4. Love me, love me
Colonna sonora: Savane Garden – Truly
Madly Deeply
Restammo
abbracciati così a lungo. Il mio respiro, ora calmo, che s’infrangeva
contro la camicetta della divisa di Mary, le sue dita affusolate che
s’intrecciavano con le mie corte ciocche setate.
- Sai –
esordì allegramente lei, dopo quei lunghi attimi di placido silenzio – Non so
come, ma avevo sempre saputo che il vostro legame sarebbe sfociato in qualcosa
di molto forte. Che avreste dimenticato quel giorno e sareste andati avanti -
M’irrigidii
nella stretta di quel corpo tanto morbido, al sentire nuovamente quel giorno fare capolino nel mio
presente. Quel maledetto giorno che tutti sembravano ricordare tranne il
sottoscritto, quasi tutto il mondo si fosse unito in una grande
congiura architettata per portarmi alla pazzia.
Ero stufo
di rimanere nell’oblio della mia memoria: io volevo conoscere cosa ci aveva divisi
in quel giorno.
Pigro,
alzai il volto verso quello della mia migliore amica - Quel giorno... -
soppesai con cura quelle due parole, dandogli più peso del dovuto – Anche Michael lo ripete spesso. Si può
sapere che è successo di tanto grave? - mi osai a domandare. Le iridi smeraldo
della mia amica, si allargarono incredule
- Davvero
non lo ricordi? – mi chiese, quasi scettica.
Scossi la
testa – Non completamente – ammisi, sconfitto dalla mia impotenza sul mio
stesso passato
- Non ti
ricordi neanche del vostro litigio? – continuò, sempre più stupita.
Scossi
nuovamente la testa. Non ricordavo nemmeno che ci fosse stato
un litigio!
Rassegnatasi
alla mia ignoranza, Mary si decise a raccontarmi ciò che mi ossessionava da due
giorni ormai.
Sospirando,
si sciolse dall’abbraccio e, assumendo il medesimo tono di un’anziana nonna che
narra le tristi vicende del suo passato, iniziò a
parlare
- C’ero
anch’io quel giorno – mi disse – Tu e Michael m’invitaste a giocare con il vostro nuovo
videogioco, cosa che avremmo sicuramente fatto se non fosse successo tutto quel
putiferio -
La mattina
era passata nel silenzio. Non ci fu nessuna parola tra noi, solo sguardi:
confusi, tristi, malinconici...freddi, crudeli, micidiali…
Le mie
speranze, createsi durante quella dolcissima notte, vennero
spazzate via in un attimo dalle sue gelide parole mattutine. La felicità di
essere riuscito a toccare il mio sogno sparì del tutto, seguito da ogni
speranza, emozione piacevole e sensazioni di gioia. L’unica cosa che permaneva
era l’amore per lui.
Un amore straziante immerso nella follia del peccato, ma pur sempre
amore…
Nonostante
mi sentissi alla stregua di una qualsiasi delle ochette con cui era solito
divertirsi non potevo fare a meno di sentire il mio cuore accelerare i battiti
e la gola seccarsi ogni volta che il suo nome mi saettava nei pensieri. La
realtà è che non avevo mai potuto fare a meno di
amarlo!
Non ricordo
quando iniziai ad accorgermi che i sentimenti che nutrivo per Steve non seguivano la giusta strada, ma da lì a provare
una forte attrazione anche sul lato fisico il passo fu assai breve. Iniziai ad
allontanarlo il più possibile da me, nella speranza di dimenticare quei
sentimenti impuri, e il litigio che si scatenò tra noi quel giorno fu un ottimo espediente. Ma nonostante
tutto non ci riuscì: continuavo ad amare mio fratello e, ogni volta che mi
guardavo allo specchio, vedevo solo un essere sporco, maledettamente sporco e
infinitamente perverso.
Cercai di allontanare questa perversione da me. Giuro che ci provai in
tutti i modi possibili!
