Quello era il mio primo giorno in una nuova scuola.
Ero abbastanza nervosa e mia madre mi aveva preparato una bella camomilla come
ogni inizio anno scolastico per tranquillizzarmi.
Avevo deciso di cambiare scuola per un motivo molto
semplice; alla Manzoni i professori erano sì impeccabili e
professionali, ma decisamente troppo severi.
Anche con le mie compagne di classe mi ero trovata
molto male; invidiose com’erano del fatto che stessi simpatica ai
due ragazzi della classe e dei miei bei voti, sparlavano in continuazione alle
spalle. Così avevo convinto mia madre che non riuscivo a concentrarmi
nello studio in una classe del genere e con dei professori troppo pretenziosi.
Quest'ultima si avvicinò e mi baciò affettuosa
sulla fronte.
-Mamma!- Sbottai tesa, allontanandola. Se
c’era una cosa che non sopportavo, era che qualcuno cercasse di
tranquillizzarmi quando ero agitata, mi metteva ancora più ansia.
Mi sistemai stizzita i capelli che quella rompiscatole aveva leggermente
spettinato e le lanciai un’occhiataccia.
-Scusa tesoro.- Fece un mezzo sorriso dispiaciuta,
sapendo benissimo che le coccole quando ero nervosa mi infastidivano.
Mi alzai, sciacquai di corsa la tazza e presi in mano la borsa con i libri per uscire.
-Io vado!- Gridai all'ingresso, richiudendomi veloce la porta
alle spalle per evitare di ricevere altri baci.
Fortunatamente lei non mi seguì fuori sulle
scale, aveva capito che un altro saluto caloroso mi avrebbe fatto sclerare
definitivamente. Ero decisamente nevrotica a volte…ma solo a volte…
Pessima mossa comunque la mia. Mi ritrovai davanti
al mio simpaticissimo vicino di casa che si degnava di salutarmi solo quando
andava a lui.
Di solito, quando non ero in ritardo, guardavo
sempre dal buco della serratura se ci fosse qualcuno sul pianerottolo, odiavo
andare in ascensore con qualcuno e chissà come mai la sfiga voleva che
ci andassi quasi sempre con lui.
Restava sempre in silenzio oltretutto, cosa alquanto
inquietante…
-Ciao.- Abbozzai, piuttosto seccata, un sorriso falso quanto una moneta da tre euro, facendo poi un piccolo cenno di sufficienza con la testa. Per educazione, ero
abituata sempre e comunque a salutare, ma evidentemente la cosa non era stata
insegnata anche a lui dai suoi genitori, visto che, se non lo salutavo io, lui
faceva finta di non vedermi.
-Ciao.- Rispose con la sua innaturale simpatia,
senza nemmeno guardarmi e continuando a messaggiare al cellulare. Chissà che aveva poi di così importante da scrivere!
Scese per le scale prima dell'arrivo dell'ascensore, cosa di cui gli fui segretamente grata.
Ed ecco comunque un’altra dimostrazione del fatto che mi
odiasse. Anzi, non che mi odiasse, ma che mi ignorasse.
Lui non sembrava mai accorgersi della mia presenza…e
quello in fondo mi irritava parecchio. Non ero abituata ad essere ignorata da
un ragazzo, mi ritenevo abbastanza carina da poter essere notata e da potermi permettere di
fare la cretina con i miei coetanei maschi.
Mah, come se me ne fosse importato qualcosa in fondo
di quello. Era mia madre che mi
diceva di fare amicizia con lui dato che avevamo la stessa età. Diceva
addirittura di parlarci e di fare la strada insieme la mattina per andare a
scuola. Già, certo, così poi ci saremmo potuti sedere a bere un
tè al bar da bravi amichetti. Ma per favore! Non sapevo nemmeno che
scuola frequentasse, né avevo intenzione di chiederglielo.
