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Autore: baby80    06/04/2010    10 recensioni
Ho provato a immaginare il primo giorno di André a palazzo Jarjayes, e il suo incontro con Oscar... Anche questa storia è stata iniziata tempo fa, e modificata di recente, ed anche in questo caso la "mia" Oscar è a conoscenza d'essere una bambina. Sono indecisa se concludere la storia in questo modo, come una one shot, o se continuare a raccontare di André... ci penserò. Si accettano consigli.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono morto, e rinato, in una sola giornata.
Ho perso il cuore e l'ho riavuto indietro, in parte, in quel tempo che vive tra l'alba e il tramonto.
Ho creduto di non aver più speranze, in questa vita, e in quella che mi attende oltre la morte.
Ho creduto d'essere perso per sempre.
Ho creduto di non riuscire a morire e, in quell'istante, ho implorato la mano di un assassino.
Ho supplicato, d'essere risparmiato, quando la mia implorazione fu accolta.
Io colpevole di un gesto imperdonabile, ho accettato, di buon grado, tutto il dolore che io stesso pregai mi fosse inflitto.
Io colpevole di un atto ignobile, dettato da un amore tormentato, devastante, insopportabile, ma non per questo giustificato.
Io ero pronto ad accettare il male più sconvolgente, conscio del mio peccato.
Ero pronto a tutto ma non a parole che mi furono scagliate contro, come massi, senza ch'io potessi far nulla, senza ch'io potessi difendermi.
Ero pronto a soffrire, in eterno, per un cuore che mai avrei potuto tenere tra le mani.
Pronto a sacrificare la mia intera esistenza all'amore.
Un amore evanescente.
Pronto a rendere, il mio corpo, sordo ai piaceri della carne.
Pronto ad asfissiare il cuore, con le mie stesse mani.
Pronto ad ogni sorta di privazione.
Per lei.
Lei.
Oscar.
Lei che, stupidamente, non ho mai considerato davvero una donna.
Bizzarri questi miei pensieri.
Bizzarri, per me, che ho perpetuamente sostenuto di vederla “donna”.
Bizzarro, per me, che non ho fatto altro che riempire la bocca con quelle stesse parole che, prepotentemente, mi si sono rivoltate contro.
Donna.
Donna è colei che ha, sul corpo, forme differenti a quelle di un uomo.
Seni, rotondi e materni, custodi di quel nutrimento vitale per i neonati.
Seni, morbidi e lussureggianti, per deliziare i sensi degli uomini.
Ventre, creatore e protettore della vita.
Ventre, estasi e tormento, della carnalità maschile.
Donna è colei che, per natura, o per imposizione, denuda il proprio essere dalle vesti di figlia, per indossare, prima o poi, quelle di moglie e madre.
Questa è dunque una donna.
Oscar, una donna.
Una donna, come le altre, eppur dissimile a loro, per il mio cuore.
Il mio cuore, un imperdonabile ottuso.
Il mio cuore, io stesso, sicuro alle spalle di una insensata certezza.
Oscar, una donna.
Una donna che mai si sarebbe vestita con abiti di moglie e madre.
Una sciocca certezza, la mia.
Una certezza che, curiosamente, era in grado di darmi attimi di pace, come istanti di luce, nel buio della sofferenza.
Lei, la mia Oscar, una donna, una donna che non sarebbe mai stata mia.
Un dolore, atroce.
Lei, la mia Oscar, una donna, una donna che non sarebbe mai stata mia, ma che non sarebbe stata neppure di altri.
Una lieve consolazione, un secondo di felicità.
Ho disegnato le mie labbra con questa parola, Donna, senza conoscerne il reale sapore, senza attribuirne il reale significato.
Ne ho storpiato il concetto, inventandone altri, per lei, per la donna che amo, e per me stesso, per puro e semplice egoismo.
Oscar, una donna, come tutte le altre.
Una certezza disintegrata dalle semplici parole di una vecchia signora.
Mia nonna.
“Corre voce che madamigella Oscar si sposerà molto presto, almeno questo è il desiderio del padre.”
Qualche settimana fa, quel dardo, che non sapevo dimorasse su di me, mi colpì quasi mortalmente.
Quella stessa ferita, qualche settimane fa, ha alleviato, seppur in parte, il dolore sordo della mia anima.



