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Autore: cartacciabianca    30/03/2010    3 recensioni
[ SOSPESA ]
In una New York devastata dalla Guerra tra sani e portatori, sono emersi un gruppo di patriottici eroi. Uomini e donne sottoposti a crudeli esperimenti allo scopo di sopprimere definitivamente il Virus e ogni suo esponente. Sono gli Angeli, nati dalle ricerche fatte sul precedente campione Zeus e protettori della specie umana. La battaglia per il dominio sul pianeta volge al termine dopo due anni di scontri sulla frontiera della scienza e della tecnologia meccanica. Due anni di sangue e vittime innocenti capitate nelle mani dei predatori più spietati.
"Mi sentii puntare sulla schiena qualcosa di estremamente freddo, sottile e affilato più di un rasoio.
Ingoiai a fatica, trattenendo il fiato e sollevandomi sulle punte degli stivali. Dalla mia bocca schiusa venne solo un flebile sospiro quando Alex affondò la lama tra le mie scapole traversandomi orizzontalmente da un capo all’altro. Un fiume di sangue mi bagnò la divisa, raccogliendosi poi sul terreno impolverato tra i miei piedi. Quel rosso vivo e accecante mi finì anche negli occhi, mentre il dolore risucchiava nel suo vortice la sensibilità del mio corpo.
Inclinai la testa da un lato scoprendo una parte di collo, sul quale Mercer posò appena le labbra.
-Sai… ora capisco cosa ci trovava quel Turner di tanto interessante in te- mi sussurrò all’orecchio dopo aver risalito il mio profilo di piccoli baci, minuziosi come graffi. –Quando sanguini così sei davvero eccitante- rise."

[Alex Mercer x nuovo personaggio + altri nuovi personaggi]
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 29° - Polpetta al sugo

Mi portai le mani alla gola e le posai sopra le sue, nell’infantile tentativo di graffiarlo e sfuggire alla sua presa. Cosa vana che, piuttosto, fece sogghignare Emmett malignamente che, nel gesto di stringere più forte, mi tolse il fiato di cui non avevo poi gran bisogno per vivere. Eppure il mio viso aveva assunto un colorito davvero pallido, ma non perché mi mancasse il respiro o perché il sangue avesse interrotto forzatamente il suo ciclo all’altezza della carotide. No, affatto. Ero pallida perché avevo paura. Paura di cosa quell’uomo affogato nella sua stessa irascibilità aveva in mente di fare di me. Stavo per diventare carne da macello. Sul menù era già scritto “polpetta al sugo”.

«E per sugo… sapete cosa intendo, vero?»

Sgranai gli occhi, serrai i denti, conciai a calciare forsennata.
Ero terrorizzata dall’espressione soddisfatta e piena di goduria che vedevo disegnarglisi in volto con linee più marcate ad ogni secondo che trascorrevo in quella posa. Agonizzante come può esserlo un tonno nella rete dei pescatori, e facile preda della disperazione, persi ogni cognizione logica sia della parte umana di me che di quella mutata. In conclusione, ero troppo agitata per poter anche solo sferrare un attacco con un esito a mio favore.
Sapevo bene quanto Emmett Word fosse sempre stato più forte di me. Avevo chiari i ricordi degli addestramenti nella palestra, ma quello a farmi rabbrividire erano le immagini di quando l’avevo visto all’opera coi cacciatori di terra sull’isola di Manhattan. Dio, quell’uomo (se tale poteva definirsi) era la furia fatta persona.
E lì mi sorse spontanea più di una domanda: in cima alla lista c’era il perché Emmett fosse stato mandato da solo ad affrontare sia me che Alex (il quale, cazzo, si defilava come al solito nei momenti meno opportuni!!!).
In secondo luogo mi chiesi se io, Angel 1-9-2 predestinata ad abbattere Alex Mercer, sarei mai stata capace di trovare in me la forza immagazzinata allo scopo di abbattere Zeus e sfogarla piuttosto su un compatriota.
In fine, il dilaniante dubbio che fosse tutta una trappola cominciava a raschiarmi con le unghie la parete dello stomaco.  
Insomma, le cose si mettevano piuttosto male.
L’unico modo per evitare uno scontro diretto con chi sapevo essere dieci volte il mio peso e la mia forza (soprattutto così imbottito di collera) era scappare.

