Della serie “A volte tornano”…
There Are Places…
Non so neanche come sono arrivato qui.
«Prendi un taxi e vai a farti un giro per la città, che io ho da sbrigare
alcuni compiti», mi ha detto Yoko appena arrivati a Londra ed ora io mi sento
un po’ solo.
Alla fine ho preso il treno e non il taxi come ha detto lei, perché non
può sempre pretendere di comandarmi a bacchetta!
Avrò o no il diritto di comportarmi come voglio?!
Comunque il treno che ho preso, neanche a farlo apposta, mi ha portato qui, a
Liverpool.
Non riesco davvero a credere di essere tornato e di
provare questo strano senso di nostalgia.
Questa è la mia culla ancestrale,
dopotutto e io la amerò per sempre.
Se penso, però, a quanto desideravo
andarmene di qui, appena una ventina di anni fa…!
A volte mi domando che cosa mi porti ad
essere così legato a questa città, sempre più triste e soffocante.
Vent’anni fa poteva essere definita come
uno squallido porto del sud britannico, ma ora?
Ora è la squallida capitale della musica
commerciale, una fiera del commercio inneggiante ai Beatles, pullulante di
gente che non mi ha mai visto, ma saprebbe dirmi quante volte sono andato al
cesso il 15 marzo del 1962………assurdo.
Ho la nausea dei Beatles!
Eppure li amo, come amo Liverpool
(le sensazioni che provo sanno essere
così complicate, a volte!)
Comunque per i Beatles non è mai stato
semplice
Voglio ancora bene a Ringo, George e….ma
sì, infondo ho sempre voluto bene anche a Sir principino-sul-pisello McCartney.
Voglio ancora bene ai miei vecchi amici,
li porterò sempre nel mio cuore eccetera eccetera, ma i “Beatles”…
I “Beatles” li odio.
Odio quello che i fottuti produttori,
l’economia del cazzo e il sistema in generale li hanno fatti diventare.
Non voglio rimanere legato per sempre a
un’immagine statica di me.
Non voglio ritrovarmi tra 30 anni a fare
il ragazzino su un palco solo perché la gente ha di me una certa idea.
E la cosa che mi fa più incazzare è che
tu, Paul, questo non riesci proprio a concepirlo,vero?
Non avrei voluto litigare con te, ma eri
così ostinato…lo sei sempre stato.
Mi chiedo chi me lo ha fatto fare di
tornare in questo posto così carico di dannatissimi ricordi.
Come al solito avrei dovuto ascoltare
Yoko e restarmene a Londra.
(anche Londra, comunque, non è
esattamente priva di ricordi)
Ma come minimo qui incontrerò anche
Mister Perfezione Paul, così carico di buoni sentimenti, case in campagna e
agnellini da coccolare…
Senza che me ne accorgessi, le mie gambe mi hanno portato al cimitero dov’è
sepolta mia madre.
Dovrei davvero andarla a trovare.
Sono proprio un figlio degenere,vero?
Che figlio è uno che va a far visita alla tomba della propria adorata madre una
volta ogni 10 anni?
E’ così lunga la strada per arrivare a
quella lapide, e i miei piedi si fanno così pesanti…
E’ in momenti come questo che sento
proprio il bisogno di una canna (in mancanza di altro di meglio…)
Dannata dogana americana!
Se non ci fosse stato il rischio di
essere estradati (e stavolta per davvero) adesso avrei le tasche piene di roba
buonissima…
Eccomi arrivato.
Avrei così tante cose da dirti, eppure non me ne
viene in mente nessuna, apparte la più scontata…
«Mi manchi, mamma.»
…
…
Ma un attimo!
Chi è l’uomo che se ne sta in piedi
davanti a una lapide laggiù in fondo?
In quel punto (più o meno) dovrebbe
esserci la tomba della madre di Paul, no?
Ti prego, Dio, anche se non credo molto
in te, ti prego, ti prego, se tieni alla mia salute mentale(o a quel che ne è
rimasto) fai che quello non sia Paul!
Ho un brutto presentimento…
Dovrei andarmene.
Sento proprio che dovrei andarmene.
Ma le mie gambe non vogliono muoversi e i miei occhi non smettono di guardare
in quella direzione!
Sono proprio ridicolo.
Dico tanto che non me ne importa niente
di lui e poi….
«John»
Questa è la sua voce.
Se anche prima mi fosse rimasto qualche dubbio, ora sarebbe dissipato.
Come devo rispondere?
Devo rispondere?
Lo guardo allibito mentre mi passa vicino, mi da una pacca sconsolata su una
spalla e fa per proseguire
Che significato ha questo gesto?
Significa forse che sei disposto a
perdonarmi, Paul?
