuscì
comunque a notare tracce di lacrime tutt’intorno alle
palpebre e anche,
soprattutto, sul lenzuolo con cui egli era stato coperto.
Dopotutto,
era sempre un detective, anche se era stato rimpicciolito. Il suo
cervello era
sempre lo stesso. Non era stato sconfitto definitivamente.
Neanche
questo pensiero riuscì, però, a confortarlo.
Davanti a sé vedeva ormai tutto
nero e perduto.
Anche
le lacrime di Kazuha lo testimoniavano. Chissà quanto doveva
aver sofferto,
preoccupandosi mentre lui giaceva in quel letto privo di coscienza. La
sua
anima, il suo corpo, la sua mente dovevano aver patito un dolore
fortissimo, lo
stesso dolore che lui provava in quel momento, forse anche la stessa
sensazione
di sconfitta e di amaro in bocca.
Non
era riuscito a confessarle quanto teneva a lei. Kazuha non
l’avrebbe mai
saputo. Da quel momento Heiji Hattori sarebbe scomparso per sempre e
Kazuha,
con il passare del tempo, l’avrebbe dimenticato.
Heiji
si sentì male al solo pensiero. Non sapeva se sperare di
continuare a vivere
nei suoi ricordi, facendola soffrire per un amicizia distrutta, o se
scivolare
via piano dalle sue memorie, sapendola felice.
Entrambe
le possibilità gli causavano fitte profonde al cuore.
Lui
non voleva soffrire, ma allo stesso tempo non desiderava che Kazuha
soffrisse a
sua volta.
Si
sentiva turbato, sconvolto, spezzato in due, diviso tra se stesso e lei.
Non
gli era mai accaduto di provare sensazioni del genere. Udiva confusione
nella sua
testa, come se la stanza dove si trovava fosse piena di gente urlante e
rumorosa che gli impedisse di riflettere.
Lasciandosi
guidare dall’istinto, abbassò un poco la testa
verso Kazuha. Viste da vicino le
sue lacrime apparivano ancora più tristi e piene.
Più niente, ormai, lo
separava dalla sue labbra, che, in quel momento più che mai,
un ruggito in
fondo allo stomaco premeva perché sfiorasse con le sue. La
sua ragione, però,
fece in modo che il suo viso si fermasse a pochi centimetri da quello
della ragazza.
Doveva
cominciare a comportarsi come un bambino, e i bambini non facevano
ciò che lui
avrebbe voluto fare. I bambini non
baciavano sulla bocca un adulto.
Con
gli occhi semichiusi, sfiorò delicatamente con il naso la
guancia di Kazuha e
vi posò un bacio leggero, frettoloso. Poi tutto rosso in
volto, facendo
attenzione a non interrompere il suo sonno con movimenti bruschi,
discese dal
letto con un saltello.
Si
rimise diritto a fatica, ostacolato dai vestiti che ormai ricadevano
enormi sul
suo corpicino, e sospirò.
La
stanza sembrava enorme ed era resa ancora più grande ed
estesa dalle pareti e
dal pavimento candidi. Si trovava in un ospedale. Le buste dello
shopping erano
ammassate in un angolo, accanto alla borsa di Kazuha e al suo
immancabile cappello
con la visiera. Gli lanciò uno sguardo fugace e carico di
malinconia: di sicuro
da qual momento non avrebbe più potuto indossarlo, doveva
essere troppo grande
per lui.
Percorse
in punta di piedi la stanza fino alla porta e si preparò ad
uscire. Posò un
orecchio contro il legno sottile dell’uscio per controllare
se ci fosse
qualcuno al di fuori, ma non sentì alcun rumore. Poteva
andare.
Si
voltò, allora, per l’ultima volta verso di lei,
verso Kazuha, e ne accarezzò il volto con il più
affettuoso sentimento che
avesse mai provato nei suoi confronti. Era quello il suo addio.
Heiji
sorrise tristemente, mentre spingeva verso il basso la maniglia per
lasciare
per sempre la stanza.
