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Autore: CowgirlSara    28/07/2005    4 recensioni
PICCOLO RITOCCO. È tempo di tornare per un Cavaliere d’Oro. Dopo cinque anni passati a far finta di dimenticare, è ora di scoprire cosa è veramente cambiato e cosa è rimasto dolorosamente uguale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Rising - Back to the Sanctuary' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Siccome un solo capitolo non è sufficiente a giudicare, vi posto subito il secondo; fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie a blustar e Swan per le recensioni. A presto! Un bacione.

Sara

~ 2 ~

 

La sagoma svettante dell’Ottava Casa dello Zodiaco torreggiava di fronte a loro, con la sagoma dello Scorpione posta a minaccioso saluto; dall’interno buio e cupo proveniva soltanto aria fredda e un vago odore di muffa.

“Com’è dentro?” Domandò preoccupato Milo, fissando il buco d’ombra che sarebbe stata l’entrata.

“Polveroso, immagino.” Rispose laconico Camus.

“Errr…” Si lamentò l’altro.

“Senti, poche storie bello!” Esclamò Acquarius, spingendolo oltre la soglia. “Devi lavarti, puzzi come se avessi passato gli ultimi cinque anni nel magazzino di una pescheria!”

“Vivevo vicino al porto.” Si giustificò lui.

“Secondo me, vivevi proprio a mollo nello scalo pescherecci, e poi cos’è…” Lo annusò. “Questo è fumo di sigarette…”

“Hm… ho appena smesso di fumare.” Spiegò Scorpio.

“Da quanto?” Chiese perplesso l’amico.

“Ho gettato l’ultima sigaretta ai piedi del Santuario, circa un’ora fa…” Rispose Milo, massaggiandosi la nuca.

“Non voglio sentire più niente.” Affermò perentorio Camus, continuando a spingerlo. “Ma lavati anche i denti.”

Un’ora dopo, più o meno, Acquarius era seduto al tavolo del piccolo soggiorno al piano superiore dell’ottava casa. Tutte le case dello Zodiaco avevano quelle che erano chiamate “le stanze segrete”, situate di solito nel sottotetto, oppure nei sotterranei; queste stanze erano usate come vera e propria abitazione dai cavalieri che non si stabilivano altrove, oppure come biblioteche, magazzini, o per l’uso più conveniente al loro custode.

Camus si grattò un orecchio, infastidito dall’odore di chiuso della stanza, che non veniva per niente alleviato dalla piccola finestra; il cavaliere incrociò le braccia e cominciò a dondolarsi con la sedia.

“Hey, ci vogliamo sbrigare?” Vociò all’amico, che stava ancora in bagno. “Non ho mica tutta la giornata, io!”

“E dammi pace!” Protestò Milo. “Non si vede una beneamata sega qui, vuoi che mi tagli il naso?!” l’unica risposta fu una risatina poco divertita.

Scorpio si guardò nello specchio, dopo aver tolto l’ultima striscia di schiuma da barba; era strano essere di nuovo lì, la successione degli eventi non gli aveva dato tempo di pensarci.

Il luogo in cui era cresciuto… bambino tra altri bambini, adulti che da lui volevano solo impegno e devozione, che l’infarcivano di retorica ed epica, che lo sfiancavano in addestramenti cui nessun bambino dovrebbe essere sottoposto… e poi, un adolescente ribelle, insofferente a quegli stessi adulti che fino al giorno prima chiamava maestri, salvato dall’autodistruzione dalla mano che gli aveva porto un libro… un’armatura d’oro… un ragazzo innamorato… una felicità ed un dolore che nulla avrebbe potuto eguagliare… un dolore…

Un familiare magone gli si formò alla bocca dello stomaco ed un nodo soffocante gli attanagliò la gola; abbassò il viso nel lavandino, lavandoselo con l’acqua fredda, prima che gli occhi gli si riempissero di lacrime.

Quando tornò in soggiorno, con addosso soltanto le mutande, trovò Acquarius seduto sullo scrigno della sua armatura; sorrise beffardo, mentre l’altro si alzava.

“Cominciavo a darti per disperso.” Esordì l’amico, corrispondendo al sorriso.

Camus indossava, sopra ai jeans scoloriti, una larga e finissima camicia di lino bianco, con lo scollo all’indiana ricamato d’oro; una roba che, su chiunque altro, sarebbe sembrata eccessiva. Su di lui no; la portava con una nonchalance che avrebbe fatto l’invidia di un indossatore professionista, e se lo poteva permettere. Forse per quello, Milo la notava solo ora.

