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Autore: Farrah Wade    15/04/2010    2 recensioni
Essere genitori non è mai una cosa facile. Spesso si devono prendere decisioni difficili riguardo ai figli. Quante volte per "fare del bene" si deve "fare del male", rischiando di essere fraintesi e addirittura odiati dai propri figli? Ne sa qualcosa il dottor Philip Price, che oltre a dirigere un ospedale, si troverà alle prese col non facile carattere dei suoi gemelli. La sofferta ma necessaria decisione di mandarli a studiare in un collegio adatto al rango della famiglia scatenerà una serie di terribili eventi che vedranno coinvolti i suoi figli e una strana "allucinazione" che lo porterà a dubitare della loro sanità mentale e rivangare alcuni segreti celati da tempo dal nonno dei gemelli, il primario ormai in pensione Preston Price. Genitore austero e brillante medico, Philip cercherà sempre di fare "la cosa giusta" finendo inevitabilmente col fare quella sbagliata.
Genere: Drammatico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14

Il nuovo psichiatra era giovane, bello e forte. Diceva di essere amico sia di Doc Greenway che di Philip, ma per quello che gliene importava, poteva anche essere il migliore amico del Presidente, tanto non avrebbe fatto alcuna differenza. Quello che non aveva detto a Doc e a suo padre non l’avrebbe detto nemmeno a lui.
Era così insignificante che neanche ricordava il suo nome, eppure dalle voci di corridoio che aveva sentito, non se la cavava tanto male.  

Per questo Benji era ancora più deciso a far crollare il suo mito. Inoltre, la cosa più irritante, era che questo bellimbusto si dava delle arie, andando in giro a vantarsi di come presto o tardi anche lui avrebbe cantato. Come un usignolo, così diceva a chiunque lo stesse a sentire.

Doc era stato ben felice di lasciarlo tentare, dato che lui stesso non ne aveva cavato un ragno dal buco.
Lo stesso valeva per Philip, i cui tentativi erano stati infruttuosi tanto quanto quelli di Doc.

-Lasciate che ci provi io – aveva detto il giorno prima in riunione nell’ufficio di Philip.

-Dottor Kay, credo sia tutto tempo sprecato. Con tutto il rispetto ma, tranne l’ipnosi e la tortura, le abbiamo provate tutte - scherzò Greenway.

Il dottor Kay rise. – Allora lasciatemi fare il mio tentativo. Se fallirò vi resterà sempre l’ipnosi. Oppure potrete tentare con l’elettroshock, ma prima fate provare me, in nome dei bei vecchi tempi dell’università.

-D’accordo, faccia pure il suo tentativo, ma non si aspetti granché.

-Grazie, Doc, non vi deluderò, l’ho promesso a Philip.

Terminato il colloquio conoscitivo con lo staff del dottor Price, Jason Kay non vedeva l’ora di mettersi al lavoro, ansioso di dimostrare a tutti dei risultati positivi.
Per questo motivo Benji era stato portato nel suo ufficio, in tutto simile a quello del padre. Il nuovo strizzacervelli si era rifiutato, infatti, di incontrare il paziente nella Stanza Azzurra, suscitando così le ire di Doreen, che per ordine di Philip, era dovuta sottostare alle regole di “quello nuovo”, come lo chiamava lei, cosa che naturalmente non le era andata a genio.  

-Non si lamenti con me, dottor Price, quando suo figlio scapperà - l’aveva redarguito.

Philip, composto, l’aveva rabbonita dicendole in tono confidenziale: -Non succederà, mia cara, poiché ci sarà lei ad impedirlo.

Questo nuovo compito l’aveva resa ancora più orgogliosa del suo primario, che già adorava, anche se si era accollata un’enorme responsabilità, così, senza aggiungere altro, si era allontanata borbottando.

Con una scorta di due giovani e forti infermieri, aveva condotto Benji nell’ufficio di Kay, restando di vedetta fuori dalla porta.

