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Autore: Farrah Wade    30/03/2010    2 recensioni
Essere genitori non è mai una cosa facile. Spesso si devono prendere decisioni difficili riguardo ai figli. Quante volte per "fare del bene" si deve "fare del male", rischiando di essere fraintesi e addirittura odiati dai propri figli? Ne sa qualcosa il dottor Philip Price, che oltre a dirigere un ospedale, si troverà alle prese col non facile carattere dei suoi gemelli. La sofferta ma necessaria decisione di mandarli a studiare in un collegio adatto al rango della famiglia scatenerà una serie di terribili eventi che vedranno coinvolti i suoi figli e una strana "allucinazione" che lo porterà a dubitare della loro sanità mentale e rivangare alcuni segreti celati da tempo dal nonno dei gemelli, il primario ormai in pensione Preston Price. Genitore austero e brillante medico, Philip cercherà sempre di fare "la cosa giusta" finendo inevitabilmente col fare quella sbagliata.
Genere: Drammatico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Trovarono Benji riverso sul pavimento del bagno, privo di sensi e completamente madido di sudore.
I capelli bagnati gli stavano appiccicati sulla fronte a mazzetti, coprendo parte della ferita sulla tempia, da cui usciva ancora un rivolo di sangue. Qualche goccia aveva imbrattato la maglietta, finendo poi sul pavimento a formare una piccola pozza.

-Mio Dio aveva ragione la bambina! - esclamò Phil chinandosi sul figlio per esaminarlo.

-Presto, John, la mia borsa.

Reynolds tornò quasi subito con la borsa del pronto soccorso che lui e Philip avevano sempre appresso. Si chinò a fianco di Phil iniziando a esaminare Benji.
Rachel, abbracciata alla madre, piangeva in silenzio, osservando John e suo padre chini sopra il corpo del fratello come due avvoltoi su di una carcassa. Quel macabro paragone la fece piangere ancora più forte e la madre, che osservava con occhi sgranati la scena, la prese in braccio tranquillizzandola come meglio poteva.

-Va tutto bene, tesoro, ora ci sono papà e John: loro sanno cosa fare.

-Mamma! Perché Benji non si muove?

-Credo sia svenuto, Rachel, non è niente di grave.

In quel momento Rachel vide suo padre trasformarsi in quello che era: il bravo medico che tutti conoscevano. Le fece impressione, era la prima volta che lo vedeva in veste di medico e non di genitore. Al suo fianco, anche John le sembrava diverso.
Stava elencando a Phil tutti i sintomi, con voce priva di inflessione, professionale, efficiente e distaccata, come se si trovassero in sala operatoria invece che a casa.

-Polso irregolare. Battito cardiaco accelerato. Sudore copioso e pelle fredda, viscida al tatto. Ferita superficiale alla tempia sinistra, probabilmente dovuta alla caduta contro lo spigolo della porta. Da un rapido esame sembrerebbe proprio uno shock nervoso.

-Okay - disse Phil - voglio subito un calmante. E fermiamo questa emorragia.

Phil spostò i capelli bagnati di Benji, osservò attentamente la ferita e medicò con mano esperta, mentre John preparava l’iniezione.
Rachel si agitò in braccio alla madre, terrorizzata e contrariata e Jo se ne accorse.

-No, no! Non la puntura. Benji ha … lui non vuole … - diceva nell’orecchio della madre.

-Ssth, tesoro non è niente, tuo padre sa quello che fa. Vedrai che dopo Benji starà bene.

Reynolds strinse il laccio emostatico e con due dita cercò la vena; strofinò il braccio con un po’ di cotone e fece l’iniezione.
Rachel terrorizzata si voltò da un’altra parte. Le faceva impressione guardare. Benji ebbe un lieve sussulto.

-Su, portiamolo sul letto, ora - disse Phil.

Quando lo sollevarono, Rachel vide le braccia ricadere inerti, penzoloni. Doveva stare proprio male se non si era nemmeno accorto che John gli aveva fatto una puntura.
Lo adagiarono sul letto e Jo si avvicinò con Rachel.

-Phil? - si azzardò a chiedere con un filo di voce - va tutto bene? Che cos’ha?

-Credo abbia avuto uno shock nervoso. Ha perso i sensi cadendo e si è ferito, ma le condizioni generali sono buone. Presto, tesoro, portami della biancheria pulita e un asciugamano: dobbiamo togliere questa roba bagnata.