Aprii la porta dell’ascensore, controllando
un’ultima volta allo specchio di esso la situazione dei capelli e del
trucco; tutto in ordine per fortuna. Il mio eye-liner non era sbavato per niente
e contornava ancora perfettamente i miei meravigliosi occhi verdi, la situazione
“occhiaie mattutine” era tenuta d’occhio dal correttore e i
miei liscissimi capelli biondo miele erano ancora…lisci. Perfetto quindi.
Sorrisi soddisfatta alla mia immagine riflessa, prima di voltarle le spalle per
uscire da quell’irritante scatola meccanica una volta arrivata al pian
terreno.
Percorsi la strada del cortile interno del palazzo ed uscii dal cancelletto secondario.
Mi misi istintivamente il golfino prima di
attraversare, non perché facesse freddo –a Milano a settembre
capitavano ancora giornate con quasi 40°-, più che altro per coprire
la scollatura della mia canotta: la mattina in quella zona passavano parecchie
macchine e più volte mi era capitato di essere infastidita da dei passanti.
Se c’era una cosa che proprio non sopportavo, era ricevere avance da
uomini adulti, mi nauseavano.
Sbuffai di nuovo e alzai gli occhi al cielo:
purtroppo il mio vicino di casa era una persecuzione perché me lo
ritrovavo anche alla fermata dell’autobus che collegava la nostra zona
alla metropolitana.
Non mi sprecai in altri saluti e lo sorpassai, mettendomi poi ad aspettare l’autobus a qualche metro di
distanza.
Frugai nella borsa per tirar fuori il solo e unico tranquillante che
riusciva ad anestetizzare la mia isteria la mattina, l’I-pod. La musica
aveva un potere benefico su di me. Senz’altro più della voce
squillante di mia madre.
Feci subito partire Wonderwall degli Oasis, una
delle mie canzoni preferite, mentre con la coda dell’occhio lo guardavo
studiandolo.
Peccato. E dire che non era affatto un brutto
ragazzo, anzi…era un gran bel pezzo di figo.
Capelli neri perennemente spettinati che lo
rendevano davvero sexy e occhi verdi da far perdere la testa. Anche il suo modo
di vestirsi mi piaceva parecchio; jeans a vita bassa di marca e camicia
all’infuori con maniche arrotolate sui gomiti.
Arricciai il naso. Peccato davvero, non fosse stato
così antipatico non sarebbe stato male.
Il rumore dell’autobus mi distrasse: vi salii
e presi posto dietro al conducente.
Avevo deciso di frequentare l’istituto
tecnico Molinari che si trovava precisamente a Cimiano, il capolinea
dell’autobus che prendevo tutte le mattine l’anno precedente per
arrivare alla metropolitana.
La cosa che mi rendeva abbastanza nervosa era che
il Molinari era un istituto prevalentemente maschile: solo 1 decimo della
scuola probabilmente era femminile, o addirittura meno. Questo significava che,
se mi andava bene ed ero fortunata, potevo avere una compagna di classe femmina
su 24. Era già qualcosa, no?
Avevo scelto quell’istituto proprio per quel
motivo però: di classi piene di ragazze ne avevo fin sopra i capelli, le
femmine erano più stronze e false, si poteva star certi che in una
classe solo femminile prima o poi ci si sarebbe scannate.
Per questo speravo che in una classe maschile ci
fossero meno voci alle mie spalle. O meglio, speravo che di voci ce ne fossero,
ma che fossero complimenti. Anche perché i maschi non avevano
motivo di sparlare invidiosi per i miei buoni voti come facevano le mie vecchie
compagne.
La mia scelta di iscrivermi a quell’istituto
tecnico, ovviamente, aveva lasciato molto perplessa mia madre che avrebbe
preferito sopra ogni altra cosa che la sua adorata e studiosa
“bambina” si diplomasse in una scuola prestigiosa come la Manzoni.
Alla fine, con molta fatica, aveva accettato e
compreso la mia decisione.
L’avviso dell’autobus –Prossima
fermata: capolinea, Cimiano M2.- mi distrasse dai miei pensieri e mi fece
alzare dal sedile per prepararmi a scendere.
