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Autore: Solitaire    02/04/2010    5 recensioni
nemmeno noi siamo solo logica e calcolo, per il semplice fatto che si arriva a un punto dove non c’è alcuna logica né alcun calcolo e la differenza è fatta solo dalla nostra volontà
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku, Roxas, Zexyon
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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XV

 

 

I programmi di volo prevedevano l’arrivo di una nave dal mondo nero, ma, di sicuro, Marluxia non avrebbe mai indovinato l’identità del pilota.

 

“Non aspettavo proprio te.”

 

Non se lo aspettava, anche se lo ha riconosciuto nel momento stesso in cui ha messo piede sulla superficie del pianeta. E’ stato come ricevere un pugno nello stomaco.

Trovarlo intento a scaricare bagagli è la seconda sorpresa di quello che doveva essere un comune volo di rifornimento, e c’è già un gran numero di casse e merci, ai piedi della nave.

 

Anche se non rileva la presenza di nessun altro, Marluxia si aspetta perlomeno uno dei crepuscolari. Invece, Xemnas è completamente solo.

 

“Cambia qualcosa il fatto che sia io?”

 

Sì, in effetti sì. Cambia tanto. E non è così ingenuo da credere che Xemnas non ne sia consapevole.

Ma l’uomo è già rientrato nella stiva e Marluxia deve aspettare che riappaia con un altro carico, prima di rispondere, a meno che non voglia urlare per farsi sentire e, poco ma sicuro, non ha intenzione di fare niente del genere.

 

“Ti ho sopportato per quasi tre anni, non saranno poche ore a disturbarmi. Sono solo stupito di vederti in veste di addetto al trasporto.”

 

Xemnas lo degna di quella che appare un’espressione derisoria, almeno per quello che si può leggere sul suo volto in parte coperto da occhiali scuri. Intanto, rientra nel ventre del cargo.

Ha fatto atterrare il vascello insensatamente vicino al palazzo, in sfida ai campi di forze e ai fenomeni di distorsione che rendono tanto difficile la navigazione delle navi nei pressi del Castello. Una manovra impensabile per chiunque altro, eccetto forse Xigbar. Ma se Marluxia riesce a capire la perfetta consapevolezza dello spazio di Xigbar e, comunque, da lui una manovra così azzardata e pericolosa chiunque se la aspetterebbe, questo che ha di fronte è Xemnas.

Però, una volta, ha chiesto proprio a Xigbar perché fare certe cose, anche se inutilmente pericolose. Si aspettava in risposta una qualche arrogante banalità. Invece, Xigbar lo aveva guardato come se non avesse capito la domanda, come se non avesse mai pensato che deve esserci un motivo per fare qualcosa. E’ quella la chiave di lettura necessaria a decifrare il comportamento di Xigbar. Per lui, deve esserci un motivo per non fare.

E Xemnas è l’uomo che ha spalancato il Cuore dell’universo, perché non c’era motivo per non tentare. Se si tiene questo in mente, qualsiasi considerazione sulla prudenza perde valore.

 

Xemnas emerge con l’ennesimo fardello e lo getta a terra insieme agli altri.

 

“Ti avverto,” brontola Marluxia “entrare nel castello può causare strani fenomeni sensoriali. Abbiamo disattivato alcune aree dei sotterranei e del piano superiore per viverci e lavorarci continuativamente senza pericolo, ma il resto è ancora terra sconosciuta.”

 

Xemnas abbassa lievemente gli occhiali sul naso per osservare il giovane da sopra le lenti.

 

“Grazie. Mi chiedo come sono sopravvissuto sette anni senza te a preoccuparti della mia salute. Come siamo sopravvissuti tutti noi.”

 

Il tono è vagamente scherzoso, ma non c’è proprio nulla di amichevole nel sottinteso e Marluxia vorrebbe proprio capire quale bizzarro capriccio stia spingendo Xemnas a comportarsi in un modo tanto irritante, arrogante, irrazionale.

Non che lui non sia arrogante e irrazionale e, immagina, spesso irritante. Ma non ha nessuna pretesa di essere immune da simili difetti.

Se Xemnas ha deciso di avvalorare la tesi della loro presunta mancanza di emozioni, il minimo che può fare è essere coerente con le sue stesse prediche.

Così, il suo comportamento è offensivo. Una dichiarazione che a Xemnas è permesso quello che lui stesso nega e biasima.

 

“Sono già stato nel castello, Marluxia, più di una volta, e non sono state visite di passaggio. So cosa aspettarmi. Tu daresti mai via qualcosa che non conosci più che bene, senza avere idea del suo valore?”

 

Prima di avere una risposta che, probabilmente, neppure si aspetta, Xemnas si allontana di qualche passo dalla nave, arrampicandosi su una delle creste rocciose che disseminano la brughiera. Almeno per il momento, sembra decidere che è il momento di fare una pausa. E finalmente, perché Marluxia cominciava a irritarsi di parlare e avere risposte a intervalli alternati tra un carico e l’altro.

Adesso, Xemnas è interessato al cielo.

Il sole primario è al tramonto, immerso a metà dietro la linea d’orizzonte. Al punto cardinale opposto, il più piccolo e rosso dei soli secondari è sul punto di sorgere.

Xemnas toglie gli occhiali per osservare il duplice crepuscolo.

Sipari di luce pendono dalla copertura nuvolosa e le nubi stratificate si tingono di colori vividi, in innumerevoli sfumature di viola e porpora da una parte, di rosso e arancione dall’altra. Fra alba e tramonto, nembi neri illuminati da fulmini.

Una corrente fredda proviene dalla sera incombente, contrastata e respinta dal calore che si diffonde dal mattino.

Probabilmente... anzi, sicuramente, Xemnas non vede lo spettacolo come lo vede lui.

Mondi diversi, specie diverse, sensi differenti.

Magari vede molti più colori. O molti di meno. O molto diversi. Potrebbe persino sentire qualcosa a cui lui è sordo.

In sé, gli interesserebbe poco di una cosa simile, ma la conoscenza è importante. No, più che importante. E’ essenziale. Qualsiasi conoscenza, anche quella che appare più mondana e insignificante. Nessuno sa quando e cosa servirà conoscere. Quindi, non esiste conoscenza insignificante.

I fondatori sanno tutto di loro, ma la cosa non è reciproca. E’ una delle fondamenta del potere dei sei e di potere ne hanno abbastanza, su ogni cosa.

 

Il sole, il vero sole, quello intorno a cui orbita il pianeta, è quasi completamente scomparso.

Secondo l’orologio, è mattino presto.

Lo scandire del tempo è regolato in modo artificiale, seguendo il metodo di misura del tempo del pianeta dei fondatori. La durata del giorno, la suddivisione in settimane, mesi e anni. Tutto basato su rotazione e rivoluzione di un mondo che buona parte di loro non ha neppure mai toccato e su usanze di gente che non hanno mai incontrato.

Certo, hanno bisogno di un sistema di riferimento per gestire le loro attività ed è logico che i primi arrivati, mancando di un mondo con cicli regolari, abbiano mantenuto il sistema a cui sono abituati.

Logico, pratico e comprensibile.

Per Marluxia, è solo un altro anello della catena con cui i fondatori limitano la loro libertà.

I nobody decidono insieme, certo.

La parola di ognuno vale quanto quella degli altri, sicuro.

Ma, chissà come, a prevalere è sempre la volontà dei sei.

E la volontà dei sei è avere imprigionato tutti loro in una rigida struttura che non tiene conto dei cambiamenti a cui sono andati incontro. Al punto di ignorare deliberatamente la natura dei Mondi. Al punto di essere ciechi, sordi e refrattari alla realtà.

 

Quando lo avvicina, Xemnas sospira e distoglie l’attenzione dai soli. Si toglie di tasca un piccolo cristallo blu. Un modulo di memoria.

Ci giocherella per qualche istante, rigirandolo fra le dita, ma, alla fine, lo porge bruscamente a Marluxia.

 

“Un regalo da parte di Luxord. Vorrei che lo studiassi con attenzione.”

“Qualche nuovo disastro in vista?”

“Una novità non troppo piacevole.”

 

Potrebbe essere la ragione per cui è qui di persona. Ma no. Non funziona nemmeno così. Dubita che quel cristallo contenga qualcosa di segreto, ma, anche in quel caso, avrebbe potuto incaricare della consegna uno dei suoi famigli.

 

“A cosa dobbiamo la tua presenza?”

 

Xemnas si sfrega la radice del naso e si rimette gli occhiali.

 

“Possibile che nessuno sappia contare? Senza voi sei, la scelta diventa limitata e i turni più frequenti. E’ toccato a me, ecco tutto. Adesso, o te ne torni a fare quello che stavi facendo prima, oppure, visto che sei qui, saresti così gentile da aiutarmi a scaricare? Prima finiamo, prima ti liberi di me.”

“Chiamo subito…”

“Stai male?”

 

Sorpreso dalla strana e imprevedibile domanda di Xemnas, posta in tono assolutamente serio, il giovane scuote la testa.

 

“Allora non c’è bisogno di disturbare nessuno. Bastiamo noi due. Muoviti, o hai paura di sporcarti le mani?”

 

Oggi c’è qualcosa di nuovo in Xemnas. Qualcosa in meno. Qualcosa che manca dalla sua espressione, così come manca nel suo modo di comportarsi.

Il modo di fare forzato, recitato, artificioso.

 

Devo ascoltarti?

Serve ascoltarti?

 

Il modo di guardare chi gli sta di fronte e non vedere la persona, ma solo un contrattempo.

 

Fatti da parte e lasciami tornare a quello che mi interessa davvero, qualunque cosa sia, ma certo non sei tu.

 

Lo sguardo un po’ assente, un po’ perplesso, un po’ calcolatore. Infastidito. Molto prossimo all’irritazione.

 

Fatti da parte e lasciami passare.

O ti scosterò io.

 

Questa volta, Marluxia si è guadagnato la sua piena attenzione e non è una sensazione gradevole, perché significa solo che è lui la cosa cui vuole interessarsi.

 

Almeno ha l’occasione di studiarlo sul suo terreno, al di fuori dell’ambiente rigorosamente controllato, progettato e diretto da Xemnas stesso, della loro casa sul mondo nero.

Il campo base è libero dagli aggressivi fiori carnivori che hanno conquistato il pianeta, ma Marluxia lo ha comunque riempito di altra vita vegetale. Un mondo che adesso è il suo regno incontrastato, ricoperto in ogni pollice di terreno di creature che sono estensioni di lui stesso, sue armi e suoi terminali nervosi. Le piante sono i canali attraverso i quali estendere la coscienza all’intero pianeta. Dove loro esistono, arriva la sua consapevolezza e la sua possibilità di manipolare l’ambiente. E nel suo territorio, Xemnas è una cosa estranea, indecifrabile, un vuoto inespugnabile, un cancro che minaccia la vita con la sua sola presenza.

Non lo ha mai spaventato, neppure nei suoi momenti peggiori. Adesso capisce finalmente perché quest’uomo eccentrico, schivo e svagato è signore di tutti loro. Capisce perché gente come Xaldin e Xigbar non osino discutere la sua autorità, benché discutano con lui spesso e volentieri. Li ha sentiti sbottare furibondi contro di lui, zittirlo e liquidarlo con due parole. Li ha sentiti dirgli di togliersi dai piedi e, una volta, ha persino visto Vexen sbatterlo fuori del suo laboratorio di peso, però, alla resa dei conti, non sfidano la sua autorità.

 

“Xemnas, si fanno scommesse su chi, fra te e Zexion, riesce a scaricare prima ad altri i propri lavori.”

 

Xemnas annuisce con mitezza, mentre risale la passerella della stiva.

 

“Marluxia, se finora hai dormito in un letto invece che in mezzo al fango, lo devi al fatto che noi abbiamo costruito un castello, le navi e tutto quello che ti ha reso comoda la vita. Sempre concesso che, a questo punto, tu fossi ancora vivo. Ti garantisco che le mani me le sono sporcate con ben altro che con qualche scatola da spostare.”

 

 

* * *

 

 

Roxas spalanca le tende e i pannelli che oscurano le finestre. La luce rossastra del crepuscolo perpetuo si riversa nello studio. In alcuni punti, i vetri sono talmente incrostati di sporcizia da essere del tutto impervi alla luce.

 

In un’altra sala, affondata all’interno di quell’edificio, il sequenziatore genetico ha iniziato il suo paziente lavoro di decrittazione per trasformare il suo DNA in una risposta.

Un lavoro lungo, ma lui ha tempo e, intanto, ha altro da fare.

 

Sfiora il tavolo di vetro nero. La superficie si accende di luci e uno schermo olografico si materializza.

Si siede e starnutisce quando è raggiunto dalla polvere che solleva.

Il laboratorio genetico è di una pulizia perfetta. L’atmosfera filtrata e i campi di forze hanno mantenuto l’ambiente asettico. In compenso, la sala dove si trova il computer è in condizioni ben diverse. Nello spesso e soffice strato grigiastro che copre ogni cosa, ci sono le impronte lasciate da lui e da Zexion. Orme e strisciate dove la polvere è stata sottratta e, anche se sono passate settimane da quella visita, non si ancora depositata al punto da nascondere le tracce della loro presenza.

 

Zexion gli ha detto che l’analisi genetica non permette di avere una risposta univoca, che sono molti i mondi dove è possibile trovare una razza umana compatibile a quello che è lui. Che non è possibile specificare ulteriormente, perché la specificità è inghiottita dall’essere un nobody.

Forse è vero. Forse no.

 

Un tocco e lo schermo lampeggia interrogativo.

 

 

¿?

 

 

La tipizzazione mentale è più precisa, ma neppure quella basta e, comunque, gli è preclusa senza Zexion e se Zexion avesse voluto dargli una risposta, lo avrebbe fatto da tempo. Gli aveva anche promesso di dirgli quali sono i mondi sui quali potrebbe essere nato il suo Altro. Una delle cose che non ha mantenuto.

Non importa. Può fare da solo e, anche se la risposta non sarà precisa, non è la sola traccia che ha.

 

 

ricerca = [delfino]

 

termine molteplice

 

selezione = [regno animale ∩ bilatero ∩ ambiente acquatico]

 

 

Lo schermo olografico si trasforma in una serie di immagini e dati. Tutte le specie conosciute di delfini, di qualsiasi mondo e dimensione.

