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Autore: cartacciabianca    06/04/2010    2 recensioni
[ SOSPESA ]
In una New York devastata dalla Guerra tra sani e portatori, sono emersi un gruppo di patriottici eroi. Uomini e donne sottoposti a crudeli esperimenti allo scopo di sopprimere definitivamente il Virus e ogni suo esponente. Sono gli Angeli, nati dalle ricerche fatte sul precedente campione Zeus e protettori della specie umana. La battaglia per il dominio sul pianeta volge al termine dopo due anni di scontri sulla frontiera della scienza e della tecnologia meccanica. Due anni di sangue e vittime innocenti capitate nelle mani dei predatori più spietati.
"Mi sentii puntare sulla schiena qualcosa di estremamente freddo, sottile e affilato più di un rasoio.
Ingoiai a fatica, trattenendo il fiato e sollevandomi sulle punte degli stivali. Dalla mia bocca schiusa venne solo un flebile sospiro quando Alex affondò la lama tra le mie scapole traversandomi orizzontalmente da un capo all’altro. Un fiume di sangue mi bagnò la divisa, raccogliendosi poi sul terreno impolverato tra i miei piedi. Quel rosso vivo e accecante mi finì anche negli occhi, mentre il dolore risucchiava nel suo vortice la sensibilità del mio corpo.
Inclinai la testa da un lato scoprendo una parte di collo, sul quale Mercer posò appena le labbra.
-Sai… ora capisco cosa ci trovava quel Turner di tanto interessante in te- mi sussurrò all’orecchio dopo aver risalito il mio profilo di piccoli baci, minuziosi come graffi. –Quando sanguini così sei davvero eccitante- rise."

[Alex Mercer x nuovo personaggio + altri nuovi personaggi]
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 30° - Gemelli

Volai allungo senza mai guardarmi indietro, fin quando non ebbi la certezza di aver messo almeno un chilometro tra me ed Emmett, pregando che il suo infallibile fiuto da segugio mi lasciasse riprendere fiato.
Non sapevo cosa sarebbe successo a Matt o in che modo sarebbe fuggito illeso dalla collera di Emmett, pur avendo una mezza idea. L’unica certezza era il penetrante puzzo di sangue umano che mi trascinavo dietro già da un pezzo, assieme alla terribile consapevolezza che non era mio.
Se Emmett era davvero in possesso di nuovi poteri come da lui detto, potevo considerarmi fortunata. Sfuggita o meno a morte certa, il mio ruolo di regina sulla scacchiera di mio padre non sarebbe certo cambiato.
Finalmente raggiunsi la destinazione del mio lungo viaggio.

«Se Alex aveva ricevuto il compito di mietere teste a destra e a sinistra, il mio colpiva direttamente alla radice: interrompere il processo di contaminazione dei corpi. In parole semplici, avrei dovuto mettere a soqquadro i laboratori di genetica e non lasciare in vita niente e nessuno all’interno di quelle vasche. Mark era stato chiaro, ma molto probabilmente era a conoscenza del fatto che non ne sarei mai stata capace fin dall’inizio.»