Con non poco fastidio, notai che anche Mister Simpatia
scendeva a quella fermata. Fantastico. Speravo solo che mia madre non lo
venisse a sapere, altrimenti sarebbe andata avanti con la sua stupida teoria di
farci fare la strada insieme.
Salutò alcuni suoi amici, che si davano un
sacco di arie solo dal modo di fare, con una stretta di mano in stile hip hop;
la massima dimostrazione d’affetto maschile ovviamente.
Distolsi lo sguardo infastidita e mi guardai intorno
per cercare di capire da che parte dovessi andare.
Quella zona era decisamente desolante, non aveva
nessuna residenza, era solo piena di uffici e scuole e si popolava la mattina
grazie ai lavoratori e agli studenti.
La massa di gente scesa dall’autobus
si dirigeva verso l’altra parte della strada, quindi dedussi che fosse quella la direzione da prendere.
Superata la metropolitana di Cimiano, mi accorsi
aggrottando la fronte che il gruppo di studenti che stavo seguendo si divideva, così come la strada che puntava in due direzioni diverse.
Non mi fu difficile fare due più due e
capire quale delle due strade dovessi seguire: da una parte erano tutte
studentesse, mentre dall’altra parte erano quasi tutti studenti.
Percorsi la stradina imboccata dai ragazzi e da
Mister Simpatia –ci mancava solo che fosse pure lui del Molinari-,
sentendomi forse per la prima volta un po’ a disagio in mezzo a loro. Ero
l’unica ragazza nel raggio di una decina di metri, solo più avanti
riuscivo ad intravederne qualcun'altra.
Finalmente, dopo aver seguito un cancello grigio
che contornava un’altra scuola, vidi l’insegna del Molinari e vi
entrai, cercando subito sul cartello appeso alla colonna all’ingresso dove
fosse la mia classe.
Tutto quell’ammasso di ragazzi che si
accalcava e spingeva mi stava facendo andare completamente in panico, odiavo
essere spintonata in spazi ristretti, avrei voluto far capire gentilmente a tutti di farsi da parte.
La cavalleria non sapevano proprio cosa fosse, specie il tipo che
involontariamente mi aveva dato una gomitata in pieno stomaco scusandosi con un
“Scusa piccola” strascicato.
Una volta smaltita per i corridoi la gran parte della massa, riuscii finalmente ad avvicinarmi ai cartelli con le
collocazioni delle classi.
La preside al telefono mi aveva detto che ero nella
4B, quindi feci scorrere pensierosa la mia unghia smaltata di rosa sul foglio
appeso. Quando trovai la classe, tolsi il dito compiaciuta, ma il mio
compiacimento durò ben poco perché mi bastò sentire una
frase per far gelare completamente il sangue nelle mie vene:
-Siamo nell’aula 37.- Mi girai di scatto e mi
accorsi che nella colonna accanto alla mia, dove erano appesi altri cartelloni,
c’erano Mister Simpatia & Friends.
Gli amici annuirono, incominciando a lamentarsi ed
emettendo versi grotteschi peggio di un uomo cavernicolo.
-Oh no! Siamo al secondo piano, che sbatti non
c’ho voglia di fare tutte quelle scale, cazzo!-
-Minchia serio! Che palle!-
Io quasi non li sentivo. Aula 37?! La mia stessa aula?! Ma perché fra
tutte le aule che c’erano, proprio in quella dovevano essere
maledizione?!
Mentre mi dirigevo al secondo piano, cercando di ignorare gli
sguardi dei ragazzi intorno a me, sentivo che quella sarebbe stata una giornata molto
lunga…
Una volta entrata in aula, sentii distintamente
gli sguardi di una decina di ragazzi posarsi curiosi su di me. Nel giro di un
secondo riuscii a distinguere malizia, fastidio e sorpresa –a seconda del
ragazzo- nei loro occhi.
