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Autore: Rika88    08/03/2010    7 recensioni
Gennaio 1945: in una Germania devastata, Alphonse Elric, arruolato per una guerra ormai persa, lascia i figli a casa del fratello Edward. Tuttavia, come Thomas e Charlotte Elric scopriranno presto, i problemi non si limitano alla difficile convivenza tra due caratteri troppo simili, come quelli del bambino e di Ed: l'abitazione e la libreria sotto di essa sono il fulcro di un movimento incessante e, forse, anche pericoloso.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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            14. L’uomo nero

 

Quando suonò il cessato allarme, e finalmente uscimmo dall’enorme grotta, per la prima volta da quando mi trovavo in quel mondo chiamato Amestris mi sentii a casa. Non si trattava affatto di una bella sensazione: il senso di familiarità mi venne quando riconobbi tutti i segni della devastazione del bombardamento. Case crollate, persone che girovagavano con gli occhi fuori dalle orbite, come sonnambuli... E poi polvere, polvere dappertutto. Persino l’aria ne era impregnata, e rendeva difficile respirare. Tutto era immerso in una foschia bianca di particelle che fluttuavano pigramente, stentando a posarsi. La temperatura non si era alzata, e io avevo le dita irrigidite dal freddo, con le unghie bluastre.

La signora Winry, che ancora teneva Alex in braccio per non perderlo tra la folla, cercò di coprire gli occhi di Lotte, quando questa si voltò a guardare una scarpa che giaceva sul marciapiede, vicino ad un’abitazione crollata.

 - Non guardare, tesoro. - le disse con dolcezza, cercando di trascinarla via.

 - È solo una scarpa. - ribatté lei, sensatamente. - Non vuol dire che qualcuno sia morto. -

La risposta fredda sbalordì la madre di Alex, ma non me: a Monaco capitava spesso di trovare oggetti di vita quotidiana buttati in strada, dopo i bombardamenti e nei giorni successivi. Tutte le volte che ce ne trovavamo uno di fronte, nostro padre diceva, con forzato ottimismo, che non vuol dire che qualcuno sia morto. La casa è distrutta, vedi? Se i muri sono caduti in fuori, perché quel che era dentro avrebbe dovuto restare al suo posto?

 - Magari il padrone della scarpa era nella grotta. - proseguì mia sorella. - Magari ora tornerà e si arrabbierà, perché non solo non ha più una casa, ma gli è anche rimasta solo una scarpa! -

Il maggiore Armstrong, davanti a me, rabbrividì, e si abbassò verso Edward.

 - Mi fa paura. - sussurrò, ignaro che lo stavo ascoltando. - Non è normale che un bambino sia abituato a tanta devastazione. -

Mio zio sospirò pesantemente.

 - Nel mondo in cui sono nati Thomas e Charlotte, - gli spiegò, - c’è una guerra in corso da sei anni. Non credo che la bambina si ricordi com’era vivere in tempo di pace. - 

Il gigante ci lanciò uno sguardo fugace, così triste che mi fece compassione. Tutti quanti, lì, mi fecero compassione, nel loro non sapere cosa li attendesse: la signora Winry, Alex, il maggiore, le persone che incrociavamo... Per tutta la vita ero stato io quello guardato con pietà, per la mia infanzia trascorsa sotto le bombe, per gli stenti della vita di tutti i giorni, per la mia cecità di fronte a quello che stava accadendo nel mondo - nel mio mondo. Adesso, era come se mi trovassi in un punto rialzato, a guardare in basso uomini piccoli come formiche che vivevano gli stessi eventi in cui ero già passato. Adesso ero io quello consapevole, e loro gli ignari.

* * *

 

Il colon... generale Mustang fu di poche parole per tutto il viaggio: le strade erano ricoperte di buche e macerie, e doveva prestare la massima attenzione alla strada. Mi chiesi se la sua visione fosse ottimale, con un occhio solo, ma non glielo avrei mai domandato direttamente; mi limitai a restare in silenzio, guardando di fronte a me.

 - Non sembri stupito. - mi disse, ad un certo punto.

 - Lei lo è? - ribattei.

 - Avevo già visto città distrutte, naturalmente... anche Central City, come ricorderai, fu fatta a pezzi dagli uomini provenienti da quell’altro mondo. Ma un attacco dal cielo, su un obiettivo civile... no, mai visto nulla del genere. -

 - Vuole dirmi che Amestris non ha mai effettuato bombardamenti su città nemiche? - chiesi, con una punta di acidità che non riconoscevo in me. - Allora, cosa ve ne fate degli aeroplani... pardon, aeromobili? -

Lui si voltò brevemente verso di me, sul viso un misto di divertimento e sorpresa.

 - Ma come siamo diventati salaci. - scherzò. - Va bene: diciamo che sono io a non aver mai visto un bombardamento, visto che non sono in Aviazione. E non credevo che i nostri nemici fossero così progrediti da poterci già imitare. -

 - Il problema di usare nuove armi, è che prima o poi te le copiano. - ribattei.

 - Di nuovo quel tono! Stai diventando troppo simile a tuo fratello. Dov’è finito l’Alphonse Elric che conoscevo? -

Difficile dirlo, pensai, riconoscendo il viale che portava a casa di Winry solo grazie alle sei o sette piante ancora in piedi. Forse il vecchio Alphonse Elric è morto a Remagen, dove ha combattuto soltanto per salvare se stesso e i suoi compagni di sventura. Forse è stato sepolto insieme a sua moglie, mentre il suo corpo, ormai ridotto ad un guscio vuoto, continuava a vivere solo per i suoi bambini.