 

 

!ricerca terminata!

 

 

E’ una forma di vita diffusa. Sono tanti i pianeti dove esistono delfini e sono tantissime le razze di quegli animali, anche su ogni singolo pianeta.

Ma quando avrà trovato la giusta specie di delfino e il sequenziamento del suo genoma sarà terminato, gli basterà incrociare le due informazioni per trovare il mondo dove vivono, contemporaneamente, quel delfino e quella variante umana.

Forse non basterà. Forse ci sono molti pianeti con quelle caratteristiche, forse il pianeta giusto non esiste nemmeno più, ma se non fa nulla, non avrà comunque risposta, quindi meglio tentare.

 

Nuvole di polvere si sollevano dal pavimento. Si mescolano alla luce esterna, riempiendo lo studio di foschia arancione.

Una snella e inconsistente sagoma umanoide si muove in un intricato balletto, la sua presenza invisibile rivelata solo dal passaggio tra il pulviscolo in sospensione.

La danzatrice non è del tutto emersa dal piano d’ombra, ma abbastanza da influenzare la realtà materiale più sensibile.

 

Roxas fruga nei ricordi dei suoi sogni, in cerca di qualche particolare in grado per limitare il numero impressionante di informazioni da analizzare.

 

 

selezione = [pinna dorsale assente]

 

!ricerca terminata!

 

 

Il numero di file si è ridotto di oltre la metà, ma sono sempre molti.

 

Due guerrieri siedono immobili sul pavimento, le doppie spade che hanno scelto come armi quando si sono legati a Roxas incrociate con precisione geometrica di fronte a loro, imperturbati dall’attività della danzatrice, anche quando lei li sfiora con il suo passare.

Ora che a Roxas non servono più, i guerrieri gli sono ancora più vincolati. Ma la danzatrice non ha e non ha mai avuto bisogno di lui e, questo, è qualcosa che non si può cambiare nemmeno volendo. Le danzatrici hanno una configurazione mentale non compatibile alla sua. Le loro menti non hanno la frequenza giusta. Come olio e acqua, non possono unirsi. Probabilmente, la disintegrerebbe se tentasse una cosa simile.

Lei non lo segue per ordine, né per necessità.

 

Pensa che sarebbe infastidito se uno dei suoi guerrieri fosse tanto attratto da un altro individuo. Però Demyx lascia alle sue danzatrici più autodeterminazione di chiunque.

Comunque, nessuno dei suoi famigli ha mai mostrato il minimo interesse per altri e lui non può essere sicuro di cosa farebbe in un caso simile.

 

ricordi il tuo nome?

 

Alla domanda del ragazzo, la danzatrice si ferma e si materializza del tutto.

 

?

 

Non ha capito e Roxas sapeva che la sua domanda non avrebbe avuto risposta, ma, per una volta, ha pensato che valesse la pena fare qualcosa di insensato.

 

Nome?

 

“Il tuo nome. Lo ricordi?” chiede di nuovo.

 

nome...

 

“Tu chi sei?”

 

Io!

 

Io è il solo concetto che i nobody inferiori possono riferire a sé stessi e io non ha bisogno di nomi.

Non chiamano neppure gli altri per nome. Nelle loro menti, ognuno è un’immagine, una sensazione, una qualità. Non un nome.

 

A volte, Roxas crede sia proprio questo a distinguerli.

 

Potrebbe darle lui, un nome. Lei ricorderebbe il suono. Potrebbe ripeterlo. Non è muta. Può emettere suoni. Può anche articolare parole. Potrebbe persino imparare a rispondere a quel suono.

Ma non lo assocerà mai a sé stessa.

 

Nome

nome nome nome nome

 

La danzatrice sembra affascinata dalla parola. E’ una cosa nuova con cui giocare, nella sua apparentemente infinita curiosità.

 

 

selezione = [rostro presente]

 

!ricerca terminata!

 

 

Questa volta, la riduzione è meno consistente. Preferisce non effettuare un’ulteriore selezione. Le immagini dei sogni non sono poi così precise e teme di farsi sfuggire la risposta giusta solo per risparmiarsi parte del lavoro.

 

La sua attenzione è catturata dal piccolo involto azzurro abbandonato sulla consolle.

E’ stato lui a lasciarcelo e non l’ha dimenticato. Ha solo perso interesse in quella cosa appena l’ha ottenuta e, in realtà, non gli è mai interessata. L’interesse è stato solo riuscire a ottenerla.

Qualsiasi altra cosa sarebbe andata bene. Non sapeva neppure cosa scegliere. Ha deciso quella attratto dal colore.

E’ stata solo un’interruzione in attesa che terminasse la prima, indispensabile fase di clonazione e amplificazione del campione del suo DNA, per ottenere un duplicato del genoma che non si dissolvesse nel mezzo del sequenziamento.

Un’attesa lunga e noiosa. Avrebbe potuto cominciare subito la ricerca al computer, se non fosse stato per l’impulso improvviso a fare qualcosa che testasse le loro menzogne. Perché fin dall’inizio è stato sicuro che fossero menzogne, ma le certezze devono essere provate. Anche quando si può avere la risposta che non si vorrebbe mai.

 

La cosa più difficile che abbia mai fatto. Una delle poche cose che gli è stata espressamente e ripetutamente vietata di fare.

 

non presentarti mai disarmato di fronte a loro

 

E dopo Zexion, ci sono stati Xemnas e Axel e Larxene e chiunque. Hanno usato parole diverse per dire tutti la stessa cosa.

Ma lui non è mai disarmato. Tecnicamente, non ha nemmeno disobbedito.

 

oso avvicinarmi a questi esseri solo dopo averli studiati a lungo

 

E’ entrato nel negozio, mescolato agli altri clienti.

Gli esseri umani di questo mondo gli assomigliano al punto di poter essere scambiato per uno di loro e le differenze non sono abbastanza evidenti per gente che non conosce altri universi. Però è il pianeta dove nascono tutti loro, dove molti sono morti prima ancora di cominciare a vivere. Gli abitanti non sanno niente dei Mondi, ma conoscono i nobody. Possono riconoscerli.

Ma, per una volta, non ha velato la sua aura, non si è nascosto nelle ombre. E’ solo stato attento a come si comportavano coloro che lo circondavano, pronto a cogliere ogni accenno di ostilità, ogni manifestazione di disagio.

Ancora non capisce le cose che fanno, ma sa come le faranno, e quando, e sa imitarli. Cammina sulle strade dei loro pensieri. Anche senza capire quello che vede, può percorrerle lo stesso, ed evitare i sassi e gli strapiombi.

Con i nobody è difficile. Si lasciano sfuggire solo quello che vogliono lasciarsi sfuggire e, allora, c’è da chiedersi se fidarsi di quello che si sente. Le creature complete sono differenti. Lasciano quasi sempre filtrare qualcosa e, se anche non lo fanno, è facile abbattere le loro barriere o metterli in condizioni tali da far perdere loro il controllo.

Spesso, non serve neanche e bastano i loro gesti, le loro espressioni. Si tradiscono con il corpo come si tradiscono con la mente.

 

ti ucciderebbero, poi si congratulerebbero a vicenda per avere liberato l’universo da un altro mostro

 

L’uomo dietro il bancone gli ha dato la cosa che lui ha indicato, poi si è aspettato qualcosa in cambio.

Quello è stato difficile, con niente ad aiutarlo a fare la cosa giusta. Non imitare le altre persone, non i ricordi, non l’esperienza, non l’istruzione.

Sa cos’è un sistema monetario. Sapere come usarlo è ben diverso.

 

Ha sbuffato, quell’uomo, e lo ha guardato con occhi opachi, contaminati da una spaventosa alterità alienoalienoalieno e, no, non si somigliavano poi così tanto e Roxas ha pensato che, forse, era arrivato al momento e forse hanno avuto ragione, forse non hanno mentito

 

Alla fine, si è risolto a porgere al venditore alcune monete – molto più semplici da procurarsi, quelle. E’ bastato prendersele, come ha sempre fatto quando ha voluto qualcosa dai mondi – mentre, con l’altra mano, tirava il collo del maglione a coprirgli il volto, la testa un po’ bassa per fare che i capelli gli ricadessero sulla fronte, cercando di non sembrare intenzionato a nascondersi a tutti i costi, pur nascondendosi.

Aspettandosi, nonostante tutto, di essere aggredito dai presenti da un momento all’altro. Quasi sperando di essere aggredito.

 

se non ti uccidessero, sarebbero capaci di farti desiderare di essere morto

 

L’uomo si è limitato a prendere una delle monete che gli porgeva e, stranamente, a restituirne altre, poi non lo ha più neppure guardato, l’attenzione rivolta alle persone entrate nel suo negozio.

 

E, adesso, Roxas non è troppo sicuro di che fare di questa cosa, la prova della menzogna.

Amaramente soddisfatto, rabbiosamente contrariato per avere avuto ragione, senza neppure fingere di considerare che, forse, è stato troppo poco tempo a loro contatto perché lo scoprissero.

Non importa. Voleva un risultato e un minuto d’attesa sarebbe stato un tempo fin troppo lungo.

Non lo hanno riconosciuto. Questo basta.

 

Scarta la cosa. L’involto trasparente è appiccicato alla superficie. Quando lo stacca, liquido bluastro sgocciola sul pavimento e sulle dita.

 

La danzatrice si raggomitola sul tavolo e lo guarda intenta.

 

Il ragazzo lecca soprappensiero la scia cianotica di una goccia che cola lungo il pollice.

Sullo schermo del computer, scorrono fiumi di immagini.

Si rilassa nella poltrona e apre la prima scheda.

Sarà un lavoro lungo, vista la mole di dati da esaminare, ma Roxas ha la pazienza infinita di una macchina.

Osserva, gli ha detto Zexion.

E lui lo ha sempre fatto, doverosamente. Così si è accorto dell’imperfezione, quella che rivela l’illusione. Non è neppure una lieve imperfezione. E’ grande come una montagna.

Ha solo voluto ignorarla, finora.

 

Morde il lato inferiore del ghiacciolo, ripulendolo dalle nuove gocce che si stanno formando.

Curioso, ma gli piace.

 

La danzatrice gli sfiora un braccio

 

Canti?

 

 

* * *

 

 

“Vorrei che l’alcol continuasse a fare un vero effetto, invece di questo cazzo di annebbiamento che non serve a niente.” brontola Xigbar.

“Vorresti ubriacarti?”

“Inutile bere, se non mi ubriaco.”

“Allora piantala. Finirai solo per passare la notte a pisciare.”

 

Xigbar sogghigna e riempie il bicchiere appena svuotato.

 

“Xemnas è tornato.”

 

Xaldin lo ignora. Seduto per terra, è intento a riparare l’armatura di uno dei suoi dragoni e la cosa lo occupa abbastanza.

 

“E’ tornato e si è chiuso subito nella sua torre.” insiste Xigbar.

“Lo sorvegli?”

“Se dici così, la fai sembrare una brutta cosa. Io mi preoccupo per lui.”

 

Xaldin allunga una mano e il dragone proprietario della corazza, accovacciato accanto a lui, si affretta a passargli una delle componenti dell’armatura sparpagliate sul pavimento.

 

“Andiamo, Xaldin. Sappiamo cosa succederà, inutile fare finta di niente.”

 

Finalmente, riesce a ottenere l’attenzione del compagno.

 

“Tu non sei sicuro su cosa fare.” afferma Xaldin

“No che non lo sono e sei il secondo che me lo sbatte in faccia.”

 

Xaldin stringe una delle cinghie tirandone un’estremità con i denti.

 

“Tu, invece, sei così sicuro di quello che fai?” chiede Xigbar.

 

Xaldin annuisce.

 

“Avevate ragione.” dice Xigbar “Zexion ha deciso che i completi sono nostri nemici e si comporterà di conseguenza.”

 

La sola risposta che ottiene è un’occhiata poco interessata.

 

“Sì, lo so. Non vi avevo creduto e mi scuso.” prosegue Xigbar “Non stavate esagerando. Me lo ha detto chiaramente. A fermarlo è solo il fatto che i nobody nascono da loro. Nel momento in cui troverà un modo per riprodurre la nostra specie, nessun essere completo sarà al sicuro da lui.”

“Non mi dici nulla che non avevo già capito da solo.”

“Già, ma lui non ha il potere di...”

“Ma Roxas probabilmente sì. Nessuno di noi sa cosa è in grado di fare un keyblade e nessuno di noi ha la misura del potere di Roxas. Forse non adesso, ma quando sarà cresciuto.”

“Stai dicendo che prepara Roxas come arma, contro il resto dell’universo?”

Xaldin si stringe nelle spalle.

“Zexion non si è mai neppure preso la briga di rivolgere una parola a uno dei neofiti, però ha allungato gli artigli proprio su Roxas.”

“Chi altro poteva occuparsi di un caso come quello?”

“Dici che il suo è stato interesse clinico? Xigbar, quasi tutti i neofiti sono stati casi clinici, molti lo sono ancora, ma solo uno di loro è un custode. Otto mesi fa, Roxas era in stato pressoché catatonico. Obbediva in tutto e per tutto e non questionava mai nessuno. Ultimamente... hai fatto caso a lui? Troppi progressi, troppo in fretta. In ogni senso. Anche ammesso si fosse trattato del risveglio di memorie sopite, al massimo avrebbe ottenuto le conoscenze di Sora. Ma Sora non ha un patrimonio culturale degno di nota e men che mai lo possedeva al momento della nascita di Roxas, quando non aveva neppure avuto il tempo materiale di acquisirlo. Roxas non può avere ereditato da lui molto più della capacità di usare i keyblade. Tutto quello che sa lo ha imparato in questa vita e questo significa che qualcuno si è preso il disturbo di insegnargli. E non si è certo trattato di insegnamento ordinario. Ma quando mai è stato necessario preoccuparsi dell’istruzione di una cavia? Se fosse necessario solo come soggetto di studio, o anche solo come sterminatore di heartless, sarebbe stato molto più facile averlo lasciato nelle condizioni iniziali. Non avrebbe senso volerlo rendere più indipendente di quanto non sia strettamente indispensabile, ma Roxas è ben oltre. Zexion ha in mente qualcosa di diverso, per lui. Un suo progetto, uno che non ha discusso.”