Mi sedetti nel banco in prima fila ed ignorai il loro borbottare incessante, anzi, il loro gridare da uomini del paleolitico.
-Che figa, oh!- Fischiò apprezzante un
ragazzo alto almeno 2 metri dall’altra parte della classe.
Che ci provasse solo quel gigante ad avvicinarsi,
lo avrei preso a pugni, a costo di spezzarmi un’unghia!
Feci finta di non sentire, tenendo le cuffiette
dell’ipod nell’orecchio e guardandomi in giro come se niente fosse.
Sentivo che le guance sarebbero potute andare a
fuoco da un momento all’altro per l’imbarazzo, ma continuai pacata
a restare seduta e a fissare il prof -che se ne stava stravaccato comodamente sulla sedia dietro la
cattedra- quasi in cerca di aiuto.
Quando vidi entrare in classe una ragazza, rischiai di morire dalla gioia, non avrei retto ancora per molto quegli sguardi.
-Ciao ragazzi!- Sorrise entusiasta, sporgendosi per baciare
tutti quanti sulla guancia con un trasporto che non credevo possibile.
In genere anche io tendevo ad essere disinvolta ed
espansiva con i ragazzi, ma solo con quelli che conoscevo bene. In quella
classe mi sentivo troppo estranea per poter anche solo sorridere a qualcuno.
La tipa mi guardò incuriosita, prima di
illuminarsi in un altro sorriso.
-Ciao, io sono Melanie.- Si sporse e poggiò
la sua guancia sulla mia, schioccando con le labbra un bacio e lasciandomi un
po’ perplessa per la sua confidenza.
-Ciao, Alice.- Ricambiai il sorriso, trovandola
però fin da subito decisamente simpatica.
Aveva dei meravigliosi capelli ricci castani che le
arrivavano fino a metà schiena e delle lentiggini sul viso che non la
imbruttivano affatto, anzi, la rendevano molto graziosa.
I pantaloni a cavallo basso, il cappellino con la
visiera storta che indossava e la maglietta larga, mi fecero intuire fin da
subito che fosse un’appassionata di musica rap.
Beh, di moda non se ne intendeva proprio, ma era
senza alcun dubbio il massimo che potevo avere e sperare, era meglio
accontentarsi…
-Finalmente un’altra ragazza in questa classe
di idioti, credevo di impazzire da un momento all’altro.- Rise, e ben presto mi unii anch'io alla sua risata particolarmente contagiosa.
Aveva uno strano modo di parlare, mi sembrava
avesse un po’ di accento romano mischiato a qualche altro accento che la
rendeva piuttosto buffa.
-Ci credo.- Però era davvero semplice parlare con lei.
-Ragazzi, sedetevi.-
La voce tonante del prof ci distrasse e la ragazza
poggiò la sua cartella sul banco vicino al mio, riempiendomi così di gioia.
-Ti spiace se mi siedo qui?-
-No no, figurati.- Ero sicura che gli occhi mi si
stessero illuminando per l’entusiasmo. Non era stato difficile come
pensavo trovare qualcuno con cui parlare.
Lei si sedette e sistemò le sue cose sul banco,
mentre il prof iniziava con voce spenta e svogliata a leggere i nomi presenti in ordine alfabetico sul registro:
-Armandi.-
Stavo molto attenta ai ragazzi che alzavano la
mano, volevo imparare a riconoscerli entro breve.
-Giannina.-
L’appello scorreva tranquillo, anche se i
ragazzi sembravano più intenzionati a fare casino che a sentire quello che
stava dicendo il prof.
-Latini.-
Sobbalzai sentendo quel cognome; ero più che
certa che fosse il cognome della famiglia che abitava di fronte a me e infatti
fu proprio il mio vicino di casa ad alzare la mano.
In diciassette anni che vivevo lì non avevo
mai capito come si chiamasse, perciò mi limitavo a chiamarlo Mister
Simpatia anche con mia madre per il riferimento ovvio alla sua scarsa
gentilezza con gli altri.