Sbattei le ali e, non appena fui con i piedi per terra, mi guardai attorno rapita da quel luogo.
Il laboratorio era esattamente come lo ricordavo dall’ultima volta che ero stata in uno di quelle gigantesche vasche, che si allungano dal pavimento al soffitto, riempite di un brillante liquido azzurro il cui chiarore, unica fonte di luce poiché la corrente era saltata in tutto lo stabile, proiettava la mia ombra sul pavimento.
Mi avvicinai ad uno dei contenitori e ne sfiorai il vetro spesso con due dita, mentre la mia attenzione cadeva sui corpi imprigionati in ciascuno di essi: uomini e donne galleggiavano in posizione fetale, dormienti, con una maschera davanti alla bocca e centinaia di tubicini collegati alle vene principali, dalla gola ai polsi.
Contai una dozzina di corpi sotto sperimentazione, ma i miei occhi finirono attratti su uno di loro in particolare, racchiuso in una vasca rossa, a differenza delle altre.
Mi allungai in quella direzione, ma non servì fare un passo in più perché riconoscessi il suo ospite. Mi sentii venir meno la forza nelle gambe, così caddi in ginocchio ai piedi della vasca, al cui interno, sommerso da un liquido color porpora, galleggiava nudo il capitano Turner.
Mi s’inumidirono gli occhi. -Cole…- singhiozzai posando entrambe le mani sul vetro, al quale mi aggrappai poi con le unghie. –Cole!- strillai in preda alle lacrime. –Cole! Cole!- gemetti premendo la fronte sulla superficie della vasca. –Cole, ti prego, svegliati!-.
Quel liquido rosso che lo avvolgeva doveva trattarsi di una sorta di processo di rigenerazione. Se Lewis conduceva esperimenti su di lui, voleva dire che l’uomo che amavo era ancora vivo. Non avrei mai trovato il coraggio di ucciderlo come Mark mi aveva detto di fare con le altre cavie. Non Cole. Il solo pensiero mi rigava le guance di lacrime disperate, mi riempiva la gola di urla disumane, chissà se di gioia o paura.
-Cole… Cole, svegliati…- tirai su col naso, provai a chiudere gli occhi, nel vano tentativo di trasmettergli i miei pensieri, se mai la nostra unione notti prima ci aveva concesso quel potere.

«Ero stata stupida. Avrei dovuto capire che si trattava di una trappola, e che l’uomo dentro quella vasca, non era lo stesso con cui avevo fatto l’amore.»

