iii.
Jobal
Naberrie era
solita dire alle figlie, quando ancora la famiglia viveva tutta sotto
lo stesso
tetto, che la prima immagine al mattino, aperti gli occhi, era la
più
importante della giornata. Si basava su una convinzione che aveva il
sapore del
folklore, ed il detto era stato veicolato giù per le
generazioni anche grazie
ad una storia d’immenso successo che tutti i naboo finivano
per conoscere prima
dei quattro anni.
Come spesso
accade
con le tradizioni inculcate in tenera età, Padmé
non s’era mai completamente
liberata di quel concetto. Per questo motivo, da sovrana aveva sempre
insistito
per un vaso pieno di fiori di loto laddove avrebbe posato per primo gli
occhi
al mattino, e poi, da senatrice, scomparsi il tempo e la costanza della
regina,
aveva deciso d’accontentarsi della veduta moderna, ma a suo
modo venusta, della
skyline coruscanti.
Presto nella
sua vita
sarebbe arrivata un’altra vista preferita da contemplare al
mattino; una vista
che, seppure le fosse stata negata fin troppe volte, riusciva a
ricordare con
dovizia di dettagli anche se lontana mille anni luce.
Quel mattino
la prima
immagine del mattino fu proprio lui, con i capelli illuminati di
riflessi
dorati dalla luce che filtrava dalle tendine calate. I suoi occhi a
metà tra il
blu e il grigio erano placidissimi. Quando notò che era
sveglia sorrise e le
posò un bacio sulla fronte, tutto affettuoso.
C’era
una certa
bellezza, silenziosa eppure vera, in ogni suo movimento. Nel guerriero
che la
guerra le aveva restituito non era sparita quella grazia gentile che
l’aveva
fatta innamorare di lui (assieme a mille altre cose prima sconosciute),
e ora
latitava nei suoi gesti, nel collo teso, nei capelli sparsi sul
cuscino.
Per un
po’, Padmé si
fece cullare dai pensieri sonnacchiosi e leggeri che erano il naturale
proseguimento dei sogni di poco prima. In quel modo ci si poteva quasi
convincere
che non era successo nulla di che nella sua vita. Tutto era come prima
– le
ore, le giornate, tutto quanto sarebbe andato com’era andato
prima: non
idealmente, ma abbastanza felicemente nonostante tutto. Lei e Anakin
avrebbero
fatto come avevano sempre fatto, chiaccherando fino a che non fosse
arrivato il
giorno pieno, e le loro conversazioni sarebbero finite sempre sul
bambino e
sulla casa che avrebbero comprato a Theed
(“c’è questo luogo perfetto, e non
è
lontano dalla casa dei miei genitori…l’ho visto
quando ci sono stata l’ultima
volta, è un amore…”), e
Padmé come al solito l’avrebbe rassicurato che non
le
importava di dover esser lei a pagare. Poi le loro vocazioni li
avrebbero
divisi, risucchiandoli uno al Tempio e l’altra al Senato,
dove avrebbero svolto
il loro dovere diligentemente pur pensando solo l’uno
all’altra, e al loro
bimbo. Finalmente sarebbe arrivato il tramonto, e si sarebbero
incontrati nella
veranda bagnata di calda luce arancione, e, insomma, sarebbero stati
felici.
La sua mano
trovò la
via del ventre gonfio, e si posò lì mentre
Padmé combatteva per rimanere
attaccata con le unghie a quei pensieri pacifici. Poi perse, e dovette
affrontare la realtà.
‹‹Anakin?››
‹‹Sì?››
Si
staccò un po’ da
lui per guardarlo bene negli occhi, e Anakin, che doveva aver capito di
cosa
voleva parlare, si staccò a sua volta un altro
po’.
‹‹Possiamo
parlare
adesso?››
Anakin non
rispose e
si limitò a guardare nell’altra direzione, verso
il corridoio per la veranda.
‹‹È
importante per
me.››
Anakin si
girò per
guardarla, e la scrutò per un secondo. Allungò
una mano verso la sua guancia e
l’accarezzò, modulando anche un piccolo sorriso di
scuse.
‹‹Padmé,
no. Non
parliamo di queste cose, d’accordo? E’ una
così bella giornata.››
‹‹Ma
io devo -››
‹‹Padmé,
no, non
devi. Non dobbiamo fare niente. Fidati di me. Va tutto
bene.››
Poi con un
movimento
fluido s’alzò e andò in cerca dei suoi
vestiti e degli stivali. Padmé
l’osservò
ammutolita per un po’, mentre Anakin ciabattava di qui e
di là come se non
fosse successo assolutamente nulla il giorno prima e il giorno prima
ancora. La
sensazione divenne via via più strana, finché non
dovette fare qualcosa per
riportare se stessa nella realtà, ovvero, parlare.