Chissà se si era accorto che ero nella sua
stessa classe.
-Puccio.-
E come era prevedibile tutti si voltarono verso di
me, Latini compreso, che incrociò il mio sguardo per meno di un secondo.
Mi voltai in fretta ed alzai la mano tutta sorridente.
-Benvenuta nella classe Puccio.- Il professore
sorrise appena, sistemandosi meglio gli occhiali, prima di riprendere con
l’appello senza lasciarmi nemmeno il tempo di ringraziare.
Molto simpatico.
Finito di leggere i nomi sull'elenco, quel nanerottolo baffuto
incominciò a farsi i fatti suoi, sfogliando un libro e lasciandomi
abbastanza basita.
-Ma non fa lezione?-
Chiesi alla mia vicina di banco, Melanie Zorzi, che
mi sorrise compassionevole.
-Certo che no. Ormai si è rassegnato a
spiegare, nessuno lo ascolta.-
Si voltò di scatto verso il resto della classe, guardando uno ad uno i ragazzi presenti.
-C’è chi fa il cretino facendo scherzi
al telefono, chi messaggia col cellulare per i fatti suoi, chi ascolta la
musica e chi fuma.- Indicò, per ultimo e ridacchiando, Latini che fumava
tranquillamente mentre parlava con gli amici, incurante del fatto che ci fosse
il professore in classe.
-Ma il professore non dice niente?- Sgranai gli
occhi per la sorpresa, ma in che classe ero capitata?
-Sì, ogni tanto.- Fece spallucce. –Ma
non è mai serio anche quando sgrida.-
Poi fece un risolino divertita, –Una volta era di cattivo umore e ha rimproverato Lore perché stava fumando.-
Sorrisi senza avere la minima idea di chi stesse
parlando. Lei sembrò capirlo dalla mia espressione e si affrettò a precisare.
-Latini, il ragazzo laggiù.-
Indicò con un cenno della testa il ragazzo moro della seconda fila alla nostra destra. Oh, il mio carissimo amico quindi (il sarcasmo abbondava).
Lorenzo Latini. Ecco dunque svelato
come si chiamava.
-Dicevo, l’ha rimproverato chiedendogli se
stesse fumando e minacciando di chiamare il preside, no?Allora Lore fa:
“No prof, non sto fumando.” E si è messo la sigaretta in
tasca per nasconderla!-
Scoppiò a ridere, finendo con l'appoggiarsi al banco per
le risate. –Si è praticamente bruciato tutta la tasca dei
pantaloni, c’era un odore di bruciato in classe!-
Non potei trattenere una risatina pure io, anche
perché immaginare il tutto era piuttosto comico.
Lanciai una veloce occhiata a Latini che spense la
sigaretta sulla gamba del banco prima di buttarla a terra come se niente fosse.
-Peccato che non l’abbia rimproverato anche
questa volta.- Mormorai, increspando le labbra delusa.
Non mi sarebbe dispiaciuto vedere una scena del genere,
ma soprattutto mi avrebbe fatto piacere vedere rovinati i pantaloni di quel
cretino.
-Già. Oggi il prof è di buon umore,
per questo ci fa fare quello che vogliamo.-
-Mi sembra ingiusto però…noi siamo qui
per studiare.- Una maniaca dello studio come me una cosa del genere proprio non
poteva concepirla!
-In effetti…ma tanto anche quando spiega, la
maggior parte dei ragazzi esce dalla classe e se ne va in giro per la scuola.-
-Cosa?- La guardai stupita.
-Sì, alcuni prof non se ne accorgono nemmeno
se esci dalla classe.-
Che razza di scuola avevo scelto. Molto seria e
professionale, davvero. Ma cos’era una classe in stile Rossana? Con i
bulletti che impedivano le lezioni? Che bello…
Passai l'ora a parlare con Melanie del
più e del meno, scoprendo così che avevamo gusti completamente
diversi, anche se l’avevo capito fin da subito.