Era la prima volta che lasciava la Stanza Azzurra ma non ne fu per nulla contento, dato che la destinazione  era l’ufficio del dottor Kay, dove si trovavano in quel momento, seduti l’uno di fronte all’altro, a studiarsi come due pugili prima di un incontro.
Tentare la fuga sembrava in apparenza impossibile, con “ il Generale” e i suoi due infermieri fuori dalla porta. L’altra unica via di fuga, la finestra dell’ufficio, era schermata da una pesante griglia in ferro battuto.

Tanto valeva restare nella mia prigione azzurra; mi sarei sentito più a mio agio- pensò Benji alquanto seccato.

-Allora Benjamin, o preferisci Ben – disse Kay aprendo la sua agenda, evitando apposta di guardarlo negli occhi.

Benji sospettò che stesse usando una tattica, ma non era ancora sicuro di quale fosse.

- Dovrebbe sapere che detesto i diminutivi stupidi, visto che dice di essere amico di mio padre.

-Certo, scusa. A casa ti chiamano Benji, vero? Posso chiamarti così se preferisci.

-Faccia un po’ come le pare, per quel che me ne importa!

-Sei sulla difensiva, vedo. Di che cosa hai paura?- Kay lo guardò in faccia.

-Io non ho paura!- Benji ricambiò il suo sguardo.

-Ma certo che ne hai, sei terrorizzato, sono forse io che ti spavento?

-Non creda di essere così bravo. Lei non conta nulla per me, è solo uno dei tanti. Anzi, Greenway è più in gamba se lo vuole sapere. E non faccia finta di conoscermi, non sa niente di me, quindi perché non la facciamo finita con questa pagliacciata? Tanto non ho niente da dire, né a lei né a nessuno!

-Mi aspettavo proprio che tu reagissi così, sai?

-Ma davvero?- Benji era sprezzante.

-Dimmi Benji, da quanto tempo sei qui?

-Fa qualche differenza?

-Fa molta differenza. Ti piacerebbe uscire all’aperto? Magari una passeggiatina qui sotto, nel parco, per iniziare.

Kay ammiccò, incoraggiante. Benji strinse i pugni, rodendosi di rabbia, lo sguardo gelido e tagliente come non mai.

-A nessuno piace rimanere a lungo recluso. Non c’è bisogno di essere medico per saperlo.

-E sentiamo, che dovrei fare per conquistare la mia temporanea libertà?

-Soltanto parlare.

Benji sbuffò annoiato. – Parlare! E di cosa dovremmo parlare io e lei? Che cosa volete sentirmi dire tutti, eh? Che sono pazzo? Che sento le voci? Che ho le allucinazioni? Sono richiuso qui da giorni, ormai, nel posto dove si curano le malattie mentali, quindi è evidente che avete già emesso la vostra sentenza sul mio stato di salute. Perché allora continuate a torturarmi?

-Niente di quello che hai detto è vero. Nessuno qui pensa di te le cose che dici. Tutti vogliono soltanto aiutarti.

-Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno! Voglio solo tornare a casa mia, è troppo difficile da capire?

-Calmati adesso, non vorrai che “il Generale” pensi che ti sia agitato troppo e decida per altre dodici ore di riposo forzato, immobilizzato nel tuo letto. Vuoi questo?

Benji tacque, fissando con odio e risentimento il nuovo arrivato. Era audace e ostinato, doveva ammetterlo, ma lui non si sarebbe fatto fregare.

-Allora, ricominciamo da capo. Tu ed io facciamo due chiacchiere, senza fretta, come vecchi amici che si incontrano dopo tanto tempo e un po’ alla volta, tiriamo fuori quello che ti angoscia. Se sarai bravo, potrai avere la tua ricompensa. Per esempio, se collabori con la terapia, potresti uscire nel parco qui sotto. Sempre meglio che starsene rinchiusi tutto il giorno a languire seduto davanti a una finestra, non trovi?

