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Autore: _Bec_    21/03/2010    25 recensioni
Milano, Italia. Alice, diciassettenne come tante altre, in cerca del principe azzurro e di ricostruirsi una vita nella sua nuova scuola. Lorenzo, suo vicino e ora anche suo compagno di classe; incomprensibilmente odioso, estremamente attraente. Le loro vite avrebbero potuto scorrere parallele, non fosse stato per l'attrazione innegabile tra di loro, per un patto scellerato.
(Introduzione by Bea (Panna_))
Dal prologo: "Ti odio. Sì, proprio così, ti odio. Il mio cuore potrà pensarla diversamente, ma il mio cervello riesce ancora a ragionare in maniera lucida…più o meno.
Non sto capendo un cavolo della lezione -sulla mia materia preferita tra l’altro- per colpa tua.
Ti sto fissando da mezz’ora, forse anche di più, eppure tu sembri immerso in un mondo completamente tuo e non te ne accorgi…o meglio, fingi di non accorgertene.
Mentre ti passi una mano fra i capelli per spettinarli, mi viene spontanea una domanda; chi ti credi di essere? Chi sei tu per farmi stare così male?"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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<center>Capitolo 1: La nuova scuola</center>

        

Capitolo 1: La nuova scuola

 

 

Quello era il mio primo giorno in una nuova scuola. Ero abbastanza nervosa e mia madre mi aveva preparato una bella camomilla come ogni inizio anno scolastico per tranquillizzarmi.

Avevo deciso di cambiare scuola per un motivo molto semplice; alla Manzoni i professori erano sì impeccabili e professionali, ma decisamente troppo severi.

Anche con le mie compagne di classe mi ero trovata molto male; invidiose com’erano del fatto che stessi simpatica ai due ragazzi della classe e dei miei bei voti, sparlavano in continuazione alle spalle. Così avevo convinto mia madre che non riuscivo a concentrarmi nello studio in una classe del genere e con dei professori troppo pretenziosi.

Quest'ultima si avvicinò e mi baciò affettuosa sulla fronte.

-Mamma!- Sbottai tesa, allontanandola. Se c’era una cosa che non sopportavo, era che qualcuno cercasse di tranquillizzarmi quando ero agitata, mi metteva ancora più ansia.
Mi sistemai stizzita i capelli che quella rompiscatole aveva leggermente spettinato e le lanciai un’occhiataccia.

-Scusa tesoro.- Fece un mezzo sorriso dispiaciuta, sapendo benissimo che le coccole quando ero nervosa mi infastidivano.

Mi alzai, sciacquai di corsa la tazza e presi in mano la borsa con i libri per uscire.

-Io vado!- Gridai all'ingresso, richiudendomi veloce la porta alle spalle per evitare di ricevere altri baci.

Fortunatamente lei non mi seguì fuori sulle scale, aveva capito che un altro saluto caloroso mi avrebbe fatto sclerare definitivamente. Ero decisamente nevrotica a volte…ma solo a volte…

Pessima mossa comunque la mia. Mi ritrovai davanti al mio simpaticissimo vicino di casa che si degnava di salutarmi solo quando andava a lui.

Di solito, quando non ero in ritardo, guardavo sempre dal buco della serratura se ci fosse qualcuno sul pianerottolo, odiavo andare in ascensore con qualcuno e chissà come mai la sfiga voleva che ci andassi quasi sempre con lui.

Restava sempre in silenzio oltretutto, cosa alquanto inquietante…

-Ciao.- Abbozzai, piuttosto seccata, un sorriso falso quanto una moneta da tre euro, facendo poi un piccolo cenno di sufficienza con la testa. Per educazione, ero abituata sempre e comunque a salutare, ma evidentemente la cosa non era stata insegnata anche a lui dai suoi genitori, visto che, se non lo salutavo io, lui faceva finta di non vedermi.

-Ciao.- Rispose con la sua innaturale simpatia, senza nemmeno guardarmi e continuando a messaggiare al cellulare. Chissà che aveva poi di così importante da scrivere!
Scese per le scale prima dell'arrivo dell'ascensore, cosa di cui gli fui segretamente grata.

