dopo aver avuto segnalazioni che molti capitoli di Proibito non erano accessibili da ragazze minorenni, perché a rating rosso, ho indagato e sono arrivata a definire la seguente situazione:
Proibito resta a rating ARANCIONE, ma, poiché alcuni capitoli sono ritenuti non adatti a lettori under 18, ho tagliato le scene forti da questi capitoli e ho creato una ff a parte:
PROIBITO RED SCENES
dove è possibile leggere la versione integrale dei capitoli.
I capitoli 'censurati' sono segnalati nella nuova ff e in Proibito.
***
Ecco a voi un'altra immagine del nostro Dottor Maxwell!
Eccolo qua: scusate per il ritardo... è stata una settimana molto dura...
Quello che c'è di buono è che sto pubblicando... e che torna CARL e che... C'E' UNA SORPRESA PER VOI IN QUESTO CAPITOLO!!!
Vi ricordo come sempre l'indirizzo del mio BLOG: aggiornerò al più presto alcune delle immagini presenti, che sono state fatte in epoca AP (Ante-Photoshop) e quindi fanno schifo!!!!
PROIBITO
116 - Tris d'assi - Carl
-Oh… capisco… ma la mia
risposta
rimane no-, fece una pausa, per
alzarsi e avvicinarsi a me, fino ad arrivare a una spanna dal mio viso.
I suoi
occhi rossi mi fissavano dal basso, cercando una falla nel mio scudo,
un
appiglio valido per farmi cedere, -No, no, no. E se non avessi compreso
bene,
la risposta è ancora una volta NO!-, concluse urlando e schizzando sul
mio viso
delle goccioline di veleno.
Rimasi impassibile,
pietrificato
dalla gravità delle sue parole. Lo scudo era diventato un involucro
impenetrabile, fatto per non permettermi di sfogare la mia
disperazione. Non
davanti a lui.
Altrimenti
avrebbe potuto capire…
-No!-, ripeté una volta
ancora,
con il suo orribile ghigno piegato verso l’alto, schernendomi, -Non
libererò Isabella,
né Edward, né Alice in cambio della tua presenza qua. Semplicemente: no. Non so che farmene di te… Se vuoi,
accetta la mia proposta e dammi spontaneamente quello che ti chiedo Se
non
vuoi… vattene e torna da dove sei venuto!-
Inspirai una zaffata del
suo
mieloso odore stantio, ricordando i tempi in cui lui era stato quasi un
esempio
per me, inesperto nei primi passi nella vita che mi ero costruito
tassello dopo
tassello: adesso il suo carisma, la sua autorità, tutto di lui mi
appariva
inutilmente crudele e vano. Non mi avrebbe lasciato tornare a Parigi,
voleva
solo una cosa da me e non l’avrebbe avuta.
Non
adesso…
-E va bene-, esordii
uscendo dal
mio mutismo e ricambiando lo sguardo d’odio, -Va bene, Aro: non vuoi
liberare
nessuno di loro? Non ti interessa che io resti qua, assieme a te, in
cambio?
Perfetto. Allora seguirò il tuo consiglio-, mi voltai e feci un paio di
passi
verso l’uscita del salone. Le guardie si avvicinarono minacciose a me,
ma si
ritrassero ad un segnale da parte del loro padrone.
-Sei come tuo figlio:
pronto a
sacrificarti e rimanere a Volterra, pur di lasciare libere le persone
che ami.
Lo sai cosa ci ha guadagnato Edward, con la sua decisione?-, domandò,
insinuante e viscido.
Cosa ha
guadagnato Eddie rimanendo a Volterra?
Dieci anni
di bugie e falsità?
Dieci anni
in cui è stato lontano dalle realtà e si è inventato una vita
inesistente che
lo ha corroso per i rimorsi?
Dieci anni
di speranze e di sogni su di lei?
Cosa ha
guadagnato Edward a lasciare andare Bella?
Chiusi gli occhi ed
inspirai
lentamente, perché quelle domande meritavano una risposta onesta da
parte mia.
Edward avrebbe potuto meritare il mio aiuto, di essere liberato da Aro
e i suoi
Volturi a qualunque costo. Avrebbe meritato di tornare subito a casa,
di ritrovare
Bella, di essere lui ad aiutarla a riconquistare il passato perduto.
Invece lo avevo fatto io.
In fondo, tra i due, chi
aveva
guadagnato qualcosa, a fronte delle gravi perdite subite, ero stato
solo io e
quindi dovevo pagare la mia quota e
aiutare Eddie e gli altri.
Ma rimanere a Volterra…
già: cosa
ci avrei guadagnato? Un passaggio di testimone e dieci anni nei panni
che erano
stati di mio figlio? Dieci anni di sofferenze per aver perso la mia
ragione di
vita e tutta la mia famiglia? Dieci anni a leccare i piedi di Aro,
sapendo di
essere solo un burattino nelle sue mani avide di potere?
In fondo, nell’oceano di
scempiaggini che ogni giorno Aro pronunciava, quella volta aveva detto
una cosa
giusta.
E l’aveva detta proprio a
me… Inizi a perdere colpi, vecchio mio? Così mi
servi la decisione sul piatto di argento… Sai che non ti aiuterò mai
nei tuoi
piani, sai che non rinuncerò a lei così facilmente: grazie per avermelo
ricordato…
Tornai sui miei passi e lo
guardai: le sue parole avevano acceso l’allarme e tagliato il sigillo
che
teneva intrappolata la mia coscienza nei panni di Carlisle Cullen:
l’uomo che
agiva con pacata diplomazia e patteggiava.
Io non ero più Carlisle
Cullen.
Non avrei potuto più esserlo.
Io non avrei patteggiato.
Ormai ero
definitivamente un altro uomo e avrei combattuto.
-Con le sue scelte, Edward
ha
perso Isabella. Hai fatto bene a ricordarmelo, Aro, perché io non
intendo
ripercorrere i suoi errori. E circa la richiesta che mi hai fatto… capisco… ma la mia risposta rimane no-,
dopo quella parole, tornai a guardare la porta e uscii.