Jo aiutò il marito ad infilargli i vestiti asciutti e puliti, mentre Rachel si era accasciata per terra.

Benji parlami! Perché non mi dici nulla? Mi fai paura. Svegliati. Per piacere.

Aveva nuovamente stabilito quel contatto mentale, senza saperlo e senza nemmeno rendersene conto.

Mi senti fratellino? Sono qui con te. Ti ho aiutato! Rispondimi. Svegliati. SVEGLIATI !!

Le dita della mano ebbero un fremito, poi Benji aprì gli occhi. Sbatté le palpebre per un attimo, cercando di mettere a fuoco, ma tutto gli ruotava intorno in un turbinio indistinto di suoni e colori. Sentiva le voci, ma molto lontane, voci che lo chiamavano, poi chiuse nuovamente gli occhi e non si mosse più.

Philip gli sentì il polso - Ora è regolare.

-Papà! Perché non si sveglia? Si era mosso poco fa, perché non si sveglia?!

-Rachel va tutto bene ora. Si è svegliato, è rinvenuto, ed ora dorme tranquillo perché gli abbiamo dato un calmante. Era troppo nervoso, capisci? Era necessario.

Rachel scosse la testa, facendo segno di no.

-No, non capisco!- pianse - perché dorme? Non deve dormire! Avrà di nuovo quei brutti incubi, se dorme, come è successo a me.

-Non ora, piccola. Ora dorme senza sognare nulla, per l’effetto della medicina. Più tardi, quando si sveglierà, potrai parlargli. Ora non ti può sentire.

-Ma sta bene?- chiese tutta preoccupata - ho visto il sangue.

-Sta bene. Il sangue che hai visto era solo un taglietto sulla tempia che si è fatto quando, cadendo, ha sbattuto contro lo stipite della porta.

Rachel sembrò risollevarsi. Gli credeva. Se suo padre, il medico, le diceva che andava tutto bene, lei gli credeva.
Gli si arrampicò in braccio, cosa che non faceva da giorni per via della decisione di mandarli in quella scuola. Erano ai ferri corti, ma in quel momento sentiva di dovergli esprimere gratitudine per aver salvato il suo prezioso fratello. Gli stampò un bacio sulla guancia.

-Grazie, papà.

Lui annuì, uscendo dalla stanza con Rachel in braccio e con la borsa nera del pronto soccorso nell’altra mano.
Reynolds e Jo chiusero la porta e in silenzio la piccola processione si diresse nella sala da pranzo.
Johanna era ancora molto scossa e parlò poco per tutta la durata della cena. Mangiò ancora meno, cincischiando con il cibo nel piatto e Phil cercò di rassicurarla.

-Non riesco a spiegarmi perché sia potuto accadere tutto questo - disse al marito mentre spostava il cibo nel piatto con la forchetta senza toccarlo - tu stesso mi hai detto che oggi pomeriggio stava bene, prima della vostra discussione.
 
-E’ vero. Ma ho notato anche che ha avuto una reazione esagerata; era molto alterato e il suo fisico, con tutta probabilità, non ha retto a quell’accumulo di tensione. Sarebbe successo comunque, prima o poi, anche se non avessimo discusso. Quello che non mi spiego io, invece, è come facevi tu, signorina, a sapere che stava male.

Philip aveva rivolto la sua attenzione a Rachel, che abbassò lo sguardo nel piatto, fingendosi troppo occupata a mangiare per rispondere.

Reynolds si pulì col tovagliolo e bevve un sorso di vino - Ci sono stati casi di persone - disse - molto unite tra loro, in grado di percepire se uno dei due stava male o se era in pericolo, ma mai con la matematica certezza con cui la bambina insisteva nel chiedermi aiuto.

-John, io sono un avvocato, non un medico, ma suppongo che dei gemelli abbiano qualcosa in più dei semplici fratelli; non so, tipo delle sensazioni, essendo così legati tra loro magari percepiscono meglio di altri quando uno di loro, come dicevi prima tu, sta male o corre serio pericolo.

-Quello che dici è vero, tesoro - aggiunse Phil - ma qui c’è qualcosa di più su cui vorrei far luce. Per prima cosa quando John è venuto di sopra a chiamarci, ho chiesto a Rachel come faceva a sapere che Benji stava male, ricordi?

Jo annuì e anche John. Rachel tacque.