Ed ecco comunque un’altra dimostrazione del fatto che mi odiasse. Anzi, non che mi odiasse, ma che mi ignorasse.
Lui non sembrava mai accorgersi della mia presenza…e quello in fondo mi irritava parecchio. Non ero abituata ad essere ignorata da un ragazzo, mi ritenevo abbastanza carina da poter essere notata e da potermi permettere di fare la cretina con i miei coetanei maschi.

Mah, come se me ne fosse importato qualcosa in fondo di quello. Era mia madre che mi diceva di fare amicizia con lui dato che avevamo la stessa età. Diceva addirittura di parlarci e di fare la strada insieme la mattina per andare a scuola. Già, certo, così poi ci saremmo potuti sedere a bere un tè al bar da bravi amichetti. Ma per favore! Non sapevo nemmeno che scuola frequentasse, né avevo intenzione di chiederglielo.

Aprii la porta dell’ascensore, controllando un’ultima volta allo specchio di esso la situazione dei capelli e del trucco; tutto in ordine per fortuna. Il mio eye-liner non era sbavato per niente e contornava ancora perfettamente i miei meravigliosi occhi verdi, la situazione “occhiaie mattutine” era tenuta d’occhio dal correttore e i miei liscissimi capelli biondo miele erano ancora…lisci. Perfetto quindi. Sorrisi soddisfatta alla mia immagine riflessa, prima di voltarle le spalle per uscire da quell’irritante scatola meccanica una volta arrivata al pian terreno.

Percorsi la strada del cortile interno del palazzo ed uscii dal cancelletto secondario.

Mi misi istintivamente il golfino prima di attraversare, non perché facesse freddo –a Milano a settembre capitavano ancora giornate con quasi 40°-, più che altro per coprire la scollatura della mia canotta: la mattina in quella zona passavano parecchie macchine e più volte mi era capitato di essere infastidita da dei passanti. Se c’era una cosa che proprio non sopportavo, era ricevere avance da uomini adulti, mi nauseavano.

Sbuffai di nuovo e alzai gli occhi al cielo: purtroppo il mio vicino di casa era una persecuzione perché me lo ritrovavo anche alla fermata dell’autobus che collegava la nostra zona alla metropolitana.

Non mi sprecai in altri saluti e lo sorpassai, mettendomi poi ad aspettare l’autobus a qualche metro di distanza.

Frugai nella borsa per tirar fuori il solo e unico tranquillante che riusciva ad anestetizzare la mia isteria la mattina, l’I-pod. La musica aveva un potere benefico su di me. Senz’altro più della voce squillante di mia madre.

Feci subito partire Wonderwall degli Oasis, una delle mie canzoni preferite, mentre con la coda dell’occhio lo guardavo studiandolo.

Peccato. E dire che non era affatto un brutto ragazzo, anzi…era un gran bel pezzo di figo.

Capelli neri perennemente spettinati che lo rendevano davvero sexy e occhi verdi da far perdere la testa. Anche il suo modo di vestirsi mi piaceva parecchio; jeans a vita bassa di marca e camicia all’infuori con maniche arrotolate sui gomiti.

Arricciai il naso. Peccato davvero, non fosse stato così antipatico non sarebbe stato male.

Il rumore dell’autobus mi distrasse: vi salii e presi posto dietro al conducente.

Avevo deciso di frequentare l’istituto tecnico Molinari che si trovava precisamente a Cimiano, il capolinea dell’autobus che prendevo tutte le mattine l’anno precedente per arrivare alla metropolitana.

La cosa che mi rendeva abbastanza nervosa era che il Molinari era un istituto prevalentemente maschile: solo 1 decimo della scuola probabilmente era femminile, o addirittura meno. Questo significava che, se mi andava bene ed ero fortunata, potevo avere una compagna di classe femmina su 24. Era già qualcosa, no?