«Diciamola tutta: il piano era saltato. Alex era improvvisamente scomparso, di mio padre o i suoi cacciatori nemmeno l’ombra, senza contare il fatto che i laboratori e gli uffici della base erano silenziosi come cimiteri. C’era da preoccuparsi sul serio, e non solo perché Emmett stava giusto per giocare a shangai con le mie ossa. Cos’altro avrei potuto fare? Cosa avreste fatto voi?! Personalmente tenevo molto al mio culo… all’epoca.»

Peccato che allontanarsi di lì diventava altrettanto difficoltoso quanto prendere e fare il mazzo tanto al mio nuovo nemico.
-Dovresti sapere che è inutile agitarsi tanto- sghignazzò Emmett soffiandomi in faccia il suo alito freddo come una tempesta siberiana, a contrasto con le sue dita bollenti strette attorno al mio collo.
-Emmett… ti prego… lasciami! Lasciami spiegare!- biascicai con una voce che non riconobbi mia.
Il ragazzo mi sbatté alla parete oltre le mie spalle senza mai lasciare la presa. -Sei una sfottuta traditrice, Emily, non c’è nulla da spiegare! Ed io non te la farò passare liscia, costi quel che costi!- digrignò sprezzante a tanto così dal mio volto.
Perché adesso parla di costi?! Sono sicura che il settore pagherebbe invece di comprare qualcuno che si sbarazzi di me! Il lavaggio del cervello non l’hanno ancora scoperto, quindi, anche se volessero non tornerei mai a lavorare con gli Angeli! Quello che so basta e avanza per avere ragione ad ammazzare pure te, stronzo! Pensai fissandolo negli occhi, per quel che mi fu possibile.
All’improvviso avevo ritrovato il furore smarrito nel primo impatto. A sostenere i miei pensieri, i miei ideali c’era il ricordo di due dolorosi anni trascorsi nella convivenza con quest’essere. Forse avrei potuto pareggiare i conti, una volta per tutte, con la sua testa calda. Forse avrei potuto finalmente mostrargli di cosa sono fatta, mi dissi, e dargli magari un assaggio dell’Emily Walker che, se avesse voluto, avrebbe abbattuto il Blacklight con una mano sola!
Fu per me un dolore atroce sentire le ali venire dalla mia schiena e spingere contro la parete dietro di me, nel riuscito tentativo di portarmi in avanti quel tanto che bastò per finire addosso ad Emmett e scaraventarlo dal lato opposto del corridoio.
Lo schianto che produsse il suo corpo sbrindellò l’intera parete, che gli crollò addosso assieme ad una porta vetrata e dei frammenti del soffitto. I detriti lo ricoprirono lasciandomi il tempo necessario di tornare coi piedi per terra. Mi massaggiai il collo tirandomi dritta a poco a poco, senza mai distogliere la mia attenzione dal cumulo di macerie sotto al quale era “intrappolato” il mio avversario.
Spero che Lucy mi perdoni per quello che sto per fare… gemetti stringendomi il polso destro, e contemporaneamente tramutai la mano negli artigli che avevo visto usare più volte anche a Mercer. Dopodiché affondai il pugno nel pavimento del corridoio e sentii la mia essenza mescolarsi alla terra sotto ai miei piedi. Diedi lei una direzione precisa, portandola verso i detriti che schiacciavano l’Angel 1-9-1, e chinai il capo. Preferii non guardare quando una dozzina di spuntoni risalirono dal suolo e si conficcarono nelle macerie, spaccando oltremodo pavimento, pareti e soffitto.
Se un tempo sotto quelle macerie c’era stato il mio nemico, ora conficcati a quegli spuntoni che io stessa avevo evocato, non c’erano altro che blocchi di cemento armato.  
È scappato. Sgranai gli occhi. Quel maledetto figlio di puttana è scappato! Mi ripetei con più convinzione, constatando la sua sparizione con l’ausilio della vista termica.
-E ancora una volta, sbagli-.
La calda voce di Emmett alle mie spalle mi irrigidì all’improvviso. Il signor Word si era rigenerato dietro di me da una piccola pozza scura, strisciata dal cumulo di macerie a sotto le mie suole senza che me n’accorgessi. Un potere, quello, che non avevo mai visto in nessun Angelo prima di allora.
Feci per voltarmi, ma il ragazzo fu più veloce di me e mi afferrò le ali con entrambe le mani, spezzandole dov’erano più fragili, ovvero alle giunture, con un colpo secco.
Il dolore divenne atroce tutt’a un tratto e proprio non riuscii a trattenere un grido.
-Ti piacciono queste nuove abilità, Emily?!- mi ringhiò contro vedendomi inginocchiarmi ai suoi piedi. Mi afferrò per i capelli tirandomi indietro la testa, e allo stesso tempo affondò con violenza il tallone destro nella mia spina dorsale, rompendola. -È un vero peccato che tu ci abbia abbandonati prima di poterle ricevere- si beffò chinandosi alla mia altezza e costringendomi ad avvicinare il volto al suo. La sua mano tra i miei capelli tramutò in cinque affilati artigli che mi aprirono altrettanti tagli sulla fronte e sulla nuca. Il mio stesso sangue mi traversò la faccia e bagnò la schiena prima che potessi reagire in qualsiasi modo. Chiusi gli occhi, ma la mia linfa vitale m’inumidì le palpebre, rendendole appiccicose lo stesso.
Emmett, non riscontrando in me alcuna reazione, mi sollevò nuovamente da terra e con una forza disumana mi gettò contro una parete sana. Questa mi crollò addosso nella medesima maniera in cui aveva rinchiuso lui poco prima, con la sola differenza che la metà superiore del mio corpo restò esposta. Nel frattempo i tagli superficiali sulla nuca e sulla fronte si erano rimarginati e la spina dorsale scricchiolava macabramente.
Quando riuscii a guardare nella sua direzione, Emmett era seduto sui talloni a pochi passi da me, coi gomiti poggiati sulle ginocchia e gli artigli (sì, esatto, proprio quelli di Alex) che sfioravano il pavimento, grattandolo.
-Chi… chi ti ha dato questi poteri?- chiesi flebilmente, tossendo sangue subito dopo.
Emmett si strinse nelle spalle con naturalezza. –Un certo Bradley… dottor Bradlay Ragland. Sembra faccia parte del pacchetto assieme alla sorella di Mercer, che la squadra speciale ha portato alla base qualche mese fa- si beffò con una certa ironia. -Ti ricordi, no? L’arma segreta- aggiunse facendo l’occhiolino, sorridente.
Quelle parole risvegliarono in me i ricordi di poche ore prima dell’attacco alla base, quando Alex, Max, mio padre ed io ci stavamo ancora preparando ad attraversare l’Hudson…