Non risposi alla domanda del generale, ma lui dovette leggere qualcosa sul mio viso. Dopo aver fermato l’auto in un punto più o meno sgombro dai detriti, rimase seduto al posto del guidatore, guardandomi.

 - Che ti è successo, Al? - mi chiese, alla fine. - Cosa ti ha cambiato fino a questo punto? -

 - La vita, generale. - replicai, aprendo la portiera. - Ci cambia tutti. E neppure Ed può proteggermi da lei, nonostante ci provi. -

Non ribatté, ma mi precedette verso la casa di Winry, ora visibile tra altre abitazioni risparmiate. Sembrava piuttosto sicuro, come se fosse stato lì varie volte.

 - E Acciaio? - mi domandò quando fummo davanti al giardinetto polveroso.

 - Il solito incosciente. - risposi.

La villetta sembrava aver retto bene: non vidi crepe, o altri segni di cedimento: solo in un punto, sotto il tetto, era caduto parte dell’intonaco, lasciando i mattoni in vista.

Fu Ed a venire ad aprirci. Mi squadrò da capo a piedi, angosciato.

 - State tutti bene? - domandai. - Non siete feriti? -

Per tutta risposta, da dietro di lui, sbucarono i miei figli, spettinati e con i vestiti stazzonati, ma incolumi: Thomas se ne rimase fermo, mentre Lotte pretese subito di essere presa in braccio, con un sorriso radioso.

 - Allora, scricciolo! - esclamai, baciandole la punta del naso. - Stamattina non hai ancora fatto colazione! -

 - La signora Winry stava preparando qualcosa. - disse Tom.

 - Qualcosa? - scherzai, ricordando la mangiata pantagruelica che avevo fatto quella mattina... erano passate solo poche ore? Sembravano anni. Eppure, l’ora di pranzo doveva essere già passata.

La cucina era per metà occupata dall’enorme stazza del maggiore Armstrong. Lo riconobbi subito, anche se con lui il tempo era stato meno clemente che con il generale: intorno agli occhi aveva un fitto reticolo di rughe, piccole ma ben visibili. Mi sembrò persino che si fosse abbassato un po’ di statura, ma forse era solo una mia impressione.

Gli sorrisi, e lui mi guardò con sorpresa.

 - Alphonse... - iniziò. Mi parve di leggere - nei suoi occhi, nell’espressione imbarazzata con cui si interruppe - la frase quanto sei cresciuto!, così comicamente inadatta. L’ultima volta che ci eravamo incontrati, a Reole, ero un tredicenne con i capelli lunghi, e non ricordavo più nulla di lui. Si dibatté nell’incertezza, chiedendosi se la memoria mi fosse tornata o meno. Lo avvertii come se potessi udire i suoi pensieri.

 - Grazie per aver badato a mio fratello. - risi, tendendogli la mano. - Lo sa com’è fatto: non posso lasciarlo cinque minuti da solo. -

Tom comparve al mio fianco, dicendo: - È stato il maggiore a trovarmi quando mi ero perso, nella grotta. -

 - L’ho incontrato per caso... - si schermì lui.

Per tutto quel tempo, Ed aveva squadrato con astio il generale Mustang; dovette fare uno sforzo sovrumano per non fare commenti mentre tornavamo in cucina, e stare zitto mentre Winry salutava l’ufficiale e mi abbracciava come se fossi un naufrago che ha appena toccato terra, rischiando di strozzarmi mentre minacciava di insegnare un po’ di buone maniere a mezzo Quartier Generale. Quando fummo tutti seduti, mio fratello riuscì addirittura a voltarsi verso il generale e a dire, quasi civilmente: - Grazie per aver aiutato Alphonse. -

Il viso dell’altro si illuminò di un sorrisetto sarcastico che, lo sapevo, era l’inizio di una tempesta.

 - Acciaio! - esclamò allegramente. - Porti malissimo i tuoi anni, sai? -

I bambini sgranarono gli occhi; alzarono persino la testa dal bicchiere di latte che stavano trangugiando. Alex mostrò moderato interesse, aggrottando le sopracciglia; si leccò i baffi bianchi sul labbro superiore.

 - Chiuda il becco, vecchio bastardo, e ci dica subito cosa vuole da noi! - ringhiò mio fratello.

Mi schiarii la gola.

 - Potremmo non insegnare parole nuove ai bambini? - chiesi. Poi, giusto per cambiare argomento, mi voltai verso Winry. - La casa è danneggiata? Non ho visto crepe o danni evidenti, ma... -

 - Tutto a posto. - mi rassicurò lei. Non aveva toccato cibo, e sembrava piuttosto pallida: se nel momento del pericolo aveva reagito piuttosto bene, ora si stava rendendo pienamente conto di quel che era successo. - Solo qualche soprammobile rotto, e un paio di piatti... -

Si alzò per prendere un sacchetto, e mi mostrò il contenuto: cocci bianchi, di ceramica smaltata per quel che ne capivo, che formavano un corpo femminile.