Avevo scelto quell’istituto proprio per quel motivo però: di classi piene di ragazze ne avevo fin sopra i capelli, le femmine erano più stronze e false, si poteva star certi che in una classe solo femminile prima o poi ci si sarebbe scannate.

Per questo speravo che in una classe maschile ci fossero meno voci alle mie spalle. O meglio, speravo che di voci ce ne fossero, ma che fossero complimenti. Anche perché i maschi non avevano motivo di sparlare invidiosi per i miei buoni voti come facevano le mie vecchie compagne.

La mia scelta di iscrivermi a quell’istituto tecnico, ovviamente, aveva lasciato molto perplessa mia madre che avrebbe preferito sopra ogni altra cosa che la sua adorata e studiosa “bambina” si diplomasse in una scuola prestigiosa come la Manzoni.

Alla fine, con molta fatica, aveva accettato e compreso la mia decisione.

L’avviso dell’autobus –Prossima fermata: capolinea, Cimiano M2.- mi distrasse dai miei pensieri e mi fece alzare dal sedile per prepararmi a scendere.

Con non poco fastidio, notai che anche Mister Simpatia scendeva a quella fermata. Fantastico. Speravo solo che mia madre non lo venisse a sapere, altrimenti sarebbe andata avanti con la sua stupida teoria di farci fare la strada insieme.

Salutò alcuni suoi amici, che si davano un sacco di arie solo dal modo di fare, con una stretta di mano in stile hip hop; la massima dimostrazione d’affetto maschile ovviamente.

Distolsi lo sguardo infastidita e mi guardai intorno per cercare di capire da che parte dovessi andare.

Quella zona era decisamente desolante, non aveva nessuna residenza, era solo piena di uffici e scuole e si popolava la mattina grazie ai lavoratori e agli studenti.

La massa di gente scesa dall’autobus si dirigeva verso l’altra parte della strada, quindi dedussi che fosse quella la direzione da prendere.

Superata la metropolitana di Cimiano, mi accorsi aggrottando la fronte che il gruppo di studenti che stavo seguendo si divideva, così come la strada che puntava in due direzioni diverse. 

Non mi fu difficile fare due più due e capire quale delle due strade dovessi seguire: da una parte erano tutte studentesse, mentre dall’altra parte erano quasi tutti studenti.

Percorsi la stradina imboccata dai ragazzi e da Mister Simpatia –ci mancava solo che fosse pure lui del Molinari-, sentendomi forse per la prima volta un po’ a disagio in mezzo a loro. Ero l’unica ragazza nel raggio di una decina di metri, solo più avanti riuscivo ad intravederne qualcun'altra.

Finalmente, dopo aver seguito un cancello grigio che contornava un’altra scuola, vidi l’insegna del Molinari e vi entrai, cercando subito sul cartello appeso alla colonna all’ingresso dove fosse la mia classe.

Tutto quell’ammasso di ragazzi che si accalcava e spingeva mi stava facendo andare completamente in panico, odiavo essere spintonata in spazi ristretti, avrei voluto far capire gentilmente a tutti di farsi da parte. La cavalleria non sapevano proprio cosa fosse, specie il tipo che involontariamente mi aveva dato una gomitata in pieno stomaco scusandosi con un “Scusa piccola” strascicato.

Una volta smaltita per i corridoi la gran parte della massa, riuscii finalmente ad avvicinarmi ai cartelli con le collocazioni delle classi.

La preside al telefono mi aveva detto che ero nella 4B, quindi feci scorrere pensierosa la mia unghia smaltata di rosa sul foglio appeso. Quando trovai la classe, tolsi il dito compiaciuta, ma il mio compiacimento durò ben poco perché mi bastò sentire una frase per far gelare completamente il sangue nelle mie vene:

-Siamo nell’aula 37.- Mi girai di scatto e mi accorsi che nella colonna accanto alla mia, dove erano appesi altri cartelloni, c’erano Mister Simpatia & Friends.

Gli amici annuirono, incominciando a lamentarsi ed emettendo versi grotteschi peggio di un uomo cavernicolo.