Aro mi lasciò andare via,
accompagnando i miei passi lungo i corridoi del Palazzo con una
diabolica
risata.
Sicuramente ogni vampiro
che non
fosse stato dei Rossi, ogni guardia
di Aro, perfino gli umani al suo servizio avevano il compito di tenermi
d’occhio e segnalare i miei spostamenti, fino a quando non fosse
arrivato
l’ordine di catturarmi e prendere con la violenza quello che io non
avrei mai
concesso loro.
Non sarei andato lontano,
lo
sapevo bene. Non avrei mai raggiunto Edward o ritrovato Isabella: Alice
aveva
detto la verità, quando mi aveva cercato a Parigi.
Ero a Volterra per morire.
Ormai ne ero consapevole,
sarebbe
stata solo questione di ore.
-Ma se proprio devo
morire, lo
farò cercando di riprendermela…-, sibilai e imboccai l’ultima sala del
palazzo.
Oltrepassai il grande
portale
aperto che dava sulla piazza principale della cittadina e mi guardai
intorno:
era tutto così cambiato dall’ultima volta che ero stato lì. C’erano
negozi
dalle insegne a neon, una gelateria, sull’angolo, un’edicola che
vendeva
videogames. Sui tetti più bassi e sui balconi si intravedevano le
antenne
paraboliche e ovunque, ovunque, si
sentiva fremere l’atmosfera della festa imminente, annunciata da
cartelloni e
volantini pubblicitari sparsi in gran copia.
Una festa in maschera, una
festa danzante in maschera, come aveva detto
mia figlia.
Quando le
maschere danzeranno nella neve…
Ormai non aveva più senso
rivangare il passato, le opportunità non colte e quello che avevo messo
in
gioco, lasciando Bella da sola. Avevo sbagliato e avrei pagato con la
mia
stessa vita, pur di salvare la sua… la loro…
Da quando avevo ascoltato
il suo
messaggio nella mia segreteria e avevo avuto la conferma da Marie, non
avevo
altri pensieri in testa: Isabella aspettava un figlio, mio
figlio… e aveva sofferto per giorni, certa che non avrei
creduto alle sue parole, perché quello che era accaduto era davvero un
miracolo. Logicamente non poteva essere vero, lo sapevo bene, lo sapeva
anche
Eleazar, l’unico con cui avessi condiviso tutte le informazioni sul mio
potere
e che mi aveva confermato ogni parola. Lo sapeva la mia natura e lo
sapevano
anche i Volturi, probabilmente, eppure il miracolo era avvenuto, perché
non
avrei mai potuto dubitare della buona fede della mia Isabella. Ripensai
agli
ultimi giorni passati insieme, quando starle vicino era ancora più
difficile e
meraviglioso, perché il suo profumo era così speciale e penetrante, che
riusciva a stordirmi. Dovevo capire che avesse qualcosa di diverso, ma
forse
non avevo voluto crederlo, perché giorno dopo giorno o lei assorbiva
sempre di
più il mio, di odore, dal momento che stavamo sempre insieme.
Eppure,
quando era fidanzata con Edward, questo non era successo.
Mi pentii di non aver
chiesto a
Marie da quanto tempo Bella fosse a conoscenza della verità, perché in
quei
giorni io ero stato più ottuso che mai e avrei dovuto soffrire per
punizione
almeno il doppio di quello che aveva fatto lei.
Scalpitavo per rivederla,
stringerla tra le mie braccia, leggere nel suo sguardo la novità e
condividere
ogni istante della sua avventura, ma avevo anche paura di affrontarla,
dal
momento che io stesso l’avevo messa nei guai: non sapevo come fosse
stato
possibile un concepimento, quindi non ero in grado di affrontare con la
dovuta
accortezza ciò che l’avrebbe attesa durante la gravidanza. E se fosse
stato
come me? Se le avesse fatto del male? Non potevo permettere una simile
eventualità e, sebbene la Paulaine mi avesse rassicurato sulla natura e
la
salute del piccolo, il dubbio tornava ad assalirmi e a condurmi sulla
strada
dell’incertezza.
Avrei davvero messo a
repentaglio
la vita di Isabella per questo figlio?
Mi sovvenne il ricordo dei
mesi
trascorsi nell’ombra, anni prima, osservandola da lontano irraggiare
felicità
per la scoperta di aspettare un bambino, il suo volto luminoso e
l’espressione
felice perché presto sarebbe diventata madre.
E poi la disperazione in
cui era
caduta, quando aveva appreso di averlo perso.
Due volte l’avevo vista
incendiarsi per la felicità e due volte cadere nel buio. Non ci sarebbe
stata
una terza occasione di spezzarle il cuore.
L’avrei aiutata e
sostenuta, fino
alla fine, permettendole in ogni modo di portare a termine la
gravidanza e
realizzare il suo sogno.
Fermai la mia corsa e mi
nascosi
fuori le mura della città, accorgendomi solo in quel momento di essere
ansimante per l’ansia causata dalla situazione in cui mi trovavo,
sostenendomi
alle pareti di uno stretto vicolo per non cedere allo sconforto. La
parte umana
di me, che Isabella aveva risvegliato da un torpore lungo secoli,
lottava per
venire a galla e lasciarmi inerme, sconfitto dal destino sadico che
giocava con
le nostre vite. Dovevo reagire, farmi forza per andare avanti. Per lei.
Lasciai che il mio respiro
si calmasse,
permettendo ai ricordi dei momenti passati insieme di colare come
balsamo sulle
ferite che la paura scavava dentro di me.
Il volto di Bella, da
ragazzina,
scalciò prepotente per salire a galla tra i miei pensieri: il suo
sorriso
dolce, l’aria sbarazzina e quello sguardo, capace di sciogliere i cuori
più
duri. Com’era stato possibile tutto quello che era avvenuto da quando
lei era
entrata nelle nostre vite? Gli anni trascorrevano lenti, animati solo
da rari
sprazzi di diversità: un nuovo matrimonio in famiglia, un caso
complicato a
lavoro, un trasloco verso luoghi in cui fossimo sconosciuti. Per
ricominciare,
come stavo facendo con Bella.