‹‹Ma
Anakin,
quello che Obi-Wan
mi ha raccontato –
quelle cose erano davvero…Non trovo nemmeno le parole,
capisci? E
io devo
sapere se…››
‹‹Qualsiasi
cosa ti
abbia detto Obi-Wan, non devi credergli. Sta cercando di metterti
contro di me.››
‹‹Ma
Obi-Wan si
preoccupa per noi!›› Riprese il fiato,
‹‹Anakin,››
la vocazione le uscì dalle labbra ancora più
accorata di quanto avesse voluto, ‹‹cosa
è successo? Mi ha detto cose
che…››
I movimenti
di Anakin
in giro per la stanza – s’infilò gli
stivali con un movimento secco, troppo
forte – divennero nervosi, e la sua mascella si contrasse in
una linea dura. Si
raddrizzò e si passò una mano tra i capelli.
‹‹Padmé,
l’unica cosa
che devi sapere è che Obi-Wan è incapace di
proteggerti come posso fare io. E
io non ti perderò, fosse l’ultima cosa che
faccio.››
Alto e cupo,
s’infilò
la giacca.
‹‹Adesso
andrò ad
incontrare l’imperatore. Ci vedremo stasera. Spero che userai
la giornata per
riflettere.››
Quindi
uscì, e Padmé
rimase lì a fissare il vuoto davanti al letto, chiedendosi
esattamente a cosa
avesse fatto da testimone quel mattino.
______________________
L’imperatore
Palpatine si congratulò immediatamente per il successo
conseguito dal suo
apprendista nell’affrontare i separatisti su Mustafar. Gli
disse, non
risparmiando gli encomi, che aveva svolto in maniera più che
efficiente il suo
lavoro, e aggiunse, con una nota di sfrontata ironia, che
l’intero impero lo
ringraziava per il suo servizio. Aggiunse inoltre, con un sorriso non
scevro di
una certa affettazione, che una congrua ricompensa aspettava Anakin nel
conto
intestato a suo nome, e che era tutto suo e che poteva farci tutto
quello che
voleva. Era la prima volta che Anakin possedeva del denaro da quando
era
diventato un Jedi: tutto il denaro che aveva toccato negli anni del suo
servizio era stato destinato alle emergenze o ai casi fortuiti.
Fu nel
seguito di
quella conversazione, tenuta attorno ad un tavolo imbandito di
delicatezze di
pasticceria, che Anakin venne a sapere del tentativo solitario del
maestro Yoda
di uccidere l’imperatore ed eseguire, insomma, il piano di
rovesciamento del potere
che i Jedi nutrivano da secoli.
‹‹Come
puoi vedere,
mio apprendista, un sapiente conoscitore del lato oscuro della Forza
è assai
più potente del più potente dei
Jedi.››
Anakin lo
aveva
ascoltato a malapena, mentre ripensava al litigio di quella mattina.
‹‹Come
sta la
senatrice Padmé?›› chiese Palpatine
con un sorriso che s’assomigliava in
maniera sospetta ad un ghigno.
Immediatamente
sorse
il sospetto nella mente di Anakin che Palpatine in qualche modo sapesse
del
litigio. Probabilmente lo aveva potuto inferire dall’impronta
incerta ed
agitata di Anakin nella Forza. E comunque stessero le cose –
ed era la parte
che lo frustrava di più – si sentiva talmente
vulnerabile che qualunque
padawan, anche il più inesperto, avrebbe potuto metterlo
fuori combattimento.
Non era semplicemente abituato ad essere trattato in quella maniera da
sua
moglie.
‹‹Molto
bene.››
Il vecchio
aveva
dimostrato più e più volte un’intensa
curiosità nella sua situazione
matrimoniale. Le sue pupille si ridussero a fessure, ma non disse altro.
All’improvviso,
il
volto sfigurato del suo Maestro gli procurava soltanto un profondo
disgusto.
Non gli piaceva quando Palpatine menzionava sua moglie. Il nome di
Padmé –
incontro delle labbra, colpo sul palato, di nuovo un bacio –
era puro, e non
andava insozzato.
E poi
c’erano quelle
paure strane, che si portava dietro da mesi ormai, e sembravano anni.
Quanti
giorni e quante notti aveva passato in uno stato di tremenda
agitazione,
cercando indizi che gli dicessero quanto Padmé lo amasse, se
più, se come il
giorno prima, o forse un po’ meno; e quel sospetto che lo
faceva a pezzi.
‹‹Ritornando
al tuo
ottimo servizio, credo che tu ti meriti oltre a un riconoscimento in
denaro
anche un riconoscimento ufficiale, Vader. Organizzeremo una cerimonia
per l’occasione.
E, se non ti dispiace, ho già approntato una nuova residenza
per te e tua
moglie, che credo sarà di vostro gradimento. L’ho
scelta per voi con i miei
stessi occhi. Ma desideri qualcosa in particolare, apprendista? Se il
sistema
di Corellia ancora ti interessa…››
Le parole
dell’imperatore erano sicuramente allettanti, ma nel cuore di
Anakin non
vibrava la cupidigia di chi all’improvviso poteva possedere
molto. Il pensiero
lo faceva quasi vergognare. Almeno in quel senso, riflettè
con una punta d’ironia
amara, era stato ben indottrinato dai Jedi. Eppure, provò
anche un moto di
soddisfazione. Ricevere un compenso lo rendeva automaticamente capace
di
sostenere economicamente la sua famiglia, e, quindi, lo rendeva un Vero
Uomo.