Il fiume che circonda l’isola è una macchia densa e scura. L’orizzonte si confonde nei fumi e nelle macerie dei palazzi abbandonati di New York, vuota di ogni forma di vita. Le strade sono deserte e silenziose, una brezza invernale solleva le polveri di sangue secco. I teschi di bestie mostruose riposano sui marciapiedi, semafori spenti sono crollati nell’asfalto e scompaiono nelle nubi violastre di virus. Sulle coste nord della sponda opposta, l’unico edificio luminoso è la Base Phoenix del Settore Angels. Tutto il resto è avvolto da un cielo nero senza stelle.
È questa la vista meravigliosa che si apre davanti ai miei occhi quando raggiungo Alex sul tetto dell’edificio che ospita l’ospedale di Max. I profughi sono nelle loro capanne di latta già da ore; il nostro arrivo al “quartier generale” non ha minimamente disturbato il loro sonno stressato e costantemente minacciato dall’inalazione di qualche fatale gas che potrebbe trasformarli in quelle orrende creature alle quali fanno resistenza. Posso quasi sentire i loro respiri mescolarsi all’aria che io stessa getto nei polmoni, come se ne avessi bisogno. In realtà, il mostro che sono non avrebbe bisogno né di mangiare, né di bere, né di respirare. Se faccio tutto questo è solo per sentirmi umana quel tanto che basta per portare il nome che hanno scelto mia madre e mio padre per me.
Mercer fissa l’orizzonte dinnanzi ai suoi occhi, azzurri a tal punto da sembrarmi grigi. È in piedi a pochi passi ancora da me, e non distoglie la sua attenzione della Base Phoenix nemmeno un secondo. So bene che si è accorto di me. Eppure non dice o fa nulla per dimostrarmi quanto in realtà sia infastidito dalla mia presenza.
Mi avvicino ancora, se allungo un braccio posso quasi toccarlo all’altezza del gomito. Vorrei che si voltasse, ho bisogno di parlargli, di ringraziarlo per avermi portata dalla sua e dalla parte di mio padre, ma prima che posso solo saggiare la pelle del suo giubbetto sotto i polpastrelli, è lui a guardare nella  mia direzione.
Mi astengo dal sobbalzare per lo stupore, non aspettandomi di vedermi così trafitta dai suoi occhi celesti.
Ci fissiamo allungo, l’uno attendendo l’intervento dell’altra. La nostra attesa sembra durare in eterno, fin quando Alex non torna a fissare la sponda opposta di New York. Nelle sue pupille vedo specchiarsi le luci del mio ex quartier generale.
-Perché lo fai?- chiedo a tradimento.
Mercer inarca un sopracciglio, sorpreso dalla mia domanda.
-Cosa vuoi dimostrare ancora?- insisto. –La tua guerra è finita. Potresti andartene se vuoi, però non lo fai. Perché?- spiego meglio.
-Hanno preso mia sorella- risponde lui con naturalezza, -e un caro amico. Finché non li porto vivi fuori di lì è ancora la mia guerra- sottolinea impassibile.

