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Autore: Abby_da_Edoras    10/03/2010    1 recensioni
Autrice: Lady Arien. Trama: la mia storia segue le vicende del film "King Arthur" di Antoine Fuqua, ma nella mia versione i cavalieri non muoiono nella missione contro i Sassoni e restano uniti a creare un nuovo Paese, la Britannia. Ho introdotto anche un amore omosessuale (senza scene hard) fra Tristano e Galahad, che sono i miei personaggi preferiti. Spero che la ff vi piaccia.
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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La situazione sembrava mettersi male per Artù ed i suoi compagni: la distesa ghiacciata stava lentamente cominciando a cedere sotto il peso dell’esercito sassone, ma le crepe si estendevano con troppa lentezza e in breve Cynric ed i suoi sarebbero stati

La situazione sembrava mettersi male per Artù e i suoi compagni: la distesa ghiacciata stava cominciando a cedere sotto il peso dell’esercito sassone, ma le crepe si estendevano con troppa lentezza e in breve Cynric e i suoi sarebbero stati addosso ai Sarmati.

“Serrate le file! Pronti al corpo a corpo!” ordinò il comandante, ma questa volta uno dei cavalieri non obbedì e si slanciò correndo verso il nemico: era Dagonet.

“Dagonet! Torna qui immediatamente!” lo richiamò Artù, ma l’uomo non lo ascoltò nemmeno. Giunto alla distanza desiderata brandì la sua poderosa mazza e l’abbatté sul ghiaccio con una forza mostruosa. Nuove crepe si aprirono immediatamente sotto il formidabile colpo e si propagarono veloci verso Cynric e il suo esercito. I Sassoni compresero l’intento del guerriero e impallidirono per il terrore.

“Presto, copritelo!” esclamò il comandante sarmata, rivolgendosi ai suoi cavalieri. Bors, Tristano, Galahad e Ginevra presero a lanciare frecce su frecce con incredibile precisione; l’esercito di Cynric veniva rapidamente decimato, mentre Dagonet continuava a sferrare colpi violenti sulla lastra di ghiaccio che cedeva sempre più.

Cynric, però, non rimase a guardare. Ordinò agli uomini superstiti di concentrare tutti i loro dardi sul cavaliere solitario in mezzo al lago e all’improvviso Dagonet fu raggiunto da due frecce, una alla gamba e una alla spalla. Questo, però, non servì a fermarlo, anzi parve infondergli nuova energia: vibrò un micidiale colpo sul ghiaccio e lo schianto fu ancor più terrificante degli altri.

“Uccidetelo, uccidetelo! Che aspettate, incapaci?” sbraitava il capo dei Sassoni ai suoi uomini.

Altre due frecce raggiunsero il corpo del cavaliere, che cadde in ginocchio. Con un ruggito di esultanza Cynric e ciò che restava dei suoi guerrieri si slanciarono in avanti per gettarsi addosso all’uomo e finirlo, ma proprio in quel momento la superficie gelata s’infranse sotto i loro piedi. Uno spaventoso crepaccio si aprì e i Sassoni, smarriti e terrorizzati, abbandonarono le armi e tentarono di tornare indietro, ma era troppo tardi: sotto il loro peso il lastrone di ghiaccio cedette completamente e la maggior parte dei guerrieri fu trascinata nelle acque nere, gelide e profonde. In preda al panico e fuori di sé per la frustrazione Cynric ordinò la ritirata, ma solo pochi guerrieri riuscirono a riguadagnare la riva insieme a lui.

Bors, allora, corse a precipizio verso l’amico ferito per portarlo via prima che il lago inghiottisse anche lui; Artù e Lancillotto lo seguirono e tutti insieme riuscirono a sollevare il guerriero, che si reggeva a malapena sulle gambe, per riportarlo al sicuro a riva. Jols e Ginevra allestirono per lui un giaciglio riparato, spalando via la neve da terra con gli scudi e sistemando delle coperte per tenerlo al caldo. Di fronte a questa scena Galahad era rimasto immobile, pallidissimo, con lo sguardo fisso sull’amico ferito e stringendo istintivamente un braccio di Tristano, quasi a volersi accertare che lui era lì accanto e che non gli era successo nulla di male. Non era difficile indovinare i suoi pensieri: nel corso degli anni molti dei loro compagni erano morti, ma ultimamente questo non si era più verificato; certo il giovane sapeva che le ferite e le morti in battaglia erano inevitabili, però cercava di non pensarci per non impazzire. Adesso, invece, Dagonet era stato colpito e ciò significava che lo stesso sarebbe potuto accadere anche a Tristano, magari durante una di quelle perlustrazioni così pericolose che Artù lo costringeva a fare.             