Mi stupì vedere alcuni ragazzi porgermi la mano per presentarsi. Non erano maleducati come pensavo in
fondo…
-Jacopo.- Mi disse un ragazzo biondo, piuttosto
basso, allungando la mano e sorridendo gentile.
-Alice.- Ricambiare il sorriso stava diventando
pesante, quasi mi faceva male la faccia per via di tutti quei sorrisi forzati.
Della classe conobbi Giulio, Andrea,
Nicolò, Alberto, Stefano e Matteo. E poi…beh poi conobbi uno che
di vista conoscevo già.
-Non sapevo frequentassi questa scuola.- Mi disse
Latini, appoggiandosi con il fianco al mio banco e guardandomi dall’alto
in basso.
Tipico della sua gentilezza non porgermi nemmeno la
sua mano e presentarsi visto che comunque non ci eravamo praticamente mai
rivolti la parola.
-Non l’ho mai frequentata. È solo da
quest’anno che sono iscritta qui.- Soffiai sprezzante, abbozzando appena
un sorriso gelido.
Lo sguardo di Melanie corse velocemente da me a
lui.
-Vi conoscete?- Domandò curiosa.
-Più o meno.-
La sua risposta mi fece spalancare la bocca dalla
sorpresa. Mi aspettavo di sentire da un momento all’altro lo schianto
della mia mascella sul banco.
Non avevamo mai nemmeno parlato, come poteva
definirmi una conoscente?!
-Non direi.- Lo corressi senza farmi troppi
scrupoli. –Visto che il qui presente signorino non si degna mai di
salutare.- Spostai il mio sguardo da Mel a Latini distendendo le labbra in un
ghigno soddisfatto.
-Di che stai parlando? Io saluto sempre.- Si difese,
facendomi andare fuori dai gangheri. Lui salutava? Ma quando mai!
-Ma se sono sempre io a salutare e non dire cazzate va!- Sbottai, incrociando le
braccia al petto furiosa.
-Non è assolutamente vero, tesoro. Sei tu
quella maleducata che va sempre di corsa e che mi spia dal buco della serratura
per evitarmi.-
Mi sentii sprofondare dall’imbarazzo. Come
faceva a saperlo, cazzo?
Sembrava quasi che stesse rigirando la frittata per
far passare me per la maleducata dalla parte del torto.
-Co…non è assolutamente vero!- Ero
sicura al cento per cento di essere arrossita, soprattutto per le occhiatine
maliziose che mi stava lanciando Mel. Dannazione, non potevo permettermi una
simile debolezza, non davanti a quel cretino!
-Nelle scale c’è silenzio e non
è difficile sentire dei passi e dei rumori dietro alla tua porta dato
che è appiccicata all’ascensore.- Ghignò, beffandosi della
mia espressione sbigottita.
-È vero, lo faccio, ma solo perché non
voglio andare con te in ascensore.- Ammisi altezzosa.
-Allora vedi che sei tu la maleducata?- Il suo
sorriso si allargò, facendomi ribollire il sangue nelle vene. Era
riuscito a zittirmi.
Non attese nessuna risposta da parte mia e si
allontanò lasciandomi con un diavolo per capello. Il nostro primo
“discorso” non era stato di certo civile.
L’ora passò in fretta grazie a Dio e
la seconda prof che arrivò mi sembrava più seria e disciplinata.
La mia buona opinione su di lei sparì in un nano secondo, quando mi
chiamò alla lavagna a risolvere una semplicissima –a detta sua-
equazione per mettere alla prova il mio livello.
La dolcissima prof non sapeva proprio che con la
matematica io ero rimasta quasi a livelli elementari, neanche sapevo
cos’era a momenti un’equazione, quella stupida materia era proprio
il mio punto debole.
Incominciai incerta a risolverla, girandomi ogni
due secondi verso di lei per chiedere conferma di quello che stessi facendo.
Sentivo delle risatine divertite provenire dalla
classe e non mi risultava particolarmente difficile immaginare chi fosse
l’artefice principale di quel brusio.