Camus di Acquarius. Slanciato, elegante e gelido come la lama di una di quelle spade giapponesi, e forse per questo altrettanto letale in battaglia; tutto ciò lo aveva reso, negl’anni, un modello da imitare per Scorpio, cavaliere più giovane ed irruento. Si sorrisero di nuovo.

“Vuoi una birra?” Chiese il cavaliere dell’undicesima casa, porgendogli una bottiglia scura.

“Sì, grazie!” Accettò volentieri Milo, prendendola, ma poi la guardò perplesso. “Ma è calda!” Si lamentò quindi.

“Scusa, non c’è corrente elettrica, come caspita pensi che possa aver acceso il frigorifero?!” Replicò Camus indispettito, ma sarebbe stato difficile dire se faceva sul serio.

“Ma come…” Riprese l’altro. “…non mi dirai che il grande Camus di Acquarius, signore e padrone delle energie fredde, adesso ha bisogno di un frigorifero…” Gli disse con uno sguardo provocatorio.

“Mi stai provocando?” Chiese, infatti, lui con un’occhiata obliqua. “No, dico, mi stai provocando?” Insisté, strappandogli di mano la bottiglia; Scorpio gongolava.

L’amico si avvicinò, quindi, al tavolo e stappò la bottiglia contro il bordo con un rapido gesto, senza togliere gli occhi da quelli dell’amico, poi l’avvicinò alle labbra e ci soffiò dentro; in un istante la birra si raffreddò, formando anche un lieve strato di brina sul vetro.

“Adesso è perfetta.” Proclamò restituendogliela.

“Eheh, sapevo che l’avresti fatto!” Commentò Milo ridendo. “Spero per te che non usi questa tecnica anche con le donne, altrimenti scordati di essere baciato ancora!” Aggiunse, per tutta risposta ottenne uno scappellotto sulla nuca.

Pochi minuti dopo erano seduti sulle scale che portavano al piano inferiore; lì si respirava meglio, anche se era piuttosto buio. Entrambi i cavalieri fissavano il vuoto, sorseggiando le loro birre, ora belle fresche.

“A proposito.” Fece ad un certo punto Scorpio. “Ti vedi ancora con Vulva di Pietra?” Domandò all’amico.

Acquarius si girò verso di lui sorpreso; prima lo guardò male, ma poi ridacchiò, abbassando il capo. “Sì…” Rispose infine. “Ma perché la chiami così?”

“Bah, non lo so, mi ha sempre dato quell’impressione…” Spiegò Milo.

“Non hai idea di quanto ti sbagli.” Commentò Camus, alzando gli occhi blu nel buio. “Ma comunque sì, stiamo ancora insieme… per quanto sembri strano.”

“E cosa dicono qui, del fatto che frequenti una rinnegata?” Chiese l’altro, abbassando inspiegabilmente la voce.

Lui tornò a guardarlo, gli occhi cupi. “Non sono affari loro, la mia vita privata è solo mia… e, ad ogni modo, siamo tutti sotto controllo, di questi tempi.”

“Che cosa vuoi…” Ma Camus mise fine alla discussione alzandosi.

“Preparati ora, non possiamo far aspettare troppo il Grande Cazzone Supremo.” Affermò stiracchiandosi; Scorpio capì che il discorso era chiuso.

 

Camus era seduto sull’ampio corrimano di marmo delle scale che conducevano al Tempio, l’edificio principale del Santuario di Atena, in attesa del suo amico che era ora all’interno; guardando il sole infuocarsi nel tramonto, il cavaliere pensava che, in fondo, non gl’importava poi molto di quello che stava succedendo lì, il suo primo pensiero era sempre lei, da anni.