-Bene. E lei cosa ha risposto? Che lo sapeva perché Benji glielo aveva detto. Ora: se lui era svenuto, come faceva a parlare o a chiamarla? A meno che non fosse tutta una finzione architettata da loro due, come spesso succede, ma anche qui: come avrebbe fatto Benji a fingere così bene di stare male? Avrebbe potuto facilmente procurarsi la ferita sulla tempia, e altrettanto dicasi per il sudore e il battito cardiaco accelerato; gli sarebbe bastato fare un po’ di moto nella stanza per ottenere l’effetto desiderato, ed è abbastanza scaltro da saperlo fare, altroché. Ma in questo caso la pelle sarebbe stata calda, non fredda e viscida, come accade invece a chi è in stato di shock. Inoltre, conoscendolo, non si sarebbe mai spinto a tal punto da farsi fare un’iniezione così docilmente. A meno che non stesse male per davvero, e come medico ti confermo che lo shock, lo svenimento, e tutto quanto non era certo una finzione. Allora resta la domanda che non riesco a spiegare: come faceva lei a sapere che stava male?

Phil aveva parlato senza staccare gli occhi da Rachel, anche se era rivolto sia a Johanna sia a Reynolds. Sapeva che la figlia nascondeva qualcosa, qualcosa che forse non voleva o non poteva dire a nessuno perché nemmeno lei lo poteva spiegare.
John e la madre ora, dopo l’arringa di papà, aspettavano che lei dicesse qualcosa. Sempre tenendo gli occhi bassi, con un filo di voce, Rachel parlò: - Io … io stavo riposando - iniziò a dire, torcendo nervosamente il tovagliolo tra le mani - quando ho avuto un incubo terribile che mi ha fatto svegliare subito …

-Ti ricordi questo incubo? Riesci a fare una descrizione? - le chiese John dolcemente.

Rachel non lo guardò. Scosse la testa, debolmente, poi la voce le si incrinò e quando parlò di nuovo era vicinissima alle lacrime.

-Io … non mi ricordo molto, ma credo che a spaventarmi sia stata … non so … una voce che rideva in modo cattivo; era la risata di qualcuno che voleva … farci del male.

-Rachel, nessuno vuole fare del male a te o a Benji, mettitelo in testa, e comunque questo non spiega come sei arrivata a sapere in modo così preciso che Benji stava male; ti prego di aiutarci a capire.

Phil guardò la figlia con impazienza. Se c’era qualcosa che lo infastidiva, era il non riuscire a capire il perché delle cose. In campo medico, nulla poteva sfuggirgli, ma intuiva che ciò che stava apprendendo dalla figlia avrebbe potuto interessare molto anche a Doc Greenway; in fondo, era il suo campo, quello.

Rachel proseguì con una voce appena udibile. - Dopo aver sentito quella terribile risata io ho …  ho sentito Benji che mi chiedeva aiuto … mi parlava proprio qui, nella testa, non era solo nel sogno, lo udivo perfettamente; mi implorava di aiutarlo perché solo io lo potevo fare e questo mi ha spaventato a morte perché Benji non mi chiede mai aiuto; sono io che di solito lo chiedo a lui, così mi sono presa una strizza! Ma il bello è che gli ho risposto allo stesso modo, ed ero più che certa che mi poteva sentire. C’era un contatto tra noi, papà, ma non so davvero come metterlo in parole, come … - Si bloccò, alzando gli occhi dal piatto, fissando prima i genitori, poi John.

-Come se steste comunicando col pensiero - finì il padre per lei.

Rachel annuì - Credo che sia successo davvero, non me lo sono sognato, papà. Lo abbiamo fatto per davvero! E non credo nemmeno che fosse la prima volta. Tutto è iniziato al ritorno dal Saint Peter’s … e nei sogni c’è sempre uno strano uomo calvo che ci minaccia e dice cose cattive, ma non riusciamo mai a vederlo … e quel dolore. E’ quasi insopportabile. Ne parlai più volte a Benji ma lui mi disse sempre di stare zitta e non dire niente a nessuno. Credo non volesse passare per un pazzo che vedeva le persone che non esistevano …

John, Philip e Johanna si guardarono.

-Esiste un termine preciso per definire questo fenomeno, ma non credo rientri nei miei parametri di avvocato - disse Jo sentendosi un po’ inquieta per le cose dette da sua figlia.

-Se ti riferisci al fatto di comunicare con la mente si dice telepatia ed è considerato un fenomeno extrasensoriale, ma anche in campo medico se ne sa pochissimo - aggiunse John a beneficio di Jo.