Benji si tratteneva a stento. Avrebbe voluto picchiare a sangue il nuovo “dottor Sapientone”. Gli tremavano le mani e gli doleva la testa. Si portò per istinto le mani alle tempie per impedire loro di esplodere, lo sguardo carico di un odio cieco.

-Stia zitto! La faccia finita! Lei non è diverso da mio padre! Lo odio, vi odio tutti! -sbraitò sbattendo le mani sulla scrivania di Kay e alzandosi in piedi.

Lo psichiatra non si scompose. L’aveva provocato, e la reazione non era tardata ad arrivare, proprio come pensava.

-Siediti Benji, non ho ancora finito di parlare con te.

Quella frase funzionò come il panno rosso agitato davanti al toro. Benji strinse gli occhi in due fessure e sibilò: -Non prendo ordini da nessuno, tantomeno da lei!

Kay, sempre tranquillo, ribatté: -Hai ancora paura, ma forse ho qui qualcosa per te.

Frugò nella tasca destra del suo camice bianco e sbatté sul tavolo una siringa piena per metà. L’ago era coperto dal cappuccio di protezione.
Benji si ritrasse come un vampiro di fronte ad un crocefisso. Gli occhi fiammeggianti di collera fissarono l’odiato e temuto oggetto. Ricadde sulla sedia, aspettando che il medico gli spiegasse le sue intenzioni riguardo al suo gesto.

-Vedi – cominciò Kay con soddisfazione – questo è ciò che ti terrorizza. Guarda bene, è solo una siringa.

Tolse il cappuccio e l’ago scintillò crudelmente alla luce. Benji si ritrasse impercettibilmente.

-Se è vero che non hai paura lasciati fare l’iniezione. Potremo parlare con più calma, dopo.

Benji sorrise, sprezzante del pericolo, alzandosi lentamente in piedi, pronto a scattare se il medico si fosse avvicinato.

-Fossi matto – esclamò – stia lontano da me.

Indietreggiò agilmente verso la finestra. Il dottore avanzava siringa in pugno.

-Ho tentato di parlare, ma sei troppo nervoso per capire quello che ti devo dire, e inoltre hai una paura folle.

Lo sguardo di Benji divenne cattivo. Nessuno gli dava del codardo così impunemente! Fronteggiò il medico come spesso faceva con suo padre.

-Adesso mi ha proprio stufato, voglio tornare di là!

-Non ancora. Dimmi ciò che voglio sapere.

-Lei è pazzo. Non parlerò mai con lei, non ho niente da dire!

-Falla finita o quest’incubo non finirà mai!

Il tono e le parole sembravano quelle dell’Uomo Calvo. Si portò di nuovo le mani alle tempie, preparandosi alla fitta di dolore che sapeva sarebbe seguita alle parole di Calvo.

-No! Non adesso, ti prego- balbettò.

-Cosa? Non ho capito ciò che hai detto.

-Mi lasci in pace. Voglio andarmene, adesso.

Stavolta le parole uscirono chiare e udibili ma Kay aveva intuito qualcosa. Era riuscito a smuovere qualcosa, ma aveva bisogno di lavorarci su parecchio. Il ragazzo era tenace, non avrebbe mollato tanto facilmente, ma era anche molto spaventato. Avrebbe dovuto insistere su questo.
Sorridendo fece sparire la siringa, e all’improvviso tutto cambiò. Tornò alla scrivania e si sedette, invitando il suo piccolo paziente a fare altrettanto. Com’era prevedibile, Benji rimase immobile a distanza di sicurezza da quel pazzo. Era confuso e molto seccato. Quel tipo lo stava prendendo in giro.

-Ti prego, torna a sederti e scusami se ti ho fatto paura, ma avevo bisogno di avere una valutazione in campo pratico.