“Sì, ma sia tu che lui dimenticate di considerare una cosa.”

“Sarebbe?”

“Roxas. Bisogna vedere se sarebbe d’accordo a farsi trasformare in un macellaio di quella portata.”

“Perché no? Perché a metà di noi piace credere che coccolarlo e giocarci come se fosse un vero bambino è un buon modo per ricordarsi come sia essere umani? Questo è un problema nostro, con niente a che fare con lui e quello che è.”

“Dovrebbe avere un motivo davvero buono per fare una cosa simile.”

 

Xaldin sospira.

 

“Roxas è un custode di keyblade e i keyblade sono armi. Secondo te, qual è il criterio di giudizio di un’arma? Credi che scelga la persona più benevola, quella più comprensiva, la più altruista? Un’arma sceglie chi sa usarla, chi può usarla, chi vuole usarla. Un’arma sceglie un distruttore.”

 

Xigbar fa ondeggiare lentamente il bicchiere e resta a fissare il liquido incolore che vortica.

 

“D’accordo. Mi hai convinto. Probabilmente hai visto giusto e questa è la ragione di Zexion.”

“Quindi...”

“Perché non dovrebbe farlo? Quel ratto vuole chiudere di nuovo le serrande dei Mondi, ma sa che con noi in vita non funzionerebbe. Può tirare su tutti i muri che vuole, possiamo sempre superarli e buttarli giù e rovinare il suo giardinetto pieno di canzoni e buoni propositi. Quindi, non permetterà che i Mondi siano sigillati prima che l’ultimo di noi sia fatto a pezzi. Non possiamo nasconderci per sempre. Prima o poi ci trova e stai sicuro che non si fermerà a noi tredici. Allora perché non dovremmo sostenere Zexion con tutte le nostre forze? Perché cerchiamo con tanto entusiasmo di suicidarci?”

“Perché non esistiamo.”

“Questa immondizia mistica risparmiala per impressionare i bambini, Xaldin. Non sei un selvaggio ignorante. Non far finta di esserlo e non parlare a me come se lo fossi.”

“Tu sai cosa hai davanti? Solo il ricordo di uomo chiamato Dilan, che cerca di pensare e vivere e ragionare come ricorda avrebbe fatto Dilan, ma non può farlo, perché il vero Dilan non esiste nemmeno più e nemmeno il vero Braig. Siamo troppo differenti per essere ancora la stessa persona e non abbastanza diversi da essere due individui distinti. Io sono qualcosa che non ha definizione e se qualcosa non è definita, non esiste. Xaldin non esiste.”

“Zexion è convinto di poter avere una soluzione anche a questo.”

“Sì, me lo hai già detto, e io ribadisco che non la trovo un’argomentazione molto solida.”

“Allora sentiamo la tua solida argomentazione, perché, fino a questo momento, ti ho sentito solo opporti.”

“Ammettiamo che Zexion abbia successo con noi. Ammettiamo che riesca a invertire e stabilizzare anche lo stato degli altri e che costoro non si rivelino dei pazzi incurabili, con quello che hanno passato.”

“Il problema ci sarebbe anche nel caso di un loro ritorno all’umanità.”

“Va bene, allora ammettiamo anche che ogni cosa funzioni senza imprevisti, di nessun genere. Tutto questo non renderebbe la nostra esistenza meno difficile e precaria, non fino a quando saremo cacciati degli esseri completi.”

“Infatti.”

“Infatti. Quindi partiamo per la nostra guerra contro di loro. Anche a non considerare la magnitudine di una cosa simile, e gli heartless, intanto? Si diffondono a un tasso di incremento inconcepibile persino per una colonia batterica. Qualsiasi altro organismo incontra fattori limitanti che ne rallentano la crescita, la interrompono o la invertono, ma quali sono i limiti degli heartless? Non le condizioni ambientali, perché possono sopravvivere in tutti gli ambienti in cui è possibile la vita e in molti di quelli abiotici. Non hanno competitori, visto che nessuna altra entità utilizza e consuma le risorse a cui attingono. Loro, invece, non sono troppo difficili. Esseri viventi, stelle, pianeti. Ognuna di queste cose è solo cibo o un heartless in più. Con tanti Mondi a disposizione, non mi aspetto che si esauriscano troppo in fretta e, comunque, si esauriranno solo quando le ombre le consumeranno tutte. Sono i predatori perfetti e il predatore perfetto muore di fame quando non ha lasciato più nulla da divorare. Ma non sappiamo se gli heartless si estingueranno, una volta esaurite le fonti di Cuori, o se, piuttosto, non continueranno a esistere in un universo vuoto di tutto tranne che di Oscurità. Ma se anche sparissero, a quel punto non vedo a beneficio di chi.”

“Allora vorresti rimettere le cose a posto, come prima? Mi spiace disilluderti, ma quello che facciamo non cambierà natura e abitudini delle ombre e le barriere fra i Mondi non chiudono i sentieri oscuri. Non fermano gli heartless più di quanto non fermino noi. O questo te lo sei dimenticato?”

“No, non l'ho dimenticato, ma con noi e i completi impegnati a scannarci a vicenda, chi potrebbe tenerli sotto controllo? Siamo noi, il loro solo fattore limitante conosciuto. Così, non faremmo altro che dare via libera alla loro completa espansione. Questo è stato contemplato, nei conti di Zexion? E quanto altro non è stato considerato? Finora tutto il suo assunto si basa su un’ipotesi che, lo ammetto, è affascinante come tema di discussione, ma non sufficientemente provata da correre il rischio di applicarla. Con quale certezza? Solo quella di poter sbagliare, come ci siamo già sbagliati a valutare le conseguenze delle nostre azioni, e ritrovarsi in un universo in rovina.”

“Mentre credi che la soluzione di Xemnas sia più fattibile?”

“La considero solo la meno distruttiva.”

 

Inaspettatamente, Xigbar scoppia a ridere. Xaldin lo guarda perplesso.

 

“Non credevo di avere detto qualcosa di divertente.”

“Sì... sì, invece. Mi hai dato una conferma. Lo sai, Zexion potrebbe avere ragione e noi essere realmente entità completamente differenti, che hanno replicato il corpo dei vecchi Braig e Dilan.”

“Potrebbe. Un sacco di cose potrebbero essere.”

“Come ti riconosci? Come sai di essere tu? Grazie alla memoria, grazie ai ricordi di quello che sei.”

“E quindi?”

“Ma se il nobody neonato non ha nulla, tranne le memorie ereditate dalla psiche umana che lo genera, allora come può sapere di non essere lui? Come fai a sapere che non sei realmente qualcosa di diverso?”

“Poiché non puoi dimostrare l’esistenza, cerchi di negare la non-esistenza? Un’ipotesi senza verifica resta solo una congettura, Xigbar. Non basta dire che una cosa è così perché lo sia davvero. Se hai un’ipotesi, sarà meglio che la dimostri e che la dimostrazione sia sostenibile. Altrimenti, è solo una tua opinione. Nessuno te la può togliere, ma, per favore, non avere la pretesa che sia valida.”

“Sei sicuro che a parlare non sia il tuo rancore per Zexion?”

“Noi non proviamo rancori.”

“Complimenti, allora. Reciti benissimo.”

“Chi ti dice che non sto solo continuando a vivere il ricordo dell’odio di Dilan per Ienzo?”

“Dilan non odiava Ienzo.”

“Cosa ti dà una simile sicurezza?”

“Anni di vita insieme.”

“Te ne manca un pezzo. Tu sei morto subito.” ribatte Xaldin “Io non ce l’ho con Zexion, come ami ripetere in continuazione, ma lui ha fatto qualcosa di diverso da noi. Non ha fatto niente, è questa la differenza. Tutti, compreso Vexen, abbiamo cercato di rimediare, in un modo o nell’altro. Lui no. Almeno, io non lo ricordo.”

“E’ quello che vuole fare adesso.”

“Adesso, sì. E nei dieci anni passati, mentre tutti noi ci spaccavamo il culo per trovare una soluzione, non ha mosso un dito. A Zexion non è mai interessato tornare indietro. Non mi pare abbia fatto qualcosa per farmi cambiare idea. Tutt’altro. Adesso c’è Roxas, c’è Sora. Le possibilità di completare il nostro progetto sono aumentate. Anzi, forse solo adesso potrebbe funzionare. E, adesso, Zexion si è messo all’opera per disfare tutto. Una coincidenza curiosa.”

 

Xaldin sta cercando estrarre da una delle componenti articolate della corazza i pezzi di un circuito frantumato, ma un frammento si è incastrato all’interno dello snodo. Fruga con una pinza, tentando di smuoverlo qual tanto da riuscire ad afferrarlo senza rovinare i circuiti vicini, ancora integri.

Preferirebbe potersi concentrarsi senza rumorose interferenze, con la sola compagnia del dragone. Sarebbe anche un modo per rilassarsi, con quel lavoro simile a un rompicapo, ma non è che Xigbar gli abbia dato scelta. Si è presentato nell’officina, bottiglia e bicchiere compresi, e lo ha trascinato in una conversazione che Xaldin cerca di evitare da settimane.

 

“Tu non hai paura che Zexion ci abbia raccontato balle, che menta, che fallisca. Hai paura che abbia ragione, che riesca in quello che ha promesso.”

“Xigbar, forse non sono stato chiaro. Non voglio restare in questa schifosa mezza vita, ed è questa la soluzione di Zexion e degli altri due. Io non li aiuterò.”

“E se fosse davvero impossibile tornare umani? Se davvero significasse sparire?”

“Mi fa meno paura che restare così.”

“Quindi non hai nulla da perdere e, quando non hai nulla da perdere, ogni cosa che ottieni è un guadagno, vero? Perché non chiedi agli altri cosa preferirebbero? Chiedilo a Demyx o a Marluxia. Anzi, chiediamolo a lui.” indica con un cenno il dragone “Tu! Preferisci sparire o restare in questa schifosa mezza vita?”

“Sei stato il primo di noi a sostenere Xemnas. Non credi sia un po’ tardi per tornare indietro?” domanda Xaldin, distogliendo l’attenzione di Xigbar dal nobody.

“Perché? C’è un limite dopo il quale non si può più ammettere di avere sbagliato, o che ci sono altre strade?”

“Cosa è cambiato, da allora?”

“Tutto. E’ cambiato tutto. Abbiamo nuove informazioni. Ed è cambiato Xemnas.”

“I nobody non cambiano.”

“Il solo modo per non cambiare è crepare. Xemnas sta crollando. Di fronte agli altri mantiene ancora il controllo, glielo concedo, ma è solo una commedia. Ti basta guardarlo con Roxas. Fra loro è successo qualcosa, questo è chiaro, e se un uomo e un bambino si tengono il muso per qualcosa che conoscono solo loro, a me vengono dubbi sull’uomo, non sul bambino. Se poi da quell’uomo dipende la mia vita, scusami tanto, ma comincio a preoccuparmi.”

 

Finalmente, Xaldin riesce ad allentare il pezzo e tirarlo fuori dall’alveolo. Un soffio d’aria ripulisce la corazza anche dai residui più minuti di vetro e metallo, e può inserire il circuito di ricambio.

Non scoraggerà Xigbar solo ignorandolo. Potrebbe ricorrere alla forza, ma servirebbe solo a portare il confronto a un nuovo livello di ostilità, senza avvicinarlo di un passo all’agognato silenzio.

D’altra parte, anche sfuggire a Xigbar adesso, vorrebbe solo dire rimandare il discorso a un’occasione forse anche meno gradevole.

 

“Xemnas è quello che trova le soluzioni, Xaldin. Deve trovare soluzioni, deve avere sempre la mente occupata, quindi ha bisogno di un problema, ed è meglio che sia qualcosa di ordine pratico o comincia a dare i numeri. E’ sempre stato così. Ma quando non abbiamo più corso il rischio di morire di freddo o di fame a ogni ora, o essere scannati da qualche contadino troppo zelante, gli è rimasto troppo tempo libero e il problema se lo è creato lui. Un problema la cui soluzione è così teorica e astratta e lontana, forse impossibile, che, alla fin fine, non conta neppure. Quello che conta è la metodologia di risoluzione. Ormai, lo scopo è diventato più importante delle persone stesse a cui dovrebbe servire.”

“Stai suggerendo che la soluzione alla crisi attuale sarebbe tornare a vivere in capanne di paglia e fango e mangiare cani randagi?”

 

In risposta, Xigbar inghiotte un altro sorso.

Xaldin decide di pensarci seriamente, almeno per qualche secondo.

 

“Xigbar, è una soluzione del cazzo persino per te.”

“Sono ubriaco.”

“Noi non ci ubriachiamo.”

 

Xigbar posa il bicchiere sul tavolo, materializza una delle sue armi e la punta sul dragone. Il nobody non ha reazioni esteriori percepibili, ma è subito allarmato. Sufficientemente all’erta da riconoscere la minaccia, incredulo per la sorgente da cui ha origine, confuso dal comportamento dell’uomo, incapace di capirne la ragione.

 

???

 

“Xigbar…” mormora Xaldin.

“Noi non odiamo, non cambiamo, non ci ubriachiamo.” ribatte Xigbar, mentre sfiora la sicura.

 

Il dragone brancola per aprire un varco e allontanarsi, ma il controllo di Xigbar sullo spazio e la sua superiore volontà gli chiudono ogni porta. La paura della creatura si riversa nell’anima di Xaldin in un fiume che odora di sangue vecchio.

 

Signore perché?

 

“Noi non dovremmo fare un sacco di cose. Non dovremmo neppure essere qui.”

“Xigbar, non scherzo.”

“Ne ho pieni i coglioni di quello che non dovremmo.”

 

perchéperchéperchéperché?

 

“Ti ho fatto una domanda, prima.” sibila Xigbar, rivolto al dragone “Rispondi. Vuoi sparire? Posso accontentarti subito, senza farla tanto lunga. La finiamo qui, adesso.”

 

Xaldin aggancia una delle gambe della sedia con un piede e la strattona con violenza, tanto da rovesciarla.