Mi bloccai su un passaggio anche piuttosto semplice a dirla tutta, ma l'ansia mi mandò in panne il cervello che si spense e smise di collaborare. Osservai attentamente e più volte quella maledetta moltiplicazione, ma ogni volta che
mi sforzavo per calcolarne il risultato, il mormorio dei ragazzi mi distraeva e
mi faceva andare in tilt.
-Puccio.- Mi richiamò la prof, facendomi
girare di scatto verso di lei. –Qual è il risultato di
quell’operazione?- Chiese gentile, forse un po’ stufa della mia
lentezza.
Mi morsi il labbro e fissai di nuovo la lavagna tesa come una corda di violino. Oddio, non lo sapevo. Mi avrebbe messo un 2 alla mia prima
interrogazione, il primo giorno di scuola. Una tragedia!
Presa da una vera e propria crisi di panico, feci
l’errore più stupido della mia vita: mi girai verso la seconda
fila di banchi, incrociando lo sguardo di Latini. Era seduto scompostamente
sulla sua sedia; la gamba accavallata con la caviglia poggiata sul ginocchio,
le mani in tasca e un’espressione divertita sul volto. In un attimo,
senza abbandonare quel sorriso strafottente, mi fece un gesto che inizialmente
non capii. Sembrava stesse dicendo…due…terzi? Due terzi?
-Puccio?- Mi richiamò la prof impaziente.
Mi feci forza e, dandomi della povera cretina che
si appellava al suggerimento di una scimmia del paleolitico, scrissi sulla
lavagna quel risultato suggeritomi da Latini.
La prof aggrottò la fronte guardandomi come
se avesse avuto davanti una povera pazza, –Due terzi? Puccio, ci arriva anche un
bambino delle elementari che quattro sedicesimi per ventisette primi non
può dare due terzi.-
Effettivamente anche un bambino avrebbe capito che
il risultato non c’entrava niente…
Dalla classe si levò una fragorosa risata e
il primo fra tutti a sbellicarsi dalle risate era…guarda caso, un nome a
sorte, Lorenzo Latini. Quel…quel…non mi veniva un insulto
abbastanza brutto.
Diventai rossa di rabbia per l’umiliazione
subita davanti alla mia nuova classe, avevo fatto in meno di due ore la figura
dell’idiota, un vero record.
-È evidente che sei un tantino indietro con
il programma di matematica…- Osservò lei pensierosa, rigirandosi la
penna fra le mani. –Credo che tu debba essere seguita da qualcuno dei
tuoi compagni finché non ti rimetterai in pari.- Annuì fra
sé e sé.
-Nessun problema, mi faccio prestare il quaderno da
Zorzi e…-
-La Zorzi non è molto brava in matematica.-
Mi interruppe, facendo scorrere il suo sguardo fra i ragazzi della classe.
Nel frattempo, rivolsi una veloce occhiata a
Melanie che annuì, come a conferma della frase appena detta dalla prof. Mannaggia, non
poteva essere un genio della matematica?
–Latini, aiuterai Puccio a mettersi in pari
con il programma.- E quella frase bastò a rovinarmi ulteriormente la
giornata… -Tu hai la media del nove con me, non sarà un problema
aiutarla.-
Aveva la media del nove?!Bastardo, l’aveva
fatto più che apposta a suggerirmi sbagliato!
Volevo protestare, ma non sapevo minimamente che
dire. Ringraziai il cielo e tutti i miei Santi protettori quando incominciò
lui a farlo:
-Prof, mi scusi, quest’anno abbiamo diritto in
più come materia, non ho il tempo di stare dietro anche a Puccio.- E
detto quello mi lanciò uno sguardo che definire d’odio era poco.
Sostenni lo sguardo con tutta l’acidità di cui ero capace. Se
pensava che a me potesse anche solo lontanamente far piacere la sua compagnia
si sbagliava di grosso.