In quel
periodo ebbi molte relazioni con diverse ragazze, ma con nessuna di loro
funzionò alle lunghe, neppure con colei a cui mi concessi per la prima volta.
Tentai, così, d’intraprendere questa strada con gli esponenti del mio stesso
sesso, pensando che i miei pensieri impuri fossero riconducibili a una mia strana inclinazione sessuale.
Andrew,
un ragazzo che incontrai casualmente ad una festa, fu colui
che potrei definire il mio mentore in questo campo. La nostra storia
andò avanti per otto mesi, con più bassi che alti, finché lui non mi lasciò.
- Mi sto
innamorando di te, Michael - mi disse con quel suo
sorriso triste che lo rendeva irresistibile - Ma so che tu non mi ricambierai
mai e io…io ho bisogno…- non lo lasciai finire: gli diedi un ultimo bacio e mi
allontanai. Ero ben consapevole di ciò che voleva dirmi, poiché io stesso me
n’ero sempre reso conto: ogni volta che lo baciavo, che mi abbracciava, che
facevamo l’amore io non vedevo lui…io vedevo Steve.
Amavo mio
fratello e non c’era modo di cambiarlo! Ero pervaso da un amore impossibile,
peccaminoso, condannabile da ogni senso morale. Come potevo sperare che un tale
sentimento fosse corrisposto?
Eppure
quella notte sotto i suoi baci, sotto i suoi tocchi, sotto i suoi sospiri iniziai a credere che potesse essere un amore a due vie. Oh
cavolo, ma come potevo essere così ingenuo?
Lacrime
silenziose scesero sulle mie guance. Le asciugai rapidamente prima che
spalancassi la porta della terrazza. L’odore umido della pioggia m’invase
velocemente, insieme all’insistente rumore delle gocce che s’infrangevano
contro la tettoia. L’unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento
era di stare da solo con i miei pensieri, nel vano tentativo di schiarirli un
po’. Il mio desiderio, però, non venne esaudito:
qualcuno aveva già occupato quel luogo e, guarda la fortuna!, erano le ultime
che avrei voluto vedere in quel momento…o forse le prime…
- Non esiste amore sbagliato o malato, Steve –
sentì dire Mary-Jane
- A-amore?! – la sua voce era confusa, insicura. Ogni suo
dubbio pareva avere un suono.
“Di che
diavolo stanno parlando?” mi chiesi, aggrottando le sopraciglia “Di me forse?”
Vidi la
chioma dorata della nostra amica d’infanzia spostarsi sopra il corpo supino di
mio fratello, e non potei trattenermi di stringere gli
occhi per qualche breve secondo. Non ero geloso di Jane,
non avrei mai potuto esserlo, soprattutto sapendo che quei due erano
semplicemente grandi amici. No, non era gelosia quella che sentivo, era
semplice e pura invidia: volevo poter avere anch’io quella libertà con mio
fratello. Una liberà così scontata, così pura…ma io non ero affatto puro, e
allora come lo potevano essere i miei gesti?
Un altro
frammento del loro discorso mi giunse perfettamente nitido, facendomi sentire
maggiormente in colpa per quella situazione in cui ricoprivo il ruolo di
perfetta spia.
- Ma stavolta, stavolta è diverso: sei preoccupato, turbato,
confuso, è il tuo unico pensiero…tuo fratello…-
Ebbi la
conferma di ciò che sospettavo: il centro del discorso ero proprio io!
- E tu come fai a sapere…? -
- Mi credi
davvero così stupida? - rise lei - Ti conosco troppo bene -
- Allora,
se lo sai, perché continui a dire che non è sbagliato? Non è forse un peccato
da maledire? Cazzo, è pur sempre mio fratello, no? E io me lo sono fatto, tranquillamente, come se fosse una
qualsiasi di quelle stupide che mi ronzano sempre intorno! Perché
continui a dire che non sono malato? -
Quelle
parole mi trafissero il cuore, come una scheggia affondata con sadica lentezza,
per farmi soffrire il più possibile.