Solo
‹‹Desidero
sapere
cosa dovrò fare adesso,›› rispose con
cautela. Poi aggiunse, ‹‹e desidero che
continui ad insegnarmi le vie del lato oscuro. Il parto è
vicino.››
Palpatine
ghignò.
‹‹Molto
bene.
Inizieremo con la seconda, oggi. Abbraccia la tua paura,
apprendista,›› e poi,
allargando il sorriso, ‹‹e la tua rabbia. Sono le
passioni a muovere questo
universo, e indirettamente anche
______________________
La giornata
passò in
una strana, sfocata nebbia. Le parole di Anakin continuavano a
riproporsi nella
sua testa, assumendo via via sfumature più minacciose,
finché Padmé non ebbe paura
di essersi sognata quella conversazione, o di aver travisato in qualche
modo le
parole di Anakin. Sicuramente, faceva meno male pensarla a quel modo.
Dagli ampi
vetri del
suo attico osservò il Tempio un paio di volte, immaginando
che Anakin fosse lì
dentro, a meditare, a dare lezioni ai bambini. Anakin le aveva promesso
un
giorno che non avrebbe lasciato che l’Ordine
s’appropriasse dei loro bambini, e
che li avrebbe addestrati lui stesso e che sarebbero rimasti sempre
insieme. Ma
dov’erano ora quei bambini del Tempio?
Perché…
Per svagarsi
cercò
d’affaccendarsi in casa, poiché non aveva il
coraggio di uscire e affrontare la
turbolenta vastità di Galactic City. Fu quando si sorprese a
trasportare un
vaso di fiori per la terza volta dal soggiorno alla camera degli ospiti
che 3PO
intervenne.
‹‹Padrona,
sarebbe
arrivata una chiamata or ora da Naboo,›› disse il
robot con la sua
caratteristica, appena ansiogena cortesia. ‹‹Ho
ragione di credere che siano i
suoi parenti, senatrice. Devo francamente osservare che sembrano
alquanto
agitati, ma sono sicuro che una buona conversazione
-››
‹‹Grazie,
Trepio.››
Era dunque
arrivato
il momento, effettivamente in anticipo sui tempi che lei aveva
pianificato
quando ancora poteva pianificare qualcosa. Non c’era nessun
luogo dove
nascondersi, e doveva affrontare la realtà.
Trepio la
condusse,
come al solito logorroicamente, fino al suo ufficio: a quel punto
Padmé lo
chiuse fuori dicendogli di andare ad annaffiare le piante ornamentali
della
veranda. Quindi si
sedette davanti alla
consolle per le videochiamate e con un sospirò premette il
pulsante per
accettare il collegamento.
Prima
leggermente
disturbata, in seguito nitidissima, apparve l’immagine di sua
madre.
‹‹Padmé!
Non sai
quanto eravamo preoccupati! Aspettavamo che fossi tu a chiamarci
ma…››
Jobal
Naberrie era
stata una donna attraente e il suo viso ancora conservava la passata, e
non del
tutto sfiorita, bellezza. Teneva i capelli stretti nella sua solita
crocchia, e
indossava i suoi soliti abiti da casa, ma non c’era nulla di
solito nella sua
espressione tesa e nell’incarnato pallido. Pareva esser
dimagrita, e sotto gli
occhi aveva grosse occhiaie scure. Dietro di lei, Padmé
riconosceva l’ufficio
di suo padre, nella casa di Theed.
‹‹Avevamo
paura che
ti fosse successo qualcosa, lì a
Coruscant…!››
Padmé
le offrì un
mezzo sorriso che voleva essere rassicurante.
‹‹Sto
bene, mamma.››
Poi
arrivò la domanda
più scontata e più difficile che avesse potuto
farla, e alla quale Padmé non
aveva risposte convincenti.
‹‹Padmé,
ma cosa sta
succedendo?››
Poi dietro
sua madre
comparvero, un po’ inaspettatamente visto che non avevano
fatto un suono da
quando era cominciata la comunicazione, suo padre e sua sorella. Con
voce
totalmente disorientata, una alla quale Padmé non era
abituata a dare ascolto
quando si trattava di suo padre, Ruwee parlò.
‹‹Non
si capisce più
niente, Padmé. Cosa sta succedendo?››
Padmé
per qualche
istante li guardò soltanto, ammutolita. Delle parole le
venivano in mente, e
delle frasi s’assemblarono da sole, una più
catastrofica dell’altra, finché non
si ricordò che, con i loro occhi spauriti, la sua famiglia
le stava chiedendo
rassicurazioni che lei non era più in grado di dare.
‹‹Non
lo so. Sono
confusa quanto vuoi. Noi senatori non siamo stati informati in anticipo
di
questa mossa più del comune
cittadino.››
Jobal e Ruwee
si
scambiarono un’occhiata di veloce preoccupazione.