“Oscar si sposerà molto presto... Oscar si sposerà...”
Non ho più il controllo dei miei pensieri, vagano come imbizzarriti nella mia testa.
Stringo tra le mani le pietanze che, mia nonna, ha preparato appositamente per me, il nipote sciagurato.
Stringo il cibo incurante della forza che vi ci sto imprimendo.
Nulla esiste al di là di poche, spietate, parole.
Oscar si sposerà.
Come è possibile? Come è successo?
Oscar non può sposarsi.
Non era previsto.
È qualcosa che non era contemplato dal mio cuore.
Non può sposarsi.
No, Oscar non può sposarsi, lei è un soldato.
No, Oscar è una donna.
Dannazione.
Per anni l'ho incoraggiata ad ascoltare la sua vera natura, ad accettare la propria femminile, ed ora che, in donna, sta mutando in ogni più minuscola sfaccettatura, io voglio che torni, che sia, senza possibilità di ricomparsa, un soldato.
Una donna soldato.
Una donna soldato a cui non è chiesto di indossare le vesti di moglie.
Una donna soldato che non può donarmi il proprio cuore, ma che posso ammirare, ogni giorno della mia misera vita.
Una donna soldato che non ricambierà mai il mio amore e che non sarà mai di nessun altro.
Una magra consolazione, la mia.
Una magra consolazione che, fino a pochi istanti fa, mi era di conforto.
Non vi è mai dimorato, nel mio cuore, il suo amore, ed ora anche il conforto è stato cancellato.
Che ne sarà di me?
Un uomo disperato.
Un essere scarnificato dall'amore.
Diventerò pazzo?
Ho paura. Ho paura di divenir pazzo, per troppo dolore.
Un rumore dissolve i pensieri.
Dei soldati della guardia, mie compagni di camerata, dividono con me lo stesso lungo corridoio.
Parole crudeli, per me, scritte con inchiostro dello stesso colore della rabbia.
I miei compagni di camerata, uomini del popolo, come io stesso sono, non mi accettano, non accettano il mio passato a servizio dei nobili, non accettano me, un attendente, uno sporco servo dei ricchi.
I miei compagni di camerata, non più “compagni”, ma solo uomini straripanti d'odio, stanno per riversare, sul mio corpo, tutto il rancore che nutrono per la nobiltà e, senza ombra di dubbio, per Oscar.
Picchiatemi, intimo loro, picchiatemi senza risparmiarvi, troverete pane per i vostri denti.
Io figlio del loro stesso odio, riverso su di loro la rabbia verso la nobiltà che mi divide da colei che amo.
Riverso, su di loro, il mio dolore per il bieco umorismo di questa bizzarra vita
Riverso, su di loro, l'odio, che sa d'amore, per Oscar.
Ho lottato, con tutto me stesso, con ogni fibra del mio essere uomo, con tutta la forza che ho celato in questi anni.
Ho lottato con la forza della disperazione ed ho perduto, sovrastato, più per numero, che per robustezza, contro uomini accecati dall'astio.
Giaccio su un lurido pavimento, piango, senza controllo, dimenticando il dolore.
“Oscar non ti sposare. Ti prego Oscar, non sposarti. Non ti sposare.”
Le ultime parole che ricordo.


Apro l'unico occhio che mi è rimasto, a fatica, tentando di mettere a fuoco ciò che mi è di fronte.
Il riverbero di una candela mi colpisce l'iride.
Un dolore accecante, un lamento.
Riesco a mettere a fuoco, per quel che è consentito al mio occhio moribondo.
Un altro dolore.
L'infermeria, credo d'essere nell'infermeria della caserma.
L'ennesima fitta di dolore, al fianco, alla testa, in ogni angolo nascosto del mio corpo.
Mi metto a sedere, rischiando di cadere.
La testa mi duole tremendamente provocandomi dei fortissimi capogiri.
Poggio le mani sulle ginocchia, mi sorreggo.
Faccio ricadere la notte sul mio occhio, respiro profondamente, sperando di tornar lucido.
Solletico sul mio braccio, nudo, suppongo.
Apro l'occhio e...
Lei.
No, sto certamente sognando, o forse, sono semplicemente morto.

“André... ti senti bene?”
Che anche le mie orecchie mi stiano ingannando, come il mio occhio malato?
“André! André! Riesci  a sentirmi?”
“Comandante... ehm... Oscar...”
Sono confuso.
“André, come ti senti?”
“Dolorante Oscar, dolorante, e mi gira la testa.”
porto una mano alla fronte.
“Immagino André, ti hanno picchiato per bene.”