Ora
iniziavo a capire il suo comportamento discostante che aveva tenuto quella
mattina: io lo ripugnavo! Ciò che io avevo osato chiamare amore
lui lo trovava semplicemente abominevole.
“Come ho
potuto essere così stupido?” domandai a me stesso, mentre il gusto salato delle
mie lacrime mi bagnava le labbra “Come ho potuto credere per un solo istante
che potessi essere corrisposto?”
Soffocai i
singhiozzi contro la manica della giacca che componeva la divisa scolastica,
poggiando l’altra mano sul maniglione antipanico che
riconduceva dentro alla scuola, intenzionato a correre
il più lontano possibile da quella maledetta terrazza. Mi fermai non appena una
frase stuzzicò la mia curiosità
- C’ero
anch’io quel giorno – stava dicendo la ragazza - Tu e Michael m’invitaste a giocare con il vostro nuovo
videogioco, cosa che avremmo sicuramente fatto se non fosse successo tutto quel
putiferio -
Era un
altro caldo pomeriggio d’inizio Luglio. Uno come tanti
altri con il sole che batteva infuocato su tutte le case, il cielo azzurro
privato dei veli delle nuvole e il vento che pareva essersi addormentato in
qualche zona d’ombra, dimenticandosi di allietare con il suo sospiro i comuni
mortali. Un silenzio tombale si era sparso nelle strade, ormai
prive del via vai cittadino. In quel silenzio aleggiava la mia vocina
sottile, che intonava una canzoncina mentre saltellavo sul marciapiede. Più che
una canzoncina era una filastrocca che usavo nel gioco
della campana. Non ci volle molto, infatti, prima che iniziassi a saltare su un
piede solo o su entrambi, alternandoli mentre sotto di essi
andava a disegnarsi, con linee immaginarie, lo schema di quel gioco.
Un sorriso
ingenuo illuminava il mio volto infantile, scoperto da due buffi codini che
fermavano le miei ciocche dorate ai lati della mia
testolina. Tenevano molto caldo quei capelli e non avrei
esitato a tagliarli se Michael e Steve non mi aveste detto che erano più luminosi del sole e
più preziosi dell’oro.
Già, quei due fratellini che tutti non potevano fare a meno di adorare,
me compresa: di una bellezza quasi angelica, molto intelligenti nonostante la
tenera età e profondamente legati l’uno all’altro. Un legame così forte che nessuno
riusciva a immaginarseli separati.
Steve era
il più grande: aveva nove anni ed era un mio compagno di classe. Aveva ricevuto fin da subito la nomina a bambino più carino della
scuola e, in prima elementare, i nostri compagni fecero di tutto per
farci fare un fidanzamento ufficiale. La cosa durò a malapena una settimana.
Dopo fu solo la nostra amicizia a crescere, un’amicizia che ci avrebbe
accompagnato per molti e molti anni.
Michael,
invece, lo conobbi successivamente, quando il fratello
iniziò a invitarmi a casa sua sotto cortese richiesta della madre. Michael, forse a causa dei due anni che ci distanziavano o
forse per suo vero e proprio carattere, era molto più timido del maggiore, nonché assai più dolce e taciturno. Ricordo
che era in grado di farti intenerire soltanto con un suo flebile sorriso.
Proprio per
queste sue caratteristiche, Steve, forte sia di
carattere che di fisico, aveva coltivato una sorta d’istinto di protezione nei
suoi confronti, cosa che sembrava rendere la signora Guire
particolarmente felice.
Quel giorno
i due fratelli preferiti da tutto il circondato m’invitarono
a casa loro per provare il videogioco, regalatogli in occasione della festa del
4 Luglio: “Dolls & Cars
Attack”, ossia il gioco che tutti i bambini
attendevano impazienti da due mesi.