‹‹Cos’è
questa storia
dell’impero? E il ragazzo,
Skywalker…?››
Per i suoi
genitori,
Anakin era due cose soltanto, piuttosto marginali nella loro vita di
tutti i
giorni. Era un eroe acclamato della Repubblica, e, ormai remotamente,
il
protettore Jedi che Padmé aveva portato a casa tre anni
prima e che sembrava
essersi infatuato della loro figlia minore. Per quello che sapevano
loro, le
strade di Anakin e Padmé si erano separate dopo la follia di
Geonosis – così
come amavano riferirsi a quell’evento della sua vita
– per incrociarsi
saltuariamente ad eventi ufficiali o cose del genere. Padmé
sapeva che avevano
seguito con interesse le vicende del giovane Skywalker durante la
guerra, e
ogni qual volta il nome di Anakin affiorava sull’Holonet
– fatto ormai
piuttosto frequente – uno dei tre avrebbe trovato il modo di
farne un punto di
conversazione (“Oh, Padmé, hai sentito cosa ha
fatto adesso il tuo Jedi?”); e
col passare del tempo “il tuo Jedi” era diventato
“il giovane Skywalker”,
mentre la familiarità con quel ragazzo andava svanendo. Ad
ogni modo, Padmé
sapeva che i Naberrie erano orgogliosi di aver ospitato a pranzo
l’eroe più
luminoso della Repubblica, e i suoi sospetti furono confermati un
giorno in cui
Jobal, a metà tra il divertito e l’incredulo, le
aveva raccontato che Ruwee
s’era vantato coi colleghi
di universitù
di averlo conosciuto personalmente.
Sola, che era
terribilmente interessata nelle vicende amorose della sorella
– o nella
mancanza ‘assolutamente spaventevole’ di esse
– aveva commentato un paio di
volte che Padmé s’era fatta scappare proprio una
bella occasione, così come
amava definirla: perché Skywalker diventava, impresa dopo
impresa, una leggenda
e un gran bell’uomo. E ogni volta Padmé s'era
dovuta trattenere dallo scoppiare in un sorriso e annunciare che non
s'era lasciata scappare nessuna occasione, perché era
proprio lei la moglie di quel meraviglioso, affascinante Jedi che
camminava nella Storia.
‹‹Vi
devo dire molte
cose.››
Il
chiaccheriggio
agitato dall’altro lato dello schermo si zittì, e
tutti gli occhi si fissarono
nuovamente su di lei, pretendendo spiegazioni.
‹‹Voglio
essere
totalmente sincera con voi, e spero che riuscirete a tenere il segreto
su ciò
che sto per dirvi finché…finché
sarà opportuno.››
Jobal
annuì accorata.
‹‹Anakin…Anakin
e
io…è meglio che lo sappiate da me, capite, e che
non vi arrivi per l’Holonet,
no? Perché credo che la notizia stia per uscire comunque,
quindi non ha senso
che io vi tenga all’oscuro…››
‹‹Padmé…?››
‹‹Tre
anni fa, io e
Anakin, dopo – una settimana dopo – ci siamo, uh,
ci siamo sposati. Sì,
sposati. E io ora aspetto un bambino.››
Di colpo le
sue mani
divennero molto più interessanti del solito, mentre
aspettava la loro reazione.
‹‹Sei
sposata? Ma
quando – noi non…sei incinta?››
Disse incinta come se le bruciasse la lingua,
come se fosse qualcosa di incredibile e vagamente repellente, che non
aveva
alcun senso e non ne avrebbe mai avuto. La guardò con
occhietti stralunati, e
poi, come se stesse cercando qualcuno per suffragare la sua
incredulità, passò
in rassegna i volti del marito e dell’altra figlia,
ugualmente confusi.
Poi fu Sola a
scoppiare, puntando pure un dito allo schermo, con un’aria di
terribile offesa.
‹‹Tutto
questo tempo
– e tu ce lo dici soltando adesso? Ora sì che
quadra tutto. Scommetto che non
t’andava di venire a visitarci con un bambino segreto nella
pancia. Ay, Padmé!››
E poi scosse
la
testa, sorrise amaramente alle proprie scarpe e si girò.
Jobal
ascoltò in
silenzio lo sfogo della figlia maggiore, e guardò il marito
in cerca di
quell’aiuto indistinto che andava sperando di trovare. Ruwee
si massaggiava le
tempie come per mandar via uno sgradevole mal di testa. Poi
parlò, senza né
l’accoramento di Jobal né lo sdegno di Sola:
sembrava stesse parlando del
tempo.
‹‹E
Skywalker è il
padre. Ma quanto ancora pensavi di tenercelo
nascosto?››
‹‹Ecco
perché non
veniva mai a casa!›› inserì Sola con
una risatina isterica.
‹‹Sola,
per favore,››
sussurrò Jobal intrecciando le dita in una preghiera.
‹‹Scusa
mamma, ma è
soltanto incredibile -››
‹‹Sola,››
supplicò
Padmé. ‹‹Sola, non te ne
-››
‹‹Padmé,
almeno dacci
uno straccio di spiegazione. Non sarebbe la cosa da fare? Ti sposi con
un tipo
che conosci da…cosa?, un mese?, e ce lo tieni nascosto per
tre anni, dico tre
anni, e poi ci dici che sei incinta di quest’uomo e che
quest’uomo – ah, un
Jedi, tra le altre cose -
e tu, e
l’impero…›› e poi per lei
parlarono le sue mani che disegnavano cerchi
nell’aria, continuando con la sua esasperazione che non aveva
più parole.