“Pensi che morirà?” mormorò Galahad al compagno con una voce che si udiva a malapena. Intanto Bors e gli altri avevano adagiato il valoroso cavaliere sul giaciglio e si organizzavano per medicare le sue ferite. Nessuna di esse era mortale, ma Dagonet aveva perso sangue e inoltre vi era il rischio di un’infezione. A questo punto intervenne con sicurezza Ginevra.

“Il vostro compagno non morirà, ma dobbiamo intervenire subito. Jols, per favore, accendi un fuoco e vai a prendere dell’acqua in un recipiente per farla bollire. Artù, sei in grado di estrarre le frecce dal corpo di Dagonet senza provocargli un’eccessiva perdita di sangue? Tu, Lancillotto, trova un pezzo di stoffa da lacerare per fare delle bende” disse.

Gli altri la guardarono stupiti per un attimo, poi seguirono le sue indicazioni, conquistati dalla fermezza e dalla tranquillità con la quale la ragazza aveva parlato. Solo Lancillotto esitò.

“Come puoi sapere cosa si deve fare in questi casi?” le domandò in tono scettico.

“Mio padre è Merlino, capo degli Woad e sacerdote supremo: da lui ho imparato l’arte di guarire con le erbe ed è ciò che ho intenzione di fare per salvare la vita al vostro amico” rispose. “Mentre voi preparate l’occorrente, io mi recherò nella foresta qui vicina per cercare i medicamenti adatti. Forse ci impiegherò un po’ di tempo per trovare le erbe adatte poiché dovrò frugare sotto la neve.

La giovane s’incamminò senza aggiungere altro e Lancillotto, dopo averla osservata allontanarsi con sguardo ammirato, si affrettò a eseguire i suoi ordini: trovata una camicia fra le cose che i cavalieri avevano portato con sé per la missione, la lacerò per farne delle bende. Nel frattempo Artù stava estraendo i dardi dal corpo di Dagonet il più delicatamente possibile, Jols aveva raccolto della legna e acceso il fuoco e Bors era andato ad attingere acqua. Quando Ginevra tornò con le erbe, era tutto pronto. La ragazza ne mise alcune a bollire nell’acqua per fare una pozione e usò le altre per medicare le ferite del guerriero; il sangue si arrestò e anche il dolore sembrò diminuire, ma Dagonet restava molto debole. Sarebbe stata la pozione a ridare all’uomo energia sufficiente almeno per riprendere il cammino verso la fortezza, oltre il Vallo di Adriano.

“Artù, non c’è pericolo che i Sassoni ci attacchino ora che siamo così indifesi?” chiese Gawain al suo comandante.

Il cavaliere si voltò verso la riva opposta del lago, dove Cynric stava gridando furiosamente contro i soldati sopravvissuti per l’umiliante sconfitta subita. La collera del guerriero era tale da spingerlo a malmenare e addirittura uccidere alcuni dei suoi uomini.

“No, sono troppo pochi e non possono più raggiungerci attraverso il lago” rispose, riportando lo sguardo su Ginevra che si stava occupando abilmente del ferito. “Potrebbero aggirarlo, ma per arrivare fino a noi dovrebbero attraversare tutti quegli altipiani e non credo che lo faranno. Penso piuttosto che si riuniranno all’esercito principale per attaccarci in un momento per loro più favorevole. Questo ci dà un certo margine di tempo per ritornare al Vallo in sicurezza.”

Artù sapeva che il ritorno sarebbe stato più lento dell’andata: Dagonet era ferito e debole e, anche se fosse riuscito a cavalcare, avrebbe avuto bisogno di riposare spesso. Non c’era comunque altra scelta.

 

Trascorsero circa due ore. La pozione e le erbe medicinali avevano fatto effetto e Dagonet si sentiva meglio: riusciva ad alzarsi in piedi e dichiarò risoluto che era pronto a montare il proprio cavallo.