Così,
saltellando come Cappuccetto Rosso alla volta della
casetta della nonnina, arrivai a casa loro, di poco distante dalla mia. Chi mi
venne ad aprire fu proprio il secondogenito
- Ciao Jane – salutò vivacemente, invitandomi ad entrare
- Piccola Mary-Jane, che piacere vederti
ancora – mi accolse gentilmente la padrona di casa. La signora Guire
era sempre dolce e premurosa con me e non si risparmiava dall’offrirmi ogni
genere di dolcetto preparato quotidianamente dalle sue mani di fata. Si
giustificava dicendo che le erano nati due splendidi maschietti ma che lei
aveva sempre desiderato una femminuccia.
- Sei
carina come al solito – mi disse, baciandomi la fronte
- Mamma! –
esclamò un’irritata voce dalle scale – Piantala di
fare complimenti a questa strega -
- Steve, suvvia, fai il gentile con la piccola Mary-Jane – lo ammonì dolcemente
la donna, pur sapendo che le sue frecciatine non
erano altro che il suo modo di dimostrarmi il suo affetto.
Dopo un
grosso bicchierone di latte e un paio di biscotti, salimmo tutti e tre in
camera di Steve e ci dilettammo
con il videogioco, commentando ogni minima cosa con l’eccitazione di cui sono
capaci solo i bambini. Eravamo più o meno a metà partita quando la voce
profonda del signor Guire ci raggiunse fino in
camera. Sarebbe iniziata allora la fine di molte cose…
- Michael vieni giù – sbraitò, con
il tono più infuriato che gli avevo sentito addosso. Il più piccolo ci dedicò
uno sguardo interrogativo, ma fu solo quando il fratello annuì deciso con il
capo che si decise a scendere dal padre, mentre noi ci appostavamo sulle scale
per poter vedere tutta la scena.
- No – la
voce strozzata della signora Guire uscì dalla cucina,
mista ai singhiozzi di un pianto che probabilmente la stava affliggendo – Vattene, ma lascia in pace loro –
- Taci! -
urlò l’uomo - Sono anche figli miei - ringhiò, prima di rivolgere il suo
sguardo al pargoletto che era appena entrato nella stanza. Il suo sguardo
confuso e impaurito si posò ripetutamente sia sul padre che sulla madre, la
quale tentò di chiamarlo ma venne bloccata da una
occhiata eloquente del marito.
Michael venne sollevato dalle forti braccia del padre, che sembrava
essersi un poco raddolcito con la sua vicinanza
- Cosa c’è, papà? -
- Michael, il mio ometto! Tu sei grande abbastanza per capire quello che ti sto per dire, vero? – il bambino annuì con scarsa convinzione – Papà va in un'altra casa –
Il piccolo
inclinò il volto da un lato - Perché? -
- Lui e la
mamma non vanno tanto d’accordo, così papà va via -
- Ma sarai sempre qui, vero? – chiese il figlio, non riuscendo
a comprendere pienamente quelle parole
- No, Michael no. E’
per questo che voglio chiederti di venire con me. Saremo io e te soli…-
un gemito di dolore della signora Guire lo obbligò ad
interrompersi, prima di riprendere, più convinto di prima – Ti piace l’idea? -
- M-ma-ma la mamma e Steve? – balbettò confuso Michael.
Di certo non voleva che suo padre se ne andasse di
casa, ma non voleva nemmeno separarsi dalla sua mamma e, soprattutto, dal suo
caro fratello.
- Loro
resteranno qui, Michael -
Quella
frase suonò come una condanna a morte su quella casa.
Steve si
alzò di scatto, andandosi a chiudere in camera sua prima che il discorso
potesse terminare. Io mi limitai a scuotere pazientemente il capo, consapevole
che il mio amichetto era sempre stato troppo impulsivo, continuando poi a
seguire con interesse quella conversazione
- Io non
voglio. Non voglio separarmi da Steve - piagnucolò
- Michael cerca di capire…-
- No!