Posso ancora sentire i suoi lunghi riccioli biondi solleticarmi il braccio.
È chinata davanti a me, la mia Oscar, la fonte del mio tormento, mi osserva, con gli stessi occhi incuriositi e spaventati, che aveva da bambina, quando aveva, dinnanzi a sé, qualcosa di nuovo.

“Ho restituito il favore, Oscar, con la stessa intensità.”
“Davvero un bel comportamento. Dopo essermi complimentata con te andrò a complimentarmi con il resto dei tuoi compagni.”
La voce dura ed autoritaria ed uno sguardo che sta per diventare furente.
“Ho dovuto difendermi, Oscar, altrimenti m'avrebbero ammazzato.”
Abbasso lo sguardo.
Silenzio.
Un tuffo al cuore.
Sento il volto sollevarsi e, dita fatte di fuoco, imporre quel movimento involontario al di sotto del mio viso.
Oscar mi tiene una mano sotto il mento, a sostegno del mio volto instabile, mentre con l'altra  tampona quella che, immagino, sia una ferita allo zigomo.
Vorrei non guardare, vorrei ma lei mi è così vicina, il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Vorrei non guardarla ma, sarebbe un delitto, sprecare tanta bellezza.

“Ahi...”
Brucia.
“Shhhh...”
 
Non aggiunge altro, ed io, mi  perdo in quelle labbra rosse che si sono arricciate, rendendosi ancora più piene e desiderabili, per zittirmi.
Un dubbio fulmineo.
Perchè sei qui Oscar? Perchè mi stai aiutando? Perchè, proprio ora, hai deciso di cancellare la distanza che mettesti tra di noi?
Per compassione? Per pietà?
Mio dio, Oscar, non farlo, non donarmi altro dolore.
Vorrei trovare il coraggio di parlare e rendere voce questi miei pensieri, ma tutto ciò che fuoriesce dalle mie labbra è un nome, un nome invocato con un tono che sa d'urgenza.

“Oscar!”
“Oh, scusa, ti sto facendo male?”
“Solo un po'...”
“Stai tranquillo, ho quasi finito.”

Scruto il suo volto, così intento ad osservare, a sua volta, le mie ferite.
La guardo e ritrovo l'amica di sempre, i medesimi occhi azzurri, ma tristi, come non lo erano un tempo.
La osservo, forse troppo profondamente, da imporre il mio sguardo su di lei, come fosse tocco.
Mi par quasi che lei abbia sentito, realmente, la carezza dei miei occhi su di sé.
Mi guarda anch'essa, con l'imbarazzo negli occhi.
Indietreggia un po', portandosi dietro la mano che sembrava, al mio folle cuore, carezzarmi il mento.
Un capogiro, il buio nell'occhio moribondo, il cuore in gola e il respiro pesante.
Non posso controllare il cammino del mio corpo sbilanciarsi in avanti.

“André!”
“Ooh...”

Oscar mi sorregge stringendo le mani attorno alle mie braccia, nuovo fuoco sulla mia pelle.
Un gesto istintivo, cerco di liberarmi dalla morsa delle sue dita.
Troppo calore.
Quel calore, un dolore più forte delle ferite stesse.
Lascio cadere il capo stancamente.
Osservo distrattamente le mie gambe penzolare dal lettino.
Altro fuoco, altro dolore.
Vuoi uccidermi Oscar?
Oscar prende il viso tra le mani, me lo solleva con una lentezza estenuante.
Il tuo volto, così dannatamente bello, esageratamente vicino al mio, posso sentire il tuo respiro.
Vuoi uccidermi Oscar, non vi sono dubbi.

“André! Stai bene? Sei di nuovo qui?”
“Si, Oscar... sono di nuovo qui.”
“Bene, cerca di restare con me. Bisogna finire di medicarti.”
“Grazie Oscar...”
Non dici nulla e riprendi a tamponarmi le ferite.
Studio ogni singolo gesto delle tue mani e rimango stupito da ciò che è evidente, immagino, ad entrambi.
Stai tremando.
Le tue dita tremano.
Oscar Francois de Jarjayes, comandante dei soldati della guardia, cresciuta come un uomo, immune alla paura, tu, stai tremando come una persona comune.
Miro le tue dita, ne scruto i movimenti, per capire, per comprendere la causa di quel tremito che non ti abbandona.
Assisto, con l'amore nel cuore, alla disfatta delle tue mani, ogni qualvolta le osservo posarsi su quelle parti di me, che erano rimaste celate, ai tuoi occhi, da quando i nostri corpi mutarono in quelli di adulti.
Il petto.
Il ventre.
I lombi.
Quelle parti che fanno di me un uomo, così differente da te, una donna.
Una donna.
Una donna che presto diventerà la moglie di qualche ricco nobile.
Vorrei morire, vorrei, prima che la pazzia si impossessi della mia vita.
Non ti sposare Oscar. Non ti sposare.
Vorrei gridartelo in pieno volto.
Non ti sposare.
Io, perso irrimediabilmente in questi pensieri masochisti.