-Oh no! Siamo al secondo piano, che sbatti non c’ho voglia di fare tutte quelle scale, cazzo!-

-Minchia serio! Che palle!-

Io quasi non li sentivo. Aula 37?! La mia stessa aula?! Ma perché fra tutte le aule che c’erano, proprio in quella dovevano essere maledizione?!

Mentre mi dirigevo al secondo piano, cercando di ignorare gli sguardi dei ragazzi intorno a me, sentivo che quella sarebbe stata una giornata molto lunga…





******
 

 

 

 

Una volta entrata in aula, sentii distintamente gli sguardi di una decina di ragazzi posarsi curiosi su di me. Nel giro di un secondo riuscii a distinguere malizia, fastidio e sorpresa –a seconda del ragazzo- nei loro occhi.

Mi sedetti nel banco in prima fila ed ignorai il loro borbottare incessante, anzi, il loro gridare da uomini del paleolitico.

-Che figa, oh!- Fischiò apprezzante un ragazzo alto almeno 2 metri dall’altra parte della classe.

Che ci provasse solo quel gigante ad avvicinarsi, lo avrei preso a pugni, a costo di spezzarmi un’unghia!

Feci finta di non sentire, tenendo le cuffiette dell’ipod nell’orecchio e guardandomi in giro come se niente fosse.

Sentivo che le guance sarebbero potute andare a fuoco da un momento all’altro per l’imbarazzo, ma continuai pacata a restare seduta e a fissare il prof -che se ne stava stravaccato comodamente sulla sedia dietro la cattedra- quasi in cerca di aiuto.

Quando vidi entrare in classe una ragazza, rischiai di morire dalla gioia, non avrei retto ancora per molto quegli sguardi.

-Ciao ragazzi!- Sorrise entusiasta, sporgendosi per baciare tutti quanti sulla guancia con un trasporto che non credevo possibile.

In genere anche io tendevo ad essere disinvolta ed espansiva con i ragazzi, ma solo con quelli che conoscevo bene. In quella classe mi sentivo troppo estranea per poter anche solo sorridere a qualcuno.

La tipa mi guardò incuriosita, prima di illuminarsi in un altro sorriso.

-Ciao, io sono Melanie.- Si sporse e poggiò la sua guancia sulla mia, schioccando con le labbra un bacio e lasciandomi un po’ perplessa per la sua confidenza.

-Ciao, Alice.- Ricambiai il sorriso, trovandola però fin da subito decisamente simpatica.

Aveva dei meravigliosi capelli ricci castani che le arrivavano fino a metà schiena e delle lentiggini sul viso che non la imbruttivano affatto, anzi, la rendevano molto graziosa.

I pantaloni a cavallo basso, il cappellino con la visiera storta che indossava e la maglietta larga, mi fecero intuire fin da subito che fosse un’appassionata di musica rap.

Beh, di moda non se ne intendeva proprio, ma era senza alcun dubbio il massimo che potevo avere e sperare, era meglio accontentarsi…

-Finalmente un’altra ragazza in questa classe di idioti, credevo di impazzire da un momento all’altro.- Rise, e ben presto mi unii anch'io alla sua risata particolarmente contagiosa.

Aveva uno strano modo di parlare, mi sembrava avesse un po’ di accento romano mischiato a qualche altro accento che la rendeva piuttosto buffa.

-Ci credo.- Però era davvero semplice parlare con lei.

-Ragazzi, sedetevi.-

La voce tonante del prof ci distrasse e la ragazza poggiò la sua cartella sul banco vicino al mio, riempiendomi così di gioia.

-Ti spiace se mi siedo qui?-

-No no, figurati.- Ero sicura che gli occhi mi si stessero illuminando per l’entusiasmo. Non era stato difficile come pensavo trovare qualcuno con cui parlare.

Lei si sedette e sistemò le sue cose sul banco, mentre il prof iniziava con voce spenta e svogliata a leggere i nomi presenti in ordine alfabetico sul registro:

-Armandi.-

Stavo molto attenta ai ragazzi che alzavano la mano, volevo imparare a riconoscerli entro breve.