Voglio stare dove c’è Steve…io voglio stare insieme a lui e alla mamma -
- Oh, bene!
– esclamò l’uomo, ormai al limite della pazienza,
poggiandolo nuovamente a terra – Famiglia ingrata. Chissà cosa diavolo hai inculcato nella testa di questi due poveri bambini –
urlò rivolto alla moglie, che ancora singhiozzava in cucina – Una famiglia di
disgraziati! Ecco cosa diventerà – gridò, prima di
sbattersi la porta di casa alle spalle. Quelle, che suonarono quasi come un
cattivo augurio, furono le sue ultime parole e l’ultima volta che i suoi figli
lo videro.
Michael
rimase qualche attimo fermo a fissare la porta dietro alla quale suo padre era
scomparso, aspettandosi, forse, di vederlo tornare con in
mano i regali che aveva promesso ad entrambi insieme ai biglietti per la partita dei Dogers.
Ecco qual è
la colpa dei bambini: quella di sognare, di sperare, d’illudersi anche davanti
all’evidenza.
E la
colpa degli adulti? Di distruggere ogni sogni, ogni speranza, ogni illusione…
Rientrai
nella cameretta, mentre il più piccolo risaliva le scale in perfetto silenzio,
rotto solamente dal lamento incontrollato della signora Guire
al quale si era unito anche quello del mio coetaneo.
- Steve – lo chiamai cautamente, sedendomi sul letto, al
fianco della sua figura rannicchiata
- Va via -
- Non è
colpa di tuo fratello – cercai di spiegargli
- E invece sì! E’ lui che ha fatto andare via papà – borbottò
lui, scosso dal pianto
- No, non è
vero! – esclamai, indignata davanti alla sua ottusaggine
- Beh, papà
voleva portarselo via, no? – disse, alzando finalmente il volto e mostrandomi
le lacrime che lo rigavano – E’ lui il suo preferito -
- Io non vado via con papà – informò la voce minuta del fratellino,
ora fermo sulla soglia
- Non m’interessa – ribatté gelido l’altro, trafiggendolo con
un’occhiata dura
- Steve – tentai di rimproverarlo, ma non mi diede neanche
retta: per loro, in quel momento, non ero altro che uno spettro fastidioso.
- Io
pensavo che saresti stato felice se fossi rimasto qui -
- Ti credi
davvero così importante? Credi di essere così necessario da darmi la felicità?
-
Fu gelido,
spietato senza alcun ritegno: la rabbia aveva cancellato da lui ogni possibile
ragionamento logico.
Rabbia per
essere quello imperfetto, per essere sempre secondo tra i due, e soprattutto,
per la consapevolezza che il suo protetto, prima o poi,
non avrebbe più avuto bisogno di lui. Una furia cieca che lo portò a non notare
nemmeno gli occhi argentati che si velavano velocemente di lucido, mentre il
piccolo cuoricino del minore andava in frantumi a quelle parole.
- Ma…ma…-
- Sta
zitto! – urlò l’altro, alzandosi da letto e avvicinandosi a grandi passi al più
piccolo – Se volevi andare con papà perché non ci sei andato? Perché non sei andato via con lui, lasciando me e la mamma
da soli? Credi che non ce la sappiamo cavare? Credi che non potremo essere
felice senza di te? Beh, ti sbagli. Io… io…ti odio! -.