 - Ho buttato il resto, ma a questa ci ero affezionata. - ammise. - Mi serva da lezione: non lascerò più oggetti fragili in giro. -

Sembrava realmente affranta, e al contempo vergognosa di esserlo. Stavo per proporre di incollarla, quando mi ricordai che c’era un metodo molto più rapido e preciso, in quel... cioè, nel nostro mondo.

 - Ed, perché non ci pensi tu? - suggerii.

Anche lui non ci aveva pensato: ci mise alcuni secondi per capire a cosa mi riferissi, e subito dopo dovette darsi mentalmente dello stupido, come avevo fatto io.

 - Ma certo! - esclamò. - Winry? -

 - Oh, non ti preoccupare, per così poco... - si schermì lei.

 - Sei tu ad aver detto che non vedo l’ora di mettermi in mostra! - scherzò lui, alzandosi in piedi (e ignorando il generale, che sembrava seccato per l’interruzione). Rovesciò i piccoli pezzi bianchi e lucenti sul tavolo, col gesto consumato di un prestigiatore. Con l’aria seria e la fronte aggrottata, alzò lentamente le mani fino all’altezza delle spalle. Mio fratello ha sempre avuto un discreto senso del teatro, e in quel momento aveva calamitato l’attenzione anche di quelli che sapevano perfettamente cosa stava per fare.

Batté i palmi insieme, e subito si sprigionò la scintilla azzurra che ricordavo, crepitante come una scarica elettrica. Mi resi conto di essermi piegato in avanti, verso di lui, come i tre bambini. Ed allungò le braccia verso i cocci, in un unico movimento fluido, e la luce azzurra circondò il tavolo e ci abbagliò. Quando svanì, il mucchietto di cocci aveva assunto di nuovo la forma di una ballerina, lucida e candida.

Sorrisi.

 - Niente dettagli di cattivo gusto? Niente borchie? - gli chiesi.

Non mi degnò di una risposta, ma consegnò il soprammobile a Winry.

 - Se fossi in te, lo metterei in un posto sicuro. - disse, impacciato. - C’è qualcos’altro che possiamo ripararti? -

 - No, grazie. - tagliò corto lei, tenendo gli occhi fissi sulla porcellana per non incontrare lo sguardo di Edward.

Quindi, non era solo una mia impressione, pensai. Tra quei due c’era davvero qualcosa che non quadrava. Risaliva a sei anni prima? Ed non mi aveva parlato di litigi o discussioni, ma in effetti era stato straordinariamente sintetico. Probabilmente non avrebbe neppure accennato al fatto che era tornato Winry, se io non lo avessi intuito dal suo auto-mail nuovo, e anche in quel momento non si era sbottonato sulle due settimane passate a casa sua.

Ignari della tensione sotterranea che si era creata, i miei bambini si stavano ancora riprendendo dallo shock; il silenzio di Thomas si era protratto davvero a lungo, ora che ci pensavo.

 - Una magia! - gridò Charlotte, saltando in piedi.

 - La magia non esiste! - protestò Tom. Potevo immaginare quel che stava succedendo nella sua mente razionale: tutti i suoi punti fermi erano andati in pezzi, negli ultimi due giorni. Nonostante leggesse molto, era un ragazzino con i piedi fermamente per terra, e aveva alcune certezze: tra queste, quella che la magia e il paranormale non esistono. Un’idea a cui devo aver contribuito.

 - Era magia! - gli rispose la sorella, arrabbiata per la sua cecità. - Come fai a dire che non esiste? -

 - Puoi farlo di nuovo, signore? - si intromise Alex.

Era rimasto così silenzioso che ci eravamo quasi scordati della sua presenza. Il bambino aveva allungato una mano per tirare la manica di Ed e attirare la sua attenzione, e ora lo fissava con uno sguardo supplice così tenero che avrebbe commosso i sassi.

 - Non ora, Alex. - lo deluse Winry, carezzandogli la testa. - Ora il generale e il maggiore devono parlare con i nostri ospiti. Perché voi bambini non venite con me? Cerchiamo qualcosa con cui giocare. -

 - Era magia, vero papà? - tentò di nuovo Lotte, ben decisa a non farsi trascinare via senza aver prima ottenuto una risposta.

 - Non proprio, tesoro. - risposi, tentando di pensare a una spiegazione che lei potesse capire. - Era alchimia. Ricordi la storia dei due fratelli alchimisti che ti raccontavo la sera, quando eri più piccola? È una specie di magia, ma non è proprio magia. -

 - Hai raccontato la nostra storia ai ragazzi? - chiese Ed, sbalordito. - Non è una favola della buonanotte! -

 - Che c’è di male? - rimbeccò Winry. - L’ho fatto anche io! -

 - Avete... Oh, ci rinuncio! I genitori siete voi. -

Il generale piegò la testa e lo guardò di sottecchi. Decisi di non dargli la possibilità di punzecchiare ulteriormente Ed, o non avrei saputo come fermare la rissa.

 - Generale, qual è il prezzo della mia liberazione? - domandai, secco.

Tutta l’attenzione si catalizzò su di me. Sembrava che, improvvisamente, mi fossero spuntate due teste, da come mi guardavano.

* * *

 

Non ero ancora abituata a quegli scatti, da parte di Alphonse. Da bambino era incredibilmente paziente: prima rimuginava a lungo sui suoi pensieri, e noi quasi non ce ne accorgevamo. Quando esplodeva, però, era dirompente... mi ricordavo ancora perfettamente quel che era capitato la volta in cui ero andata a trovare Ed in ospedale, dopo la loro sortita in quel Laboratorio-Numero-Qualcosa, poco prima della morte del signor Hughes. E sicuramente se lo ricordava anche Edward.