Padmé
li guardò tutti
in faccia. Qualunque cosa avesse detto loro sarebbe
suonata
una monca, stupida giustificazione.
‹‹Io
non volevo darvi
questo peso,›› esclamò, iniziando a
piangere. ‹‹Sapevo che vi preoccupavate
già
tanto per me, e a cosa vi sarebbe servito sapere che ero sposata con
Anakin, e
che aspettavo un bambino? Ve lo volevo dire quando sarei arrivata a
Naboo.
Doveva essere un segreto. Se l’Ordine lo avesse saputo Anakin
sarebbe stato
espulso e io – io non volevo creare uno scandalo
lì a Naboo -››
‹‹Noi
avevamo il
diritto di sapere!›› ruggì Ruwee.
‹‹Sei ancoa nostra figlia,
Padmé!››
‹‹E
ve lo avrei
detto!››
Fu Sola a
parlare
stavolta, girandosi e allargando le braccia.
‹‹Quando?
Quando ti
sarebbe scappato il suo nome? Era questo il vostro piano? Oh,
Padmé,
credevo…credevo…››
‹‹Noi
volevamo solo -››
‹‹Cos’è
che volevate?
Tu -››
E gli occhi
di Sola
divennero grandi come piattini, improvvisamente illuminati da
un’idea
sfolgorante. ‹‹Tu eri a conoscenza di tutto
– tu sai tutto…››
‹‹No!››
gridò Padmé, sentendo che
l’agitazione le congestionava anche il volto.
‹‹Ve lo giuro, ve lo giuro sul
mio bambino, io non ne sapevo niente, non mi è stato detto
niente. Anakin, lui
non…››
Ma era
inutile. Sola
la guardava con sospetto, e se n’era andata alla finestra, a
guardar fuori,
nella soleggiata tarda primavera naboo. Ruwee l’aveva seguita
ciondolando,
passandosi una mano tra i capelli grigi, con la camicia tutta
stropicciata dove
l’aveva sfregata contro lo schienale della sedia. Jobal,
l’unica rimasta lì
davanti allo schermo, si tormentava il labbro superiore come faceva
sempre in
quelle situazioni.
‹‹Oh,
Padmé,›› disse
Jobal sottovoce. ‹‹Che
situazione.››
Era una bella
situazione davvero. Ora che ne aveva parlato ad alta voce a
Padmé appariva
chiara l’assurdità di tutta quella vicenda.
Insomma, sposarsi, rimanere
incinta, e nascondere tutto ciò alla propria famiglia per
tre anni? Ce n’era di
che uscir pazzi. Ora si sentiva soltanto desolata, e prese a
tormentarsi le
mani sotto al tavolo, aspettando che qualcuno di loro dicesse qualcosa.
‹‹Guarda
un po’ che
storia,›› disse Ruwee dalla finestra, come se
stesse commentando su un
risultato sportivo. Suo padre pareva del tutto fuori da quella stanza,
nel suo
mondo personale. E poi a Padmé venne in mente di tutte
quelle volte in cui solo
lei era riuscita ad entrare nelle timide malinconie di suo padre,
quando non
era l’uomo gioviale di tutti giorni, e le venne da piangere.
‹‹Di
quanti mesi sei?››
‹‹Scusami?››
‹‹A
che mese sei?››
‹‹Ottavo,››
rispose
Padmé. Istintivamente una mano si posò sulla
pancia tesa sotto la tesa del suo
abito. Il bambino lì dentro si rigirò, mollando
un calcetto garbato.
‹‹E
dov’è Anakin
adesso?›› interruppe Ruwee.
‹‹E cosa diavolo è successo ai Jedi,
già che ci
siamo?››
‹‹Lui
non è qui
adesso. Credo sia con Palpatine in questo momento. Ed io so solo che
l’impero
ha dichiarato i Jedi suoi nemici, e che sono stati distrutti. Vi giuro
che è
tutto quello che so. Anakin è tornato soltanto ieri
notte…››
La lingua
pungente di
Sola fu troncata da un brusco gesto di Jobal, che prese le parti della
figlia.
‹‹Sola,
ti pregherei
di smetterla. E anche tu, Ruwee. Non è il momento di fare
delle accuse. Io
credo a Padmé e…e sono sicura che è
sempre stata in buona fede. Hai ragione,
Ruwee, è ancora nostra
figlia.››
E lo disse
con un
tono così perentorio che sembrava volesse scacciare dalle
teste di tutti il
sospetto che ad aver tenuto su tutto quel teatrino fosse stata
un’altra Padmé –
un clone sconosciuto che aveva tramato nell’ombra contro la
stessa Repubblica
che aveva fatto finta di sostenere. Le sue parole furono incontrate da
espressioni di rassegnazione sia in Sola sia in Ruwee, che non erano
mai sembrati
più simili.
‹‹Mi
dispiace, mamma,››
disse Padmé alla fine, per spezzare il silenzio che era
calato dopo le parole
della madre. ‹‹Mi dispiace davvero
tanto.››
‹‹Tienici
informati,
Padmé. Qui a Naboo da ieri le informazioni sono scarse.