“Aah...”
Un gemito, sfuggito alle mie labbra, mi riporta alla realtà.
Dolore e piacere.
Piacere e pazzia.
L'imbarazzo senza fine, sul tuo volto.
La tua mano ha compiuto un passo azzardato, un inammissibile errore.
Un assaggio di estati per il mio corpo.
La mia ferita, poco più sotto l'orecchio, in prossimità del collo.
Le tue dita, scosse dai fremiti, una piccola pezzuola tra di esse.
Un movimento troppo deciso, un istante di distrazione.
La pezzuola sfugge alla presa, mentre, la tua mano, continua la precipitosa corsa su quella strada che era destinata a percorrere.
La tua mano, le tue dita, senza controllo.
Le sento scivolare, pesantemente, sul collo e poi giù, sul petto.
Sul petto, in quel punto, arresti il danno, creandone, senza rendertene conto, un altro.
Il mio gemito ha il potere di farti distogliere la mano.
Provo dolore, la carne brucia dove vi è stata quella delle tue dita.
Mi domando cosa mi accadrebbe se tu mi concedessi il tuo amore.
Mi domando, con una sorta di terrore dell'anima, cosa accadrebbe se tu mi toccassi.
Potresti uccidermi Oscar, ne sono quasi certo.

“Bene, credo di aver medicato tutte le ferite. Stanotte rimarrai in infermeria. Devi riposare. Cerca di rimetterti in forze, André.”
“Lo farò, Oscar, e... Grazie.”

Non rispondi, come sempre.
Non scorgo il tuo volto dal momento in cui hai distolto la tua mano dal mio petto.
Fuggi i miei occhi, tentando di celare ciò che è più che evidente, ciò che è quasi naturale.
Imbarazzo.
Turbamento.
Parole che hai imparato ad evitare, negli anni.
Io lo so, Oscar, che su quel volto che hai voluto nascondermi, avrei scorto un lieve rossore che, ti avrebbe resa, al mio unico occhio, l'essere più desiderabile della terra.
Richiamo, in me, l'oblio, bramando un istante di pace, in cui perdermi ripensando al tocco delle sue dita.
Il sonno non tarda a giungere, rapendo il dolore del corpo, il pensiero di lei, ma sopratutto, eclissando il tormento più grande, saperla sposa, un giorno.



Morto e risorto.
Risorto con indosso, ancora, mille ferite.
Pesto ma vivo.
Tornato alla vita, col medesimo dolore nel cuore, un dolore che è parte del mio essere, un dolore che tormenta, che lacera, che fa gridare, ma che non può uccidere, non ancora, almeno.
Un dolore senza il quale non esisterebbe il mio amore, per lei.
Un amore folle.
Forse.
Un amore malato.
Sicuramente.
Un amore che ha un lieve retrogusto di speranza, di tanto in tanto.
Una speranza che tu, mia cara Oscar, hai posato sulla mia anima, sotto forma di respiro.
Una speranza trasformata in alito caldo.
Un soffio di respiro mutato in parole.
“André io... io sono convinta che non mi sposerò tanto presto.”
Una semplice frase, stupore e felicità.
Tu sapevi Oscar, tu, forse, hai udito le mie parole quel giorno.
Ora so, Oscar, perchè trovai te a curare le mie ferite.
Ora so che qualcosa si è spezzato in quella distanza che, al momento, ci sta separando.

Sono risorto.
Passato oltre.
Consapevole e pronto a camminare di nuovo.
Ringrazio e maledico questo amore senza il quale non potrei vivere.
O forse potrei ma, questo, ora, non mi è dato saperlo.
Poso le dita sui tagli non ancora del tutto rimarginati.
Poso le dita su quel lembo di pelle che, il fuoco del tuo essere, ha percorso il giorno che medicasti le miei ferite.
Carezzo la mia carne e so, oggi più di ieri, che morirei.
Si, morirei se tu mi toccassi.
Morirei.
Per troppo amore.
  
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