 - Posso parlare, finalmente? Molto bene. - il generale incrociò le braccia al petto, l’occhio che passava dall’uno all’altro dei fratelli Elric più grandi. - Ho bisogno di qualcuno per un lavoretto che dovrebbe rimanere segreto. Si tratta di pubblica sicurezza: l’Esercito vuole evitare il panico in città. -

 - Aspettate, porto via i bambini! - mi intromisi. - Non voglio che abbiano nulla a che fare con i vostri traffici pericolosi... perché lo so che sarà qualcosa di pericoloso! -

 - I bambini non corrono rischi. Acciaio, quando siete tornati? -

 - Ieri pomeriggio, all’incirca a quest’ora. - gli rispose Ed.

 - Voi quattro? C’era qualcun altro con voi? -

 - C’era il colonnello Holze. - rispose Thomas, al posto dello zio. Come Lotte (e, mi spiace dirlo, Alex), non sembrava volersi perdere la discussione. Sperai che almeno i più piccoli non fossero in grado di capire quel che si sarebbe detto, soprattutto quando - già lo sapevo - si sarebbe tirata in ballo l’alchimia.

Il generale Mustang si rivolse al ragazzino come se fosse anche lui un adulto.

 - Quindi, c’era un quinto essere umano? Dov’è ora questo colonnello? -

 - Non lo sappiamo. - il ragazzino scosse le spalle. - Lui era agli ordini della donna che ha costretto Ed ad aprire il Portale, ed è entrato con noi dietro suo ordine: volevano sperimentare se le persone che vivono dall’altra parte possono attraversarlo incolumi. Però, quando io e mia sorella ci siamo ritrovati in questo mondo, lui era sparito. -

 - Non sappiamo dove sia. - continuò Al. - Però devo aggiungere che non lo abbiamo cercato. -

Mustang si portò una mano al mento, meditabondo.

 - Credete sia possibile che anche quest’uomo sia arrivato ad Amestris, ma sia... cambiato? -

 - Cosa intende per cambiato? - domandò Edward, preoccupato.

Sospirando, il generale accavallò le gambe. Centellinava le informazioni con attenzione, come se temesse di parlare troppo; pensai subito che lo facesse per esasperare Ed, ma poi dovetti ammettere che non sarebbe stato da lui scherzare su un argomento, potevo intuirlo, molto serio.

Possibile che stesse scegliendo le parole giuste, per proteggere i bambini? Roy Mustang?

Sì, mi dissi, era possibile. Forse lo stava facendo anche per me.

 - Ieri sera, e questa mattina, - si decise a rivelare - i militari che sorvegliano i sotterranei di Central City hanno segnalato qualcosa di anomalo che si aggirava per la grotta e alcune gallerie collegate. Inizialmente hanno pensato ad un intruso, ma i due uomini di pattuglia che se ne sono occupati sono... finiti all’ospedale militare. -

Il volto di Ed si fece di pietra. Io mi portai una mano al viso, spaventata.

 - Sono gravi? - chiese subito Al.

 - Non hanno neppure un graffio. - ci tranquillizzò il generale. - Erano sotto shock. Hanno dichiarato di aver visto un uomo completamente nero, come se fosse stato coperto di una qualche sostanza simile al petrolio, che invece di essere liquida lo copriva dalla testa ai piedi. Se ne stava appeso al soffitto di una galleria, e quando li ha visti è scappato. -

 - Com’era successo al Presidente della Società di Thule, nel ‘23. - disse Ed. Strinse le mani a pugno, così forte che le nocche divennero bianche. - Sì, potrebbe essere Holze. Maledizione, avremmo dovuto cercarlo ieri. -

 - Non potevamo. - gli ricordò Al, appoggiandogli una mano sulla spalla. - Stavamo cercando Tom e Lotte. Ignoravamo l’esistenza di un sistema di gallerie. E, in ogni caso, sarebbe già stato troppo tardi: dev’essere diventato così nel Portale. -

Edward annuì, afflitto. Poi tornò ad alzare lo sguardo su Mustang.

 - Se ho capito bene, generale, noi dovremmo aiutarla a cercarlo. - sentenziò, di nuovo pacato. - E poi, che gli succederà? -

 - Non ne ho idea. - ammise l’ufficiale. - Facendo il tragitto inverso, nel Portale, potrebbe tornare normale? -

 - No. - rispose Ed, senza esitazione. - L’altra volta non era successo. -

 - Povero Klaus... - mormorò Al.

Thomas sospirò. Fisicamente, somigliava molto di più a Ed che a suo padre: avevano persino alcune espressioni facciali simili.

 - Però, portandolo di nuovo nel nostro mondo, - rilevò, - potremmo mostrare alla signorina Steinglocke che il suo piano non può funzionare. Sarà l’unica cosa che le importa, visto che ha mandato il colonnello con noi solo per sapere cosa ci sarebbe successo. La Società di Thule non ha più nessun motivo per cercare un passaggio per questo mondo. -

 - Ed è meglio così. - sentenziò il maggiore Armstrong, guardando Thomas con nuovo rispetto.