Non so di chi sia la colpa di tutto
quello che è successo tra noi.
Non so se ci sia effettivamente una
colpa da attribuire.
So solo che io ho qualcosa da farmi
perdonare, nonostante quello che possa pensarne Yoko.
«Paul», lo richiamo quando ormai è a qualche passo da me
Lui si gira di nuovo a guardarmi.
«Ho voglia di una birra!», gli dico passandogli accanto e dandogli una pacca
sulla schiena, come a dirgli “vieni con me”
Con la coda dell’occhio lo vedo abbassare lo sguardo e sorridere.
“Lo so che ti ho ferito, Paul, mi dispiace
tantissimo.”
Oh accidenti! Perché è così fottutamente
difficile dirlo?!
Visto che tu sei il bellissimo, geniale
e perfetto Paul McCartney che sa fare tutto, potresti anche imparare a leggermi
nel pensiero, no???!!!
«Che hai da guardarmi così?», chiede Paul divertito e io discosto subito lo
sguardo.
«Niente.»
Entriamo nel primo bar “tranquillo” che troviamo e il proprietario dopo averci
chiesto l’autografo ci fa accomodare in una “stanza riservata”, come la chiama
lui.
Io dico che è più un ripostiglio in cui è stato piazzato un tavolo, ma ognuno
ha il diritto di chiamare le sue cose come vuole.
E almeno qui dentro nessuno ci disturberà, anche se fa un po’ caldo...
«Allora, Paul?», chiedo, dopo una lunga sorsata di birra, «che ci fai qui?»
Lui non risponde subito.
Sospira, agita il bicchiere della birra come a volerla mescolare, la beve,
poggia di nuovo il bicchiere sul tavolo, guarda il soffitto e….ancora
non risponde?!?
«Fai con calma, eh!», scherzo, «Io e Yoko siamo appena arrivati a Londra ed io
sono venuto per conto mio a fare un giro da queste parti…»
«In poche parole ti ha cacciato, eh?», borbotta Paul senza guardarmi negli
occhi.
Ho come l’impressione che non abbia potuto evitare
di dirlo, accidenti a lui!
«Non mi ha cacciato!», protesto, «Mi ha solo consigliato di andare a fare un
giro prima di cena…»
«Tu lo chiami consiglio, io lo chiamo ordine»…e,
come ho detto prima, ognuno ha il diritto di chiamare le SUE fottute cose come
più gli aggrada!
«Non avevo intenzione di litigare, ma se proprio ci tieni….», rispondo calmo,
mezzo sorridente.
«No, no, no, no, no, no…», inizia a dire Paul, alzando le mani in segno di
resa, « non ora che abbiamo da poco fatto pace!»
Abbiamo fatto pace?!
Io e Paul?
Quando?Come? Dove? Perchè?
ma soprattutto….COME?!?
Paul il Magnifico deve aver affinato le sue tecniche di lettura del pensiero
perché sembra proprio riuscire a capire cosa sto pensando, stavolta…
«Non dirmi che non te ne ricordi…» No.
Scuoto la testa.
«Beh eri completamente fatto…», spiega Paul.
Plausibile.
«E cosa ti ho detto?», chiedo, «Cosa ci siamo detti? Chi ha iniziato il
discorso?» chi per primo tra noi ha messo da parte
il proprio orgoglio per chiedere scusa?
«John, non è mica una gara a “chi parla per primo ha perso!”», dice, con un
sorrisetto, «ma se proprio vuoi saperlo, sei stato tu che mi hai detto “Valiant
Paul McCartney, presumo”»
«Giusto! E tu hai sbagliato a rispondere!», esclamo. Dai
recessi della mia mente malata mi pare di ricordare qualcuno che mi chiama “Sir
Jasper Lennon”, invece che “Sir Jasper John”…ma non pensavo che questo qualcuno
fosse il vero Paul!
Paul, sorpreso, inarca le sopracciglia come solo lui sa fare………e io scoppio a
ridere, ovviamente.
«Che c’è?», mi chiede
«Niente», rispondo, «E’ solo che mi ero dimenticato quanto in alto potessero
arrivare le tue sopracciglia quando le inarchi!»
Paul fa una faccia offesa e incrocia le braccia.Com'è
buffo!
Ormai le sue sopracciglia non sono più inarcate…peccato.
«Ma in senso buono, eh!»
Paul torna a guardare verso di me, sorride e inarca di nuovo le sopracciglia.
E’ inutile, è più forte di lui!
Ricomincio a ridere e stavolta lui mi imita, sereno.
«Per te è così importante che gli altri pensino bene di te, Paul?», chiedo,
dopo che mi è passata la ridarella.