Giurai a me stesso che
quella
sarebbe stata l’ultima volta che avrei stravolto la mia vita e se non
fosse
stato possibile viverla con lei, allora non avrebbe avuto senso tutto
il lungo
cammino che mi aveva portato fino al coronamento del nostro amore.
Un figlio…
Sarebbe stato un bel
maschietto o
una femminuccia uguale alla sua mamma? Ci avrebbe fatti impazzire con
le sue
bizze, oppure sarebbe stato un placido fagottino da coccolare?
Avrebbe avuto qualcosa di
speciale, qualcosa che lo avrebbe reso diverso dagli altri bambini e
simile a
me?
Forse l’ipotesi che aveva
avanzato
una volta Bella, quando mi ero risvegliato accanto a lei in veste umana
era
davvero plausibile: forse il potere dei licantropi aveva vinto la mia
natura ed
io, con lei, potevo tornare ad essere semplicemente un uomo, capace di
concepire un figlio e dargli una vita tranquilla e normale.
Un semplice padre, accanto
alla
donna che amava.
-Amore mio…-, strinsi i
pugni e
presi un profondo respiro: non mi importava quale fosse la verità sulla
mia e
sulla sua natura, io mi fidavo di lei e credevo nel miracolo che era
avvenuto.
Mi rialzai e guardai lo
spicchio
di cielo lasciato scoperto tra i tetti sopra di me.
Dietro le nubi, la luna mi
fissava
placida: -Tu sai già tutto, non è vero? Tu, Luna, sai se stanotte io
morrò o se
riuscirò ad essere felice. Mi affido a te-, sussurrai e cercai di
attingere
alle mie forze e andare incontro al mio destino.
Le pareti del vicolo mi
sostennero
finché non mi sentii in grado di affrontare una nuova fuga verso la
fine di
quella tragica avventura. Uscii furtivamente e decisi di far perdere le
mie
tracce tra le case degli umani.
Avrei fatto qualsiasi cosa
per
trovare Bella e metterla in salvo: dovevo vederla almeno un’ultima
volta, per
leggere nei suoi occhi la verità, per sentirmi dire dalla sua bocca
quello che
custodiva gelosamente e per ritrovare nel suo sorriso quello della
donna che
una volta mi aveva spezzato il cuore.
Per
sentirla parlare del nostro bambino…
-Dopo potrò anche morire-,
non mi
ero reso conto di aver parlato ad alta voce, ma qualcun altro, qualcuno
che
fece il suo ingresso da una piccola porta di una casetta a schiera, mi
udì e mi
fermò.
La longa
manus di Aro mi aveva
già riacciuffato… che tempismo!
Una vampira dagli occhi di
fuoco e
la determinazione di un generale si avvicinò a me, fissò i suoi occhi
scarlatti
nei miei e posò la mano sulla mia spalla, per guidarmi dentro la stessa
porta
dalla quale era uscita. Non avevo modo di scegliere altrimenti.
Non mi lasciò modo di
parlare ed
io non parlai. La seguii dentro la piccola abitazione, finché non si
fece da
parte ed io scorsi qualcuno che non avrei mai immaginato di trovare là.
-Tu non morirai, perché
adesso hai
una bella gatta da pelare: pannolini pieni di cacca, pappette
maleodoranti e
girate in passeggino. Quindi, adesso, non fiaterai, non urlerai e non
farai
parola con nessuno di quello che sto per dirti. Hai capito, Carlisle
Cullen?-,
la voce che risuonò nella stanza era perentoria, nonostante la venatura
scanzonata.
Seppi di aver piegato la
bocca in
un ghigno obliquo solo perché uno specchio davanti a me, incastonato in
una
credenza di gusto antico, rifletté la mia immagine: indossavo ancora la
giacca
pesante che avevo in Alaska, per confondermi tra la gente all’aeroporto
e dal
maglione polo spuntava il colletto della camicia. Ero ordinato, come
sempre, ma
nella testa avevo un caos di priorità e idee, che andavano in conflitto
con le
emozioni e i ricordi che ruggivano nel mio cuore muto.
Mi voltai e replicai il
sorriso:
-Io non sono Carlisle Cullen. Non più. Ricordi? Sono Carl Maxwell e
intendo
uscire vivo da questo enorme casino. Mi aiuterai?-
Un grande sorriso mi
riscaldò il
cuore: non volevo sapere adesso cosa significasse tutto ciò e come
fosse legato
col fatto che ormai era evidente che Isabella era a Volterra e Aro la
stesse
cercando per trasformarla.
-D’accordo, Carl. Diamoci
da fare-
Era difficile stabilire
quali
fossero le mie priorità, ma tra tutte spiccava ritrovare Isabella:
Alice,
Edward e gli altri miei figli si sarebbero potuti difendere da soli,
almeno per
il tempo necessario a riprendermi la mia amata.
Inoltre avevo appreso che
il gruppo
dei Rossi, composto solo da pochi
dissidenti, all’epoca in cui fu fondato, contava adesso circa una
ventina di
membri attivi e diversi simpatizzanti tra gli abitanti di natura oscura
dei
dintorni di Volterra. Incredibilmente, nel mezzo al crogiuolo di
fedelissimi ad
Aro, mi avevano trovato proprio alcuni ‘dissidenti’, intenzionati ad
aiutarmi,
nonostante fossero a conoscenza di molte cose sul mio passato e sulle
mie
colpe. Avevano subito messo in chiaro le loro posizioni e mi stavano
studiando,
per capire da che parte stessi… eppure era così semplice!
-Mi piace Edward, non so
se vorrò
aiutarti: con le tue scelte l’hai fatto soffrire-, proruppe la vampira
dagli
occhi di fuoco, guardandomi con sospetto; eppure notai nella sua voce,
una
vibrazione strana, fin troppo umana, come se fosse titubante per le sue
stesse
parole.
La guardai sommessamente,
riuscendo a sostenere il suo sguardo solo per pochi istanti. In fondo
aveva
ragione… chi ero io per arrivare in casa d’altri e pretendere un aiuto
gratuito?
-Se Edward ha sofferto, è
solo
colpa sua: io ero presente quando avvennero i fatti che hanno dato il
via a
tutto questo e so bene quanto sia stato bischero
quel rossastro!-, fu la difesa a mio favore, che mi lasciò di stucco.