-Giannina.-

L’appello scorreva tranquillo, anche se i ragazzi sembravano più intenzionati a fare casino che a sentire quello che stava dicendo il prof.

-Latini.-

Sobbalzai sentendo quel cognome; ero più che certa che fosse il cognome della famiglia che abitava di fronte a me e infatti fu proprio il mio vicino di casa ad alzare la mano.

In diciassette anni che vivevo lì non avevo mai capito come si chiamasse, perciò mi limitavo a chiamarlo Mister Simpatia anche con mia madre per il riferimento ovvio alla sua scarsa gentilezza con gli altri.

Chissà se si era accorto che ero nella sua stessa classe.

-Puccio.-

E come era prevedibile tutti si voltarono verso di me, Latini compreso, che incrociò il mio sguardo per meno di un secondo.

Mi voltai in fretta ed alzai la mano tutta sorridente.

-Benvenuta nella classe Puccio.- Il professore sorrise appena, sistemandosi meglio gli occhiali, prima di riprendere con l’appello senza lasciarmi nemmeno il tempo di ringraziare. Molto simpatico.

Finito di leggere i nomi sull'elenco, quel nanerottolo baffuto incominciò a farsi i fatti suoi, sfogliando un libro e lasciandomi abbastanza basita.

-Ma non fa lezione?-

Chiesi alla mia vicina di banco, Melanie Zorzi, che mi sorrise compassionevole.

-Certo che no. Ormai si è rassegnato a spiegare, nessuno lo ascolta.-

Si voltò di scatto verso il resto della classe, guardando uno ad uno i ragazzi presenti.

-C’è chi fa il cretino facendo scherzi al telefono, chi messaggia col cellulare per i fatti suoi, chi ascolta la musica e chi fuma.- Indicò, per ultimo e ridacchiando, Latini che fumava tranquillamente mentre parlava con gli amici, incurante del fatto che ci fosse il professore in classe.

-Ma il professore non dice niente?- Sgranai gli occhi per la sorpresa, ma in che classe ero capitata?

-Sì, ogni tanto.- Fece spallucce. –Ma non è mai serio anche quando sgrida.-

Poi fece un risolino divertita, –Una volta era di cattivo umore e ha rimproverato Lore perché stava fumando.-

Sorrisi senza avere la minima idea di chi stesse parlando. Lei sembrò capirlo dalla mia espressione e si affrettò a precisare.

-Latini, il ragazzo laggiù.- Indicò con un cenno della testa il ragazzo moro della seconda fila alla nostra destra. Oh, il mio carissimo amico quindi (il sarcasmo abbondava). Lorenzo Latini. Ecco dunque svelato come si chiamava.

-Dicevo, l’ha rimproverato chiedendogli se stesse fumando e minacciando di chiamare il preside, no?Allora Lore fa: “No prof, non sto fumando.” E si è messo la sigaretta in tasca per nasconderla!-

Scoppiò a ridere, finendo con l'appoggiarsi al banco per le risate. –Si è praticamente bruciato tutta la tasca dei pantaloni, c’era un odore di bruciato in classe!-

Non potei trattenere una risatina pure io, anche perché immaginare il tutto era piuttosto comico.

Lanciai una veloce occhiata a Latini che spense la sigaretta sulla gamba del banco prima di buttarla a terra come se niente fosse.

-Peccato che non l’abbia rimproverato anche questa volta.- Mormorai, increspando le labbra delusa.

Non mi sarebbe dispiaciuto vedere una scena del genere, ma soprattutto mi avrebbe fatto piacere vedere rovinati i pantaloni di quel cretino.

-Già. Oggi il prof è di buon umore, per questo ci fa fare quello che vogliamo.-

-Mi sembra ingiusto però…noi siamo qui per studiare.- Una maniaca dello studio come me una cosa del genere proprio non poteva concepirla!

-In effetti…ma tanto anche quando spiega, la maggior parte dei ragazzi esce dalla classe e se ne va in giro per la scuola.-

-Cosa?- La guardai stupita.

