Era notte, pioveva. Una figura solitaria avanzava
lentamente, bagnata dall'acqua che cadeva incessantemente, procedendo tra le
strade quasi deserte di una città che Alice non riconobbe. La persona che Alice
vedeva aveva qualcosa di familiare, ma non riusciva a scorgerne il volto. Era
poco più che una macchia confusa, che di tanto in tanto incontrava qualcuno e
allora lo fermava, sembrava domandare qualcosa e poi ripartiva, apparentemente
delusa. Solo quando il viaggiatore si fermò sotto alla luce pallida di un
lampione Alice lo riconobbe e, per qualche istante, le mancò il fiato.
Quello
che vedeva, completamente fradicio per la pioggia, con i capelli biondi
scompigliati, attaccati al volto per via dell'acqua, era Carlisle. Era lui,
senza dubbio, eppure aveva qualcosa di strano. Sembrava incredibilmente stanco,
sconfitto, e il suo volto appariva più vecchio che mai.
Alice si riscosse
dalla propria visione con un fremito.
Il passeggero accomodato accanto a
lei, sull'aereo, le lanciò una breve occhiata interrogativa, ma lei lo ignorò.
Si sentiva male. Per quale motivo Carlisle si sarebbe trovato a correre da solo,
nella notte, sotto alla pioggia? A cosa era dovuto quello sguardo? Una parte di
lei sperava che la stesse cercando. Se fosse stato così, se Carlisle fosse
riuscito a trovarla, forse avrebbe avuto qualche possibilità di salvarsi. Ma se
invece il motivo della disperazione – perché Carlisle, nella visione che aveva
avuto, era senza dubbio disperato – fosse stato un altro? Forse i Volturi erano
intervenuti, a dispetto delle sue previsioni, forse avevano attaccato i Cullen e
Carlisle era l'unico sopravvissuto... O magari Jasper aveva fatto qualche
sciocchezza e lui stava solo cercando un modo per arginare il danno; forse era
successo qualcosa a Esme, qualcosa che lui non era riuscito a impedire...
Avrebbe voluto urlare. Saltare giù da quell'aereo, che già volava sopra alla
Francia e sarebbe atterrato in Italia nel giro di poche ore, e correre a cercare
suo padre. Chiedergli che cosa lo turbasse, abbracciarlo, farsi abbracciare da
lui, tornare a casa insieme. Inspirò a fondo, tentando di calmarsi.
«Paura
dell'aereo?» domandò gentilmente il passeggero accanto a lei. Il suo inglese
aveva un forte accento italiano e lui appariva sciatto e trascurato.
«Sì.»
mormorò debolmente Alice, annuendo appena. Non riusciva a cacciare dalla mente
le immagini che aveva appena visto e sperava che una breve conversazione potesse
aiutarla a distrarsi un po'. Ma, con suo grande rammarico, sapeva benissimo che
la sua speranza era vana. Non avrebbe potuto ignorare il volto di Carlisle, la
sua espressione, in nessun modo. Era consapevole, in qualche modo, di essere
stata lei a causare quella sofferenza. E non poteva perdonarselo.
«Anch'io,
la prima volta, ero spaventato.» commentò allora l'uomo con voce rassicurante.
«Basta pensare a qualcos'altro. Qualcosa di bello.» Le sorrise.
In qualche
modo, Alice riuscì a sorridere di rimando. Quel gesto le sembrò incredibilmente
complesso, in un momento come quello, mentre sapeva che i Volturi, se non
l'avessero uccisa, l'avrebbero comunque costretta a rimanere in Italia con loro;
che Carlisle era da qualche parte, lontano, e soffriva; e che, in tutto quello,
non aveva idea di cosa stesse accadendo alla sua famiglia. Dov'erano Esme,
Emmett, Jasper e Rosalie? Edward era tornato dalla Florida? Avevano capito cosa
era stata costretta a fare, erano stati vicini a Jasper? Esme aveva parlato,
alla fine?
«Come mai vai in Italia?» le domandò ancora il suo vicino,
proteso verso di lei.
«Vado a trovare degli amici.» Quella frase la fece
sorridere. Definire amici i Volturi era come minimo azzardato, eppure
non avrebbe saputo trovare un altro termine per spiegare a quel curioso italiano
cosa stesse andando a fare nel suo Paese. Provò a immaginare che cosa sarebbe
successo se gli avesse raccontato, in un momento di follia, la verità. Che
faccia avrebbe fatto, quel signore così gentile, a sentire che la ragazza
accanto a lui era in realtà un vampiro che, seguendo le tracce di cadaveri in
decomposizione, era partita da Forks per arrivare in Italia, dove altri vampiri
avrebbero probabilmente messo fine alla sua vita?
«Un bel motivo per
viaggiare.» commentò l'altro. «Pensa, signorina, che io invece viaggio solo per
lavoro. Una bella noia.»
Alice annuì. Non aveva voglia di parlare.
Improvvisamente, non aveva nemmeno voglia di ascoltare. Sapeva che di lì a poco
sarebbe arrivata un'altra visione, lo sentiva e non poteva fermarla. Forse
avrebbe potuto vedere quello che sarebbe accaduto a Forks, chissà quando, o
magari le avrebbe dato altri indizi su quel maledetto vampiro che la stava
inseguendo.
«Preferirei cercare di dormire un po'.» comunicò all'italiano,
che immediatamente annuì.
«E' una magnifica idea. Così ti passa la
paura.»
Con un debole cenno di assenso Alice chiuse gli occhi e inspirò
profondamente. Doveva solo aspettare. Sarebbero bastati pochi istanti...
Vide
Edward e Bella. Erano nella stanza di lei, seduti sul letto, vicini. Lei
sembrava preoccupata, si stringeva a lui e teneva lo sguardo fisso davanti a
sé.