-A questo punto, penso sia inutile dire che non può sentirti-.
Quella voce era entrata con prepotenza nella mia testa e per un breve istante mi sentii gelare le ossa.
Lewis Martin…
Staccai la fronte dal vetro e guardai l’immagine dell’uomo riflessa sulla superficie della vasca che conteneva Cole.
Lewis era immobile sull’ingresso buio della sala, illuminato per metà dalla lucentezza di una vasca che gli era accanto. L’altra parte di lui sprofondava nell’oscurità del laboratorio. Indossava dei pantaloni scuri, una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, ma per quanto avevo gli occhi annebbiati dalle lacrime, non seppi distinguere il colore della sua cravatta. Continuai a dargli le spalle anche mentre, a passi lenti e misurati, mi veniva incontro. Le braccia conserte, il portamento fiero, gli occhiali da lettura infilati tra i capelli d’argento tirati indietro. Sembrava appena uscito dalla pausa caffè. Era tranquillo a tal punto da mettermi ansia, piuttosto che infondermi altrettanto.  
-Sapevo che ti avrei trovata qui, a piangere sui non-morti-.
-Lui è morto- ringhiai.
-Tu dici?- mi stuzzicò inarcando un sopracciglio.
Attento, stronzo: come la distanza tra noi diminuisce,  l’ora della tua morte si avvicinava. Penso, ma nel frattempo Lewis mi era già accanto. Protese una mano verso di me, ed io in un primo luogo mi scansai fulminea, ma poi Lewis tentò nuovamente di posarmi la mano sulla testa, e, quando glielo lasciai fare, restai esterrefatta di tale gesto.
-Emily, sappiamo tutti e due che non è così che deve andare…- provò a dire, ma lo interruppi col mio veloce gesto di alzarmi da terra e allontanarmi di qualche passo.
-Perché lo tenete di nuovo sott’olio?!- eruppi.
Lewis guardò intensamente prima me, poi si voltò verso il mio Angelo dentro la vasca. –Secondo te? Quando Lucy ed Emmett hanno portato indietro il corpo era ancora… come dire?… ah, sì: vivo- mi scoccò un'occhiata eloquente.
Scossi la testa, scettica, e pallida come la neve. –Non è possibile… io… c’ero quando…-.
-Tutti commettiamo degli sbagli-.
-No…- mi ostinavo a non alzare gli occhi nei suoi, tenendoli bassi, puntati sul pavimento, e attraverso di essi rivivevo i ricordi di quel giorno che Cole mi si era spento tra le braccia. Sentivo ancora i brividi sulla pelle, il dolore nel cuore, la morsa allo stomaco, le palpebre umide e il fiato mancare di quella volta… Non poteva davvero essere. Ero fin troppo sicura di ciò che avevo provato, fin troppo sicura di aver sentito il suo profumo dissolversi, il suo calore disperdersi, la sua pelle irrigidirsi, l’anima lasciare il suo corpo. 
-Stai mentendo…- ipotizzai flebile. –Stai mentendo!- ripetei verso di lui, trovando finalmente il coraggio di “ucciderlo” con lo sguardo.
Lewis si tolse gli occhiali dalla testa e pulì le lenti con un angolo della camicia.
Ora che ci facevo caso, avendolo più vicino, mi sembrò parecchio ringiovanito rispetto a come lo ricordavo. Le borse sotto gli occhi erano scomparse, e così le rughe sia sul volto che sulle mani. Potevo dargli quasi una ventina d’anni di meno.
Probabilmente si accorse della mia profonda esitazione, perciò mi anticipò: -Non fare quella faccia- ridacchiò.
-Che ti è successo?- chiesi in un sussurro.
-Sono cambiate molte cose da quando non sei più tornata, Emily- rispose seriamente ripiegando e rimettendo gli occhiali al loro posto nel taschino della camicia.
-Spiegati meglio- sibilai pungente.
Lewis tacque, e per un istante pensai che non volesse rispondermi con le buone maniere. Trasformai il braccio in un’affilata nera e feci per spiccare un balzo nella sua direzione.
-Emily, ferma- mi ordinò una seconda voce maschile, e calma, altrettanto familiare.
Io, immobile coi muscoli tesi e i denti serrati, come se quel qualcuno mi avesse scattato e rimpiazzata con una fotografia, in silenzio, attesi.
Dalle ombre del laboratorio emerse la composta figura di mio padre affiancata da due Cacciatori Volanti, e fu allora che iniziai a capire.
Mark Walker si affiancò al mio nemico senza staccare gli occhi dai miei, aspettandosi chissà quale reazione da me, che invece insistevo col puntare la lama contro Martin.
-Emily, basta, è finita- disse il mio parente.
Il mio cuore perse un colpo, e d’un tratto la forza nelle mie gambe si dimezzò. –Cosa…?-.
Guardarli l’uno così vicino all’altro mi procurò una fitta dolorosa all’altezza dello stomaco, costringendomi ad abbassare la guardia. Restai allungo con la bocca schiusa e il palato secco. Sulla gola mi erano e continuavano a morire centinaia di parole che avrei tanto voluto dire, ma che in quella circostanza si rivelavano inopportune. Continuavo a guardare prima uno poi l’altro, senza riuscire quasi a distinguerli.
Lewis Martin e mio padre, Mark Andrius Walker, erano gemelli.
Faticavo a credere di non star solo facendo un brutto sogno.
-Papà… questo cosa significa?- mormorai con voce stridula e le lacrime agli occhi.
Mark mi venne incontro fino a potermi abbracciare, ed io restituii la forma originale al mio braccio, con l’involontaria intenzione di non ferirlo mentre lo fece. Richiusi le palpebre lentamente, lasciandomi avvolgere e stringendomi a lui a mia volta, con disperazione. Cominciai a piangere soffocando i singhiozzi sulla sua camicia, che portava indosso esattamente come l’aveva Lewis, poco distante da noi.
Forse la guerra era finita, senza che ci fosse stato bisogno di combatterla.
Dico…
Forse.