 - C’è il pericolo che altre persone di quel mondo cerchino di venire qui? - chiese il generale, allarmato. - Esiste ancora l’organizzazione che aveva tentato di invaderci? -

 - Non è proprio un’organizzazione. - rispose il ragazzino, visto che il padre e lo zio esitavano a rispondere. - C’era giusto quest’uomo, e la donna da cui prendeva ordini: lei si fa chiamare “il Presidente”, ma il suo vero nome è Hedwig Steinglocke. Ha ingannato Ed, e poi... - si voltò verso di me - e poi era identica alla signora Winry. Proprio identica. -

 - Cosa? - trasecolai.

 - Non era identica. - puntualizzò Lotte. - Lei era cattiva e antipatica. -

 - Va bene, ma fisicamente erano praticamente identiche. -

 - Gabbato da una donna, Acciaio? - domandò Mustang, interessato.

 - Una mia sosia malvagia? - strillai, nello stesso istante.

Ed cominciava ad arrossire. Se per la rabbia o l’imbarazzo, era impossibile stabilirlo.

Thomas si sentì in dovere di difendere lo zio. Peggiorando la situazione.

 - Lui non sapeva che lei era cattiva. - protestò. - Erano fidanz... -

 - Ti sei spiegato! - lo interruppe Edward, frenetico.

Se Mustang stava per commentare, ebbe il buon gusto di non farlo. Al mi lanciò un’occhiata di sottecchi che mi infastidì: pensava di assistere ad una scenata isterica? Sono una persona molto razionale, io!

 - Torniamo all’argomento principale, per favore? - domandai. E visto che Ed stava per parlare, lo prevenni: - Puoi fare quel che vuoi, con chi vuoi. Non m’interessa quanto mi somigli. Quando inizierete a cercare quell’uomo? -

 - Meglio muoversi di notte, quando c’è meno gente in giro. - sentenziò Mustang. - Le gallerie sono illuminate, comunque. -

Che brutto ipocrita...

Non mi riferisco al generale, ovviamente.

Arriva qui, sparando parole smielate, e poi viene fuori che sarei solo un rimpiazzo della sua fidanzata malvagia! Decisi che ne avevo abbastanza, e uscii dalla stanza. Nel corridoio, sentii Ed brontolare: - Suppongo che cominceremo questa notte... Per me va bene. Al, immagino che non riuscirò a convincerti a restare qui al sicuro, vero? -

 - Immagini bene. -

 - Valeva la pena tentare. -

Seguirono alcuni secondi in cui l’unico rumore fu quello di una sedia che si spostava. Al disse qualcosa ai suoi figli, e sentii Alex dichiarare che avrebbe prestato volentieri i suoi giocattoli ai nostri ospiti. O a Lotte, più probabilmente.

 - Winry... non è come credi. -

Mi prese di sorpresa: non pensavo che mi avrebbe seguita davvero. Mi voltai verso Ed, ma mantenni l’aria sostenuta.

 - Non usare la classica frase del marito fedifrago, per favore. -

 - Non sono mai stato innamorato di Hedwig. L’ho pensato, per qualche tempo, ma non era così. - 

 - Cosa vuoi dire? O sei innamorato di una persona, o non lo sei. - ribattei.

 - Per te è davvero così facile capire la differenza? - mi chiese, mesto.

Non risposi, e non lo guardai. Il sole stava tramontando, e il corridoio era già in penombra, tanto che mi era difficile vedere bene Ed, che pure mi stava di fronte. Mi sembrava di essere tornata a sei anni prima, quando lui si era presentato sulla porta di casa mia, a Resembool.

Anche allora era il tramonto, e anche allora aveva l’aria mesta di chi non sa  cosa dire. Avevo avuto la tentazione di picchiarlo fino a fargli perdere i sensi, per fargli scontare tutti gli anni passati a chiedermi cosa facesse, come stesse, se lui e Al fossero felici... ma non l’avevo fatto. Lo avevo lasciato entrare, e mi ero chiusa la porta alle spalle, escludendo il resto del mondo dalla mia felicità. Finchè la porta rimaneva chiusa, lui era solo mio.

 - Non pensavo fossi diventato così filosofico. - dissi.

 - Winry... -

E poi sentii di nuovo quel rumore. La serratura della mia porta d’ingresso che scattava, aperta dall’esterno.

Ancora, e di nuovo, il mondo si intrometteva nella mia vita. Chiusi gli occhi, cercando di dominarmi per non urlare tutta la mia esasperazione.

 - Maledizione! - sibilai, invece, girandomi.

Inaspettatamente, Ed mi afferrò per un polso. Lo guardai da sopra la spalla.

 - Non ho amato Hedwig. Ho amato la donna che vedevo attraverso di lei, e per questo non mi sono accorto del pericolo. -

* * *

 

 - Sei qui! Per fortuna stai bene... - l’insopportabile Artie si interrupe non appena mi vide, e per fortuna avevo già lasciato andare il braccio di Winry (ora che ci pensavo... ma cosa mi era venuto in mente? Che sciocchezze avevo detto? Perché, quando mi venivano idee simili, non mi centrava un fulmine??). Gli sorrisi con innocenza, pregustando quel che stava per capitargli.

 - Artie, il fatto che mi hai pagato l’affitto non ti dà il diritto di piombarmi in casa senza preavviso! - protestò infatti Winry, mentre le guance le si arrossavano per la rabbia.

