Flavouring
«
C’era stato un
profumo di fragole e un rosso leggero a tinteggiare
l’aria.
Era odore di
mandarini e the nero.
Erano aromi che
sfioravano la pelle, scivolavano
nel palato.
Accostamenti
spontanei.
Come un gioco d’infanzia. »
Delicata, una
carezza leggera come l’aria primaverile.
Il vetro
sembrava quasi fremere sotto quel tocco, o era la pelle a tremare
sfiorandolo.
Una boccetta,
era soltanto una boccetta di vetro, nulla di più, eppure in quel momento aveva
un incredibile fascino evocativo, e quelle dita affusolate non riuscivano in
nessun modo a smettere di tastarne la consistenza. Un tocco quasi evanescente,
con l’unico scopo di cogliere la realtà fisica di quello che in fondo era
soltanto un aroma.
Si soffermò
quasi inconsciamente a delineare i contorni della carta che portava il nome
dell’aroma. Carta paglia, un effetto vecchio, rustico, eppure per assurdo quasi
ricercato nei suoi contorni finemente bruciati.
Era un
inchiostro blu profondo quello che tracciava con grazia quel nome, mandarino.
Un semplice
odore, un semplice profumo, la stupiva ogni volta la forza con cui si sentiva
legata ad una sola essenza. E mentre sfiorava il tappo di sughero quasi poteva
sentire quel fantastico odore sfiorarle la pelle in una malinconica
carezza.
Furono le urla
dei suoi compagni a riscuoterla da quel torpore vagamente ipnotico. Erano come
un orologio, sempre pronti a ricordarle l’ora, e quello era decisamente il
momento di andare.
Spinse
leggermente la porta della cucina, aperta come ogni volta, quell’idiota non le
permetteva nemmeno di fare il minimo sforzo di aprirla, lasciandola ogni volta
piacevolmente socchiusa. I suoi occhi sorrisero quasi d’istinto a quel
pensiero.
Entro
silenziosamente, come si addice ad una gatta, e anche se non aveva nessuno a cui
nascondere la sua presenza, preferiva comunque muoversi attraverso la stanza
come una fantasma, una presenza vagamente incorporea che si limita a lasciare
solo la sfuggente scia del suo profumo.
I passi li
conosceva ormai a memoria, erano un rito, un’abitudine entrata quasi ridendo
nella sua vita, niente di veramente percepibile ad occhi esterni. La parola più
appropriata a tutto quello era forse gioco.
Un gioco tra
il cuoco e la navigatrice.
Un gioco che
ripercorreva i più svariati aromi, i più svariati colori, i più svariati ricordi
d’infanzia.
Un the nero e
un aroma che variava ogni volta. A deciderlo erano il tempo, l’umore, il colore,
le parole, tutto ciò che potevi trovare in una giornata
qualunque.
Lui ci metteva
il suo the, e lei ogni volta ci
accostava un aroma. Il resto era solo cucina.
Un gioco
semplice, quasi infantile, scioccamente romantico forse, ma solo per i più
maliziosi. E il biondo certamente non negava di esserlo, ma lei come ogni donna
che si rispetti sapeva giocare le sue carte.
Lo tentava, sapeva di farlo, con un aroma
un po’ più piccante, o qualcosa di lievemente afrodisiaco, e adorava tenerlo in
pugno. Eppure c’erano giornate in cui amava coccolarsi, e allora era il turno
della vaniglia o della cannella, sapori dolci, che ti accarezzano teneramente il
palato. Giornate andate male, forse fin troppo, in cui toccava a qualcosa di
amaro in grado di farti sentire l’asprezza del momento e distaccartene. C’era la
menta, per le giornate più allegre, la fragola per sentirsi dolcemente infantile
o lo zenzero per essere piccanti ma non troppo, quel tanto che basta a lasciare
una piacevole impronta.
Un gioco.