Xigbar sbotta in un urlo, sorpreso al punto da non avere la prontezza di riflessi necessaria ad annullare la caduta. Si aggrappa al bordo del tavolo e riesce solo a trascinarsi addosso anche quello, insieme al bicchiere e alla bottiglia.

Il dragone ne approfitta per svanire.

 

“Tocca uno dei miei e non arrivi a vedere la fine di questo casino.” esclama Xaldin.

 

Xigbar solleva la testa, come per replicare, ma, alla fine, si accascia a terra, sbuffando.

 

“Ha ragione lui. Piace a tutti nascondersi sotto le buone intenzioni.”

 

Tasta alla cieca sul pavimento, fino a quando tocca il bicchiere rovesciato al suo fianco.

Xaldin osserva disgustato quella recita di pretesa ignoranza. Come se Xigbar non avesse sempre completa e perfetta cognizione dello spazio intorno a lui e di ciò che lo occupa.

 

“Francamente, non capisco a dove vuoi arrivare, Xigbar. Vuoi convincere me che ho torto o vuoi convincere te stesso di avere ragione? Oppure vuoi che sia io a convincere te che, alla fine, la scelta che hai già preso è quella giusta?”

 

Xigbar resta sdraiato sulla schiena, a fissare il soffitto traslucido, in una pozza di liquore rovesciato.

Con il palmo di una mano, fa rotolare avanti e indietro il bicchiere.

 

Il dragone fa la sua ricomparsa. Non si materializza del tutto e sonda con diffidenza la situazione, nascosto nel piano d’ombra.

Non lo salverebbe, non se Xigbar fosse davvero intenzionato a colpirlo, ma l’uomo sembra avere perso lo spirito battagliero e ogni interesse per il nobody.

Xaldin preferisce tenerlo d’occhio, giusto per eliminare sul nascere qualche altra alzata d’ingegno.

 

“Sai a cosa ho pensato, Xaldin? Se anche dovessimo tornare a casa, quanto credi ci metteremmo a trovare un altro modo per mandare tutto all’aria?”

“E quindi? Tanto vale non fare niente, perché comunque, prima o poi, ci troveremmo nella stessa situazione? Adesso mi hai convinto che sei ubriaco.”

 

Xigbar si rialza. Guarda schifato il liquore che gli si è rovesciato addosso, la macchia bagnata e maleodorante su camicia e pantaloni.

 

“Dovrei farli lavare a te, questi.” brontola, mentre solleva i mobili caduti e si mette di nuovo seduto al tavolo “Dunque, sei convinto che siamo in grado di provare qualcosa solo se l’abbiamo provata nella vita umana, solo per gente che abbiamo conosciuto nella vita umana.”

“Se non fosse così, i neofiti ci avrebbero già tagliato la gola da anni, perché la sola cosa che ci lega a loro sono vite e mondi cancellati.”

“Se fosse così, adesso non dovremmo preoccuparci. Xemnas e Zexion farebbero fronte comune e tutto finirebbe bene con noi che vinciamo la mano, come al solito. No, Xaldin. Vogliamo che il passato sia più importante del presente e quello che noi vogliamo, noi facciamo. Tutto qui. Ma cambiamo anche noi. Le amicizie più forti sono diventate indifferenza. A questo credi, vero? Allora le amicizie più forti possono anche diventare odio. Non siamo immuni al risentimento, per niente. Lo trasformiamo in una scienza applicata.”

“Io almeno so cosa farò e conosco le ragioni per quello che faccio. Tu, invece, non prendi decisioni sulla base di quanto le cose ti sembrano convincenti, ma solo per evitare danni a qualcuno.”

“Te lo ripeto. Non voglio alzare le mani su uno di noi.”

“Questa volta non funzionerà, Xigbar. Questa volta non vale tirarsi indietro e non scegliere. Si scanneranno a vicenda e tu non saprai chi fermare, perché quello che hai salvato non farà altro che passarti davanti e fare a pezzi quello che tieni fermo per impedirgli di ucciderlo.

 

Xigbar riempie nuovamente il bicchiere, tanto da farlo quasi traboccare, ma non beve. Lo rimette sul tavolo e resta a fissarlo.

 

“Cazzo! Xaldin, non mi rendi per niente le cose più facili.”

 

 

* * *

 

 

“La progressione segue lo stesso andamento già rilevato in Roxas.” osserva Vexen.

“Le varie fasi si sono succedute con una maggior rapidità, ma, essenzialmente, l’intero processo è una ripetizione di quello riportato in lui.” conferma Zexion.

 

Lexaeus si allunga verso il computer e fa ripartire la sequenza che documenta l’intero processo.

Una serie di correzioni effettuate sulla struttura mentale di Zexion, minuscoli arrangiamenti quasi impercettibili nel loro manifestarsi esteriore.

Talvolta, addirittura, sembra regredire a una fase precedente. Ma le correzioni si sommano, finché non raggiungono il livello dopo il quale gli effetti si esprimono secondo il principio del tutto o niente. A quel punto, il cambiamento di stato diventa irreversibile. Il reticolo mentale si rettifica in una sola volta, in una curiosa azione speculare e contraria al processo di degenerazione.

 

“Come vi avevo detto,” prosegue Zexion “al meccanismo diretto di risposta agli stimoli, abbiamo sostituito una reazione transitiva, mediata dai ricordi di come abbiamo reagito a essi in una situazione equivalente. C’è quindi una perdita inevitabile di segnale nella risposta, ma non solo. I ricordi sono comunque prodotto di una nostra elaborazione. Abbiamo quindi come unico metro e scala di riferimento noi stessi. In pratica, un sistema chiuso che si autoalimenta. La conseguenza è che tendiamo a interiorizzare gli eventi, riconducendo la loro causa solo a noi. Questo sistema di valutazione lo applichiamo a tutto. Se qualcosa non va, pensiamo che siamo noi che sbagliamo a valutarla, non che quella cosa sia errata. A partire dall’ormai annosa questione delle emozioni. Eventi riconosciuti non ci provocano reazioni riconducibili a quelle cui siamo abituati, quindi c’è qualcosa che non va in noi.”

“E questo è un problema.”

“Questo è autolesionistico, Vexen. Sarebbe molto più funzionale alla sopravvivenza effettuare il salto valutativo. Non proviamo per gli eventi che riconosciamo le sensazioni nel modo in cui siamo abituati perché il modo in cui siamo abituati appartiene a un’altra persona. E se l’universo ha deciso che noi non andiamo bene così come siamo, dovremmo pensare che è il resto dell’universo a sbagliare, non che siamo noi a essere sbagliati. Da un punto di vista strettamente logico, le affermazioni hanno lo stesso valore. Da quello psicologico, la differenza è abissale.”

“Quindi, adesso, dovresti avere aperto il circolo.”

“Ho collegato i canali che alimentano quel circuito all’esterno, cioè l’ambiente attuale.”

“Come ti senti?” chiede Lexaeus.

“Prego?”

“Come ti senti?”

 

Il giovane ha un’espressione un po’ sorpresa. Mantiene quell’aria stupita per un tempo sufficiente a che Lex si chiede se non ha, inavvertitamente, pungolato la sua imprevedibile irritabilità, poi scrolla le spalle e riprende la sua esposizione.

 

“Noi siamo manifestazioni di Crepuscolo. In effetti, molto meno puro di quanto non lo siano gli heartless come manifestazioni di Oscurità, ma comunque abbastanza squilibrato da rendere impossibile la nostra persistenza materiale se non è sostenuta da un’ininterrotta azione di volontà, che, ovviamente, non è priva di un costo energetico. E, poiché la nostra volontà è legata intrinsecamente alla nostra forza vitale, questo significa che parte di quest’ultima è continuamente dissipata solo per mantenerci solidi. Una delle conseguenze più evidenti è che i nobody morti di dissolvono in stringhe di Crepuscolo, esattamente come gli heartless si dissolvono in Oscurità, in quanto cessa la volontà che mantiene insieme la forma materiale. Altra percentuale della nostra forza è impiegata invece per evitare di degenerare. Noi abbiamo una struttura mentale estremamente elastica, ma con un limite di snervamento piuttosto basso rispetto agli esseri completi. Il problema è che il nostro campo di tensione potenziale è già stabilmente occupato dallo stress necessario a esistere. Ora, però, il mio continuo psicologico ha raggiunto l’equilibrio, non più il metaequilibrio. Per un nobody non esiste condizione che necessita meno energia per essere mantenuta, al punto che, per farmi degenerare, occorrerebbe fornirmi di una tale quantità di energia che il risultato sarebbe altamente sbilanciato. Qualsiasi perturbazione mi riporterebbe allo stato attuale. Quindi, quella forza che prima era dissipata per mantenere forma e mente umana, è adesso disponibile e, con una maggior quantità di forza disponibile, anche lo stato di tensione fisica si è notevolmente abbassato. Secondo te, come mi sento, Lex? Mi sento libero dalla paura che ogni giorno sia l’ultimo della mia vita, che ogni volta che mi guardo, sia l’ultima volta che mi riconosco.”

 

Ce l’ha fatta e Lexaeus deve ammettere che, fino a questo momento, non è stato sicuro di crederci.

Roxas poteva essere solo un aberrazione, ma ora hanno un secondo caso positivo, il secondo caso positivo su due tentativi.

Lo stesso Zexion lo deriderebbe, dicendo che è caduto in uno degli errori valutativi più comuni, che non si tratta di un successo del cento per cento. Sono solo due casi e due casi non sono nemmeno lontanamente significativi.

Vexen non farebbe altro che aggiungere i suoi rimproveri all’ironia del giovane.

Avrebbero ragione, lo sa anche lui. Però, in qualche modo, adesso riesce quasi a convincersi che possono farcela.

 

“C’è un’altra cosa che mi premeva farvi vedere.” prosegue Zexion “Tutti i nobody, noi compresi, sono spinti a formare strutture mentali composte che riducono le tensioni di campo, seguendo due distinti meccanismi, diversi secondo il rango del nobody coinvolto nella rete. E’ la pulsione più forte conosciuta in un nobody, talmente forte da poter essere paragonata alla pulsione riproduttiva di molti organismi completi.”

“Tu hai sempre rifiutato qualsiasi tentativo di legame con altri nobody, persino quelli a te compatibili.” obietta Vexen.

“Perché hai una così bassa considerazione dei miei eterei?” chiede Zexion.

 

Richiamato dall’attenzione del suo signore, un etereo si materializza, nella forma di una pozza di liquido che sgorga dal pavimento.

 

“Intendevo nobody superiori, non quelle...”

“Persone, Vexen. Sono persone. Ti consideri un essere umano, o quello che ne resta. In realtà, siamo neoformazioni di Forze. Più si scende di rango, più i nobody sono affini alla massa di Forze indifferenziate. Noi abbiamo una struttura e un’identità che riconosciamo come nostre. Non sono solo io. Sono Zexion. Dice chi sono, non cosa sono. Eccetto noi, nessun nobody è in grado di riconoscere un proprio nome. Hanno consapevolezza di un’individualità, ma non abbastanza particolareggiata per quello. La loro volontà non è sufficiente a obbligare le Forze a fissarsi in una forma fisica e psichica complessa come la nostra. E’ un’organizzazione più semplice, la loro, meno diversificata. Gli eterei sono i più primitivi di tutti. Hanno una coscienza di sé sufficiente a non disperdersi, non ad ancorare la propria forma. Ma hanno sensi tanto discriminanti da percepire ogni mutamento ambientale e i mutamenti sono continui e inarrestabili, lo sai, Vexen. Nemmeno quando dormono possono sottrarsi al diluvio di informazioni che si riversa loro addosso. Cercano di adattarsi a un ambiente privo di qualsiasi costanza, ma è come pretendere che un fisico senza difese immunitarie combatta efficacemente un’infezione. Ecco cosa sono gli eterei. Persone molto malate. Pensa così e forse ti renderai le cose più facili. E pensa anche che io e Roxas potremmo guardare a tutti voi come voi guardate agli eterei, perché, al momento, è questo il rapporto fra noi.”

 

Vexen sbuffa, irritato. Di tutti, lui è quello che meno ha tolleranza per gli eterei. No, di tutti, è quello che ha meno tolleranza per qualsiasi nobody, qualsiasi essere umano, qualsiasi creatura non sia sé stesso. Infastidito dalla loro irragionevolezza, dal loro umore, dalla loro imprevedibilità. Qualche volta, Lexaeus è pronto a credere che Vexen sia disturbato solo dall’altrui esistere e, allora, si chiede perché il suo vecchio amico non si sia dedicato a una scienza più consona al suo carattere, lo studio di qualcosa più contenibile, più semplice degli esseri viventi. Qualcosa privo di quelle varianti incontrollabili e deprecabili come determinazione e desideri e paure. Qualcosa che non si ostini a imporre all’universo il proprio volere. Qualcosa che risponda sempre come previsto.

Ma non è lui a poter questionare le contraddizioni di Vexen, che non sono certo meno irragionevoli delle sue.

 

Intanto, Zexion ha ricominciato a parlare.