Sembra siano stati
instituiti dei filtri…››
‹‹Filtri?››
‹‹L’informazione,
non
passa più come prima. Abbiamo difficoltà a
collegarci all’Holonet. C’è molta
confusione. Nemmeno Apailana ha rilasciato delle
dichiarazioni.››
E guardando
sua
madre, con le rughe accentuate dalla preoccupazioni, i capelli un
po’ ingrigiti
sulla fronte, quell’aria spaesata e la mantellina tenuta
stretta al collo come
se fosse un impermeabile da giardino, Padmé provò
un’ondata di terribile
tenerezza, che le sarebbe piaciuto avviluppare la madre in un abbraccio
infinito.
Poi, per
evitare
altre accuse da una parte, e altre giustificazioni insufficienti
dall’altra,
Jobal cambiò bruscamente discorso, riuscendo anche a fare un
piccolo sorriso
d’incoraggiamento.
‹‹Posso
vedere questa
pancia, allora? Visto che ho saputo di aspettare un altro nipote
soltanto
cinque minuti fa…››
Padmé
fissò la madre
e poi, quand’ebbe registrato la richiesta, un po’
meccanicamente, Padmé s’alzò
dalla sedia e fece qualche passo indietro. L’abito che
indossava era un
esemplare informale, da casa, e non era sagomato per nascondere la
gravidanza
come i pesanti abiti senatoriali. Si mise di profilo, tirò
un po’ indietro i
lembi dello scialle e poggiò le mani là dove il
rigonfiamento era più
pronunciato. Quando guardò nello schermo, vide che Sola
s’era avvicinata per
dare anche lei un’occhiata, e sembrava affacciarsi allo
schermo quasi a
malincuore; Ruwee pure, un po’ distante, pareva in
osservazione.
‹‹Ed
è un maschio o
una femmina?››
Oh,
com’era delicato
e ironico tutto ciò, parlare di quelle cose come se fossero
in un salottino e
tutto fosse a posto!
‹‹Vogliamo
che
rimanga una sorpresa. Io credo che sia un maschio, però.
Anakin dice -›› si
mozzò a metà frase, prese un respiro,
‹‹Anakin dice che è una femmina, ma
credo
lo faccia solo per contraddirmi. Dice che la sua impronta nella Forza
è
fenomenale…lui riesce già a sentirlo,
è una cosa da Jedi…››
La piccola
riunione
di famiglia si concluse in fretta, tra un
‘riguardati’ e un ‘tienici
informati’. Jobal assunse un’espressione
determinata, da matrona decisa, mentre
Ruwee sembrò essere sul punto di piangere quando dovette
salutare la figlia,
anche se fece di tutto per nasconderlo. Sola mise da parte
l’offesa e disse
alla sorella di stare attenta, che Ryoo e Pooja non facevano altro che
chiedere
di lei e che Ryoo aveva adorato il suo regalo per il suo nono
compleanno.
Poi la
telecomunicazione finì, e Padmé rimase veramente
sola nel suo ufficio. Per
qualche tempo si chiese cosa stesse facendo Anakin in quei momenti; poi
il peso
del bambino sulla sua schiena la costrinse a stendersi sul divano del
suo
ufficio e a cadere in un sonno agitato.
Si
svegliò quando
nelle narici sentì un odore buono, di lino pulito, shampoo
generico, giacca di
pelle esposta al sudore e alle intemperie. Dapprima nemmeno
s’accorse di cosa
le succedeva, poi sentì che forti braccia, molto calde, la
trasportavano
dall’ufficio alla camera da letto.
‹‹Anakin…››
‹‹Shhh.
È tutto a
posto.››
La depose sul
letto,
le mise una coperta addosso e s’assicurò che le
coprisse anche i piedi. Poi un
avvallamento nel materasso l’avvisò che
s’era seduto sul letto pure lui.
‹‹Anakin,
dove sei
stato? Che ore sono? Deve essere
tardi…››
Il marito era
una
figura scura nella penombra, appena appoggiato sul bordo del letto.
Girandosi
verso la parete dietro il letto, accese le luci nella stanza.
‹‹Ora
di dormire,››
rispose Anakin con gentilezza. C’era qualcosa nella maniera
in cui teneva le
spalle che le diceva che era stanco. ‹‹E avevo un
impegno con l’imperatore.››
Anakin non si
dilungò
in spiegazioni. Evidentemente doveva pensare che le bastasse una frase
buttata
lì per rasserenarsi, e la poca considerazione dimostrata da
lui riuscì quasi ad
offenderla. Ma poi si ricordò che Anakin era in una
situazione delicata, e che
lei doveva essere altrettanto delicata. Tutta quella questione, decise,
pendeva
dalle sue mani.
‹‹Ne
avrai molti,
d’ora in poi?››
Le sue parole
risuonarono nella stanza senza risposta. Anakin si limitò a
sospirare, e
appoggiando i gomiti sulle ginocchia prese a massaggiarsi le tempie. I
muscoli
della sua schiena si flessero armoniosamente sotto la tunica leggera
che
portava.
‹‹Può
darsi. Ma non
voglio avere una conversazione del genere adesso,
Padmé.››
Con qualche
difficoltà, Padmé si mise a sedere e
s’avvicinò alla schiena del marito.