-Latini, diritto è una materia che avranno
anche tutti gli altri tuoi compagni…- Commentò la prof
socchiudendo appena gli occhi, -Da coordinatrice di classe, però, posso
provare a parlare con il professor Crescentini e chiedergli di interrogare per
ultimi te e la Puccio nella sua materia.-
Quello sembrò bastare a far cedere
l’occhiata sprezzante dello stronzo che distolse immediatamente lo
sguardo da me. Si illuminò in un sorriso che definire ruffiano era poco.
–Sarebbe davvero un angelo se lo facesse prof.-
La prof sembrò gradire quel complimento.
Sorrise, segnandosi probabilmente sul registro l’appunto di parlare con il
prof di diritto e di intercedere per noi.
Tornai a posto e cercai di seguire, con il poco di
dignità che mi era rimasta, le altre lezioni.
Nell’intervallo la visuale e il rumore sordo
di alcuni libri buttati di scatto sul mio banco mi spaventarono.
-Questi sono gli appunti, gli esercizi e i libri di
matematica tesoro, divertiti.-
Alzai lo sguardo e mi ritrovai davanti –anche
se l’avevo già capito dal tono bastardo di voce- Latini
accompagnato dal suo fido ghigno malefico.
-E che ci dovrei fare?- Socchiusi gli occhi seccata
anche solo per la sua vicinanza. Meno ci parlavo e meglio era, per la mia salute
mentale.
-Arrangiarti.- Scrollò le spalle e si
girò lasciandomi con la bocca spalancata per la sorpresa.
-Fermo, fermo, fermo.- Lo seguii immediatamente alla velocità di Speedy Gonzales, dove credeva di andare?
-Che c’è?- Soffiò sprezzante,
piuttosto irritato dalla mia presenza; beh poteva starne pur certo, il fastidio
era reciproco!
-Senti, se la tua voglia di passare del tempo con
me è paragonabile a quella che ho io di passarlo con te, posso
assicurarti che ti capisco.- Presi fiato dopo quel discorso apparentemente
illogico. –Ma la sufficienza in matematica la voglio e a me sembra troppo
comodo servirsi così della mia totale incompetenza per le materie
scientifiche per non essere interrogato in diritto mio caro. Quindi o tu mi
aiuti come si deve in matematica, o ci metto un attimo a chiedere alla
professoressa di cambiarmi “tutor”, ok?- Mi feci un piccolo
applauso mentalmente, mi adoravo quando facevo così! E che cavolo, non
poteva servirsi di me a suo piacimento, io non mi facevo usare!
Il suo sopracciglio scattò sempre più
in su, segno che probabilmente il mio discorso non doveva essergli piaciuto
più di tanto.
Incrociò le braccia sbuffando. –A casa
mia non ci puoi venire.- Disse in automatico guardandomi male.
Fantastico, rimaneva solo…casa mia. Ma
proprio non me ne andava una giusta, eh?
-Va bene, le faremo a casa mia le ripetizioni.-
Acconsentii, alzando le braccia al cielo esasperata e rilasciandole cadere sui
fianchi in segno di resa. –Mercoledì?- Mi costò uno sforzo
immenso fare quella domanda.
-Ok.- Il mio sforzo impallidì di fronte al
suo nel dare quella risposta.
–Bene. Tanto ti basta attraversare il
pianerottolo, non mi sembra ti servano ulteriori spiegazioni.- I miei occhi
diventarono due fessure ed incominciarono a fissarlo in tralice.
-No, infatti.- Confermò lui guardandomi con
altrettanto fastidio.
Non riuscendo a tollerare oltre
la sua presenza, mi voltai e me ne andai.
Dio quanto lo odiavo! Parlarci non aveva fatto altro che
confermare la mia opinione iniziale su di lui; era solo un immaturo, viziato e
arrogante ragazzetto stupido. Di sicuro con un carattere del genere non avrebbe
mai potuto avere una ragazza fissa, quale povera disgraziata avrebbe potuto
sopportarlo? Nessuna.