 

“La volontà può assumere tutti i valori continui di un insieme, ma si esprime in quantità discrete, cioè quelle di un valore fondamentale non ulteriormente suddivisibile, un quanto, oppure dei suoi multipli. Ecco perché i nobody sono suddivisi in classi definite e non in forme individuali. Se osserviamo gli schemi mentali degli svariati ordini di nobody, vediamo che la struttura si fa progressivamente più distorta. Dalla nostra, relativamente regolare, a quello dei crepuscolari, dove le distorsioni sono tali che l’intera struttura è al limite della dissoluzione. Tra questi due estremi, troviamo tutte le situazioni intermedie. Il nostro è lo stato che richiede maggior energia per essere mantenuto, mentre quello dei crepuscolari è il meno dispendioso, il che potrebbe erroneamente far pensare che siano i più vicino alla stabilità. Non è così, perché occorre valutare il rapporto fra energia necessaria e quella disponibile. Diciamo che manteniamo la regolarità della nostra mente a forza, contrastando i fenomeni distorsivi che tendono ad alterarla o a disperderla. Più vogliamo mantenerla regolare, più occorre forza. Noi siamo i nobody che possiedono una maggior quantità di energia potenziale utilizzabile, ossia un più ampio campo di tolleranza allo stress. Energia che decresce man mano si scende di rango. Per usare un paragone, immaginiamo una scala, ogni gradino più largo ma più ripido e più difficile da raggiungere di quello sottostante. Noi siamo sul gradino più alto, sotto troviamo i guerrieri di Roxas, poi gli stregoni di Xemnas e così via, sino ad arrivare ai crepuscolari, che sono al livello più basso della gerarchia. Sotto quell’ultimo scalino si apre un abisso. L’ampiezza del gradino permette una certa stabilità locale, ma se il sistema è scosso con forza sufficiente, possiamo superare il bordo e precipitare. Ora, se noi cadiamo, abbiamo grandi probabilità di finire su uno dei gradini inferiori, cioè degenerare in una forma minore, ma ancora vitale. Probabilità che decresce per i nobody sotto di noi. I crepuscolari, se cadono, possono solo finire nello strapiombo. Un crepuscolare non può degenerare. E’ già al punto di massima deformazione possibile della struttura mentale. Un ulteriore stress lo porta alla dissoluzione, perché a quel punto non ha energia per mantenere la sua forma fisica. Quello che potrebbe capitare anche a un nobody superiore, noi compresi, se usassimo tutta la nostra forza vitale. Salteremmo tutti gli stati inferiori di metastabilità e raggiungeremmo direttamente il punto di frattura, invece che di deformazione plastica. Se, per così dire, facessimo un salto tale che ci permetterebbe di superare tutti i gradini sotto di noi e raggiungere direttamente l’abisso. In un legame mentale, il nobody di rango inferiore condivide l’energia potenziale di quello superiore. Il superiore, invece, acquisisce una superficie su cui disperdere le tensioni. Per entrambi, è un surrogato alla stabilità che manca. Dal punto di vista personale, è interpretato come un... sentirsi meglio, Lexaeus. Quindi, siamo spinti a ricercarlo. Non è molto diverso dall’appagamento sessuale.”

 

L’etereo che staziona nella stanza sta assumendo una forma che può definirsi solo come il tronco di un animale con otto zampe da artropode e nessuna testa.

Masochisticamente, Lex cerca il contatto mentale con la creatura.

 

 

scivolascivola la terrascivola ondeggia luce troppa luce poca luce niente luce perché non c’è luce signore delle ombre la mia testa si dilata la terra scivola cado non posso respirare non posso vedere non posso sentire

 

 

Tranne Zexion e Roxas, che li tratta con la disinvolta familiarità con cui un bambino umano tratterebbe le proprie governanti, nessuno è in grado di sopportare a lungo una relazione con quegli esseri proteiformi, i più alieni di tutti i nobody, nel pensiero come nell’aspetto.

 

 

la mia testa devo respirare aiutami non possononpossonon cadocadocado mi gonfio esplodo mi contraggo mi gonfio dammipace

 

 

Il mondo degli eterei muta senza pausa ed essi mutano in risposta per cercare un equilibrio impossibile. E’ come essere in piedi su una barca in balia della tempesta, senza timone e senza remi.

 

 

muri di vetrobianco denti dacciaio voglionodivorarmiconsumarmi dammipacedammipacedammipacedammipace odore di sudore acido gastrico erba tagliata

NON POSSO RESPIRARE

 

 

Con un brivido, Lexaeus si ritrae da quella orribile disturbante creatura, dai suoi orribili disturbanti pensieripercezionisensazioni, da quella terrificante incostanza, dalla certezza di essere sempre sul punto di disperdersi in un universo senza riferimenti.

Dalla fame. Una fame insaziabile di identità.

 

Zexion richiama l’etereo e la creatura risponde allungando quattro delle innumerevoli zampe articolate che si sono moltiplicate trasformandolo in una cosa che è un incrocio fra un riccio di mare e un ragno, una bocca irta di zanne spalancata sulla schiena.

Fra i due, scorre un flusso di pensieri e sensazioni a una frequenza superiore quella che Lexaeus può decifrare. Sa solo che c’è uno scambio di informazioni, e l’etereo torna alla sua ordinaria, grottesca forma.

 

“Gli eterei sono ottimi famigli.” mormora il giovane “Sono molti, la loro rete mentale talmente ampia da avermi garantito un elevatissimo grado di metastabilità, si adattano a qualsiasi ambiente e circostanza e, grazie alle loro capacità mimetiche, sono i migliori agenti che si possono desiderare. Sono sufficientemente intelligenti e individualisti da essere in grado di elaborare piani e tattiche e il loro modo di percepire è interessante.”

 

Nauseante sembra a Lexaeus un termine più adeguato.

Non riesce in nessun modo a capacitarsi come sia possibile provare un qualsiasi benessere dal contatto con quegli esseri. Non riesce neppure a immaginare come si possa volere un contatto.

Ma lui non è Zexion.

Lex può solo immaginare che ricompensi i suoi seguaci con l’estemporanea illusione di concretezza e ordine in un mondo che è solo un incubo allucinato, e sia ricambiato con quel diluvio di sensazioni, perché è sicuro che quello che cerca in loro non è mai stato solo un surrogato di stabilità.

E’ stato Zexion stesso a rivelargli che, per lui, smettere di percepire significherebbe la morte. Si sarebbe meravigliato di una simile confessione di debolezza, se lo fosse stata realmente. Non c’è modo di isolarlo, se non uccidendolo, così, in realtà, la sua frase annulla sé stessa.

Di tutti loro, Zexion è probabilmente il più carnale, il più congiunto al mondo fisico, forse persino più di Marluxia. E’ proprio il suo legame con la realtà, così stretto e preciso, ciò che lo ha reso tanto adattabile. Ma quel legame deve essere alimentato e, forse, per lui la follia degli eterei è solo una sorgente da cui attingere.

 

La luce bianca e sterile si riflette sulla testa del giovane e ne rende i capelli chiari quasi quanto quelli di Xemnas, quasi dello stesso colore.

Una caratteristica fisica insignificante, nella variabilità dei Mondi.

Ma sul loro pianeta non è mai stato solo un colore di capelli. Non quello di Ienzo, non quello di Xehanort. Uno stendardo, più che altro, o un avvertimento. Come le livree appariscenti di certi animali velenosi.

Si è sempre chiesto se davvero, o quanto, sia possibile capire gente come Ienzo e Xehanort, o Zexion e Xemnas. O se loro sono davvero in grado di capire quelli che li circondano. Qualche volta, è certo che la risposta è semplicemente no e ogni tentativo di comprensione è destinato a fallire.

Ma è troppo facile crederlo. Troppo simile a volerli bollarli di mostruosità.

Come se essere troppo intelligenti, troppo forti, troppo abili, troppo oltre gli stretti confini della mediocrità, sia possibile solo se qualcosa di orribile compensi l’eccezionalità. Una vita spaventosa, qualcosa di distorto, qualcosa di innaturale, sbagliato.

La verità è che Ienzo e Xehanort erano diversi, e sono diversi Zexion e Xemnas, e gli eterei, e in loro non c’è nulla di innaturale o sbagliato, non più di quanto non ce ne sia in chiunque. Le sole cose mostruose sono la paura e le reciproche incomprensioni. Anche quando paura e incomprensione appartengono a lui.

 

“Ora,” continua Zexion “a parte problemi di compatibilità specifica, mentre per noi e per i crepuscolari è relativamente indifferente a quale rango appartengono gli elementi a cui unirsi, per un nobody di rango intermedio la situazione è più complessa. Entrando a far parte di una rete mentale, gli individui di rango inferiore perdono libertà. Devono quindi avere la convenienza per farlo. Diventa un gioco di rapporti fra guadagno e perdita, al punto di discriminare non solo fra classe, ma fra individui. E’ la ragione per cui, man mano che si scende di rango, i nobody hanno sempre maggior facilità di legame con i superiori. Ai crepuscolari conviene attingere da qualsiasi fonte disponibile, perché la loro è una condizione limite. La stessa cosa può dirsi per gli eterei. Sono legati a me, ma potrebbero unirsi a chiunque, se solo altri li accettassero. I guerrieri, d’altro canto, i nobody più vicini al nostro stato, si legano solo a Roxas e, fino al suo arrivo, ogni tentativo di condurli a noi è stato infruttuoso. Perché nessuno possedeva sufficiente energia mentale da rendere loro proficuo il legame. Avrebbero sacrificato la loro indipendenza per un guadagno ben scarso. Per noi, naturalmente, è impossibile ottenere energia da altri nobody.”

“Suppongo che il tentativo di soggiogare un altro nobody umano sarebbe disastroso.” lo interrompe Vexen.

Zexion sorride debolmente.

“Non mi azzardo a sperimentare. A parte che esiste una notevole coercizione repulsiva nei confronti di una simile azione, ho effettuato diverse simulazioni e il risultato è il reciproco annientamento. Un legame è una scelta spontanea da parte di tutti gli elementi, a prescindere da rango e forza. Sappiamo bene cosa succede, ogni volta che tentiamo di assoggettare un nobody, persino un crepuscolare, contro la sua volontà.”

“Si lascia distruggere.”

“Sì, esatto. Ogni tentativo di forzare un legame, chiunque lo abbia iniziato, termina con l’uccisione del soggetto di rango inferiore. Se gli individui coinvolti avessero un livello di forza comparabile, il risultato sarebbe altamente squilibrato. Un conflitto irrisolvibile con conseguente aumento dell’instabilità, invece che una sua riduzione. Comunque, in questi tre mesi ho monitorato le ripercussioni della stabilità di Roxas sui suoi guerrieri. L’effetto più palese è che le loro file non hanno subito nessuna perdita per degenerazione. Ma c’è stata anche una trasformazione nella configurazione della mente composta. Di partenza, una qualsiasi rete mentale può essere rappresentata come un sistema orbitale multiplo. Il nobody di rango superiore al centro, gli altri nella sua orbita, ognuno dei quali può, a sua volta, essere il centro di un suo sistema. Nel caso di Roxas, la struttura è diventato uno schema quasiperiodico, con interessanti proprietà geometriche. Consideriamo l’insieme degli schemi mentali degli individui che compongono la rete mentale come una struttura regolare in uno spazio di dimensioni superiori a tre. Se effettuiamo una sua sezione lineare con uno spazio di dimensioni minori, e proiettiamo su questa sezione ogni punto della mente composta, rappresentato da un individuo, otteniamo lo schema quasiperiodico. In realtà, la mente composta, così come appare, è solo la proiezione di una struttura completamente regolare di un sopraspazio a dimensioni maggiori, che ripete la struttura a reticolo cristallino della mente di un nobody.”

“Una simile struttura sembra troppo complessa per essere casuale, soprattutto visto che conformazioni periodiche e semiperiodiche si ripetono con frequenza negli enti naturali.” afferma Vexen “Mi azzarderei a dire che questa è un’ulteriore conferma deduttiva che non siamo una forma alterata degli esseri umani.”

“Questo, e quella che sembra una nostra caratteristica unica, cioè la completa mancanza di istinti. Si inserisce senza paradossi in un modello dove non solo siamo una forma di vita indipendente, ma anche nuova. Gli istinti sono schemi di comportamento fissati geneticamente, invariabili, stereotipati, caratteristici di una data specie, evoluti per rispondere a determinati stimoli, in mancanza dei quali non si attivano. In presenza dello stimolo giusto, un istinto si svolge in modo identico e costante in tutti gli individui della specie in cui si è evoluto ed è strettamente legato alla sfera fisica. Noi siamo fisicamente differenti dagli esseri umani. Anche se avessimo replicato gli istinti di chi ci ha originati, le differenze basterebbero a interrompere il circuito fra schema comportamentale innato e innesco ambientale che lo attiva. D’altra parte, come entità recenti, non possiamo avere istinti nostri, dato che è mancato il tempo perché si siano evoluti. Anche l’ipotesi che siamo generati come riflesso dell’essere umano stesso, plasmato sul modello di una condizione differente preesistente nella memoria razziale di coloro che ci hanno generati, li esclude. Tutto porta a pensare che, in origine, i Cuori non fossero presenti negli esseri umani e negli altri organismi che attualmente li comprendono, ma questo non farebbe di noi individui di una di quelle specie, quindi non potremmo avere i loro istinti. Le pulsioni, d’altro canto, sono elementi psichici che producono uno stato di tensione per spingere l'organismo a una determinata attività o a perseguire un determinato obiettivo, tramite comportamenti modificabili dall'esperienza dell’individuo e dalle condizioni ambientali cui è sottoposto. Cosa basilare, molte pulsioni sono condivise da gran parte degli esseri viventi. La pulsione di sopravvivenza, ad esempio. Abbiamo la motivazione a sopravvivere, ma come lo facciamo, non è determinato. Possiamo fare affidamento sulle pulsioni dei nostri... Altri, così come possiamo fare affidamento sulle conoscenze da loro accumulate, anche quando si tratta di conoscenze inconsce. Purtroppo, temo di dover aspettare per occuparmi di quest’aspetto. Il tempo continua a mancare e posso limitarmi solo alle conseguenze pratiche.”

 

C’è qualcosa molto simile alla sofferenza, nella voce di Zexion, e questo è qualcosa che Lex può condividere. Ha intravisto qualcosa di affascinante e lo deve abbandonare per dedicarsi alle pressanti necessità della sopravvivenza.

 

“Per quanto riguarda i miei, è ancora presto per rilevare un qualche significativo cambiamento di tendenza alla degenerazione individuale, ma la mente composta ha assunto la configurazione di quella di Roxas. Il cambiamento è stato subitaneo, una conseguenza immediata alla rettificazione della mia stessa mente. Ricordate quel rompicapo di moda a Radiant Garden, quel cubo snodabile colorato? Il metodo per risolverlo consisteva in una serie di passaggi successivi che, fino a un certo punto, portavano a progressi davvero minimi. Addirittura, certi passaggi annullavano apparentemente tutti gli avanzamenti fatti sino a quel momento. Poi bastava una sola mossa e le facce si sistemavano, ognuna del suo colore. A quanto pare, noi funzioniamo nello stesso modo.”

“Sei ancora sicuro di poter invertire il loro stato?” chiede Vexen.

“Non lo sono mai stato, ma sono sicuro di volerci provare. Geneticamente, i nobody di rango inferiore non sono diversi da noi, né sono diversi fra loro, se non per le differenze d’origine e, chiaramente, le normali differenze che si riscontrano in individui differenti. La loro condizione è determinata da uno stato mentale.”