Tornai in me quando Emmett stava per affermarmi di nuovo, pronto a spezzarmi definitivamente in pezzi come uno stuzzicadenti, ma un improvviso tuono di arma da fuoco mi rimbombò nelle orecchie.
Chiusi gli occhi giusto un istante, e, quando li riaprii, Emmett era piegato a terra su un ginocchio, voltato verso una figura avvolta dall’oscurità.
-Angel 1-9-1, ti ordino di fermarti! Ora!-.
Matt?!
Seguii lo sguardo dell’Angelo che si era posato sull’esile (in confronto a lui) figura di Matt, il mio coordinatore, apparso tutto trafelato e col fiato grosso sul pianerottolo delle scale lì accanto.
-Sparisci, moccioso! È una questione personale!- ruggì Emmett estraendosi il proiettile dalla spalle e alzandosi in piedi. Lanciò il bussolotto che andò a conficcarsi su un’anta dell’ascensore a pochi passi dal ragazzo.
-Non fare il coglione, Emmett; sai bene che Lewis la vuole viva!- strillò il mio coordinatore avvicinandosi all’Angelo con l’arma spianata.
-Fottiti! Io non prendo ordini né da te né da quel figlio di puttana!- ringhiò Emmett in tutta risposta.
Nel frattempo, alle spalle del mio ex compagno di Clan distratto da Matt sempre più vicino a noi, ero riuscita a sollevarmi su un gomito e liberarmi dalle macerie che mi schiacciavano. Una volta in piedi indietreggiai, avendo via libera per un buon pezzo.
Emmett si accorse troppo tardi della mia fuga imminente, quando Matt gli piantò in petto altri cinque colpi.
-Emily, scappa!- m’incitò il mio coordinatore, scaricando sul suo bersaglio tutto il caricatore.
Non indugiai un istante.
Aggiustandomi le ali in una frazione di secondo spiccai un balzo e mi librai in volo nel corridoio.
Emmett assorbì i proiettili nel proprio corpo e se ne liberò in pochi secondi, trasfigurandoli in appuntite puntine di metallo, che poi espulse addosso al ragazzo.
La pistola gli sfuggì di mano e Matt crollò a terra, in una pozza di sangue, bucato come una groviera.
   
 
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