E
tutta la sua vita.
Qualche
tempo dopo, ore quattordici e venti circa.
“Heiji… Heiji non c’è più!”
Ran
accorse immediatamente all’urlo sconvolto che proveniva da
dentro la stanza.
Kazuha
era crollata a terra e lacrime le rigavano nuovamente il viso. La
ragazza le si
avvicinò e la strinse a sé, confortandola. Kazuha
cominciò a sussurrarle
qualcosa all’orecchio, mentre Ran scuoteva la testa
dispiaciuta. Conan le
osservò: sicuramente la ragazza stava chiedendo se avesse
visto Heiji, ma così
non era stato. Neanche lui l’aveva visto. Il ragazzo aveva
atteso il momento in
cui tutti si erano allontanati per lasciare l’ospedale.
Chissà dov’era andato.
Il
bambino cavò fuori dalla tasca il cellulare e
cominciò a comporre il numero
dell’altro detective velocemente. Si portò
l’apparecchio all’orecchio e attese
che dall’altra parte della cornetta Heiji aprisse la
chiamata. Tutto fu fatto
con circospezione, per evitare che le ragazze potessero notarlo.
Il
cellulare squillava. Conan non si accorse dei passi silenziosi di
Kazuha dietro
di lui: la ragazza gli posò una mano sulla spalla e lui
sobbalzò.
“Kazuha
neechan!” esclamò, a
metà tra lo
spaventato e il rassicurato, portando immediatamente il cellulare
dietro alla
schiena. Lo strano brillio degli occhi di Kazuha faceva,
però, tendere il suo
tono di voce più verso lo sgomento.
“Stai
telefonando a Heiji, vero?” domandò lei, senza
scomporsi. Già non piangeva più
e sul suo viso, in quel momento, c’era
un’espressione combattiva e risoluta.
Conan
provò a mentire, ma la ragazza non aveva intenzione di
perdere altro tempo.
Allungò un braccio e gli prese il cellulare dalle mani,
avvicinandolo poi
all’orecchio. Nella cornetta si sentivano ancora squilli, la
comunicazione non
era ancora stata aperta. Kazuha sbuffò e spinse di
più il cellulare contro
l’orecchio in un gesto di impazienza. Il bambino si morse un
labbro,
preoccupato.
Heiji
non doveva rispondere.
Un
clic risuonò nella
stanza,
annunciando che la comunicazione era finalmente aperta. Conan e Kazuha
trattennero il fiato, attendendo che la voce di Heiji cominciasse a
diffondersi
nel ricevitore, ma ciò non accadde.
Il
cellulare era completamente muto. Conan tirò segretamente un
sospiro di
sollievo; la ragazza, però, non si arrese.
“Hattori
Heiji!” cominciò a strillare più che
poteva nel telefono, arrabbiata “Dove
sei?! Perché hai lasciato l’ospedale?! Non
dovevi!”
Dall’altra
parte del telefono, Heiji trattenne la voce a fatica. L’aver
ascoltato Kazuha
gli disegnò finalmente un sorriso sul volto. Moriva dalla
voglia si cominciare
anche lui ad urlare e prenderla in giro, ma non poteva. La sua voce
l’avrebbe
tradito, rivelando tutto.
La
ragazza, ancora, non udì alcuna parola. I suoi occhi si
ridussero a fessure.
“Heiji?!
Heiji?!” chiamò nuovamente nel telefono.
“Io!
Voglio parlare io!” strillò allora Conan, cercando
di risultare convincente nei
suoi capricci. Cominciò a saltellare, facendo più
rumore che poteva, e
immediatamente la ragazza gli diede il telefono.
“Vediamo
se con te si degna di parlare” pronunciò, offesa,
e incrociò le braccia.
Il
bambino portò il cellulare all’orecchio.
“Heiji
niichan, ciao” lo salutò calorosamente
“Come stai?”
La
voce che gli rispose era sempre uguale, soltanto poco più
fanciullesca.
“Heiji
niichan è morto” sentenziò, funerea.