Elettra di Zeus, Gran Sacerdotessa del Padre Celeste, figlia del Cielo e della Folgore, questo era lei, certo, occhi azzurri come il cielo e capelli d’oro come il fulmine del grande padre, carattere di ferro come i martelli che lo forgiarono, ma era anche molto di più. Era qualcosa di diverso; soprattutto lì, tra le mura sacre ad Atena, era la Traditrice. Era stata l’amante dell’uomo che aveva osato violare col sangue l’altare della Dea, macchiare di vilipendio la notte a Lei sacra, ed ora accoglieva traditori e reietti, oppositori, si diceva avesse favorito la fuga di Ariete, che cospirasse contro il Grande Sacerdote Arles, che mirasse al suo trono, che appoggiasse apertamente questi millantati Cavalieri di Bronzo venuti da oriente…

Poco gl’interessava, alla fine, di tutto questo, conosceva Elettra da una vita intera e sapeva che non era capace di azioni maligne, era una persona sincera e umile, soprattutto umile, e le sue ambizioni erano abbastanza soddisfatte così, aveva comunque un potere immenso. E poi l’amava. L’amava così tanto che, a volte, riusciva ad odiarla per questo, perché lui, nel suo smisurato orgoglio, non sopportava la necessità che aveva di lei. E non sopportava di venire secondo… terzo, forse addirittura terzo! nel suo cuore.

Beh, il primo non poteva sperare di contrastarlo, e nemmeno voleva; era Alexandros, il figlio di Elettra, il Bambino d’Oro, come usava chiamarlo lui, che sembrava vivere costantemente circondato da un’aura dorata, come se la mano amorevole di una divinità fosse sempre posata sul suo capo. Quello che gli dava fastidio era confrontarsi con il Fantasma.

Scomparso da tredici anni, accusato di tradimento, morto da fuggiasco, sepolto chissà dove, che aveva trascinato con se nell’oblio la Sacra Armatura di Sagitter, la più cara alla Dea; eppure, nonostante tutto, il suo ricordo sovrastava ogni cosa, splendente immagine di un amore più forte del destino. Lo aveva odiato, Aioros, da vivo, e lo odiava ancora di più ora che era morto, perché lasciando il mondo dei vivi era diventato qualcosa di più di uomo.

Gelò il piccolo sasso che aveva tra le dita fino a polverizzarlo; nessuno doveva sospettare questi suoi sentimenti, le passioni che agitavano il suo cuore, per tutti lui, Camus di Acquarius, doveva restare il gelido guerriero di sempre, non lo avrebbero colto in fallo.

“Hey.” Lo richiamò una voce; voltandosi si trovò davanti Milo, bardato nella sua splendente armatura dello Scorpione.

“Hai fatto presto.” Commentò Camus, alzandosi.

“Hm…” Fece Scorpio, stringendosi nelle spalle, mentre lo precedeva sulle scale. “Un tizio rinsecchito e ampolloso mi annunciato che il Gran Sacerdote mi riceverà domani a mezzogiorno.”

“Umpf… il primo ministro…” Scimmiottò Acquarius, con tono disgustato.

“Che fine ha fatto quello basso e grasso? Il tipo che c’era prima?” Domandò incuriosito il più giovane; Camus gli rivolse un sorriso furbo.

“Un giorno, dopo l’ennesimo fallimento dei suoi sicari, si è offerto volontario per affrontare il nemico…” Era strana la scelta delle parole che sottolineava. “…e non è più tornato.”

“Ehehehehe!” Rise Milo.

“Se il codardo non è morto, e mi auguro di sì, a quest’ora sarà rintanato in qualche buca adatta ai conigli come lui, timoroso anche solo di mettere fuori il naso, per paura della longa manus del nostro Cazzone Supremo.” Affermò con rabbia.

“Non si può dire che fosse tra i tuoi preferiti…” Commentò ironico Milo, scendendo le scale.

“No, non hai capito.” Lo bloccò l’altro, strattonandolo per un braccio, affinché lo guardasse negl’occhi. “Quello che mi da fastidio è il fatto che noi ci dobbiamo inchinare davanti a certa gente, che ha fatto carriera solo perché è brava a baciare le pile di quelli come Arles, e valgono meno della suola delle nostre scarpe. Noi, che dovremmo piegarci solo davanti al Grande Sacerdote, o ad Atena in persona, siamo invece costretti a farlo davanti a comuni, infimi, mortali, che non hanno nemmeno idea del potere che hanno davanti.” Fremevano gli occhi di Acquarius, come fiamme. “Non sanno che potremmo spazzare via tutta la loro schiera di insulsi burocrati con un solo gesto, dovrebbero temerci, invece ci disprezzano.”

Milo si sottrasse alla sua presa, intimorito. “Ma che cosa sta succedendo qui?” Domandò allarmato.

“Guarda con i tuoi occhi.” Gli rispose Camus, indicando un punto oltre le rocce che coprivano i lati della scala.

Un gruppo di soldati trasportava i cadaveri di due giovani su una sola barella, i loro corpi sembravano martoriati, coperti di ecchimosi e ferite sanguinose; Scorpio spalancò gli occhi.