“Mi sorprende sentirti considerare le condizioni mentali meno determinanti di quelle fisiche.”

“Tutt’altro. Sul piano corporeo siamo molto più forti e resistenti di qualsiasi essere completo, ma non si può dire la stessa cosa sul piano psicologico. In noi, i traumi della mente agiscono con maggior violenza, gravità e immediatezza rispetto a quelli puramente materiali e si manifestano sull’esistenza fisica, molto più di quanto non lo facciano per loro. Le nostre peggiori ferite sono quelle dell’anima e non c’è nulla di metaforico, in questo. Ma la stessa corrispondenza più volgersi a nostro favore. L’esistenza corporea è vincolata alle condizioni della mente in negativo, ma anche in positivo, e la mente è molto più duttile, molto più capace di riparare a danni in apparenza insanabili.”

“I nobody ottenuti artificialmente sono sempre stati crepuscolari.” obietta Lexaeus “Non contraddice la tua ipotesi? Sarebbe più logico supporre che dovessero essere tutti di alto rango. Se persino Roxas, privo di memoria cosciente, ma, come tu hai fatto ripetutamente rilevare, non di memoria inconscia, ha sviluppato spontaneamente una rete di nodi di dispersione capace di ammortizzare le tensioni, a maggior ragione una situazione simile si sarebbe dovuta riscontrare nei nobody ricavati dagli embrioni, nati, praticamente, in condizione di nobody, senza alcun ricordo, consapevole o meno, a indebolire la loro volontà.”

“Sì, se le vestigia di vita umana rappresentassero il solo fattore limitante, ma non è così. Può essere la stanchezza, la fatica, l’esaurimento della propria energia vitale. Tutti elementi in grado di scatenare la degenerazione nel caso di un nobody preesistente, oppure di impedire il raggiungimento di un livello di energia potenziale necessario allo stato umanoide, come capita alla stragrande maggioranza dei nobody. Ricordiamo che non solo ci sono molti fattori che possono farci cadere dai gradini, ma ce ne sono almeno altrettanti che non permettono neppure di salirci. Qualsiasi situazione di stress può portarci al limite di una situazione già altamente instabile e tutti i nobody di cui abbiamo esperienza sono stati generati da un evento distruttivo. Nasciamo dalla morte di un essere vivente, una morte particolarmente traumatica. Anche quelli che siamo riusciti a generare sono sempre stati ottenuti strappando a forza il Cuore da un’entità che, per quanto ancora allo stato embrionale, nondimeno ha subito un trauma. Vorrei ricordare che non esistono nobody superiori appartenenti a specie non senzienti, né a specie con mente e coscienza collettiva, a differenza di quanto capita agli heartless, dove gli esemplari più forti possono discendere senza difficoltà da entità prive di intelligenza, anche della più elementare.”

“Pensi che, nel nostro caso, razionalità e consapevolezza siano fattori essenziali?”

“No, Lex, o non avremmo ottenuto neppure quei pochi crepuscolari. La ragione non è condizione indispensabile perché nasca un nobody, ma, al momento, è necessaria affinché sia un nobody di rango superiore. La volontà consente a un essere vivente di superare le tenebre, ma è la coscienza che permette di non essere travolti dal trauma. Un essere non senziente può avere una tale volontà di sopravvivenza da generare un nobody, ma conosce solo il presente. Non vuole morire, non vuole soffrire, qui, adesso. Un essere senziente può aggrapparsi ai suoi ricordi, proiettarli a un ipotetico, o sperato, stato futuro. Vuole non solo continuare a esistere, ma a essere sé stesso. Non fatevi fuorviare dalle condizioni di Roxas. Lui è privo di memoria conscia, ma Sora no, ed è stata la volontà di Sora a far nascere Roxas. E’ uno dei motivi per cui è così importante trovare un modo finché la nascita sia meno devastante. Oltre, naturalmente, che per superare la nostra incresciosa dipendenza dagli esseri umani.”

“Questo è uno di quei problemi che potrebbe risolvere Xemnas, se si decidesse a collaborare.”

 

E’ stato Vexen a dirlo, ed è inaspettato, questo riconoscimento di inferiorità proprio da parte sua. Quando erano loro sei, Even era straordinariamente brillante e avrebbe primeggiato dovunque, tranne che nella squadra di Ansem. Sulla sua strada aveva trovato Xehanort e Ienzo e a lui era rimasto il secondo posto. Non il più geniale, solo quasi, perché dove Xehanort e Ienzo arrivavano senza fatica, Even doveva applicarsi con un continuo e ostinato impegno ed era sempre stato motivo di fastidio, per lui, che due ragazzi tanto più giovani lo surclassassero con tale disinvolta facilità.

Anche se il fastidio non lo aveva mai ostacolato. Anzi, forse proprio il fastidio e il desiderio di primeggiare erano parte delle sue motivazioni e le cose non sono cambiate. Semmai, nutrite con la tenacia dei nobody, la caparbietà e la dedizione di Vexen sono diventate maniacali.

Ma Even si era anche rifiutato di uscire dalla sala dell’esperimento, perché convinto che Xehanort fosse ancora vivo, quando tutti gli altri vedevano solo un mucchio informe di carne a pezzi, fino a quando Braig non lo aveva spinto a forza fuori e gli aveva chiuso la porta alle spalle.

Vexen vuole ancora illudersi di poterlo salvare.

Vuole ancora illudersi che non sarà loro nemico.

 

“Xemnas è spaventato.” replica Zexion.

“Me lo avete già detto. Di cosa avrebbe paura?”

“Di tutto, Vexen. Di noi. Xehanort non sapeva chi era, non sapeva da dove veniva. Non conosceva neanche il suo nome. Qualcosa doveva essere cambiato nella sua esistenza precedente, in modo tanto traumatico da non avere lasciato ricordi. Poi ci sono stati Ansem e una nuova vita. Ma le cose sono cambiate, ancora, con le ricerche e, quando non sono più state solo una curiosità accademica, un nuovo cambiamento. I Mondi si sono spiegati davanti ai suoi occhi ed è cambiato, non più Xehanort, ma era rimasto Xemnas e Xemnas ha ereditato le paure di Xehanort e ha aggiunto le sue. Xemnas non ha mai avuto certezze, se non che ogni cambiamento significa solo una nuova catastrofe. Ma sta cambiando, è inevitabile. E’ a un bivio. Da una parte, non vuole intraprendere la strada che gli si pone davanti, perché non sa come si evolveranno le cose al prossimo passaggio. Cosa diventerà, la prossima volta e, per sua esperienza, non esistono cambiamenti positivi e più è promettente l’aspettativa, più il risultato è doloroso. Dall’altra, è spinto a seguire quella strada, perché è la sola cosa che gli permetterebbe di continuare a vivere. Una dicotomia di forza uguale e contraria, sostenuta in entrambi gli aspetti e nella stessa misura dalla sua volontà e la volontà sta lacerando la sua ragione. Tutto può essere un ostacolo, senza equilibrio e misura. Persino sé stessi. Xemnas non ci aiuterà perché non può... forse è meglio dire non vuole, ma per noi queste due parole corrispondono. Vuole ritrovare il solo momento fermo della sua esistenza. Vuole rimettere a posto le cose. Vuole tornare a un tempo prima...”

 

prima di noi

 

Zexion fissa Lexaeus negli occhi e, quando parla, ha la sua stessa inflessione. Come se fosse lui a parlare per bocca sua.

 

“Prima di noi, sì. E non importa che quello che vuole è impossibile. L'impossibilità non gli impedisce di continuare a volere.” si volta verso Vexen, sorride e riprende a parlare con la sua solita voce “Questa mattina era qui.”

“Xemnas? Non me ne sono accorto.” esclama il medico.

“Stavamo dormendo quando è arrivato ed è ripartito quasi subito. Si è visto soltanto con Marluxia, e non escludo lo abbia incontrato di persona solo perché il signore del castello ha l’abitudine di alzarsi presto e andarsene a passeggiare per i campi fioriti del suo regno.”

“Ma perché non ci hai informati?”

“Avresti voluto vederlo. E perché? Per metterlo di fronte a qualcosa che, evidentemente, non desiderava? Con quale risultato, per noi e per lui? Non voleva avere a che fare con noi, o sarebbe venuto a incontrarci.”

 

Lexaeus interviene per spostare la conversazione a un argomento meno delicato, prima che Vexen abbia tempo di ribattere e dare il via a un contrasto di cui non hanno proprio bisogno.

 

“Hai dovuto sopprimere ricordi coscienti?” chiede.

“No, Lex. Il patrimonio mnemonico ereditato da Ienzo è integro e accessibile come sempre, ma il meccanismo di retroazione che risvegliava i suoi ricordi e le relative sensazioni associate in risposta a un determinato stimolo, si è interrotto. Posso ricordare, non ne sono più obbligato.”

 

Ienzo. Non sé stesso.

 

Il giovane gli riserva un’espressione irritata e gli occhi si scuriscono, come se un’ombra passasse sotto la superficie delle iridi. Ha raccolto quel pensiero non sufficientemente schermato.

 

“Non mi riferisco a Roxas come se fosse Sora. Adesso non ho più ragione di riferirmi a me stesso come se fossi Ienzo.” sibila Zexion.

 

Giusto. Ma con Roxas è sempre stato naturale, parlare di lui come se fosse un altro. Per loro stessi sarà più difficile.

Ci saranno confusione, imbarazzo, disorientamento. Dovranno definire un altro sistema di espressione, una più netta distinzione fra sé stessi e gli Altri, per ricordarsi che non sono coloro che li hanno generati.

Non che sia davvero importante, non in questo momento.

Per ora, possono adattarsi. Poi, in seguito, ci sarà tempo anche per la semantica.

 

“Cambieremo” mormora Lexaeus.

“Lo sapevi fin dall’inizio. Ti fa paura?”

“Adesso sì. Dopo, credo, non avrà più importanza.”

“Diventeremo quelli che avremo dovuto essere da sempre, se non fosse per le vestigia di un’infestazione parassitica.”

 

Zexion parla in tono spensierato, quasi allegro, la collera neonata subito abortita, ma a Lexaeus non sfugge il rabbioso trionfo che risuona nella sua voce.

Zexion odia Ienzo. Odia assomigliargli tanto. Odia anche il solo guardare nello specchio e vedere lui.

Non per i suoi errori, per quello che ha fatto, per quello che ha perduto, o perché lo ha caricato del fardello di un’esistenza estranea. Non lo odia neppure perché gli ha dato vita.

Zexion odia perché non sa se i suoi trionfi e i suoi errori appartengono solo a lui, o non al riflesso delle mancanze e dei meriti di un uomo morto.

 

E’ paradossale la loro presunta estraneità alle emozioni, perché la realtà è che la sfera emotiva controlla la loro intera esistenza. Sono schiavi delle emozioni. Pervasi, ossessionati, dominati dalle emozioni, come nessun altro popolo di nessun universo.

Ora cambieranno, cambierà tutto. Svanirà quella cosa che li ha sempre guidati e, anche se lo studioso ne è affascinato, l’uomo è troppo coinvolto per non essere spaventato dalla prospettiva della metamorfosi imminente.

Ma, a quel punto, non importerà più nulla del passato.

Una volta tagliati i cordoni ombelicali che li legano a un’esistenza aliena, finirà questa lunghissima, innaturale, mostruosa gestazione e inizierà la loro vera vita, come esseri autonomi, non deformi embrioni partoriti da cadaveri.

Potranno ricominciare ad avanzare verso il futuro alla cieca, senza programmi, solo per vivere, come quando si cammina senza una vera direzione, solo per il gusto di muoversi.

 

“Il problema è sempre lo stesso.”

 

La voce di Vexen è come il rumore di unghie su vetro e Lexaeus prova quella che potrebbe definire gratitudine per il suono aspro e il pragmatismo che spezzano la ragnatela di convincimento intessuta dalle parole di Zexion, dove è intrappolato fin dall’inizio.

 

“Siamo troppo dissimili.” conclude il medico “L’esperienza su Roxas e su te stesso non garantisce che il processo sia applicabile su altri. Quindi, adesso, mi vuoi dire perché fare quello che hai fatto? Se ti perdevamo, non avremmo potuto proseguire.”

“Purtroppo, siamo tredici casi unici. Ma, adesso, le mie capacità sono migliorate. La sorgente a cui attingiamo per nutrire i nostri poteri è la stessa energia vitale. Ora ho più forza, posso focalizzare con maggior precisione, o minore dispersione. In ogni senso, sono più efficiente. Il mio prossimo soggetto godrà di un trattamento di favore, rispetto a Roxas e me stesso. Però devo ammettere una cosa. Nel mio caso non ho dovuto recidere le vie di accesso ai ricordi, ma non posso garantire che sarà così per tutti.”

“Forse, per qualcuno, dimenticare potrebbe essere la soluzione migliore.”

“Migliore... dipende da chi la considera, Lex. Ma, indubbiamente, potrebbe rivelarsi la più efficiente, la più semplice, o la sola soluzione. Allora, signori. Uno di voi si offre volontario?”

“Potresti provare con Marluxia. Che tu riesca a o meno, per noi sarebbe comunque un guadagno.”

 

La frase di Vexen è in parte ironica, in parte speranzosa. Se più ironica o più speranzosa, Lexaeus non è in grado di stabilirlo. In ogni caso, Zexion scuote la testa e pare considerare la proposta con serietà.

 

“Marluxia sarebbe un soggetto facile. Grazie alle sue caratteristiche, è avvantaggiato rispetto a tutti noi. Marluxia tende naturalmente a superare ogni condizione patologica e ha già imboccato la strada della guarigione, in modo spontaneo.”

“La riprova che la fortuna non guarda in faccia a nessuno.”

 

 

* * *

 

 

“Larxene, guarda.”

 

Marluxia la richiama senza distogliere l’attenzione dallo schermo olografico, che mostra una rappresentazione della Rete dei Mondi, sovrapposta a una serie di grafici.

Appena entrata nel loro appartamento, le è bastato vederlo così concentrato per capire che il tanto sospirato programma che si è fatta per la serata dormiredormiredormiredormire è diventato un miraggio rimandato a un futuro indefinito.