Non
sapevo che altri sapessero… Non riuscii a replicare, interrotto di
nuovo da
quelle parole.
-Ma so quanto questo
disperato ha
passato da quando finalmente è arrivato a Parigi e ha ritrovato la
donna che
ama. So che sarebbe pronto a scalare montagne e ardere su una pira, pur
di
perderla e non la lascerebbe mai ‘per la sua presunta felicità’. Non è
colpa
sua se si è innamorato di lei… in fondo, chi
non si innamorerebbe di lei?-, un cuscino volò dall’altra parte
della
stanza, così veloce che neanche io lo vidi arrivare e colpire il suo
bersaglio,
che optò per non continuare la sua arringa in mio favore.
-Scusa…-, la vampira si
rivolse di
nuovo a me, porgendomi la sua mano. Aveva la pelle liscia come la seta
e
morbida, l’odore del sangue che emanava era forte, così come la sua
stretta:
ero nell’occhio del ciclone di una battaglia che si prospettava come la
più
epica del mondo vampiresco, dovevo assolutamente ritrovare la mia donna
e
salvare i miei figli e intanto ero in un salotto a stringere la mano ad
una
vampira neonata, che mi guardava con
occhi famelici e mi annusava leccandosi i baffi, dal momento che avevo
addosso
un miscuglio di tutti gli odori raccolti nel mio lungo viaggio.
Sospirai e mi lasciai
cadere su
una sedia, affondando le mani nei capelli, sforzandomi di ricordare
ogni singola
parola della predizione fatta da Alice su quella notte infame.
Avrebbero dovuto
esserci i Denali, ma io non ero riuscito a portarli là: ci sarebbero
davvero
stati anche gli altri miei figli e… Esme?
Guardai i miei
interlocutori,
attonito e loro guardarono me, attendendo rassegnati altre
catastrofiche
notizie.
-Esme è qui?-, domandai
senza
troppi preamboli.
-Chi è Esme?-, si informò
la
vampira dagli occhi rossi, camminando alle mie spalle, inspirando gli
odori che
avevo addosso.
-Mia… la mia… ex-moglie-, spiegai, non senza un sottile
filo di vergogna, che parve passare inosservata.
All’ennesima occhiata
famelica
della vampira, con un gesto esasperato, mi sfilai d’un colpo solo
giacca e
maglione, rimanendo solo con la camicia stropicciata, che avevo sotto.
-Pronto per il Crazy
Horse?-, fu
la domanda che mi fece ghignare, ma avevo cose più importanti per la
testa.
-Allora, Esme Cullen è
qui?-,
ripetei, prendendo il polso della vampira e strattonandola. Gli occhi
scarlatti
mi fissarono senza tradire alcuna emozione.
-Ho sentito parlare di
lei, in
passato, da Alice e Jane, ma non so dove sia: sai, ho passato gli
ultimi tre
giorni in agonia, dopo che quel bastardo di Aro mi ha morsa…-,
accompagnò la
stoccata liberandosi con un gesto secco dalla mia presa e andò a
sedersi
davanti a me. Cercai di fare ordine nei miei piani, includendo anche
l’ipotesi
che Esme fosse a Volterra, ma il tentennare continuo e nervoso del
piede della
neonata sul pavimento in cotto della casa mi impediva di concentrami.
Quando
alzai lo sguardo su di lei, vidi che aveva gli occhi neri e si
torturava le
mani, cercando di resistere alla sete. Occorreva risolvere quel
problema,
perché l’ultima cosa di cui avevo bisogno era un’assassina a piede
libero. Mi
rivolsi a lei, cercando di essere il più possibile persuasivo.
-Hai bisogno di cibarti:
il tuo
aiuto è fondamentale, ma così sei troppo…-, non mi fece finire di
parlare, che
mi trovai schiacciato contro il muro alle mie spalle, mentre il braccio
della
mora mi teneva stretto al collo.
-… forte?-, terminò la
frase per
me. –So controllarmi, tranquillo dottorino-, sussurrò piano ed in
quell’attimo
mi ricordò tanto Edward, quando lo lasciai solo con Bella, dopo che
l’avevo
medicata, in seguito all’incidente con Jasper e l’odore invitante del
suo
sangue la seguiva come una bolla. Anche Edward era certo che non le
avrebbe
fatto nulla di male, ma poi l’aveva abbandonata al suo dolore.
Non sapevo cosa pensare di
quella
vampira: era così aggressiva… eppure i suoi occhi guizzavano
intelligenti e la
resistenza che stava dimostrando in quel momento era degna di un
vampiro
adulto. Ma avrebbe sopportato me, se le
piaceva Edward? Indugiai sul suo
viso, cercando di scovare dei segnali che mi indicassero la sua reale
intenzione, ma non ve ne trovai. Non ero mai stato bravo come Edward a
leggere
la gente, tantomeno la sua mente.
-Carlisle, scusami se sono
troppo
impulsiva… Ancora non so controllare le potenzialità di questa nuova
natura e
gli istinti che prendono il sopravvento… E poi tu mi stai facendo
impazzire! È
che… c’è una cosa che non capisco: Alice è venuta a Parigi per parlare
con te,
ha rischiato la sua vita per portarti un messaggio, ha accettato che
quel… quel
meschino di Alec se la prendesse, pur di avere quel briciolo di libertà
per
smarcarsi e raggiungere te-, abbassò lo sguardo, guardando furtivamente
oltre
le mie spalle, -Perché, allora, tu sei qui?-, domandò e non ebbe
risposta.
-Alice è stata chiara
circa la sua
premonizione, l’ha confidata a tutti i Rossi…
tu morirai! Cosa sei venuto a fare qui!?-, ribadì, colpendomi con il
dorso
della mano una spalla.
-Perché io l’amo-, risposi
lasciando che la verità di quelle parole penetrasse in ogni cellula del
mio
corpo e divenisse la forza in grado di sostenere la mia battaglia. -E
perché
voglio aiutare tutti i miei figli, soprattutto Edward-, conclusi.