Conan sentì il detective dell’Ovest
sospirare nella cornetta e trattenne a stento un sorriso. “E
smettila con
queste smancerie, sei ridicolo!” rincarò poi il
ragazzo, indispettito.
Il
bambino strinse le labbra.
“Sai
che sono costretto.” sussurrò a voce bassissima,
irritato. Poi riprese: “Dove
sei?”
“Da
Agasa hakase. Kazuha e Mouri san sono vicine a te?”
Conan
annuì.
“Allora
vedi di non farti scoprire. Raggiungimi prima che puoi e evita di
venire in
compagnia, intesi?”
“Capito!
Dirò a Kazuha neechan e a Ran neechan di non
preoccuparsi” rispose il bambino
ad alta voce, sorridendo. “Ciao ciao!”
Chiuse
la chiamata e rispose il cellulare in tasca.
“Cosa
devi dirmi?” chiese a bruciapelo Kazuha, ancora stizzita. La
infastidiva molto
il fatto che Heiji si fosse rifiutato di parlare con lei. Riusciva a
scherzare
anche quando lei era preoccupatissima.
Il
piccolo sorrise e spiegò: “Heiiji niichan sta
bene, non devi preoccuparti. Mi
ha detto che aveva un caso difficile da risolvere e che per questo
motivo è
andato via, ma tornerà presto.”
Ran
divenne all’improvviso triste.
“Proprio
come Shinichi” sussurrò una voce dentro di lei. Ma
scosse la testa e sorrise,
cercando di non pensarci. Non poteva essere lo stesso, sicuramente si
trattava
di una coincidenza.
“Speriamo
che torni presto” borbottò Kazuha tra
sé e sé “Mi ha fatto innervosire
parecchio questa vicenda. Nient’altro?”
Conan
scosse la testa con un sorriso.
“Nient’altro.”
“Come
al solito! Basta che ci sia qualcosa da risolvere e perde la
testa!” cominciò a
lamentarsi, scuotendo la testa, rassegnata, e raccogliendo tutte le
buste e gli
oggetti disseminati per la stanza. Quando prese in mano il cappello che
Heiji
aveva lasciato la sua espressione si addolcì un poco e il
suo tono di voce
divenne più leggero. “Comincio ad odiarli, questi
detective! Non è vero Ran?”
L’interpellata
rise di cuore. Finalmente Kazuha era rilassata. Sul suo viso non
leggeva più la
disperazione e la paura, semmai lo sdegno per essere stata lasciata in
quel
modo. Non poteva distruggere le sue speranze con strambe
preoccupazioni. “Hai
ragione” rispose, divertita.
Il
bambino, avendole ascoltate, mise il broncio. Non si era affatto
accorto che
gli occhi di Ran erano vuoti.
Quando
furono fuori dall’ospedale, carichi di buste e pacchetti,
Conan pensò che fosse
il momento migliore per allontanarsi senza insinuare troppi sospetti.
“Ran
neechan” domandò con una vocetta che considerava
adorabile “posso andare a casa
di Agasa hakase? C’è un nuovo videogioco e mi
piacerebbe tanto provarlo!”
La
ragazza gli sorrise. “Certo che puoi. Anzi, veniamo anche
noi! E’ molto tempo
che non vedo il Professore!”
Il
bambino impallidì a quella decisione e subito
cercò di dissuaderla.
“Ma…
ecco…ci sono i miei amici…”
mormorò, fingendosi in imbarazzo “Non so se puoi
venire…”
“Ma
io conosco benissimo i tuoi amici” gli ricordò
Ran, affettuosa. Adorava
donargli tutto il suo affetto, perché Conan la faceva
sentire meno sola. E la
aiutava a non pensare a Shinichi.
“Sì,
ma, ecco…”
“C’è
qualcosa sotto!” esclamò Kazuha teatralmente.
L’amica le rivolse un’occhiata
perplessa.
“In
che senso?”
“Beh,
è strano che il piccolo non voglia che lo seguiamo, non ti
sembra?”