 - Però ho il diritto di controllare se tu e Alex state bene! - si difese lui, arretrando involontariamente di un passo.

Povero sprovveduto. Se sperava di vincere con le lusinghe, non aveva capito nulla. Tentò una ritirata nella prima stanza con la porta aperta... incidentalmente, la cucina: si trovò quindi di fronte a ben cinque estranei, oltre a suo figlio. Mi misi a distanza di sicurezza, tornando a sedermi vicino a mio fratello.

 - Allora suoni alla porta e aspetti che io ti apra, come fanno tutti! - gridò Winry, esasperata. - Dammi all’istante le chiavi: non voglio più vederti entrare in casa in questo modo. -

 - Aspetta un attimo! - si riprese lui, raddrizzando la schiena e sovrastando Winry con il suo corpaccione da bellimbusto. - Come hai detto, signora, sono io che ti ho pagato l’affitto! -

 - Certo, per obbligarmi a stare qui! -

Il maggiore Armstrong tossicchiò, sperando che i due si ricordassero di non essere soli. Al era arrossito per l’imbarazzo. Thomas spostò rumorosamente la sedia verso di me.

 - Quando siete nei paraggi, - commentò pacatamente Mustang, rivolgendosi ad Alphonse ma parlando con me, - non ci si annoia mai. -

Il prode Artie si prese un momento per osservare tutte le persone che affollavano la casa. Aggrottò le sopracciglia alla vista di una divisa dell’Esercito, e il suo cipiglio si incupì ulteriormente davanti all’uniforme carceraria di Al (che aveva fatto incupire anche me: maniche corte con quel clima? E la fasciatura? Per forza il mio fratellino aveva male al braccio, da quanto tempo non la cambiava?), malamente coperta da una giacca che Mustang doveva avergli prestato. Anche io, il maggiore e i bambini fummo inclusi nel suo sguardo fosco, e per un attimo mi chiesi perché Thomas rispose con un’occhiata così obliqua... più del solito, voglio dire. Credevo che la riservasse a me.

 - Giusto! Posso sapere, Winry, cosa ci fa un militare in casa mia, e perché uno dei tuoi misteriosi amici è vestito da carcerato? -

 - Non sarebbero affari tuoi, comunque il generale Mustang è un mio conoscente. E il signor Armstrong te lo ricorderai, spero! Mi è venuto a trovare a Resembool nel periodo in cui è nato Alex. Nostro figlio si chiama così in suo onore. - lo sguardo di Winry si addolcì per qualche istante, mentre si posava sulla testa dell’imperturbabile bambino.

 - Non divagare: non hai risposto alla seconda parte della mia domanda. - puntualizzò Arthur.

Lotte si aggrappò ai pantaloni di suo padre, con gli occhi colmi di lacrime. Alex se ne accorse.

 - Non ti preoccupare. - le disse, con la mortale serietà di un bambino di quattro anni. - Lo fanno sempre, ma poi smettono. -

Vidi mio fratello mordersi il labbro inferiore, e distogliere lo sguardo da Alex; capivo come si sentiva. Lui e Caroline si erano amati profondamente, e i loro figli erano cresciuti in un’atmosfera famigliare allegra, nonostante tutto quel che accadeva nel mondo esterno. Anche noi, che pure non avevamo quasi ricordi di Hohenheim, sapevamo comunque che lui e nostra madre erano vissuti insieme felicemente. L’idea che un bimbo così piccolo fosse abituato a urla, strepiti e recriminazioni, e lo accettasse con rassegnazione, era straziante sia per lui e per il suo istinto paterno, che per me. Sospirai.

Thomas, impermeabile alla tensione che si era creata, sembrava assorto. Quando si accorse che lo stavo guardando, controllò che nessuno lo notasse e si chinò verso di me.

 - Ed, posso chiederti una cosa? - e, senza aspettare che gli dessi il permesso: - Tu credi che qualcuno abbia detto ai militari dove trovare te e papà? -

 - Di che parli? - domandai, sospettoso.

 - Stamattina ho visto il signor Stonebridge parlare con un soldato, nella grotta. Credevo... credevo che chiedesse di me, li avvertisse che mi ero perso, ma ha indicato la direzione in cui si trovavano Lotte, papà e la signora Winry, e il soldato è andato da quella parte. -

Sentii un brivido lungo la schiena.

 - Non puoi esserne sicuro. - dichiarai, però, cercando di sembrare sicuro. - C’era tantissima gente, e il signor Stonebridge è un medico. È normale che abbia a che fare con chi sta coordinando la sicurezza. -

Mio nipote non si lasciò convincere. Non ne ero convinto neppure io. Magari Al e Winry avevano rivisto Arthur dopo che li avevo lasciati, ma è difficile pensare che un medico, in una calca simile, abbia il tempo di correre da un soldato per denunciare la scomparsa di un ragazzino.

Però non aveva senso: denunciandoci, avrebbe fatto finire nei guai anche Winry.

La discussione coniugale, intanto, era andata avanti, e ad un certo punto Stonebridge doveva essersi reso conto che l’ex moglie non gli avrebbe raccontato cosa stava succedendo. Per qualche motivo, diede a me la colpa di questo: me ne resi conto quando interruppe i mormorii di Thomas, mettendosi di fronte a me e dando una violenta manata sul tavolo.

 - C’entri tu, non è vero? - mi accusò. - In qualche modo, sei tu che porti le disgrazie qui dentro! -

Questa volta, Mustang non nascose il divertimento.