L’uomo alle mie spalle
sbuffò,
indicando ad entrambi l’ora segnata dalla pendola appesa al muro,
mentre una
nuova espressione si dipinse sul volto della vampira, che si avvicinò a
me e mi
abbracciò.
-D’accordo, mi hai
convinta. Anche
io combatterò per salvare chi amo, al tuo fianco. Ma ho bisogno di
sapere che lui stia lontano dal campo di battaglia…
aiutami-, disse, facendo un cenno con la testa verso l’altro Rosso.
-Quando la smetterete di
bisbigliare a volume vampiresco e mi metterete al corrente di quello
che
accade, vi farò notare che sono quasi le sette e tra poco meno di due
ore
inizierà la festa, cioè la battaglia-
La donna si allontanò da
me e
puntò la sua preda, seduto su una poltrona dietro di noi, sorridendo
sorniona.
-Ti dà noia, adesso, bocconcino mio, che i vampiri parlino
così?-, sospirò abbracciandolo con foga e strusciando il viso sul suo
collo
pulsante e fragile, leccandogli la gola, dimentica che ci fossi anche
io nella
stanza…
Lui sorrise, appena
imbarazzato e
le disse una cosa che mi colpì: -Solo poche gocce, Gianna, o mi
prosciugherai!-, e così vidi la vampira neonata affondare i canini
appuntiti
nel collo di Bernard Grandier e succhiare avidamente solo
poche gocce del suo sangue.
-E’ proprio una fortuna
che non
gli accada niente di brutto se me lo bevo un po’!-, sentenziò pimpante
e
chiaramente in forma smagliante la vampira.
-Già…-, rispose dolorante
Bernard
e portò una mano al collo, per fermare l’emorragia.
-Quando mi sono
risvegliata in questo
corpo, finalmente vampira, come avevo sempre desiderato, ho capito
subito che
non sarebbe stato facile resistere a quella devastante sete che
grattava nella
gola e mi faceva desiderare di ammazzare qualunque cosa si muovesse.
Avrei
pagato oro pur di avere a disposizione una vittima, ma allo stesso
tempo avrei
voluto morire per non compiere mai un gesto così orribile. Poco dopo è
arrivato
lui: morbido, profumato, fragile, appetitoso umano. Ma io lo amo… l’ho
sempre
amato e non avrei potuto torcergli un capello. E’ stato Bernard,
vedendomi
schiacciata dalla fame, che si è offerto ai miei denti, tentandomi e
facendo sì
che perdessi il controllo: è stato allora che ho scoperto che invece di
uno,
due umani, del suo sangue mi bastavano solo
poche gocce: buffo,no?-, la neonata si rivolse a me e mise ancora
una volta
la mano sulla mia spalla, premendo verso il basso e facendo piegare le
mie
gambe.
Li guardai sinceramente
grato al
destino di averli messi sulla mia strada.
Anche se
quello sciagurato del mio infermiere mi doveva alcune spiegazioni sul
perché
lui fosse a Volterra e soprattutto perché anche la mia Isabella fosse
lì…
-Seduti-, ordinò Gianna,
-Adesso
vi spiego come organizzeremo questa cosa…-
-Lei è un’ottima
organizzatrice-,
spiegò Bernard, con una punta di orgoglio, alzandosi per cercare
qualcosa da
mangiare.
-Facevo la segretaria, è
ovvio che
sappia organizzare il tempo degli altri… e da stasera… anche il mio!-
Bernard trovò una carota e
iniziò
a sgranocchiarla, borbottando: la sua donna… o vampira… aveva
spiegato che tutte le sue scorte alimentari erano
state portate via dalla casa, cosa strana e alquanto curiosa e che
l’unico cibo
che restava era quel grosso mazzo di carote un po’ appassite.
Gianna domandò ancora una
volta
come avesse fatto Caius a trovarmi e ancora una volta spiegai che era
avvenuto
per caso, quando ero atterrato con il volo charter all’aeroporto di
Firenze.
Mentre io mi stavo
buttando
consapevolmente nella battaglia, il volturo stava fuggendo, assieme
alla
moglie.
Era stato lui a trovarmi,
prima
che io mi accorgessi del loro odore nell’aria: stavo dirigendomi verso
il
parcheggio, per prendere un’auto qualunque e correre da Bella, quando
ero stato
colpito dalle sue parole.
-Un altro passo e
considerati un
vampiro morto-, aveva tuonato la sua voce, poi mi aveva raggiunto e,
senza
lasciarmi tempo di voltarmi, mi aveva messo a terra, nella polvere del
parcheggio.
Se avessi programmato
l’incontro
con il mio vecchio amico Caius, non sarei mia riuscito a trovarlo al
primo
tentativo, invece il caso aveva deciso per noi e il sorriso diabolico
che aveva
guarnito il viso lungo del Signore di Volterra aveva sancito una via di
fuga,
per lui, e la strada per la fine, per me.
Così, mentre Athenodora
continuava
a singhiozzare senza lacrime, perdurando in una nenia infinita,
ripetendo di
aver perso l’ultima delle sue amiche, la sola che l’avesse aiutata a
guarire
dalle ferite causate dalla morte di Dydime, Caius mi aveva minacciato
con le
sue zanne affilate e mi aveva messo alla guida di un’auto di grossa
cilindrata,
diretti verso Volterra.
Avevo guidato come un
pazzo,
infrangendo anche i divieti al codice che dovevano ancora essere
inventati,
sentendo rimbombare nelle orecchie i lamenti della vampira e il ringhio
sommesso del mio carceriere e finalmente ero entrato in paese.
-Ora basta!-, aveva urlato
Caius a
sua moglie, prima di scendere dall’auto, -Torna in te e mostra che sei
ancora
una vera Regina! Ti affido questo vampiro: fallo fuggire e
automaticamente
sarai morta-, ringhiò, mostrando tutta la paura che lo portava a
reazioni
esagerate, anche nei confronti di chi amava.