“Traditori?” Domandò poi con un filo di voce.

“Sì.” Annuì l’amico. “Ma colpevoli solo di aver diffuso idee contrarie alla dottrina di Arles.” Spiegò poi, mentre le azzurre iridi di Milo stentavano a staccarsi dalle figure che si allontanavano. “E questa dovrebbe essere la sede suprema della giustizia? C’è qualcosa che non va.” Dichiarò ancora Camus.

“Ma non possiamo intervenire?” Fece l’altro, voltandosi verso di lui. “Noi siamo la schiera eletta dei guerrieri di Atena, dovremmo essere noi ad amministrare la legge, e…”

“La schiera eletta, oh, sì!” Sbottò Acquarius, dandogli le spalle. “Non tutti si pongono domande come facciamo noi, Milo.” Continuò poi, tornando a guardarlo. “Finché ci saranno persone come Death Mask, Aphrodite, Aldebaran o Shura, le cose non cambieranno, loro sono convinti di essere dalla parte giusta e non si fanno impietosire da un morto in più o in meno. Sono fedeli ad Arles, vuoi metterti contro di loro?”

“No! Non è questo!” Replicò l’altro stringendo i pugni. “Ma siamo tutti cavalieri d’oro, dovremmo collaborare per…”

“Non siamo niente, ma non capisci!” L’interruppe Camus. “Non c’è più nessuno che ci tenga uniti, non c’è Libra, non c’è Sagittarius, siamo soli, ognuno gioca per se al Grande Tempio, ora.” Affermò poi, prendendolo per le spalle. “È meglio che impari quanto prima a farlo anche tu, non dovrebbe riuscirti difficile.”

Scorpio non lo guardava, i suoi occhi erano rivolti in basso, sull’acquamarina che adornava la cintura dell’armatura di Acquarius; quando rialzò il capo trovò l’amico che lo fissava.

“Hai mai pensato, anche solo per un attimo, che quelle voci possano essere vere?” Gli chiese, aggrottando serio la fronte. “Se quella fanciulla fosse davvero chi dice di essere…”

“Taci!” Gl’intimò perentorio l’altro, pur a bassa voce. “Adesso parli come un traditore.”

“Tu li frequenti, i traditori.” Ribatté Milo; Camus sgranò gli occhi, si scostò di un passo e lo colpì con un violento manrovescio che gli fece cadere l’elmo e scendere un rivolo di sangue dalle labbra.

“Che questa conversazione rimanga tra noi, mangiati la lingua, va bene?” Gli consigliò poi, glaciale. “Adesso andiamo a toglierci questa ferraglia, t’invito a cena.” Aggiunse, con aria indifferente, e s’incamminò giù per le scale.

 

CONTINUA

 

NOTE:

-          A quanto pare si comincia a capire che i nostri due begli omini hanno una gran confusione nelle loro ipertricotiche testoline, e non è ancora niente.

-          Elettra. Temo che dovrete sopportarla, è un personaggio ricorrente nelle mie ff, e chi ha letto “Nuova vita al Grande Tempio” lo sa; qui però sarà solo citata, almeno credo…

-          Ah, spero che l’epiteto Grande Cazzone Supremo, rivolto ad Arles/Saga, non offenda nessuno; mi sembrava adatto da parte di Camus, e cmq a me il personaggio è sempre stato simpatico.

 

SFOGO MALUPINO:

1 – Milo in cucina in mutande… No, dai, Sara, resistiiii… la pelle abbronzata, i muscoli, i boxer aderenti… sbav! sbav! No, non ci devo pensare! Non ci devo pensare! Arfffff….

2 – Ok, il primo piano sulla camicia di Camus me lo potevo risparmiare, ma ce lo vedevo troppo vestito così! Mi sembra di vedere la stoffa leggera trasparire appena, s’intravede la pelle, e…

3 – Sì, lo ammetto, ho fatto pensieri cattivi anche immaginando le labbra di Camus soffiare nella bottiglia, confesso!

A volte mi chiedo se sono normale… Mia mamma dice: “Ahi, che passione, averlo di ciccia e baciarlo di cartone!”, ma siccome io non ho, in carne ed ossa, un uomo (e soprattutto uno così) al momento, mi accontento di sognare. Anche alla mia età gli sfoghi ci vogliono! Alla prossima!

CrazyCow

 

   
 
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