Un urlo che accompagnò il rumore sordo di qualcosa che cadeva a peso
morto giù per le scale: il corpo di Michael. Impaurito per il comportamento del
fratello aveva arretrato fino a poggiare i piedi sugli
scali e, scivolando su uno di questi, era caduto facendosi l’intera rampa
ruzzolando. Ma se le ferite riportate da quel volo sarebbero
guarite in meno di una settimana, la ferita che gli si era aperta nel
suo cuore non sarebbe mai stata risanata. Quel – Ti odio! – l’aveva
attraversato da parte a parte, più dolorosamente di qualsiasi schiaffo. Eppure proprio quell’urlo non era
riferito a lui. Steve non vedeva altro che suo padre
nel corpo minuto del fratellino. A lui era rivolto quel grido liberatorio. Ma i
bambini sono troppo ingenui per comprendere una cosa
tanto complessa.
Così Michael rimase immobile alla fine delle scale, con gli
occhi sbarrati e pieni di lacrime come quelli di suo fratello, che era corso a
rifugiarsi nuovamente nella sua camera, e come quelli della madre,
singhiozzante in cucina.
In quel bel
giorno d’estate, molte cose ebbero fine.
- Io-io…fu colpa mia – sussurrai incredulo da ciò che io
stesso avevo detto al piccolo Michael d’allora.
- No,
affatto – si affrettò a correggermi Mary – Non fu
colpa tua. Tu vedesti in Michael, il figlio prediletto,
la figura di colui che non ti aveva mai dato
importanza: tuo padre -
- Questo
non mi giustifica affatto – ribattei, iniziando ad
infervorarmi
- Non è una
giustificazione: hai reagito esattamente come qualunque altro bambino -
- Sono
stato semplicemente un ipocrita: ho detto di odiarlo, che non creava la mia
felicità quand’era l’esatto contrario -
- Ti
riferivi a tuo padre in quel momento, non a tuo fratello stesso – ripeté
pazientemente lei, rialzandosi in piedi e riaggiustandosi alla bell’e meglio la divisa.
- Smettila con questa psicologia da quattro soldi, Mary – dissi
esasperato. Lei sorrise pazientemente, accarezzandomi la guancia
- Che lagna che sei – mormorò, pochi secondi prima che il trillo
della campanella ci richiamasse nella nostra aula. La mia amica accolse con uno
sbuffo quel fastidioso rumore, che ricorreva fin troppo spesso anche nei suoi incubi
- Non ho
proprio voglia di subirmi un’altra le-zio-ne?! –
iniziò inspiegabilmente a sillabare, mentre il suo sguardo si perdeva in un punto
indeterminato dietro le mie spalle. La guardai per qualche attimo, aggrottando
le sopracciglia, prima di seguire la linea dei suoi occhi la
quale si posava sull’ultima persona che avrei pensato, e avrei sperato,
di vedere in quel momento
- M-M-Michael – balbettai – Da
quanto sei lì? -
- Da
abbastanza – si limitò a rispondere.
“Risposta
per niente positiva” sembravo l’unico a pensarla così,
visto che sul volto di Mary non c’era altro che uno sguardo trionfante,
estremamente irritante per il sottoscritto.
- Beh, io
devo andare o la professoressa si divertirà a torturarmi - disse, mentre si allontanava sempre più da
noi - Non preoccuparti: la trovo io una scusa che ti permetta di risolvere il
tuo…ehm…contrattempo. Prenditela con tutta calma – concluse, facendomi
l’occhiolino, prima di sparire velocemente dietro la pesante porta di ferro che
divideva il resto dell’edificio da quel piccolo pezzo di paradiso. Un paradiso piuttosto silenzioso, ad essere sinceri.
Come c’era d’aspettarsi, infatti, dopo la scomparsa della ragazza tutto
pepe nessuno di noi due ebbe il coraggio di spiccicare una sola parola,
lasciando che un filo di tensione ci legasse.
- Io…- tentai di dire qualcosa, ma nulla riuscì a sfuggire a quel nodo
che mi aveva chiuso la gola
- Io ti disgusto, vero? – mi chiese, abbassando lo sguardo rassegnato. La sua voce
tremava sotto la frustrazione e la disperazione che, sapevo, si nascondevano nel suo animo, ma non potei fare a meno di
guardarlo con un tono interrogativo
“Cosa? E questa quando gli è saltata
in testa? Come diavolo può credere che una persona così splendida possa
disgustarmi?”