Alzò
una mano per toccarlo, ma poi preferì evitare. Anakin non
diede segni
d’essersene accorto, ma evitò accuratamente di
girarsi.
‹‹Io
invece sì,››
disse Padmé. ‹‹Obi-Wan è
venuto l’altroieri.›› Doveva iniziare
dall’inizio, e
andarci in maniera decisa. Doveva pur attaccare da qualche parte quel
discorso.
‹‹È venuto l’altroieri e
abbiamo parlato. Vuole aiutarci. E lui mi ha detto che
tu sei – che tu sei passato al lato
oscuro.››
Si
meravigliò di come
gli uscì fuori quell’osservazione, come se stesse
parlando del gusto del tè, o
qualcosa del genere, e continuò. ‹‹Mi
ha detto che tu…ecco. Che tu hai fatto
delle cose orribili. Che tu hai ucciso dei – o cielo, Anakin,
che tu hai ucciso
dei bambini!››
Di tutte le
reazioni
che si sarebbe potuta aspettare, Anakin scelse la più
inquietante. Sbuffò, come
se la questione lo stesse annoiando, s’alzò dal
letto come una molla, fece il
giro del letto e andò a piantarsi davanti alla finestra. Non
disse nulla, e
forse fu quella la parte che più fece sobbalzare il cuore di
Padmé:
quell’improvvisa, brutale afasia.
‹‹Anakin,
per favore,
dimmi che non è vero. Dimmi che non è vero e io
ti crederò. Ani, io te lo
giuro. Tu dimmi che non è vero, e io non lo
metterò in dubbio.››
Passarono
altri
momenti silenziosi, in cui lui guardò tra le lamine delle
tende il traffico
della Coruscant notturna e lei guardò lui fare la statua
alla finestra. Infine
parlò, con una voce fredda che in tre anni Padmé
non aveva mai sentito, e, si
rese conto, le faceva paura.
‹‹Come
ti ho detto,
Obi-Wan sta solo cercando di metterti contro di me. E noi, noi non
abbiamo
bisogno del suo aiuto. Lui,
piuttosto…››
‹‹Tu
non capisci, Ana
-››
‹‹No,
no. Io capisco
benissimo. E ti dico una cosa. Obi-Wan, è lui che
potrà proteggerti?
Esattamente. Non può. Padmé, amore, non
può. Obi-Wan non è abbastanza forte, io
solo posso salvarti. Io troverò il modo. Solo io ho quel
potere. Solo io posso
darti tutto quello che vuoi, Padmé.››
Padmé
lo ascoltò
andare e andare, e si sentiva come se, ad una stazione, lei rimanesse
sulla
piattaforma, e lui partisse per luoghi lontani. Sentiva
d’essere sul punto di
piangere, per sua vergogna, ma in qualche modo riuscì a
controllare i muscoli
del viso e a mantenere le lacrime ancorate all’occhio.
‹‹Anakin,
tutto
quello che voglio – tutto quello che mi serve –
è che tu ami. Non mi serve
altro, voglio solo quello. Mi basta. Ti ho mai chiesto altro?
Rispondimi!››
Il suo tono,
all’improvviso più duro, lo scosse, e le parole di
Anakin implosero
all’improvviso.
‹‹Perché
non
puoi…perché non puoi fare come se non fosse
successo nulla? Perché non puoi
accettare che lo cose adesso stanno
così?››
‹‹Ma
Anakin, ti ho
appena detto – non dici nulla?›› E non
aveva il coraggio di ripetere
quell’accusa. Era troppo grande, terribile e oscura
perché lei potesse di nuovo
formulare una frase del genere. Sarebbe piuttosto morta –
sarebbe stato mille
volte meglio – invece che ripetere quell’abominio.
E poi non
seppe più
trattenersi e scoppiò a piangere, stavolta davvero.
‹‹Oh
Anakin, come
stanno le cose allora? Non so nemmeno quello. Non mi hai detto nulla,
Anakin,
Nulla.››
‹‹Bè,
te lo dico,
cosa sta succedendo. Succede che adesso c’è
l’impero, e la tua repubblica non
esiste più. Finita. Finisce tutto, no, prima o poi? Me lo
hai detto anche tu,
una volta. Ecco cosa sta succedendo.››
Padmé
riuscì solo ad
appoggiarsi tutte e due le mani su quella pancia gonfia che aveva,
sentendo che
i capelli le scappavano dalla crocchia elaborata sulla nuca. Si sentiva
il
volto avvampare, e anche le lacrime erano calde.
‹‹Anakin, tu non parlavi
così…Tu sei cambiato, tu non sei
più…››
‹‹Parli
come farebbe
Obi-Wan!›› urlò Anakin, puntandole
contro un dito minaccioso.
‹‹Ma
cosa c’entra
Obi-W…››
‹‹Oh,
io non ti
perderò come ho perso mia madre…No, oh no. Sono
diventato più potente di qualsiasi
Jedi, e l’ho fatto per te, per proteggerti, Padmé!
E in cambio tu cosa fai?