-Sì, alcuni prof non se ne accorgono nemmeno se esci dalla classe.-

Che razza di scuola avevo scelto. Molto seria e professionale, davvero. Ma cos’era una classe in stile Rossana? Con i bulletti che impedivano le lezioni? Che bello…

Passai l'ora a parlare con Melanie del più e del meno, scoprendo così che avevamo gusti completamente diversi, anche se l’avevo capito fin da subito.

Mi stupì vedere alcuni ragazzi porgermi la mano per presentarsi. Non erano maleducati come pensavo in fondo…

-Jacopo.- Mi disse un ragazzo biondo, piuttosto basso, allungando la mano e sorridendo gentile.

-Alice.- Ricambiare il sorriso stava diventando pesante, quasi mi faceva male la faccia per via di tutti quei sorrisi forzati.

Della classe conobbi Giulio, Andrea, Nicolò, Alberto, Stefano e Matteo. E poi…beh poi conobbi uno che di vista conoscevo già.

-Non sapevo frequentassi questa scuola.- Mi disse Latini, appoggiandosi con il fianco al mio banco e guardandomi dall’alto in basso.

Tipico della sua gentilezza non porgermi nemmeno la sua mano e presentarsi visto che comunque non ci eravamo praticamente mai rivolti la parola.

-Non l’ho mai frequentata. È solo da quest’anno che sono iscritta qui.- Soffiai sprezzante, abbozzando appena un sorriso gelido.

Lo sguardo di Melanie corse velocemente da me a lui.

-Vi conoscete?- Domandò curiosa.

-Più o meno.-

La sua risposta mi fece spalancare la bocca dalla sorpresa. Mi aspettavo di sentire da un momento all’altro lo schianto della mia mascella sul banco.

Non avevamo mai nemmeno parlato, come poteva definirmi una conoscente?!

-Non direi.- Lo corressi senza farmi troppi scrupoli. –Visto che il qui presente signorino non si degna mai di salutare.- Spostai il mio sguardo da Mel a Latini distendendo le labbra in un ghigno soddisfatto.

-Di che stai parlando? Io saluto sempre.- Si difese, facendomi andare fuori dai gangheri. Lui salutava? Ma quando mai!
-Ma se sono sempre io a salutare e non dire cazzate va!- Sbottai, incrociando le braccia al petto furiosa.

-Non è assolutamente vero, tesoro. Sei tu quella maleducata che va sempre di corsa e che mi spia dal buco della serratura per evitarmi.-

Mi sentii sprofondare dall’imbarazzo. Come faceva a saperlo, cazzo?

Sembrava quasi che stesse rigirando la frittata per far passare me per la maleducata dalla parte del torto.

-Co…non è assolutamente vero!- Ero sicura al cento per cento di essere arrossita, soprattutto per le occhiatine maliziose che mi stava lanciando Mel. Dannazione, non potevo permettermi una simile debolezza, non davanti a quel cretino!

-Nelle scale c’è silenzio e non è difficile sentire dei passi e dei rumori dietro alla tua porta dato che è appiccicata all’ascensore.- Ghignò, beffandosi della mia espressione sbigottita.

-È vero, lo faccio, ma solo perché non voglio andare con te in ascensore.- Ammisi altezzosa.

-Allora vedi che sei tu la maleducata?- Il suo sorriso si allargò, facendomi ribollire il sangue nelle vene. Era riuscito a zittirmi.

Non attese nessuna risposta da parte mia e si allontanò lasciandomi con un diavolo per capello. Il nostro primo “discorso” non era stato di certo civile.

L’ora passò in fretta grazie a Dio e la seconda prof che arrivò mi sembrava più seria e disciplinata. La mia buona opinione su di lei sparì in un nano secondo, quando mi chiamò alla lavagna a risolvere una semplicissima –a detta sua- equazione per mettere alla prova il mio livello.

La dolcissima prof non sapeva proprio che con la matematica io ero rimasta quasi a livelli elementari, neanche sapevo cos’era a momenti un’equazione, quella stupida materia era proprio il mio punto debole.