Athenodora aveva annuito
in
silenzio e mi aveva stretto per le braccia, tenendole bloccate dietro
la mia
schiena, senza uscire dall’auto, ferma in una strada piuttosto buia e
silenziosa,
ai piedi della rocca dove sorgeva il Palazzo. Ricordavo chiaramente
tutte le
vie di accesso alla fortezza e come, ogni volta che tornavo là dentro,
durante
il mio soggiorno a Volterra, decidevo di sperimentarne una diversa:
c’era la
porta Est, che conduceva diretta alla Via Fiorentina, la porta Sud, con
i suoi
leoni di pietra e la discesa, la trionfale porta Nord, che portava
diretta
nella piazza principale della città e la viuzza che portava all’accesso
segreto
direttamente dalle carceri del Palazzo. Era stato proprio lì che Caius
era
sparito, dileguandosi nella fitta boscaglia.
Il Volturo ci aveva messo
poco a
tornare: mi aveva fatto rimettere subito in marcia verso il castello di
Aro e
stretto a sé la moglie, soddisfatto.
-Ho incontrato Marcus… il
nostro
vecchio amico è passato dalla parte dei traditori, ma ha comunque
lasciato
detto che ti salutassi. Se lo vedessi, non lo riconosceresti: è
diventato un
altro uomo… incredibile! Secondo me c’è una donna sotto…-, aveva detto,
e
Athenodora aveva scosso la testa, dubitando del fatto che Marcus
potesse
cancellare la memoria della moglie morta sostituendola con un’altra.
–L’amava
troppo-, aveva sussurrato soltanto.
-Benvenuti-, ci aveva
accolto una
guardia ed eravamo entrati nel palazzo.
Aro mi attendeva.
Caius gli stava portando
un regalo
che sapeva lo avrebbe riempito di gioia e così era stato: un abbraccio
caloroso, una stretta di mano salda e sincera,
un’indagine non autorizzata nella mia mente.
-Così è vero…-, aveva
detto
semplicemente, eclissando il finto entusiasmo con una espressione tetra
e
minacciosa, -Isabella è la tua cantante e compagna-, aveva detto, senza
pormi
la domanda.
Non ci aveva creduto,
evidentemente,
quando, qualcuno lo aveva già informato della nostra relazione. Lo
avevo guardato
sedersi sul trono istoriato, fissando a terra davanti a sé,
cogitabondo,
ricordandomi i secoli passati in cui tante volte lo avevo visto
inscenare quel
teatrino, prima di condannare a morte un poveraccio ed eseguire la
condanna
davanti ai miei occhi.
Per questo avevo capito
subito che
sarei stato il suo prossimo condannato.
-Ho bisogno del tuo
veleno-, aveva
detto senza troppi preamboli, -Perché a Volterra c’è Bella Swan e non
appena la
troverò, intendo trasformarla. Se vorrai, dopo sarai libero di andare
via-
Dritto al punto, conciso e
spietato.
-Il mio veleno non serve a
nulla-,
avevo obiettato, sperando che mi credesse, ma la rivelazione che ero
stato
spiato per tutto quel tempo da un suo subalterno, che la conversazione
avuta
con Bernard era stata riportata alle sue orecchie e che la conclusione
che lui
ne aveva tratto era di ‘provarci lo
stesso’, mi avevano pietrificato.
-In fondo, Carlisle, non
mi servi tu. Sei un bravo vampiro, sempre
obbediente alle nostre leggi… quasi
sempre… ma non hai poteri speciali, se non quel tuo insulso rimedio
curativo
che avvelena il nostro cibo. Della
tua conoscenza medica non saprei cosa farne: noi non salviamo li umani,
li
uccidiamo. Quindi sarai libero di andare dove ti pare e di tentare di
diventare
un vampiro a tutti gli effetti… In voglio solo Isabella Swan-, aveva
sentenziato.
Era stato il mio sguardo,
la
sottile frenesia che mi aveva colto in quel momento che avevano fatto
della sua
piccola vittoria un trionfo: aveva calibrato alla perfezione le
successive
parole, al solo scopo di uccidere ogni tentativo di ribellione dentro
di me.
-Ho atteso Isabella Swan
per dieci
anni, anni in cui tu, invece, l’hai condotta nuovamente a ricordare
quello che
è proibito agli umani, disubbidendo alle nostre leggi. Ma Bella Swan
non deve
pagare per ciò che sa… in fondo non è sua la colpa. Lei custodisce un
grande
potere e tu lo sai: quando sarà vampira, potremo beneficiare tutti del
suo
aiuto, lei in primis, che non dovrà
più temere per la sua preziosa vita. Trasformarla sarà un dono che la
libererà
dalle angosce del tempo e della precaria instabilità della natura
umana. Quando
Isabella sarà una vampira, riceverà tutti gli onori che le spettano,
vivrà a
Volterra come una regina e sarà amata da tutti-, dopo mi aveva dato il
colpo di
grazia, in grado di far vacillare la mia forza, -Quando Isabella Swan
sarà una
vampira, la aiuterò a capire cosa significhi nel nostro mondo essere
amati: lei
sarà la mia compagna e scoprirà assieme a me le gioie della sua nuova
natura;
le insegnerò a lasciarsi andare ai suoi istinti più ancestrali e sarò
per lei
quello che adesso sei tu, Cullen. Vuoi forse negare alla donna che dici
di
amare un’eternità da regina?-
Non avevo reagito alle sue
parole
spietate, perché scoprire quali erano le vere mire di quel disgraziato
mi aveva
pietrificato, impedendomi di rispondergli, se non con una violenza che
non mi
apparteneva e che non avrei usato. Non
ancora…
Era una cosa alla quale
non ero
preparato: Aro voleva Bella, così come l’aveva voluta Edward e la
volevo io.
In fondo,
chi non si innamorerebbe di lei? Aveva detto così, Bernard, no?
Nel passato avevo più
volte
contemplato l’ipotesi di donarle l’immortalità e rendere eterni i suoi
dolci
sorrisi, permettendole di recuperare il tempo perso nel dolore della
sua giovinezza
strappata. Più volte mi ero immaginato al suo fianco, in una casa
bianca e
tranquilla, a godere del nostro amore.