Ran
lanciò un occhiata al bambino, che, poco lontano da loro,
fingeva di non
udirle, e mormorò nell’orecchio di Kazuha:
“Magari si vergogna perché
c’è una
bambina che gli piace!”
Conan
spalancò gli occhi, sconvolto.
“Sciocchezze”
ribatté la ragazza “Sono quasi diciotto anni che
sto con un detective e credi
che non sia in grado di capire certe cose?”
“Cosa
significa ‘sto con un detective’?” domandò Ran,
sorpresa “Io non sapevo nulla!”
“Infatti
non c’è nulla da sapere”
biascicò l’altra in risposta, le guance rosse
“Era
tanto per dire.” Il bambino soffocò una risata.
“Comunque, io vado con lui!”
riprese poi a voce alta, perché anche Conan potesse udirla.
“Ma
Kazuha neechan!” la pregò lui, fabbricando sul
viso un’espressione più
convincente che potesse. La ragazza, però, non aveva
intenzione di cedere.
“Io
vengo” ripeté, chiudendo la questione. Poi si
rivolse a Ran: “Faresti meglio a
venire anche tu.”
Lei
annuì con un sorriso, divertita.
Conan
sbuffò e si avviò verso la casa del professor
Agasa, senza preoccuparsi di
attendere o aiutare le due ragazze, impedite dalla quantità
industriale di
buste che dovevano trasportare.
Era
preoccupato: Heiji non poteva
essere
scoperto, altrimenti sarebbe stato scoperto anche lui. Doveva ideare
qualcosa,
e alla svelta.
Non
gli veniva in mente nulla. Non poteva, purtroppo, neanche avvisarlo con
una
telefonata: Kazuha sarebbe divenuta ancora più sospettosa.
La scusa degli amici
ormai non stava più in piedi.
Sospirando, continuò a percorrere la lunga via lastricata di fresco.
Buonasera! ^^
Ecco il nuovo capitolo! Spero possa esservi piaciuto! Le cose si
mettono male per Conan, eh? Poverino, capitano tutte a lui! Spero
vogliate continuare a seguire la fic per vedere cosa accadrà!
Nel frattepo, ringrazio calorosamente tutti coloro che hanno recensito
lo scorso capitolo:
Kara
(grazie
mille per non aver abbandonato questa fic! Non sai che piacere mi ha
fatto rivederti! Mi fa piacere sapere di essere riuscita a trasmettere
sentimento, mi sforzo continuamente per non scrivere qualcosa di vuoto,
perciò le tue parole mi confortano. Spero di esserci
riuscita anche in questo capitolo. Fammi sapere, se ti va!
^^);
Gigino (Una nuova lettrice,
che bello! Ciao! Spero di non averti fatto scappare con questo
capitolo! XD Mi fa piacere sapere che hai apprezzato i primi capitoli,
è la prima fic 'avventurosa' nel vero senso del termine che
io abbia mai scritto! Spero che questo capitolo possa piacerti! Fammi
sapere, se ti va! ^^);
Ilarietta (grazie mille anche a
te di non aver abbandonato questa fic! Ritrovare le tue recensioni mi
fa davvero molto piacere! ^^ Rispondo volentieri alle tue domande: ho
pensato di far portare Heiji in ospedale perché secondo me
è la cosa più logica da fare, quando si vede che
una persona non sta bene.Comunque alla fine Heiji è scappato
e da ora non si parlerà più di ospedale,
tranquilla! Per quanto riguarda la trasformazione, ho ipotizzato che
avvenisse dopo un po' di tempo dall'ingerimento della pillola per fini
della trama. Spero di aver soddisfatto tutte le tue
curiosità! Se hai qualche altra domanda chiedi pure! ^^
Spero che questo capitolo possa piacerti, fammi sapere, se ti va! ^^).
Grazie mille a
tutte! A chiunque legga, dico soltanto che mi farebbe molto piacere
ricevere pareri. Davvero ^^
Questo
è davvero tutto. ^^
Al prossimo
capitolo, allora.
Ayumi