-Anche se qui credo ci sia dell’altro che dovremmo analizzare. Forse dovremmo parlare con Doc.

Philip annuì, rimuginando tra sé. Jo fissò stupita Reynolds.

-Doc? Intendete forse il dottor Greenway, lo psichiatra? - Fu il turno di John di annuire.

-Ma cosa c’entra Doc Greenway con quello che è successo? Lui si occupa di malati di mente, non di fenomeni extrasensoriali o come vogliate chiamarli.

-Jo, Doc è prima di tutto un ottimo neurologo, nonché caro amico, non si occupa solo di malattie mentali, ma anche di come funziona il cervello umano, e se c’è una persona qualificata per parlare di queste cose … beh, quello è certamente Doc Greenway - la informò Philip.

-Una volta - proseguì Jo - mi capitò un caso di un ragazzino che poteva spostare gli oggetti con il pensiero … ma poi si scoprì che soffriva molto e cercava di attirare su di sé l’attenzione, facendo credere di saper fare quelle cose con la mente, invece usava dei trucchetti da prestigiatore; venimmo a sapere che era tutto un inganno. Ci rimasi molto male. Ora non so quanto questo abbia a che fare con quello che è successo qui oggi, ma non mi sembra di ricordare di aver mai visto o sentito i gemelli parlare con qualche “amico immaginario”. Queste cose mi spaventano un po’.
   
-Non so cosa dire, sono sinceramente sorpreso da tutto questo - si difese John.

 Philip non parlò, ma era perplesso dallo scetticismo della moglie. Forse era solo una madre preoccupata in quel momento.
Rachel s’inquietò non poco per la piega che stava prendendo quella conversazione. Non le piaceva per niente il modo in cui suo padre pensava e pensava. Non le piaceva il muto assenso di Reynolds e ancor meno le piaceva la storia tirata fuori dalla madre! Forse erano loro i matti!

-Sentite - parlò per farsi coraggio e per mettere in chiaro che ne aveva abbastanza - forse me lo sono sognata, ho immaginato tutto, non è successo niente e la mamma ha ragione.

Si odiò a morte. Non riusciva ad essere convincente e lo sapeva. Aveva pasticciato tutto. Non doveva assolutamente aprire bocca! Ora avrebbero pensato che loro due potessero avere un qualche genere di problema mentale e la madre temeva che potessero diventare dei fenomeni da baraccone. Oh, come avrebbe voluto che Benji fosse lì con lei. Avrebbe saputo di sicuro cosa dire.

-Sono stanca, vorrei ritirarmi, se non vi dispiace - piagnucolò.

Di solito non aspettava mai il permesso di alzarsi da tavola, ma lo fece per placare quella scintilla che aveva notato negli occhi di suo padre. Sembrava lui il fenomeno da baraccone adesso, e questo la spaventava.

-Non ancora, Rachel - disse Philip - vorrei chiederti un’ultima cosa, prima.

-Ma papà … - si lamentò lei.

-Dimmi, Rachel, poi te ne puoi andare, se vuoi, ma prima dimmi: è mai successo altre volte, prima d’ora ? Non vi è mai capitato di farlo in altre occasioni?

-Fare che cosa papà?

-Di comunicare col pensiero, di sentire o vedere persone … come è successo stasera. Magari ci sono stati momenti in cui …

-Papà ?- Lo interruppe lei alzandosi da tavola - Non è mai successo, se è questo che vuoi sapere.

-Ti prego, tesoro, pensaci un attimo, è importante.

Rachel odiava l’insistenza con cui suo padre la stava torchiando; sembrava un bambino che aveva appena scoperto un giocattolo nuovo.
Finse di pensarci su, più che altro perché voleva andare nella sua stanza, al sicuro dai loro occhi indagatori. Desiderò che Benji fosse li, a proteggerla; lui avrebbe di sicuro saputo destreggiarsi meglio di lei in una situazione del genere.

-Mi dispiace, papà, non ricordo nessun’altra occasione prima d’ora, mentì. Adesso vorrei andare a riposare …

-Ma certo, tesoro, certo, e mi raccomando, se dovessi avere ancora dei brutti sogni non esitare a chiamarci.

-Okay.

-Vengo più tardi a rimboccarti le coperte, tesoro, buonanotte - la raggiunse la voce della madre e le soffiò un bacio dal palmo della mano. Rachel fece lo stesso e prese a correre su per lo scalone, fino a raggiungere la sua camera.
   
 
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