Ma adesso c’era qualcosa
di più in
gioco, qualcosa che non sarebbe stato possibile, se lei fosse stata
trasformata. Adesso Bella aveva il diritto di vivere la sua umanità e
il dovere
di lottare per essa, per la sua salute, per quella del suo bambino…
Del mio
bambino.
-Tutto ok, Carl?-, domandò
Bernard, aggrottando le sopracciglia. Lo guardai sconsolato,
riemergendo dal
torpore che i pensieri e le preoccupazioni stavano tessendo sulla mia
mente non
più lucida come in passato.
-No, non è affatto ok,
Grandier…
Non se Isabella è realmente a Volterra e Aro la vuole trasformare-, lo
vidi
rabbuiarsi per un attimo e un piccolo tarlo forò la mia mente.
-Tu non c’entri niente col
fatto
che Bella sia qui, non è vero?-, gli chiesi, soppesando le mie
possibili
reazioni alla domanda posta e mi accorsi che la carota nella sua mano
si spezzò
a causa della sua stretta. Bernard abbassò gli occhi e il suo cuore
iniziò a
battere forsennatamente.
-Bernard Grandier… che
cos’hai
combinato?-, in un istante fui su di lui e lo afferrai per il bavero
della sua
camicia , sollevandolo di peso dalla sedia dove sedeva. Gianna mi prese
alle
spalle, stringendo la mia gola con un braccio e sibilando al mio
orecchio
minacce di morte.
-Lascialo-, ordinò
tremante
l’umano alla sua vampira e lei, riluttante, mi lasciò. Ma io non mollai
Bernard
e ringhiai sul suo viso.
-Ho fatto in modo che
Bella
trovasse una mappa della zona con un cerchio attorno alla scritta
‘Volterra’.
Ho usato la tua stilografica…-, confessò, chiudendo gli occhi.
Non si aspettò che lo
lasciassi
andare, nessuno dei due si aspettò la mia reazione, quando iniziai a
ridere,
dapprima piano, poi scompostamente, battendo una mano sulla spalla di
Bernard.
-Mi hai fregato! Hai
fregato me e
anche Aro!-, ripetevo come impazzito, ripensando, senza un motivo, a
come Bella
era venuta a conoscenza della verità sulla mia famiglia, da parte di
Jacob
Black, più di un decennio prima. Giri di
parole per condurla inconsapevolmente sulla strada verso il pericolo.
Gianna provò a farmi
tornare in me,
senza successo, ma, quando la mano fragile dell’umano si schiantò sulla
mia
guancia, animata da un coraggio che non gli avrei mai attribuito e
subito si
ritirò, dolorante, smisi di ridere e guardai Bernard negli occhi.
-Quello che mi fa
incazzare, Maxwell è che la tua Bella ci è cascata subito. Mi aspettavo che cercasse
conferma, che si ponesse almeno qualche dubbio. Invece non l’ha fatto e
sai
perché? Perché lei era convinta già da prima che tu fossi qua, ci
sarebbe venuta
anche senza la mia piccola spinta. Io ho provato a fermarla, te lo
giuro e sai
che ha fatto, la tua geniale Bella? Mi ha drogato
col valium per scappare. Ha eluso la mia stretta sorveglianza, ha
convinto
Marie ed è partita, lasciandomi addormentato sul vostro
divano. Io ho commesso i miei errori per salvare Gianna e
sono pronto a pagarne le conseguenze, infatti sono qua perché ho
seguito la tua
donna, per aiutarla, anche se mi sono fatto catturare come un pollo in
una
gabbia… ma tu, tu, che le hai fatto
per renderla così sicura che ti fossi dato in pasto ad Aro?-, mi
chiese,
lasciandosi andare un attimo dopo ad una serie ininterrotta di
parolacce ed
improperi, per il dolore alla mano.
Gianna la strinse
delicatamente
tra le sue, per raffreddarlo.
-Lascia-, le dissi e
controllai
personalmente il danno che quel diavolo di un ex-vampiro si era
procurato: -Sei
stato più fortunato di Bella, sai? Non ti sei rotto nulla: una volta
lei prese
a pugni uno di noi che la stava
trasportando come un sacco di patate e si ruppe un metacarpo-, scossi
la testa,
ricordando il periodo felice in cui eravamo ancora una famiglia e
Bella… era come una figlia, per me.
-Bene, quando avrete
finito con
questo cameratismo, vi prego di ascoltare il mio piano. Vi ricordo che
Bella
serve anche a me: mi deve almeno qualche goccia del suo sangue, perché,
anche
se è decisamente fichissimo essere una vampira, non vedo l’ora di
tornare la
Gianna di sempre e di chiudere con queste storie dell’orrore!-, esclamò
la
donna, richiamandoci al lavoro, tenendo ancora la mano del suo amato
protetta
tra le sue fredde dita, poi si rivolse direttamente a me.
-Prima hai detto una cosa…
mentre
raccontavi di come sei giunto qua… I miei ricordi umani stanno via via
scomparendo, ma una cosa ancora la ricordo e forse potrà esserti utile:
negli
ultimi giorni ho sentito più volte Alice e Marcus confabulare circa un
letto,
delle poltrone, delle tende e dei
vestiti che dovevano essere nascosti in una delle celle del Palazzo.
Non so
perché, non so per chi, ma so che anche Heidi ha contribuito,
devolvendo i suoi
maglioni invernali alla causa. Credo che stiano nascondendo qualcuno…
potrebbe
essere Isabella, oppure la tua…-
-Esme-, conclusi al suo
posto,
mentre il tassello di ciò che Caius mi aveva detto circa il suo
incontro con
Marcus tornava al suo posto: era passato proprio da lì per raggiungere
Aro,
evidentemente c’era davvero qualcosa nelle vecchie segrete…
-Devo andare-, esplosi
schizzando
in piedi, spaventando Bernard e battendo le mani sul tavolo di legno
massello
della casetta di Gianna. Ci riunimmo per pochi attimi, giusto per
decidere la
strategia d’attacco che avremmo tenuto.