- Michael, ma cosa stai…-
-
Stamattina mi hai respinto quasi fossi la peste e
adesso non facevi altro che ripetere che era sbagliato, un peccato da maledire.
Ti ho sentito, Steve – m’interruppe
alzando di poco la voce. Notavo il suo tentativo di rimanere il più calmo possibile, nonostante il suo nervosismo fosse ben
definito dal tremito che gli attraversava tutto il corpo. La sua voce tornò a
farsi sentire, questa volta con una piega che ben si sposava con la sofferenza
che gli batteva nel petto
- So come
mi vedi: sporco, perverso, una cosa da rinnegare, da nascondere. E’ inutile che
menti, perché io stesso mi vedo così. Ma anche se sono un mostro nulla ti da il diritto di giocare con i miei sentimenti, d’ingannarmi
solo per divertirti un po’ – urlò con quanto fiato aveva in gola, mentre le
lacrime uscivano violentemente dai suoi occhi grigi – Nulla ti dai il diritto
di prendermi ogni volta che il tuo corpo lo desidera, per poi lasciarmi quasi
fossi un ogg – fermai le sue parole stringendomelo
forte al petto. Non avevo più la forza per subire quelle sue continue critiche
rivolte a se stesso, e del tutto lontane dalla sua vera natura.
Lentamente
il suo corpo si sciolse nel mio abbraccio singhiozzando contro la camicia della
mia divisa. Iniziai a cullarlo con dolcezza, nella speranza di riuscire a
placare il pianto che lo strozzava.
- Basta
piangere – gli sussurrai
- Perché? – mormorò lui, visibilmente distrutto – Perché non puoi dirmi che mi odi? Almeno non dovrei soffrire così tanto
-
- Io non
posso odiarti, fratellino – gli disse, poggiando lievi baci sulle sue ciocche
scure – Sei talmente bello e pure da sembrare un angelo -
- Non dirmi
stronzate! – mi ordinò, battendo un debole pugno sui
miei pettorali che ebbe unicamente la forza di farmi
sorridere, intenerito davanti alla sua immagine. Il suo dolce profumo mi
avvolgeva i sensi e il calore del suo corpo stretto contro il mio m’irradiava
nel petto una piacevole sensazione, proprio come l’abbraccio che mi aveva
donato quella mattina e che mi aveva fatto sentire così…amato? Sì, finalmente
avevo trovato la parola giusta!
Mi appogiai con le spalle al muro, facendoci successivamente scivolare fino a terra. Timidamente si mosse
su di me, cercando di sistemarsi meglio in quella posizione
- Ero
confuso – mi giustificai, accarezzandogli pensieroso la testa, ora incastrata
nell’incavo tra la mia spalla e il collo – Spaventato del nuovo, di quello che
non conoscevo e di quello che avevo dimenticato -
Il racconto
della mia migliore amica mi ritornò alla mente, forte come una cannonata: ero
stato un infame con lui e, anche se Mary continuava a giustificarmi, non potevo
fare a meno di sentirmi colpevole per tutto quello.