Incominciai incerta a risolverla, girandomi ogni due secondi verso di lei per chiedere conferma di quello che stessi facendo.

Sentivo delle risatine divertite provenire dalla classe e non mi risultava particolarmente difficile immaginare chi fosse l’artefice principale di quel brusio.

Mi bloccai su un passaggio anche piuttosto semplice a dirla tutta, ma l'ansia mi mandò in panne il cervello che si spense e smise di collaborare. Osservai attentamente e più volte quella maledetta moltiplicazione, ma ogni volta che mi sforzavo per calcolarne il risultato, il mormorio dei ragazzi mi distraeva e mi faceva andare in tilt.

-Puccio.- Mi richiamò la prof, facendomi girare di scatto verso di lei. –Qual è il risultato di quell’operazione?- Chiese gentile, forse un po’ stufa della mia lentezza.

Mi morsi il labbro e fissai di nuovo la lavagna tesa come una corda di violino. Oddio, non lo sapevo. Mi avrebbe messo un 2 alla mia prima interrogazione, il primo giorno di scuola. Una tragedia!

Presa da una vera e propria crisi di panico, feci l’errore più stupido della mia vita: mi girai verso la seconda fila di banchi, incrociando lo sguardo di Latini. Era seduto scompostamente sulla sua sedia; la gamba accavallata con la caviglia poggiata sul ginocchio, le mani in tasca e un’espressione divertita sul volto. In un attimo, senza abbandonare quel sorriso strafottente, mi fece un gesto che inizialmente non capii. Sembrava stesse dicendo…due…terzi? Due terzi?

-Puccio?- Mi richiamò la prof impaziente.

Mi feci forza e, dandomi della povera cretina che si appellava al suggerimento di una scimmia del paleolitico, scrissi sulla lavagna quel risultato suggeritomi da Latini.

La prof aggrottò la fronte guardandomi come se avesse avuto davanti una povera pazza, –Due terzi? Puccio, ci arriva anche un bambino delle elementari che quattro sedicesimi per ventisette primi non può dare due terzi.-

Effettivamente anche un bambino avrebbe capito che il risultato non c’entrava niente…

Dalla classe si levò una fragorosa risata e il primo fra tutti a sbellicarsi dalle risate era…guarda caso, un nome a sorte, Lorenzo Latini. Quel…quel…non mi veniva un insulto abbastanza brutto.

Diventai rossa di rabbia per l’umiliazione subita davanti alla mia nuova classe, avevo fatto in meno di due ore la figura dell’idiota, un vero record.

-È evidente che sei un tantino indietro con il programma di matematica…- Osservò lei pensierosa, rigirandosi la penna fra le mani. –Credo che tu debba essere seguita da qualcuno dei tuoi compagni finché non ti rimetterai in pari.- Annuì fra sé e sé.

-Nessun problema, mi faccio prestare il quaderno da Zorzi e…-

-La Zorzi non è molto brava in matematica.- Mi interruppe, facendo scorrere il suo sguardo fra i ragazzi della classe.

Nel frattempo, rivolsi una veloce occhiata a Melanie che annuì, come a conferma della frase appena detta dalla prof. Mannaggia, non poteva essere un genio della matematica?

–Latini, aiuterai Puccio a mettersi in pari con il programma.- E quella frase bastò a rovinarmi ulteriormente la giornata… -Tu hai la media del nove con me, non sarà un problema aiutarla.-

Aveva la media del nove?!Bastardo, l’aveva fatto più che apposta a suggerirmi sbagliato!

Volevo protestare, ma non sapevo minimamente che dire. Ringraziai il cielo e tutti i miei Santi protettori quando incominciò lui a farlo:

-Prof, mi scusi, quest’anno abbiamo diritto in più come materia, non ho il tempo di stare dietro anche a Puccio.- E detto quello mi lanciò uno sguardo che definire d’odio era poco. Sostenni lo sguardo con tutta l’acidità di cui ero capace. Se pensava che a me potesse anche solo lontanamente far piacere la sua compagnia si sbagliava di grosso.