Decidemmo che la vampira
si
sarebbe riunita ai suoi compagni Rossi,
Bernard, un po’ troppo ‘morbido e appetitoso’ per partecipare
attivamente alla
battaglia, ci avrebbe fornito le vie di fuga. Occorse tutta la mia
persuasione
per convincerlo a separarsi da Gianna e correre verso un luogo sicuro,
in cui
avrebbe custodito auto o altri mezzi con cui, se fosse stato
necessario,
saremmo scappati.
-Quindi… ciao?-, chiese
l’umano,
guardando tutti e due perplesso e io annuii, stringendo la sua mano e
augurandogli buona fortuna.
Quando fu il mio turno si
salutare
Gianna, però, la strinsi a me in un abbraccio che fece storcere il naso
a
Bernard: -Promettimi una cosa-, le chiesi a bassa voce, perché sentisse
solo
lei, -Se io dovessi… morire… dai fuoco immediatamente al mio corpo, in
modo che
nessuno rubi il mio veleno: Aro non deve riuscire nel suo scopo…-, la
mora annuì
e, prima che si staccasse da me, le consegnai un messaggio: -Dì a
Edward che
gli voglio bene. Gli ho sempre voluto bene e tutto quello che è
successo con
Bella… non ha diminuito l’affetto che provo per lui, perché lui è e
resterà
sempre mio figlio. Nonostante tutto
sia destinato a cambiare…-
-Nevica…-, annunciò
Bernard,
infastidito dalla nostra breve intimità e anche noi ci volgemmo verso
la
finestra del salotto.
Quando le
maschere danzeranno nella neve…
-Andiamo, è l’ora-, li
esortai e
tutti e tre uscimmo nella notte gelida. Allontanandomi, scorsi Gianna e
Bernard
baciarsi e li invidiai.
A me non rimaneva che
andare a
recuperare la mia donna e metterla in salvo, a costo di dover ammazzare
con le
mie mani Aro, a costo di lasciarci la vita: se fosse occorso mi sarei
sacrificato senza pensarci.
Avrei continuato a vivere
dentro
di lei e negli occhi del bambino che sarebbe venuto al mondo.
Mio
figlio…
Animato da quei pensieri
corsi
rapido fino alle pendici della collina su cui stava arroccato il
Palazzo e
individuai lo stretto viottolo che si dipanava dalla stradina laterale,
infestato dalla macchia mediterranea. Sapevo che mi avrebbe condotto
alle celle
e affrettai il passo, per raggiungere chi era nascosto là dentro.
Trovai il portone aperto e
un
subdolo presentimento si insediò in me, mentre percorsi gli ultimi
metri di
corridoio: c’erano quattro porte in quelle segrete, di esse, solo una
era
aperta. Mentre l’ansia alimentava i miei timori, entrai nella cella e
immediatamente fui sopraffatto dai profumi che vi riconobbi.
Isabella era stata lì, a
lungo: la
mia Isabella era stata lì e adesso non c’era più.
Ma misto al suo profumo,
intimamente mischiato in un’alchimia capace di stordirmi, riconobbi
anche quello
di Esme e ne rimasi scioccato.
Isabella ed Esme, insieme,
chiuse
in una cella a Volterra.
La donna che amavo e
quella che
avevo lasciato andare via.
Perché non erano più lì?
Che
cos’era successo? Nella stanza aleggiavano ancora altri due profumi,
meno
intensi di quelli delle uniche due donne che mi avevano fatto battere
il cuore.
Uno dei due… mi ricordava qualcosa, qualcuno, ma non avrei saputo dire
con
esattezza a chi appartenesse… non a Caius o Aro, forse era di Marcus…
L’ultimo,
fresco come la menta mista alle foglie di citronella, non lo avevo mai
sentito:
pregai che chi aveva quell’odore non avesse fatto del male a Isabella
ed Esme,
perché se fosse stato torto loro anche solo un capello, io…
-Maledizione!-, tuonai
battendo i
pugni contro le pareti di pietra e mi lasciai travolgere dalla
disperazione,
voltandomi e scivolando con la schiena lungo il muro, finché non fui a
terra.
-Maledizione…-, sussurrai
ancora,
vinto dallo sconforto, incantato dal profumo nell’aria, chiudendo gli
occhi e
attendendo.
Non sapevo dove cercare
Bella, non
avevo idea di chi le avesse prese. Non sapevo come aiutarle e tutto ciò
era… semplicemente
un incubo che ghermisce quando sei a un passo dalla felicità.
Non so quanto rimasi
inerme nella
cella, se minuti, o forse ore. Fui risvegliato dallo stato catatonico
in cui
stavo sprofondando sempre più da una voce stridente e ostile. Alzai gli
occhi e
davanti a me vidi un ragazzo poco più giovane di Edward, con i capelli
biondi e
il ghigno perfido.
-Tu devi essere Cullen,
finalmente
ti ho trovato! Aro ti cerca: ha un paio
di sorprese per te e non vede l’ora che ti aggreghi alla festa che
sta
organizzando… Manchi solo tu…-
***
Disclaimer: i personaggi e gli argomenti trattati appartengono totalmente a S. Meyer. La storia è di mia fantasia e non intende paragonarsi a quella concepita e pubblicata da S. Meyer.
***
Twilight, New Moon, Bella Swan, i Cullen, i Volturi, Stefan e Vlad, il Clan di Denali, il Wolf Pack dei Quileute sono copyright di Stephenie Meyer. © Tutti i diritti riservati.
La
storia
narrata di 'Proibito', le circostanze e quanto non appartiene a
Stephenie Meyer è di invenzione dell'autrice della storia che è
consapevole e concorde a che la fanfic venga pubblicata su
questo sito. Prima di scaricare i files che la compongono, ricordate
che non è consentito
né il loro uso pubblico, né pubblicarli altrove, né la modifica
integrale o di parti di essi, specialmente senza
permesso! Ogni violazione sarà segnalata al sito che ospita il plagio e
verrà fatta rimuovere.
© 'Proibito' Tutti i diritti riservati.
non l'ho MAI pensato!!!
Avevo lasciato il capitolo aperto, pensando che sorgesse il dubbio!!!
Spero che la sorpresa vi sia piaciuta!
Baciii!!!
Tantissimi ringraziamenti a tutte coloro che hanno lasciato un commento allo scorso capitolo!
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