Parli come quella feccia di un Jedi, tu mi accusi, e io lo
vedo!››
Padmé
lo guardò
mentre riprendeva quella camminata nervosa, avanti e indietro, indietro
e
avanti. Le sue dita si flettevano in mille piccoli scatti
d’elettricità
repressa.
‹‹Aveva
ragione
l’imperatore, aveva
ragione…›› mormorava sotto voce.
‹‹Ma ora cambierà tutto,
ora cambierà tutto…››
‹‹No,
Anakin, no.
Lasciamo indietro tutto, sì!, andiamocene via, a Naboo,
cresciamo il nostro
bambino, in pace…noi possiamo ancora farlo, Anakin, possiamo
ancora -››
E tutte
quelle
immagini le vennero in mente. Immagini di una famiglia felice, in una
casa
elegante, con tanta aria e tanto sole e tanto amore. Loro due che
crescevano insieme,
e poi qualche bambino, sì, qualche bambino con teste coperte
di capelli biondi,
grandi occhi blu e quel bel cognome: Skywalker.
Una vita agiata, lontana dagli intrighi di Coruscant, da tutto
l’inquinamento
dell’aria e delle menti. Se l’era sempre immaginata
così la sua vita con
Anakin, ma ora era tutto sparito. Non sapeva se le spezzava di
più il cuore la
recente follia di Anakin o la perdita del suo grande sogno.
‹‹Non
dobbiamo più
scappare da nessuna parte, Padmé! ›› E
proruppe in una risata da folle.
Padmé
rimase
congelata sul letto, incapace di muoversi. Per un momento
pensò di scappare, ma
tutti i suoi muscoli tremavano ed era troppo stanca e troppo pesante
per
alzarsi. Poteva solo ascoltarlo, mentre distruggeva tutto quello in cui
Padmé
aveva creduto.
‹‹Io
ho portato la
pace alla Repubblica. Sono più potente del Cancelliere, io
posso ucciderlo!››
Nei suoi occhi turbinava un fuoco che Padmé non aveva mai
visto. ‹‹E allora
governeremo io e te, insieme. Per sempre. Faremo le cose a modo nostro.
Metteremo tutto a posto. Te lo prometto, metteremo tutto a
posto.››
Iniziò
a tremare,
finché non le sembrò come d’essere in
preda ad una piccola crisi epilettica. Provava
un dolore sordo al petto – no, lo provava in tutto il corpo,
un dolore cieco e
fabbricato, senza cause fisiche ma tremendo lo stesso. E ora lo vedeva,
il suo
Anakin, tutto solo, per una strada ventosa e buia, che portava solo
alla morte
e all’autodistruzione. Lei rimaneva da qualche parte ad un
lato della strada
con un bambino tra le braccia, sperduta sotto la pioggia. E si
convinse, con la
semplice forza della disperazione, che quello davanti a sé
non era Anakin, ma
una sua replica brutale e selvatica: perché Anakin era un
giovane uomo dolce,
gentile, che amava e si faceva amare, che non uccideva gli innocenti ma
li
proteggeva, che amava la democrazia e la libertà.
‹‹Tu
mi spezzi il
cuore. Hai intrapreso – Ani, hai intrapreso un sentiero che
non posso seguire… ››
Anakin fece
un
ruggito animalesco, attraverso la stanza, strappò uno degli
abat-jour e lo
schiantò a terra facendolo frantumare in mille pezzi.
‹‹È
per colpa di
Obi-Wan, vero? Tu e Obi-Wan, tu e Obi-Wan, avrei dovuto saperlo! Avrei
dovuto
immaginarlo!››
L’accusa
infamante
aggiunse altra sofferenza alla tortura di Padmé, che si
raggomitolò su se
stessa. Era prossima a svenire, e il bambino scalciava come un folle in
ogni
direzione…e le girava la testa…
‹‹No!
Non c’entra
nulla Obi-Wan! Non posso seguirti per te, perché sei
cambiato, perché non ti
riconosco più! Io ti amo, Anakin!››
‹‹Tu
menti!›› ruggì
Anakin.
Nella luce
fioca
della sua camera da letto Padmé sentì dita
invisibili chiudersi attorno alla
sua gola, e premere. Dapprima non capì come fosse possibile,
e poi – oh! – poi vide
Anakin con quella mano estesa contro di lei, gli occhi folli e gialli, gialli sulfurei, disumani e
mostruosi ed ebbe paura di morire.
Tutti i
dettagli
nella stanza divennero all’improvviso vividissimi, e
Padmé avrebbe quasi potuto
apprezzare l’improvvisa nitidezza di tutto, se non fosse
stata ipnotizzata da
quegli occhi. E presto non vide neanche quelli, perché
macchie nere le
apparvero davanti agli occhi.
L’ultima
cosa che si
ricordò fu lo spasmo dei polmoni in cerca d’aria,
e i calci disperati del
bambino.
Padmé
scivolò nel
buio.
~*~
Un doveroso ringraziamento va a pingui79, la mia prima commentatrice...grazie carissima e spero che i prossimi capitoli piaceranno a te e agli altri lettori altrettanto :) Per quello che riguarda il mio amatissimo Anakin...mmm l'autrice evita di lasciarsi scappare spoiler ;)