“Se davvero ti senti sufficientemente in forze possiamo partire” acconsentì Artù, “ma ci muoveremo più lentamente e, non appena proverai dolore o debolezza, ci fermeremo e Ginevra ti curerà di nuovo. Lo so che così ci metteremo molto più tempo, ma non mi preoccupo di questo: i Sassoni dovranno affrontare una pista in mezzo alle montagne innevate e impiegheranno comunque più giorni per raggiungere il Vallo. Arriveremo prima di loro in ogni caso.”

Detto questo, il comandante dei Sarmati diede l’ordine ed il gruppo si mise in viaggio per tornare alla fortezza dove li attendeva la meritatissima ricompensa: le carte di affrancamento promesse da Germanus.

Mentre cavalcava in testa alla compagnia, Artù fu affiancato da Lancillotto. Il volto del cavaliere sembrava rasserenato e tranquillo e non aveva più l’espressione torva dei giorni precedenti.

“So di essermi comportato in modo molto ostile durante tutta questa missione” iniziò a dire il guerriero, “ma tu sapevi fin dal principio che io non l’approvavo. Ho avuto per lungo tempo la sgradevole sensazione che tu preferissi la famiglia romana e la loro gente ai tuoi stessi uomini e questo mi faceva ribollire di rabbia. Oggi, però, ho capito che mi sbagliavo: non solo ti sei slanciato per salvare Dagonet nonostante il pericolo causato dal ghiaccio e dalle frecce nemiche, ma hai anche accettato di rallentare il passo per non sfinirlo e consentirgli di tornare sano e salvo. Ti chiedo perdono per aver dubitato di te, Artù.”

“Non devi scusarti di nulla, è già tutto dimenticato” replicò il comandante con un sorriso. I due amici si strinsero la mano con calore e Artù sentì che un grosso peso gli scivolava via dal cuore: aveva sofferto molto per la manifesta disapprovazione del suo compagno più caro ed era felice che alla fine tutto fosse stato chiarito.

 

Ci vollero tre giorni di viaggio prima di raggiungere la collina che dominava il Vallo di Adriano, ma nel frattempo i cavalieri si erano riuniti alla carovana dei civili e Dagonet aveva potuto proseguire nel carro coperto, assistito da Ginevra e da Fulcinia, recuperando le forze ogni giorno di più. Le sentinelle al Vallo videro Artù e gli altri e si accinsero alla laboriosa operazione di apertura delle porte; i carri si snodarono giù per il declivio e i cavalieri Sarmati li seguirono felici. La loro ultima missione era terminata, Dagonet si era ripreso e adesso Germanus avrebbe dovuto consegnare le carte che li avrebbero resi uomini liberi. Sembrava impossibile essere giunti finalmente a quel momento così a lungo atteso. Attraversarono il villaggio ed entrarono nella fortezza, dove il vescovo li attendeva con un sorriso ipocrita sulle labbra.

“Sia lodato Iddio!” esclamò Germanus. “Avete portato a termine trionfalmente la vostra spedizione e Alessio potrà ritornare a Roma sano e salvo!”

Si fece incontro a Fulcinia e al ragazzo, ma nessuno dei due parve felice di vederlo, anzi si strinsero l’un l’altra, allontanandosi da lui.

“Dov’è il vostro caro sposo, Fulcinia?”

“Marius Honorius è morto durante la fuga, ma Alessio è sopravvissuto” rispose impassibile la donna. Il vescovo non parve particolarmente addolorato per la morte dell’uomo: in fondo ciò che davvero contava era la vita di Alessio, il nipote e pupillo del Santo Padre che era destinato a divenire un personaggio importante nella Chiesa romana e, chissà, forse un giorno addirittura Papa. Notando l’evidente ostilità di Fulcinia e del giovane, Germanus si rivolse ad Artù e ai suoi cavalieri.

“Nobili cavalieri” disse cerimoniosamente, porgendo al comandante un fascio di rotoli che una guardia romana gli aveva appena consegnato, “ecco i vostri salvacondotti: ora siete uomini liberi!”

Artù passò i rotoli a Lancillotto che li distribuì ai compagni; nessuno dei cavalieri disse una parola e, una volta ricevuta la propria carta di affrancamento, ognuno si allontanò senza ringraziare o salutare il vescovo, che li fulminò con lo sguardo, indignato da tanta insubordinazione. Ma che altro poteva fare? I cavalieri avevano obbedito agli ordini di Roma e portato in salvo il prezioso giovane, lui non aveva più nessuna scusa per tormentarli ancora, nonostante li disprezzasse profondamente.

        

   
 
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