Una colpa che volevo espiare soltanto con il suo perdono. Intanto lui pareva essersi
calmato: i suoi singhiozzi erano morti in lenti e profondi sospiri, che
parevano quelli di un addormentato. Nonostante fosse
incredibilmente piacevole quell’attimo di pace
cullato solo dal nostro respiro, mi costrinsi ad infrangerlo. Non potevo
lasciare che tutto rimanesse così, senza alcuna conclusione…
- Michael - lo chiamai ansioso. Lui annuì appena, dandomi
segno di poter continuare – Tu hai sentito quello che
mi ha raccontato Mary-Jane? -
Annuì
nuovamente con un pigro mugugnare, senza tuttavia abbandonare la posizione che
aveva assunto
“Sempre di
poche parole il ragazzo, eh?” commentai sarcasticamente nella mia testa
- Io, vedi…io non ricordo nulla di quel giorno. Ma ora, che almeno
so cosa è effettivamente successo io vorrei chiederti
per…- le mie scuse si spensero contro le sue dita affusolate
- Non
importa. E’ una cosa vecchia ormai – il suo tocco delicato salì fino alla mia
fronte – Il coma ti ha tolto tanti ricordi -
Già, il
coma: la fonte della mia amnesia. Non erano passati neanche due anni da quel
giorno di cui, tutt’ora dopo le varie sedute di riabilitazione, non riesco a
vedere che pochi e miseri frammenti: la pioggia, una macchina che esce
all’improvviso, uno scontro frontale a cui per miracolo sono sopravvissuto e
poi i lunghi tre mesi passati attaccato ad una macchina tra la vita e la morte.
Dovevo aver
assunto un’espressione turbata perché, quando tornai alla realtà, incrociai i
suoi occhi che preoccupati vagavano sul mio volto. Sorrisi,
posando due dita sotto il suo mento e costringendolo ad alzare quel viso
celestiale per poterlo avvicinare più facilmente al mio. Le mie labbra
sfiorarono le sue, prima di poggiarsi definitivamente in un casto bacio. Oddio,
la castità non durò poi molto, e non c’era da dubitarne conoscendomi!
Continuai a
guastarmi della sua bocca di pesca finché proprio lui non m’interruppe,
allontanandomi gentilmente da se. Un verso di disappunto librò
involontariamente dalla mia bocca, ma esso sparì immediatamente non appena
incrociai i suoi occhi, che, ora timidi, cercavano di sfuggirmi.
- Che succede? – gli chiesi, non comprendendo quel suo
repentino cambiamento.
- I-i-io..io volevo solo – iniziò a
balbettare, arrossendo vistosamente – Volevo solo dirti che…ti amo…-
Ognuna di quelle ragazze mi aveva
detto almeno una volta “Ti amo”. Piangendo, ridendo, arrossendo, in modi
diversi ma quello era il concetto. Eppure nessuna di
loro mi sentì mai rispondere a quell’affermazione: io
non l’avevo mai detto.
Sorrisi –
Ti amo anch’io, Michael –
sussurrai stringendolo di nuovo a me, e tornando a baciarne la fronte.
In quei
giorni di pioggia successero davvero molte cose: scoprì di avere un fratello,
scoprì il mio passato, scoprì la mia anima gemella e scoprì…di amarla.
§ THE END §
Free Talk
Dunque dunque un aggiornamento dopo un solo giorno. Ho paura di me
stessa, non è degno di me ^^’’’
Bene siamo
giunti alla fine della prima parte di questa trilogia ^^ Finale un po’ troppo
romantico per i miei gusti, e vi prego di perdonare tutte le sdolcinatezze di quest’ultimo capitolo ^^
Presto
aprirò le danze alla seconda parte di questa trilogia. Il titolo sarà Minutes & Seconds
(titoli che non centrano mai un cavolo, complimenti -.- NdWhite
– Fa un po’ di silenzio, tu >_< NdBlack). Spero
vi possa appassionare come questa prima parte sembra
aver fatto ^^
E
passiamo ai soliti ringraziamenti: dunque, vedo che pucci2 si è infervorata per il comportamento di Steve.
Beh, in effetti il suo è un comportamento infantile,
ma non fateglielo notare se no non lo ferma più nessuno. Come vedi Mary-Jane ha salvato abilmente la situazione ^^
Un grazie
anche a mimmyna:
sono onorata davanti a tanti complimenti, che non credo comunque
di meritare ^///^ Felice che la storia che ho creato sia di tuo gradimento,
nonostante la situazione spinosa ^^
Alla
prossima ^^