Sgrano gli occhi, interdetta. –Tua sorella?-.
Alex annuisce. -È successo il giorno dopo che mi sono infiltrato da voi. Pensavano che se avessero approfittato di me nella base, loro avrebbero avuto campo libero nel mio territorio. Hanno pensato bene, ma è stato un grosso sbaglio…- dice serrando i pugni lungo i fianchi.
-Io… io non potevo immaginare che…- esito. –Se avessi saputo, Alex, non… non avrei cercato di fermarti-.
-No, è come dici tu- m’interrompe bruscamente. –Non potevi saperlo-.
Chino il capo affranta, sconfitta dalle sue parole. –In tutta la mia vita mi è stata negata la verità, e ciò mi ha reso incapace di agire. Ora che conosco chi mi ha fatto questo, ora che so il nome e posso guardare in faccia le persone che hanno contribuito a questo…- dico alludendo al macabro spettacolo che c’è da quassù, -ora posso andare a riscuotere con la coscienza a posto. Ora quella gente che credevo mia nemica è il mio alleato più forte. Niente potrà impedirci di abbattere l’ingiustizia e far scontare la pena a chi ha osato mettersi contro la sua stessa nazione, per mero guadagno - aggiungo guardandolo, ed Alex si volta verso di me.
-Parli proprio come tuo padre- sorride lui.
Aggrotto la fronte, perplessa.
-Quando mi ha raccontato di sé, la prima volta che ci siamo incontrati, era così sicuro di quello che diceva che non ha avuto bisogno di ripetermelo. Ha parlato come parla un grande leader, un uomo che nel cuore ha solo la propria anima e l’amore per gli altri. Ho creduto davvero in lui, fin dall’inizio, senza esitazione. Vorrei non dovermi ricredere mai-.
Gli sorrido a mia volta. –Non succederà. Mio padre è esattamente l’uomo che pensi che sia-.
-Lo specchio di sua figlia- aggiunge con ironia.
Mi stringo nelle spalle. –Può darsi-.
Insieme torniamo a fissare l’orizzonte, oltre i grattacieli distrutti di New York City, sulla sponda opposta dell’Hudson, proprio là dove si annida il nostro più grande e comune nemico.

Mark ed io restammo abbracciati una dozzina di minuti, ma tutto sembrò spezzarsi come per magia quando feci una domanda precisa.
-Papà, dov’è Alex?- sussurrai socchiudendo un occhio solamente, così da potermi accorgere del sorriso malizioso e soddisfatto comparso sul volto di Lewis, alle sue spalle.
Mio padre s’irrigidì sotto il mio abbraccio e si prese del tempo per rispondere.
Troppo tempo.
Mi scansai da lui di colpo e menzionai la stessa domanda, rivolgendomi però ad entrambi.
-Emily, ne parliamo più tardi. Adesso vieni con me, andiamo a riposare- disse Mark porgendomi la mano.
Mossi un passo indietro, di getto. –Dimmi dov’è, dimmi che sta bene- insistei, e nel frattempo scoccai un’occhiata a Lewis, dietro di lui.
Aggrottai la fronte accorgendomi ancora una volta della sua esitazione. –Papà- lo richiamai.
Martin gli si affiancò e fece per alzare parola, ma lo azzittì nel semplice gesto di sprigionare le ali dalla mia schiena. –‘Sta zitto, tu!- strillai.
-Emily, calmati- s’intromise mio padre con una grane autorità nella voce.
Lo fulminai con lo sguardo sollevandomi in aria. –Non avvicinarti!- gli ruggii contro.
-Emily, vieni giù, ORA!- mi ordinò.
-DIMMELO! LUI DOV’È?!- domandai scavalcando il suo tono.
Un Cacciatore Volante alle sue spalle ringhiò mostrando i denti e Mark fu per replicare, ma Martin precedette entrambi.
-La palestra, secondo piano, ti ricordi, vero?- disse.
Pronunciate quelle parole mi diedi una spinta con entrambe le ali e volai fuori dal laboratorio.
Mark si voltò verso di lui, scettico, ma Lewis sembrava tranquillo.
-Lasciala andare- mormorò Martin. –Arriverà giusto in tempo per assistere al gran finale- arrise malignamente.
Mark rilassò le spalle e andò a carezzare il muso di uno dei due Cacciatori Volanti. –Potevi giocare anche meno coi suoi sentimenti- sibilò scoccando un’occhiataccia al gemello.
Questi si avviò per primo fuori dal laboratorio, seguito a ruota dal fratello e dai suoi cuccioli alati.
   
 
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