«Beh, non è fondamentale», risponde lui, «Però che c’è di male nel voler
assecondare gli altri? »
«Ma se assecondi sempre gli altri cosa ne resta di te?chi sei tu, se tutto
quello che sei è ciò che gli altri vorrebbero che tu fossi?»
«Non posso fare felici gli altri, indipendentemente da quello che sono?»
«Cercare di fare felici gli altri è come illuderli inutilmente», rispondo
accalorandomi, «Come dargli uno zuccherino e tappargli nel frattempo gli occhi.
Bisogna che smettano di credere che tutto è perfetto, che la vita è
bellissima.Falli stare male, Paul!solo così capiranno qual è la realtà: la vita
reale non è bellissima, e tu lo sai…»
«Ma io non voglio farli stare male», risponde, «Per me c’è già abbastanza
dolore nel mondo e non vedo perché dovrei aggiungerne dell’altro. Io preferisco
che i miei fans siano felici, almeno nel momento in cui ascoltano le mie
canzoni»
«E credi così di riuscire a piacere a tutti?La verità è che ci sarà sempre
qualche stronzo a cui non piacerai, indipendentemente da quello che dici o fai,
quindi la cosa migliore è fregarsene e gridare quello che senti dentro
veramente.»
Paul non risponde, limitandosi a scuotere la testa.
«Allora?», gli chiedo, cambiando argomento, «Ancora non hai risposto: Che sei
venuto a fare qui?»
«Io, Linda abitiamo a Londra, ora e a me è venuta di prendermi qualche ora di
pausa per venire qui, far visita a mia madre, vedere la mia vecchia casa…»
«Ho sentito che il cavern è diventato un attrazione turistica…»
«Sì, più o meno!», risponde Paul ridendo, «infatti è nella lista dei luoghi da
evitare di giorno»
«Fiera del commercio, qui ci sono due beatles su un piatto d’argento, tutti per
te!»
«A proposito di Beatles», dice.
Ecco ci siamo mi stavo giusto per chiedere quanto ci
avrebbe messo prima di arrivare all’argomento “Beatles”.
«I giornalisti mi stanno assillando, chiedono quando torneremo a suonare
insieme…», butta lì, poi vedendo che ci metto un po’ per rispondere, borbotta
un «Assurdo, vero?»
Che tono malinconico hai, Paul…
Se fosse per suonare insieme come John
Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr senza legami stabili,
anche domani senza problemi, ma come gruppo, come Beatles…
«Rispondigli il 32 Ottembre nell’anno del Mai!»
Paul sorride e annuisce, ma abbassa gli occhi deluso. O meglio, rassegnato.
Mi dispiace (anche per questo), ma non voglio
etichette che mi identifichino, non voglio legami che mi strappino quelle ali
che Yoko mi ha donato.
Paul lancia un’occhiata al suo orologio e poi subito dopo a me.
«Mi dispiace, ma devo proprio andarmene», dice. Cos’è
questo strano senso di delusione che provo? «e poi è meglio che non ci
vedano insieme» Non posso dargli torto.
«Vieni a trovarmi,se passi da New York.», dico, «Ora abito là»
«Lo so», risponde lui sorridendo, sereno, «Ciao, John!»
Si alza, per andarsene dal bar e io non posso più aspettare.
Se non glielo dico ora quella questione mi
perseguiterà per sempre.
Devo chiedergli scusa.
Devo trovare il coraggio.
Un grande respiro e poi…
«Paul?», lo chiamo e lui si volta a guardarmi, «Mi dispiace per “How do you
sleep” e tutto il resto.»
Ho l’impressione che le lettere di ogni singola
parola si siano rincorse un po’ troppo rapidamente, ma Paul non è
tanto crudele da farmi ripetere
…Quella sua dannata (ma in alcuni casi adorabile)
mania di voler restare simpatico a tutti!
«Lo so», risponde di nuovo, sorridendomi
dolcemente.
Se ne va lasciandomi qui come uno stupido.
Se ne va lasciandomi con più sensi di
colpa di quanti non ne avessi prima.
Mi è bastato così poco per far pace con
lui?
È bastato chiamarlo con un vecchio
nomignolo mentre ero strafatto e poi invitarlo a prendere una birra?
Lui non ha mai voluto litigare con me ed
io…
Come ho potuto essere così idiota, io?
Come ho potuto rischiare di mandare al
diavolo il rapporto tra me e il mio migliore amico?
…il rapporto con la persona che, dopo
Yoko, mi capisce meglio di chiunque altro?
Come ho potuto essere così idiota?
Non so davvero come tu possa riuscire a
perdonarmi, Paul…
Though I know I'll
never lose affection
For people and things that went before
I know I'll often stop and think about them
In my life I love you more
In my life I love you more.
--------