 - Beh, a quanto pare ti ha inquadrato subito. - disse, beffardo.

Ero indeciso su chi omaggiare per primo di un bel pugno sul muso.

 - Ti assicuro che non è colpa mia se l’esercito di Aerugo ha deciso di venire proprio oggi a bombardare Central City. - dissi alla fine ad Arthur. - E poi, come vedi, qui dentro nessuno si è fatto male: una fortuna incredibile, no? Lo saprai meglio di me, visto che sei un medico. Perciò, dove sono le disgrazie che avrei portato? -

L’uomo digrignò le labbra in una smorfia che imbruttiva la sua affascinante faccia da schiaffi, e cercò di pensare ad una replica sensata. Ripresi a sorridergli, giusto per infastidirlo.

 - Cosa avete a che fare tu e tuo fratello con l’Esercito? - mi chiese, alla fine.

Thomas fu sul punto di dire qualcosa... qualcosa di molto stupido, se lo conoscevo. Gli sferrai un calcio sotto il tavolo, senza distogliere lo sguardo da Stonebridge.

 - Come ha detto prima Winry, non sono affari tuoi. - sottolineai, serafico.

Mi piaceva vedere i suoi occhi riempirsi di una luce omicida. Se avesse saputo cosa avevo in mano io, contro di lui, ci avrebbe pensato due volte prima di accusarmi di alcunchè. Peccato non poter fare allusioni a quel che Thomas mi aveva raccontato... Oltre a non aver prove, mi sarei abbassato al suo livello: due galletti che lottano per la femmina. Winry ci avrebbe uccisi entrambi.

Ero certo che Stonebridge fosse il tipo che, invece di rischiare in prima persona, va a fare la spia: anche adesso, arruffava la penne ma non si decideva a fare la sua mossa. Forse aveva davvero intuito chi fossi - i miei auto-mail mi rendevano riconoscibile, anche se Arthur non poteva averli visti bene, ed era risaputo che l’Alchimista d’Acciaio girava sempre insieme a suo fratello -, o forse aveva solo tentato di sgombrare la casa di Winry dalla mia presenza. Più probabile la prima, visto che lei non era più affettuosa con me di quanto lo fosse con lui.

 - Ho il diritto di sapere se mia... la mia ex-moglie - si corresse subito - ha in casa delle persone poco raccomandabili. -

Finsi di essere colpito dalla sua arguzia: - Persone poco raccomandabili... che si portano dietro dei ragazzini! - esclamai, ispirato. - Assolutamente geniale! Però, detective, se posso darti la mia opinione... - mi sporsi verso di lui, come per rivelargli qualche importante segreto: - Non continuerei a fare arrabbiare la padrona di casa piombandole in casa all’improvviso e accusando i suoi ospiti. È molto suscettibile. -

Arrossì fino all’attaccatura dei capelli, ma di rabbia. Si raddrizzò e fece un rapido dietro-front, borbottando qualche parola di commiato ai presenti e baciando Alex sulla testa.

Non potei trattenermi: gli andai dietro, e riuscii ad afferrare la porta prima che la chiudesse. Lo sorpresi a tal punto che si scordò di arrabbiarsi, perciò potei uscire e accostare la porta alle mie spalle, per non che ci sentissero all’interno.

 - Se il tuo problema è la gelosia, - gli dissi chiaro e tondo - sappi che sei completamente fuori strada. -

Ci mise un po’ a registrare l’informazione... per la miseria, che uomo lento di comprendonio!... ma la notizia non sminuì la sua rabbia, che tornò ad apparire sul suo volto esattamente come qualche secondo prima.

 - Eri tu quello di sei anni fa? - mi domandò, brusco.

 - Sì, ma ora non c’è più nulla. Anzi, direi che mi odia. - non specificai chi, visto che non ce n’era bisogno.

 - Possibile. Quando l’ho incontrata per la prima volta, era a pezzi per colpa tua e del tuo abbandono. Eppure ti ha sempre difeso, dicendo che dovevi tornare da tuo fratello e scempiaggini simili... - storse le labbra in un ghigno sarcastico - Spero non ti dispiaccia se, quando mi hai lasciato campo libero, ho tentato di infilarmici. Converrai che, vista la donna, ne valeva la pena... l’ho conosciuta alla vostra festa della tosatura, la primavera dopo che te n’eri andato. -

Improvvisamente si fece pensoso, come se stesse rivedendo quel momento: - Era la più bella di tutte. - aggiunse. - Non sono più riuscito a staccarle gli occhi di dosso. -

Sorrisi. Aveva fatto tornare in mente anche a me un momento particolare, avvenuto sei anni prima. Dovevo essere tornato da cinque o sei giorni, perciò, se non sbaglio, era la seconda volta che facevamo l’amore. Quando mi ero svegliato, Winry era già scivolata fuori dal letto: in vestaglia, seduta di fronte allo specchio, stava cercando di domare i capelli; la massa ribelle si alzava in tutte le direzioni, e lei passava con pazienza la spazzola in ciascuna delle ciocche, aiutandosi a volte con le dita. Aveva gli occhi gonfi di sonno, e un paio di volte sbadigliò sonoramente, ma io non potei staccare gli occhi da quella lotta silenziosa, ammaliato. Era irresistibilmente buffa, e allo stesso tempo così bella da togliermi il fiato, con i capelli che catturavano la luce del sole nascente e formavano una specie di aureola intorno al suo capo.