«Credi che tornerà?» domandò a Edward.
Alice corrugò la fronte.
Qualcosa, nella sua mente, le diceva che non stavano parlando di lei. E quindi,
non era l'unica a essere sparita. Quindi, la visione che aveva avuto poco prima
assumeva un nuovo significato... Voleva forse dire che Carlisle aveva
abbandonato la famiglia? Anche lui, come lei?
«Non se n'è mai andato prima
d'ora.» rispose Edward e le sue parole fecero capire a Alice d'aver colto nel
segno. «Non lo so. Forse... forse è andato a cercare aiuto.»
«Ma che senso
aveva non dirvelo? Perché avrebbe dovuto partire di nascosto?» La voce di Bella
era implorante e lo sguardo di Edward addolorato.
In quel momento confuso,
in cui non riusciva a pensare lucidamente, Alice si trovò a porsi la stessa
domanda. Perché mai avrebbe dovuto andarsene senza dire niente? Era impazzito,
forse? A che cosa pensava? Voleva per caso uccidere Esme, costringendola a un
dolore insopportabile?
«Non so.» ripeté Edward. «Ne abbiamo parlato... Emmett
crede che sia stata solo una cosa improvvisa, che non abbia avuto il tempo di
dirci nulla.»
«E gli altri?» insistette Bella. «Che cosa pensano gli
altri?»
«E' difficile da dire.» sospirò Edward. «Esme... non dice nulla. Si è
chiusa nella sua stanza e vuole essere lasciata in pace. Rosalie è furiosa, non
si esprime.»
«E Jazz? Come sta?»
Lui scosse la testa e il suo gesto fece
aumentare lo sconforto di Alice.
«E' come l'ultima volta che l'hai visto.
Non sappiamo più cosa fare.»
Alice avrebbe voluto saperne di più, capire che
cosa intendesse dire Edward, sentirlo ancora parlare di Jasper, ma la sua voce
sfumò prima ancora che riuscisse a terminare la frase e le immagini sparirono
pochi istanti dopo. Non ebbe il coraggio di riaprire gli occhi. Si morse il
labbro inferiore, ferita, disperata. Quello che aveva fatto a Jasper, quello che
gli stava facendo... Come poteva pretendere di giustificare quel suo
comportamento? Con che coraggio avrebbe potuto continuare a pensare di stare
facendo la cosa giusta? Sapeva benissimo che quello era l'unico modo per
salvarlo, ma qual era il prezzo? Se, per salvarlo, gli imponeva una tortura, non
era altrettanto crudele di quelli che l'avevano costretta a una tale
scelta?
Si pentì. Si pentì d'essere partita, d'aver tenute nascoste le
proprie intenzioni, d'aver coinvolto Esme. E subito dopo capì quello che avrebbe
dovuto fare, quello che non aveva avuto il coraggio di fare... Avrebbe dovuto
costringerli a odiarla, a non desiderare il suo ritorno. Per salvare Jasper, per
essere certa che non soffrisse, avrebbe dovuto uccidere Esme quando ne aveva
avuto l'occasione. Lei non si sarebbe difesa, l'avrebbe lasciata fare e una
volta scoperto ciò che aveva fatto nessuno, in quella famiglia, l'avrebbe più
voluta. Anzi, probabilmente, avrebbero cercato di ucciderla. Chi sarebbe
riuscito a fermare Carlisle, se lei avesse davvero commesso una simile atrocità?
Persino Jasper sarebbe riuscito a tramutare il suo amore per lei in odio,
persino lui l'avrebbe disprezzata! E allora avrebbe potuto partire tranquilla,
certa della propria sorte. Perché Carlisle l'avrebbe trovata e non sarebbe stato
in grado di risparmiarla. Non dopo che lei aveva ucciso Esme. La sua compassione
non sarebbe giunta fino a quel punto. E allora, una volta che lui avesse ucciso
Alice, forse Jasper avrebbe reagito. Forse sarebbero nate una serie di vendette
che avrebbero portato alla totale eliminazione dei Cullen e a quel punto nessuno
sarebbe stato più in pericolo.
Si vergognò di se stessa. Come poteva anche
solo pensare a una cosa simile? Con quale coraggio si pentiva d'aver risparmiato
la vita alla propria madre? Come poteva sperare di fare di Carlisle un
assassino, lui, che concedeva a tutti una seconda possibilità?
Chinò la
testa, sconfitta. Se era alla follia che i Volturi volevano condurla, ci stavano
riuscendo benissimo. Non avrebbe nemmeno fatto in tempo ad arrivare a Volterra,
perché avrebbe perso la ragione molto prima. Se non riusciva a trovare un modo
per bloccare quelle visioni, per smettere di pensare, allora non aveva speranze
di mantenere se stessa fino alla fine. Sarebbe arrivata a un punto in cui non
avrebbe più risposto alla ragione. Sarebbe stata dominata esclusivamente
dall'istinto, si sarebbe fatta bestia e a quel punto nessuno avrebbe più potuto
salvarla.
Ebbene, dopo undici mesi e mezzo, sono tornata ad aggiornare questa fiction. Con un capitolo breve, non speciale, ma nuovo. Direi che come ripresa è stata piuttosto lenta e molto difficile, ma ce l'ho fatta. Nonostante questo, non garantisco sulla continuità degli aggiornamenti.
Detto questo, vorrei ringraziare tantissimo tutte le persone che hanno letto o commentato lo scorso capitolo, anche se si parla di quasi un anno fa, e tutte le persone che non hanno perso la speranza di vedere la fiction aggiornata... Grazie di cuore, davvero.
Baci,
rolly too