 

“Cos’è?”

“La relazione che Xemnas mi ha portato questa mattina. I movimenti di Sora.”

“Sembrano casuali.”

“No. Non sono pilotati, non programma i suoi spostamenti, ma non c’è nulla di casuale. Segue le correnti della membrana dimensionale e il magnetismo dei Mondi.”

 

Marluxia le parla per enigmi. Devono voler dire qualcosa, ma cercare di capire è proprio troppo, per ora. Tanto sarebbe solo un tirare a indovinare.

Si sente stordita, galleggiante in uno stato di immaterialità denso come melassa.

 

“Che significa?”

“Che le probabilità che imbocchi una rotta diretta a questo Mondo stanno salendo esponenzialmente. Presumendo che continui a muoversi con questa frequenza, tra circa un mese e mezzo possiamo dire virtualmente nulla la possibilità che non si presenti qui.”

“Magnifico. Proprio quello che ci mancava.”

“Zexion mi aveva avvertito. I keyblade fungono da magneti dimensionali e questo è un Mondo dotato di una fortissima valenza.”

“Gli altri l’hanno vista?”

“Non ancora. Volevo prima parlarne con te.”

 

Sì, ma per questa volta lei avrebbe volentieri ceduto una simile dimostrazione di riguardo.

Slaccia il cappotto, lo lascia cadere intorno alle caviglie e quell’azione è un impegno immane.

La stanchezza le è penetrata nelle ossa come umidità in un giorno freddo. Non ha nemmeno fame, nonostante non abbia toccato cibo per tutto il giorno. O meglio, non ha voglia di mangiare. E’ un’azione troppo faticosa.

Almeno si è risparmiata la visita di Xemnas, anche se, in questo momento, non è sicura che ne sia valsa la pena.

Richiamano le ombre. Con la loro sola presenza, hanno trasformato il pianeta in un potenziale bersaglio e non possono permettersi un’invasione. Qualsiasi indebolimento nella membrana dimensionale deve essere rilevato e chiuso prima che si trasformi in un punto di sfondamento.

Neppure il più sofisticato strumento artificiale ha la sensibilità di un elementale della Luce all’Oscurità e, forse, Roxas potrebbe comprendere nel suo campo di rilevazione l’intero mondo. Peccato che lei non è altrettanto recettiva e discriminante. Ha bisogno di una certa vicinanza, così la sua permanenza qui è diventata una sequenza di giorni passati a saltare da un punto all’altro del pianeta e pianeti prossimi, perché è vero che gli heartless li seguono, ma non sono così precisi, e cortesi, da bussare al portone di casa. La loro idea di vicinanza si estende a qualche orbita planetaria.

Axel condivide il suo compito, ma anche così non cambia molto. Axel è molto meno sintonizzato di lei sull’Oscurità e riesce a coprire un terzo scarso del territorio da controllare quotidianamente.

E Zexion, che se ne può andare a passeggio per gli universi senza muoversi dal suo letto ed è in grado di individuare qualsiasi cosa, l’ha osservata con aria comprensiva quando lei ha pensato, solo pensato, perché mai si abbasserebbe a chiedere proprio a lui, ma il pensiero le è davvero sfuggito per favore, sei così gentile da sostituirmi per un giorno, uno solo, e andare in ricognizione?

Sì, è stato comprensivo. Le ha persino chiesto se voleva qualcosa che la aiutasse a vincere la stanchezza, ma non si è neppure sognato di proporsi per prendere il suo posto. E sia mai che venga distolto dal suo lavoro.

 

“Quindi, la visita reale di stamattina è stata il lavoro di un portalettere?”

“Ufficialmente. Ufficiosamente, voleva ricordarci che, anche se non possiamo comunicare in tempo reale, lui ci controlla sempre.”

“Una minaccia, dunque.”

Il giovane annuisce.

“Una minaccia. Un avvertimento. Un’intimidazione. Chiamalo come preferisci.”

“Non è il genere di azione che mi sarei aspettata da Xemnas. Da Xaldin, semmai, o da Saïx.”

“Perché no, Larxene? In fin dei conti, l’intimidazione è un sistema per cercare di appianare le divergenze senza arrivare alle estreme conseguenze. Una possibilità di ritirarsi.”

“Credi che Xemnas voglia ritirarsi?”

“Credo che gli piacerebbe.”

 

La ragazza scavalca la pozza di nero stropicciato del suo mantello e si lascia scivolare a terra, la schiena contro una parete, senza la forza di fare altro.

Anche lei è curiosa. E’ difficile che Marluxia mostri tanto interesse e, quando lo fa, è buona regola ascoltarlo. Solo che fatica a concentrarsi.

Viaggiare senza sosta lungo i sentieri delle ombre prosciuga ogni energia. Una, due, tre volte può anche andare. Poi le riserve di forza e volontà cominciano a esaurirsi e l’impressione di essere fatti a brandelli e dispersi in quel mare di inconsistenza comincia a sembrare dapprima sensata, poi una realtà incontestabile.

Diventa sempre più difficile stringere nella propria mente la mappa degli universi e l’integrità del proprio essere, e basta dimenticare, anche solo per un istante, la strada da percorrere, dimenticare chi si è, e ci si perde nelle vastità selvagge del Nulla fra i Mondi.

 

Ma c’è un’altra conseguenza, una che non può dire superata una volta tornata a casa. Abbracciare così il suo potere vuol dire dargli forza e autonomia. La Luce comincia ad avere voce e volontà, perché il Fulmine è solo un’espressione della Luce e la Luce odia tutto quello che è diverso, tutto quello che non è Luce. Odia tutto.

Odia anche lei.

Larxene la ama. Ama il suo potere, quello che le permette di fare.

La ama, fino a quando è lei ad averne il controllo, ma quando è così stanca il controllo si allenta e una cosa mostruosa, fredda, impersonale supplica, blandisce, minaccia, urla, seduce con le sue promesse di perfezione e purezza.

Chiede di irrompere nell’universo, finalmente libera, finalmente in grado di bruciare incenerire divorare fammi uscire fammi uscire fammi uscire

 

Temono l’Oscurità, i popoli dei Mondi. Solo perché non conoscono la Luce.

 

“Maru, fin dall’inizio eravamo consapevoli del rischio cui ci saremmo esposti. Dici che ci siamo preoccupati per niente?”

“Mettiti nei panni di Xemnas. Al momento, il pericolo più pressante è che altri comincino a dubitare di lui, che si schierino dalla nostra parte e gli forzino la mano. Ci ha concesso il castello perché non avrebbe potuto giustificare un rifiuto a una richiesta ufficiale fatta di fronte all’intero consiglio di portare avanti una ricerca che potrebbe rappresentare la salvezza per tutti noi. Sarebbe stato un modo per dare conferma ai dubbiosi o ai neutrali della fondatezza delle nostre ragioni. Ma non siamo i soli ad avere ottenuto quello che volevamo. Qui godiamo di una libertà impossibile nel mondo nero, ma non abbiamo possibilità di suscitare indesiderate simpatie. Se c’è una cosa che non cambia, noi o umani, è che è molto più facile dimenticare chi non vedi. Se si dovesse arrivare allo scontro, per Xemnas è meglio non averci sotto gli occhi di tutti. Noi lontani e lui guadagna tempo per decidere di agire. Tieni conto che sarebbe un’azione rivoluzionaria. Nessun nobody ha mai alzato un dito su un suo simile ed è una regola che ha più forza per i fondatori che per noi. Vivono così da dieci anni e i nobody sono abitudinari. Pretendono di essere abitudinari,  Xemnas più degli altri. I cambiamenti li disturbano, perché vanno a intaccare la convinzione che non possono cambiare. Cosa che fanno senza alcuna difficoltà, quando è necessario. A parte questo, la nostra morte indebolirebbe anche lui. Lo indebolirebbe parecchio. Qui, al momento, ci sono perlomeno quattro fra i più efficienti combattenti, il pianificatore più capace, metà del suo patrimonio scientifico e l’intero staff medico, tranne lui stesso. E là fuori ci sono svariati universi che aspettano solo di sterminarci, che non si fermeranno per darci il tempo di risolvere i nostri contrasti interni. Non è certo il caso di gettare via buone risorse belliche e non credo che Xemnas se lo sia dimenticato.”

“Quindi, non dobbiamo aspettarci una nave a sterilizzare il pianeta?” mormora Larxene e la voce risuona strascicata al suo stesso orecchio.

“Sono convinto, anzi, che lo farà. Solo che la cosa non deve piacergli troppo o, più probabilmente, è un’azione troppo proibita perché non abbia resistenze a considerarla, e sta esitando, al punto di essere arrivato a minacciare. Ma è solo un esitare. Fino a questo momento, Xemnas ha avuto gioco facile perché i fondatori hanno fatto fronte comune. I neofiti, viceversa, sono sempre stati frammentati. Lo capisco, siamo troppo differenti, mentre loro provengono da un unico pianeta e dallo stesso popolo. Sembra che molti lo considerino un particolare insignificante, invece è essenziale. Vuol dire parlare la stessa lingua, avere un sistema di pensiero comune, comprendersi. Cosa che a nessun altro di noi è possibile. Persino io, talvolta non riesco a capirti e credo che per te sia lo stesso. O sbaglio?”

“No...”

“Certo che no. E’ normale che sia così. Ma non è così per i sei e questo li ha resi forti in un modo che noi non possiamo nemmeno intendere del tutto. Per di più, sono sempre stati insieme, si sono sempre sostenuti a vicenda, per due vite. Adesso, però, la loro unità si è spaccata, quindi si sono indeboliti. Relativamente a ciò, noi diventeremmo più forti, se solo ci unissimo. Cosa che non avverrà, a meno che non offriamo loro qualcosa di più concreto di una teoria o un esperimento. Quello che Zexion ha ottenuto con Roxas non ha impressionato molta gente. Roxas è sempre apparso differente, può essere un caso, magari è per via della sua amnesia, o dei keyblade... Non impressionerà neppure con il risultato ottenuto su sé stesso, perché lo considereranno solo una delle sue stranezze o uno dei suoi trucchi mentali. Ma se i risultati fossero su uno di noialtri o, meglio ancora, su qualche inferiore, allora gli indecisi e gli indifferenti, coloro che non hanno opinioni in merito, avrebbero un motivo per schierarsi. Ma per questo abbiamo bisogno di tempo. Per questo, non lo concederà. Sono sicuro che presto Xemnas si deciderà a mettere fine al progetto, con noi dentro. Siamo molto più deboli di loro. Xemnas da solo potrebbe probabilmente spazzarci via tutti. In realtà, non dovrebbero neppure scendere in campo direttamente. Basterebbe che ordinassero a Roxas di aprire il Cuore del mondo.”

“Roxas non ci attaccherebbe.”

“Forse, ma come facciamo a esserne sicuri? Non ho ragioni sufficienti per basarmi solo su una sensazione. Per ora è con loro. E, comunque, non credo neppure andrebbe contro gli altri. Il meglio che possiamo aspettarci da lui è che non prenda posizione.”

“Noi abbiamo Zexion. Non credo che lui sia stato tanto sventato da non assicurarsi con chi Roxas si schiererebbe, nel caso servisse.”

“Vero, ma questo è assumere che Zexion appoggerebbe noi e cosa vuole fare Zexion non l’ho ancora capito. Lui stesso ci ha definiti delle improbabilità statistiche. Prima o poi, qualcosa di quello che affrontiamo sarà superiore alle nostre forze e l’improbabilità che noi siamo vivi alla fine di ogni giorno si interromperà. Eppure esita, anche se ha la soluzione fra le mani e noi non abbiamo altra scelta, né possiamo permetterci di aspettare. Sinceramente, non so quali siano le sue intenzioni. Ho persino paura che non lo sappia neppure lui.”

“Se avesse voluto fare qualcosa, lo avrebbe già fatto. Probabilmente, se lo avesse voluto, Zexion avrebbe potuto essere alla guida.” brontola la ragazza.

 

C’è una vibrazione battente, crepitante, soffocata. Risuona in un pulsare lento e irregolare che le stringe le tempie e causa brividi. La sensazione di essere toccata con il ghiaccio lungo la spina dorsale. Una delle tempeste elettriche si sta addensando da qualche parte sul continente dove si trova Oblio.

 

“Quando sono andato a parlare con lui, non ha fatto altro che ribadire di non avere ancora sufficienti dimostrazioni alla sua soluzione.” dice Marluxia “Afferma di preoccuparsi per noi, ma non lo credo. Temo sia interessato ai nobody finché sono solo un progetto, un’entità astratta, non come persone. Ho l’impressione che Zexion e gli altri due credano di essere ancora nelle aule dei loro laboratori, intenti a competere per chi ha la teoria più rivoluzionaria. Non penso abbandonerebbe il suo gioco per una carica così scomoda.”

“Se sapeva di essere più capace di Xemnas, avrebbe dovuto fare di tutto per prendere il suo posto, gli piacesse o meno. Peccato che quell’idiota non lo ha fatto in tempi utili. Adesso non avrebbe ostacoli.”

“Non disprezzare un avversario solo perché è un avversario, mia cara. E’ un difetto che potrebbe costarti caro. I sei hanno parecchie colpe, ma quella di essere idioti proprio no. Non sottovalutarli, nessuno di loro. E non sottovalutare Xemnas. E’ più sveglio di quanto gli piace far credere. Oggi si è preso il disturbo di ricordarmi cosa hanno fatto. Ha ragione. Sono superiori a noi. Sono più forti, più capaci, hanno maggiori conoscenze, la scienza che ci hanno regalato è loro, viviamo nella loro ombra... Dipendiamo da loro.”

“Perché provengono da un mondo più progredito.”

“No, non è solo una questione di scienza, tecnologia e capacità mentali. Sii obiettiva. Te lo immagini, trovarti sola, essere qualcosa così diverso da quello che eri, essere in un altro mondo. E’ stato così difficile per noi, che siamo arrivati ultimi, che abbiamo avuto chi ci ha insegnato. Chissà come deve essere stato per loro. Eppure, non solo ci sono riusciti. Hanno imparato a viaggiare fra gli universi, hanno trovato un mondo dove vivere...”

“Un mondo inutile.”