Un gioco
capace di mostrare ogni giorno una parte di sé stessa inconsapevolmente, in un
linguaggio che lui sembrava capire alla perfezione, lo leggeva nel suo sguardo.
E alla fine si è arresa.
Rigirava fra
le mani la boccetta, delicatamente, perché in fondo lo sentiva, era
preziosa.
Quell’aroma
era il più importante, era quello che avevi consapevolmente evitato per tutto
quel tempo. Ma c’è sempre un giorno da ricordare, una di quelle date
impegnative, in cui non si può scherzare, non è possibile lasciarsi andare alla
malinconia o sedurre con leggerezza, e quello era quel
giorno.
Si chiuse la
porta alle spalle una volta fuori, posandosi con leggerezza a quel legno,
sospirando di sollievo, di tensione, di soddisfazione. Era lì, e in quel
linguaggio lui avrebbe capito.
Poteva bastare.
Tre colpi
leggeri, la maniglia che si piega inesorabilmente verso il basso, odore di
the.
Puntuale come
sempre. Volse lo sguardo e sorrise delicatamente nel sentire quell’aroma
confondersi con il profumo forte del the nero.
Non servivano
parole il gioco era sempre lo stesso, lei posava la penna e lui porgeva la
tazza.
Chi è
all’oscuro li definirebbe gesti meccanici, dettati da un abitudine legata ad una
memoria quasi fisica, che ad un vero e proprio ricordo. Era diverso invece, una
sensazione eterea, legata ad un tatto quasi impercettibile, come se l’aroma che
ogni volta aleggiava nella stanza decidesse gli sguardi, e i sentimenti. E forse
era veramente così.
Sentiva il suo
sguardo addosso, mentre coglieva il primo sorso. Delicato.
Un sapore
quasi nuovo, il sapore forte del the nero, ridimensionato dall’aspro del
mandarino, aromi che si confondono nell’ultimo sorso, lasciando un ricordo quasi
dolce lungo il palato.
Accostamento
spontaneo.
Era un gesto
delicato della mano, posava la tazza e né chiedeva ancora, con un semplice
sguardo.
Ed era la
stessa mano a carezzargli in un tocco fugace la guancia, avvicinandolo con una
pressione appena accennata.
Erano labbra
che sfioravano la pelle, un bacio di farfalla. Invisibile, eppure lasciava una
sua scia, una scia appena percepibile.
E la sentiva,
la sentiva incredibilmente densa, mentre lui si inchinava in un gesto
cavalleresco, mentre sorridendo si chiudeva con ricercata eleganza la porta alle
spalle, quella scia.
Un aroma.
The nero e mandarini.
Note
d’autrice:
Il rosa mi fa schifo,
oh si lo so non centra assolutamente niente ma ci tenevo a dirlo, purtroppo era
il colore che semplicemente trovavo più adatto. Ma tornando a
noi.
Questa storia voglio
dedicarla principalmente a Slits, e si l’ho scritta principalmente per lei,
dedicato soprattutto al suo piccolo neurone SaNa, che schizza fuori fra una
LaSan e un’altra.
L’ho voluta provare,
lo so fa pena, ma ci tenevo a provare questa coppia almeno una volta, e chiedo
perdono a tutto il fandom per averla resa così.
Purtroppo sono in vena
romantica, e l’idea di questa one-shot mi è venuta sotto la doccia, e ancora non
capisco il perché in effetti, so solo che ultimamente oltre a sentirmi vagamente
romantica, amo fantasticare su odori e sapori, perciò eccomi qua.
Considero questa
storia una specie di esperimento, ho voluto fare a meno delle parole, dei
discorsi, li sento un peso ultimamente, ho preferito lasciare largo spazio ai
gesti e alle sensazioni, e che altro dire se non che spero che questa cosa
piaccia almeno un po’.
Ringrazio in anticipo
tutti coloro che leggeranno, grazie, grazie davvero. A tutti.
Si parlo con
te lettore anonimo! Grazie!