-Latini, diritto è una materia che avranno anche tutti gli altri tuoi compagni…- Commentò la prof socchiudendo appena gli occhi, -Da coordinatrice di classe, però, posso provare a parlare con il professor Crescentini e chiedergli di interrogare per ultimi te e la Puccio nella sua materia.-

Quello sembrò bastare a far cedere l’occhiata sprezzante dello stronzo che distolse immediatamente lo sguardo da me. Si illuminò in un sorriso che definire ruffiano era poco. –Sarebbe davvero un angelo se lo facesse prof.-

La prof sembrò gradire quel complimento. Sorrise, segnandosi probabilmente sul registro l’appunto di parlare con il prof di diritto e di intercedere per noi.

Tornai a posto e cercai di seguire, con il poco di dignità che mi era rimasta, le altre lezioni.

Nell’intervallo la visuale e il rumore sordo di alcuni libri buttati di scatto sul mio banco mi spaventarono.

-Questi sono gli appunti, gli esercizi e i libri di matematica tesoro, divertiti.-

Alzai lo sguardo e mi ritrovai davanti –anche se l’avevo già capito dal tono bastardo di voce- Latini accompagnato dal suo fido ghigno malefico.

-E che ci dovrei fare?- Socchiusi gli occhi seccata anche solo per la sua vicinanza. Meno ci parlavo e meglio era, per la mia salute mentale.

-Arrangiarti.- Scrollò le spalle e si girò lasciandomi con la bocca spalancata per la sorpresa.

-Fermo, fermo, fermo.- Lo seguii immediatamente alla velocità di Speedy Gonzales, dove credeva di andare?

-Che c’è?- Soffiò sprezzante, piuttosto irritato dalla mia presenza; beh poteva starne pur certo, il fastidio era reciproco!

-Senti, se la tua voglia di passare del tempo con me è paragonabile a quella che ho io di passarlo con te, posso assicurarti che ti capisco.- Presi fiato dopo quel discorso apparentemente illogico. –Ma la sufficienza in matematica la voglio e a me sembra troppo comodo servirsi così della mia totale incompetenza per le materie scientifiche per non essere interrogato in diritto mio caro. Quindi o tu mi aiuti come si deve in matematica, o ci metto un attimo a chiedere alla professoressa di cambiarmi “tutor”, ok?- Mi feci un piccolo applauso mentalmente, mi adoravo quando facevo così! E che cavolo, non poteva servirsi di me a suo piacimento, io non mi facevo usare!

Il suo sopracciglio scattò sempre più in su, segno che probabilmente il mio discorso non doveva essergli piaciuto più di tanto.

Incrociò le braccia sbuffando. –A casa mia non ci puoi venire.- Disse in automatico guardandomi male.

Fantastico, rimaneva solo…casa mia. Ma proprio non me ne andava una giusta, eh?

-Va bene, le faremo a casa mia le ripetizioni.- Acconsentii, alzando le braccia al cielo esasperata e rilasciandole cadere sui fianchi in segno di resa. –Mercoledì?- Mi costò uno sforzo immenso fare quella domanda.

-Ok.- Il mio sforzo impallidì di fronte al suo nel dare quella risposta.

–Bene. Tanto ti basta attraversare il pianerottolo, non mi sembra ti servano ulteriori spiegazioni.- I miei occhi diventarono due fessure ed incominciarono a fissarlo in tralice.

-No, infatti.- Confermò lui guardandomi con altrettanto fastidio.

Non riuscendo a tollerare oltre la sua presenza, mi voltai e me ne andai. Dio quanto lo odiavo! Parlarci non aveva fatto altro che confermare la mia opinione iniziale su di lui; era solo un immaturo, viziato e arrogante ragazzetto stupido. Di sicuro con un carattere del genere non avrebbe mai potuto avere una ragazza fissa, quale povera disgraziata avrebbe potuto sopportarlo? Nessuna.

 

 

   
 
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