“Inutile adesso, ma è stato un rifugio che ci ha permesso di sopravvivere e diventare un popolo intero, non solo pochi esuli dispersi. I sei hanno scoperto tutto quello che siamo e costruito tutto quello che abbiamo e lo hanno fatto da soli, partendo da zero.”

“Non importa cosa hanno fatto nel passato. Adesso siamo nel presente.”

“E’ vero, ma, a quanto ne so, Xemnas è quello che li ha tenuti insieme, per amore o per forza. Lui li ha organizzati, lui li ha tirati fuori dalla Terra del Crepuscolo, ha dato loro scopo e motivo. Se non fosse stato per Xemnas, probabilmente adesso non saremmo neppure qui.”

“E questo significa che ha sempre ragione?”

“No, ma, probabilmente, agli occhi dei suoi compagni, ha un sacco di credenziali in più degli altri. Credo. Immagino. Onestamente, non so cosa passa loro nella testa. Non so perché hanno lasciato il comando a un uomo che avrebbero dovuto confinare in un laboratorio. Forse pensano che primeggiare in un campo significa automaticamente essere capaci di tutto. Anche se come scienziato non si è certo mostrato meno pericoloso. A giudicare dalla sua prodezza odierna, la cosa meno dannosa per tutti sarebbe stato trovargli un’occupazione permanente come pilota.” il giovane si stira e le sorride “Li odio, Larxene. Potrei non odiarli, se fossero stupidi o incapaci. Credo che potrei accettare una vera incapacità. O, almeno, credo che potrei capire. Ma quello che ha detto Xemnas è vero. Quello che hanno fatto è sorprendente, quindi no, non riesco in nessun modo a giustificare il loro comportamento. Non riesco neppure a concepire come gente simile sia caduta così in basso. Li odio, non li capisco e mi fanno paura. Hai ragione, il passato non conta. Ad avere abbastanza tempo, gli eroi diventano solo fardelli, o un pericolo.”

 

Larxene si alza e si sgranchisce, allungando arto per arto.

Quel breve riposo ha dissipato un po’ la stanchezza causata dal continuo e stremante combattere contro il nulla. Ma, anche se i muscoli sono meno indolenziti, l’ottundimento resta.

Appoggia la fronte alla vetrata di una delle finestre.

La pulsazione è diventata più frequente, più rapida e forte.

La tempesta è nata, annunciata dal battito di un cuore grande come un mondo.

 

“A me fanno anche più paura quelli che se ne fregano, che si comportano come se tutto questo non li riguardasse.”

 

Sotto, i campi si stendono in una successione di sfumature di rosa e verde, interrotta da saltuarie chiazze blu e dalle irregolarità delle rocce.

I due soli più luminosi, il sole vero e la stella arancione, sono alti nel cielo. Chiazze di luminosità accecante che rendono lo strato perenne di nubi di un bianco opalescente.

 

Potrebbe chiamare la tempesta, scatenarla sul castello.

 

“L’analisi è attendibile?” chiede a Marluxia.

Si accorge, a malapena, che ora il giovane guarda lei, non lo schermo.

“E’ stata fatta da Luxord.”

“Riformulo la domanda. La fonte che l’ha fornita è attendibile?”

“I movimenti di Sora corrispondono in pieno a quelli trasmessi dai miei agenti. E non ho il minimo dubbio sulle capacità di Luxord.”

“Neanch’io, ma, naturalmente, la relazione potrebbe essere stata pilotata o alterata.”

“D’altra parte, non vedo ragioni di mentire su una cosa simile. Vero che le proiezioni di Luxord sono ad altissima attendibilità, ma restano solo eventualità. Non sono infallibili. Possiamo prepararci all’arrivo di Sora. Se poi non si farà vedere, nessuno potrà dire che Xemnas ci ha ingannati, portandoci un’informazione falsa.”

“Ma potrebbe distoglierci dal nostro lavoro. Se davvero Xemnas vuole guadagnare tempo, questo gliene concede altro.”

“Sì, hai ragione. La farò controllare da Zexion.”

“Cosa ti fa credere che lui sarebbe più onesto?”

“Che siamo nella stessa situazione. Su una cosa sono pronto a scommettere. I tre nel sotterraneo faranno di tutto pur di terminare quello che hanno intrapreso. Noi siamo qui per proteggere loro e risparmiarli da tutte quelle fastidiose incombenze che li costringerebbero ad abbandonare le ricerche. Credo che Zexion sarà più che disposto a lasciare a noi il compito di occuparci dell’eventuale problema Sora. E’ la ragione per cui ha sostenuto il nostro comando. E, comunque, non abbiamo molte altre alternative.”

 

La stanza intorno a Larxene si rimpicciolisce, risucchiata da un tunnel accecante. E’ come guardare attraverso un binocolo al contrario.

 

Chiude di scatto gli schermi.

Non serve. Dovrebbe fuggire nelle viscere del castello, dove le sale sono ancora attive, ancora dimensioni isolate chiuse in un proprio spazio e tempo e, allora, potrebbe non sentire le maree di Luce. Potrebbe non sentire la voce elettrica delle tempeste.

Non servirebbe nemmeno così. Non può fuggire da quello che è in lei.

 

Le sembra di espandersi nelle nubi, altissima nel cielo.

 

Marluxia allunga la mano verso di lei. Larxene la stringe, con gratitudine.

Non sono ombre. Tocca, c’è carne sotto le dita. C’è sangue sotto la carne. Ma il niente non ha carne, non ha sangue. Allora copri il tuo corpo, rendilo invisibile, e non toccare.

Non sono spiriti. La Luce urla con la voce del tuono. Non può ignorarla, non può farla tacere. Può solo trovare qualcosa con una voce più forte. Stringi la mia mano, legami alla terra, o annegherò nella velocità e nella Luce. Esisto. Se non mi riconosci, se fingi che non sono qui, alla fine resterà solo il Fulmine.

Non sono fantasmi. Lo diventeranno, se sono i primi a crederlo.

 

Larxene abbraccia di spalle il giovane, il mento appoggiato alla sua testa.

Il grafico che rappresenta gli spostamenti di Sora fra gli universi è un arcobaleno di luci elettroniche.

 

“Maru, Zexion non sarebbe il solo ad avere l’appoggio di Roxas. Lui si fida di noi, di tutti noi. Siamo i soli legami che ha con la vita. Adesso comincia a rendersi conto che la sua fiducia non è ricambiata, ma continua ad aspettare. Lo hanno preso, lo hanno fatto diventare molto più di un manichino animato, hanno fatto spazio in lui e quello spazio non lo hanno riempito. Non capiscono che ha bisogno più di tutti di qualcuno che lo trattenga qui. Invece lo hanno ignorato, lo stanno rigettando e neppure si preoccupano di cosa fanno. Prima o poi, si stancherà di aspettare e sperare che qualcuno si accorga di lui, e quello spazio potrebbe essere riempito da qualcos’altro. E’ già abbastanza confuso. Non credo abbia capito cosa si prepara e, anche se lo capisse, non credo sarebbe capace di interpretarlo, o dargli il peso giusto. Come potrebbe? Anche se ci vede discutere, come potrebbe immaginare che una discussione può degenerare in un conflitto aperto? E’ una situazione che non sarebbe in grado di gestire, perché non ne ha la minima esperienza. Se dovesse trovarsi in mezzo a uno scontro, un vero scontro, perderebbe ogni punto di riferimento che gli resta. Basterebbe poco e sarebbe con noi, ne sono sicura.”

“Lo conosci bene.”

“Noi due condividiamo una cosa.”

 

Solo non nello stesso modo.

Per Roxas il controllo è completo, è facile. Non si sente minacciato dalla Luce.

Hanno tutti paura di lui, dei suoi scatti di rabbia, della sua imprevedibilità. Di cosa potrebbe fare il giorno in cui perderà il controllo.

Larxene no. Non si preoccupa di quello. Nemmeno crede che il ragazzino possa perdere il controllo. Ma cosa potrebbe fare di proposito, è tutta un’altra faccenda.

Se mai Roxas lascerà libera la Luce, lo farà perché lo vuole fare. Vorrà dire che non avrà più alcuna ragione di trattenerla. Che i blandi legami che lo tengono a terra saranno saltati.

Lo sa lei e lo sa anche Roxas. Di questo ha paura.

 

La perplessità di Marluxia è palese. Non capisce ed è inutile persino tentare di spiegarsi. Questa è una di quelle cose che lui non è in grado di comprendere.

E’ vero, non possono capirsi, non realmente. Se possono accettarsi, è già abbastanza.

 

“Io parlo con Roxas, Maru. Ci parlo perché è un ragazzo interessante e, parlando con lui, si scopre tanto. E perché non se ne frega e non crede che non lo riguardi. Non le nasconde, le cose, anche se nessuno gli chiede niente. E invece lo vorrebbe.”

Marluxia le stringe ancora le mani che lei gli tiene incrociate sul petto.

“Roxas è fuori della nostra portata. Xemnas starà molto attento a lui. Ha commesso l’errore di lasciare che un altro uomo si occupasse della sua arma principale. E’ stato un errore sotto più aspetti, in quanto non poteva certo prevedere che proprio Roxas avrebbe portato Zexion a formulare una teoria rivoluzionaria. Dubito lo sapesse lo stesso Zexion. Questo non vuol dire che sia accessibile a noi, adesso. Anche se devo darti ragione. Disporre di un custode significa disporre di una forza risolutiva. Siamo in guerra con qualcosa di troppo grande, potente e implacabile, non abbiamo certo bisogno di ucciderci fra noi. La cosa migliore è risolvere questo problema il più in fretta e con meno perdite possibili.”

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

No, non ho abbandonato la storia. Non ci penso nemmeno. Sarei molto felice di essere più veloce con gli aggiornamenti, ma non riesco. E’ più forte di me, più di quel tanto non sono in grado di stare davanti a un computer.

Vedo per una volta di stringere le risposte/note, che ho già scritto troppo. Ma ringrazio tutti tantissimo. Lettori, commentatori pubblici e privati, chi si trova a curiosare ^__^

 

Giodan: Caro Giodan, quello precedente non è neppure un vero capitolo. C’è solo una cosa importante. Per il resto, è solo il cappello introduttivo della terza parte.

Spero di avere rimediato con questo. Di sicuro, mi sono rimessa in pari con la lunghezza ^__^

Tra l’altro, ho potuto parlare ancora un po’ di quei cari nobody minori, che amo tantissimo, e finalmente Xemmy la smette di comportarsi come un adolescente angstoso e passa all’azione. Magari non sembra, ma non si è limitato a farsi un giro in astronave per venire i cinque minuti a Marluxia ^__^

 

Lux: Axel… povero ragazzo. La sua è una tristissima storia. Nel fandom viene regolarmente sottoposto a una forma di bashing contrario, ma non per questo meno ripugnante del bashing ordinario. Il carattere gli viene castrato, tagliando selettivamente quelle caratteristiche sgradevoli, o poco gestibili, per trasformarlo nel bad-boy addomesticato da sogno adolescenziale.

Addirittura, pur di non mostrare il suo ‘dark-side’, si modifica la percezione degli assassinii di Vexen e Zexion. Il secondo viene opportunamente dimenticato (perché non è una bella cosa uccidere un ragazzo così puccio). Quanto a Vexen, lo si rende un individuo talmente spregevole, che fa cose talmente turpi che, in pratica, averlo ucciso diventa un’azione positiva.

Ora, qui Axel compare pochissimo, ma mi ha stupita la reazione dei lettori nella storia dove l’ho fatto protagonista. Rimasti tutti scioccati per quello che ha combinato, quando addirittura mi dicono che non lo avrebbe mai fatto. E’ uno scherzo, vero?

Non solo lo avrebbe fatto, ma lo ha fatto proprio. Oltre a Vexen e Zexion, nel canon ha ucciso decine se non centinaia di persone, bruciandole vive, e la scena è lì, davanti agli occhi di tutti. Non è neppure censurata.

E dopo quest’eccidio, dovrei credere che per quello stesso Roxas per cui ha massacrato tutta quella gente e provocato l’estinzione della sua intera specie, non sarebbe invece stato capace di uccidere dei nemici? Nemici che, peraltro, aveva beccato con le mani nella marmellata, occupati a torturare a morte il ragazzino.

Certo che lo avrebbe fatto. E perché non avrebbe dovuto, di grazia? Stava cercando di salvare la vita di un suo amico. Al suo posto, avrei fatto lo stesso. Con immenso piacere e soddisfazione, vorrei aggiungere.

Lui non ha potuto solo perché è il personaggio più sfigato e maltrattato di un videogioco destinato a far perdere i villain, la vittima sacrificale che ha permesso agli eroi di vincere pur non avendone alcun merito, facendo fare cazzate ai loro avversari, fregandosene delle caratteristiche che hanno mostrato fino a quel momento.

 

Sì, ma tutto questo è ridicolo. A me Axel neppure piace e mi trovo a difenderlo da quelle che dichiarano di amarlo.

 

MaxT: Sei il secondo che accusa Zexion di freddezza, della qual cosa ti ringrazio tantissimo. E’ che certe volte temo di farli troppo emotivi. Rileggo e mi sembra che siano troppo umani, troppo ordinari, e non riesco a rimediare.

Quindi, quando mi si dice che c’è qualcosa di ‘stonato’ nel loro comportamento, mi va bene. Deve essere così ^__^

Poi Zexion non è uno dei nobody orsacchiottosi tipo Demyx o Lexaeus. E’ uno di quelli rognosi.

 

Chris: Oh, gioia, mi spiace. Axel non gioca una gran parte nella mia storia. Anche se ho almeno un capitolo, ma più probabilmente saranno due, dove compare in modo abbastanza... come dire... sentito? Diciamo che lui si sentirà molto coinvolto. Non so quanto la cosa lo farà felice, ma la scena sarà in buona parte sua ^__^

Ehhhhh...Terra non è il bambolone bruno con gli occhi azzurri di Birth by Sleep. Non ho inserito proprio niente di quello che succede in BbS e 358Days nella mia storia.

Anzi, a essere pignoli, ho tolto una caratteristica di Xemnas che avevo inserito in prima stesura e che, caso vuole, è stato confermato in BbS. Ho preferito un’altra soluzione.

No, il mio Terra è Riku.

 

 

  
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