 - A volte fa questo effetto. - mormorai.

 - Hai intenzione di riprovarci? - mi chiese Stonebridge, bruscamente.

 - Credo di non avere più possibilità, e forse è meglio così: presto dovremo tornare a casa, e io non posso portarla con me. Quindi, puoi smettere di essere geloso, perché non sono una minaccia di cui liberarsi spedendola in prigione con una soffiata ai militari. -

Accusò il colpo. Non era tanto diverso dai codardi che abitavano vicino alla libreria di Herr Meyer e di sua figlia Margarethe: la coda di paglia li rendeva aggressivi, ma non avevano l’astuzia per mentire, né la faccia tosta di replicare subito.

 - Non so di cosa parli. - sbottò infatti, distogliendo in fretta lo sguardo.

 - No, certo. Peccato che Thomas ti abbia visto. - aggiunsi, giusto per fargli credere che avevo in mano prove certe. - Voglio pensare che tu l’abbia fatto per il bene di Winry e Alex, quindi non dirò niente. Vedi, però, - mi avvicinai, con aria minacciosa, - di non mettere mai più mio fratello in una situazione di pericolo. Prenditela con l’Elric giusto. -

 

Pensierino della buonanotte: il mio ego mi impone di finire su questa frase. Prenditela con l’Elric giusto è una delle battute di cui sono più orgogliosa, a ragione o a torto potete deciderlo voi. E Winry dovrebbe solo ringraziare, visto che ha due uomini che stanno per sbranarsi per le sue grazie... subito prima di essere uccisi a colpi di chiave inglese da lei medesima, naturalmente.

Prima di rispondere alle recensioni (quante! Chebbello!! *.*), un ringraziamento speciale a Yolei87, che ha proposto la mia fanfiction per le Storie Scelte di EFP. Sappi che è qualcosa come un mese che giro bullandomi a destra e manca, ed è tutta colpa tua. Per dire, ti ho perdonato pure il fatto che, in tre mesi, non hai ancora letto il capitolo precedente... e, già che ci sono, vorrei farti gli auguri: buon Natale e felice 2011! XD

            bacinaru: Thomas altalena comportamenti da io-sono-grande-trattatemi-da-adulto a comportamenti infantili.. .tipo, zompettare addosso a Edward, nello scorso capitolo. In quel caso specifico, non ho difficoltà ad ammetterlo, ha risentito un po’ di una mia fobia, quella di perdersi in un luogo affollato: in una situazione simile, anche io salterei addosso alla persona che venisse a salvarmi... anche se non si tratta di Edward Elric, ecco U.U Giusto per farti un esempio, sono riuscita a perdermi in Piazza San Marco durante il Carnevale, grazie a delle mie (gentilissime) compagne di liceo che, nonostante avessero visto che stavo scattando una foto, hanno pensato bene di andarsene senza avvertirmi. Giuro, ero ben più vecchia di Thomas ma stavo per avere una crisi isterica!

E, sì, Mustang è Mustang. O lo si ama, o lo si odia. Io generalmente lo amo.

            Leuconoee: Sei perdonata per aver capito in ritardo chi ha fatto la soffiata, dato che anche i nostri personaggi non hanno modo di dimostrarlo... è più una questione di intuito. I militari di Amestris... poveretti, cerca di capirli: una vita sotto una dittatura, a eseguire passivamente degli ordini senza chiedersi se sono giusti o meno... è ovvio che ora sono un po’ ottusi. Non sono proprio abituati a costruire un ragionamento critico: se tu gli dici di cercare un sedicenne sparito ventidue anni prima, capaci che cercano proprio un sedicenne, invece di un quarantenne!

Winry è cambiata più che altro nel suo atteggiamento verso Ed, e per buoni motivi, aggiungerei: il suo carattere dovrebbe essere simile a quello dell’anime (se sono riuscita a renderlo come volevo), solo più disincantato. Poi, in fondo, resta una persona molto emotiva, protettiva verso le persone a cui vuole bene, ma consapevole del fatto che - di solito - non può proteggerle: c’è qualcosa più grande di lei, là fuori. Per questo il suo pensiero, per proteggere suo figlio, era fuggire in un altro Paese.

            Liris: Mustang si è reso utile. Solo che adesso chi lo ferma più?

            Siyah: Non ci sarà un flashback completo, ma alcuni episodi isolati, come in questo capitolo. Ora potete scatenare le vostre fantasie pruriginose, ma sappiate che non ho intenzione di alzare il rating!

La moglie del generale non apparirà, quindi potete immaginare che sia chi volete... io una candidata ce l’avrei, però.

            Fae (... o Talpy? Chi ha letto e recensito?): mamma mia, che onore! Sono finita persino su Criticoni, devo averla proprio fatta grossa: tutto ciò non fa bene alla mia umiltà...

            Obito Uchiha: già dal nick ti voglio bene, sappilo. È il mio secondo personaggio preferito, dopo l’inarrivabile Kakashi. Grazie per i complimenti, e, come avrai scoperto nel frattempo, io pubblico una volta al mese... ma solo ogni tre mesi. E questa volta sono pure in ritardo, grazie ad un periodo d’esami infernale, in cui sono arrivata ad avere tre prove in tre giorni consecutivi. Sono uno straccio.

   
 
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