Benji lo fissò sospettoso mentre prendeva dei veloci appunti, ma ancora non si era mosso. Passò in rassegna tutti gli oggetti della scrivania, poi sorrise impercettibilmente.
Non era ingombra come quella di suo padre e non c’erano fotografie. Per il resto, era piena di scartoffie di ogni genere, ma un oggetto in particolare attirò la sua attenzione. Era un fermacarte di vetro fatto a mappamondo, ed era proprio delle dimensioni di una palla da baseball. Si mosse veloce. Le sue dita si chiusero sulla sfera di vetro proprio mentre Kay sollevava la testa dai suoi appunti.

-Ti piace?- chiese. Parlava come se nulla fosse accaduto, ma Benji sapeva che era ancora la stessa tattica di prima. Non gli rispose. Lanciava la sfera in aria e la faceva ricadere sul palmo della mano, come soppesandola, con un sorrisetto crudele dipinto sulla faccia.
Kay notò il gelido fuoco che sembrava ardere in quegli occhi, quel colore magnifico e singolare. Erano occhi che inquietavano.

-Avanti, posala ora. Potrebbe caderti e … ci tengo molto, è un regalo particolare.

Il sorriso di Benji si accentuò mentre la sfera di vetro continuava a rimbalzare. Su e giù, su e giù. Gli occhi del dottore ne seguivano inquieti la traiettoria.

-Si è divertito?- la domanda di Benji lo colse di sorpresa, così come il suo tono tagliente.

-Cosa? Ma che stai dicendo? – Kay era evidentemente un po’ a disagio, adesso.

-Credo che abbia capito bene dottore.

-Sei ancora confuso, Benji, credo che per oggi possa bastare. Ti ho causato già troppe emozioni.- Kay si era alzato in piedi, al di là della scrivania. – Adesso chiamo Doreen e ti faccio riportare nella tua stanza.

-Stia zitto, dottor Kay, ora tocca a me divertirmi. Le avevo detto che non mi conosceva affatto. Ora mi pagherà quel suo delizioso scherzetto.

-Non fare stupidaggini, ti potrebbe costare caro. La tua prigionia potrebbe prolungarsi ancora …

-E’ molto bravo con le parole ma con me non attacca. Nessuno si prende gioco di me in questo modo. Ormai non ho più nulla da perdere.

Lentamente Kay infilò la mano nel camice e tirò fuori la siringa, questa volta sul serio. – Ora smettila, va tutto bene. Fa tutto parte della terapia per rimuovere il tuo blocco psicologico.

Benji rise. Terapia? Blocco psicologico? Quell’uomo era veramente fuori di testa. E suo padre che gli dava retta!

-Io non ho nessun blocco psicologico del cavolo! Mi ha capito bene?

Strinse la presa sulla sfera di vetro. Kay lo vide e avanzò verso di lui.

-Calma sta buono. Sai, ho fatto una chiacchierata con Rachel questa mattina.

Benji si arrabbiò ancora di più – Lasci in pace mia sorella! E stia lontano, non si avvicini o se ne pentirà.

-Molla quel coso, su. Abbiamo giocato abbastanza per oggi. Hai bisogno di un riposino.- Premette sullo stantuffo della siringa e un piccolo spruzzo si nebulizzò in aria. – Inoltre se volevi colpirmi, l’avresti già fatto. Ora ti mando a nanna per un po’.

Agilmente Benji evitò Kay, caricò il braccio con una precisione come solo lui poteva fare, e lanciò la sfera, mirando proprio alla testa di Kay. Il medico si sbilanciò. La sfera lo colpì con violenza sulla fronte e andò a schiantarsi sul pavimento disintegrandosi in mille pezzi. Il dottore finì a terra, proprio sui frammenti, rimanendo disorientato per un attimo.
Pezzetti di vetro gli finirono nelle mani; sulla fronte, dove era stato colpito, c’era già un bozzo enorme e bluastro da dove iniziava a uscire il sangue. Si portò una mano alla fronte, tastandosi la ferita, mentre con l’altra si rimise in piedi, un po’ malfermo sulle gambe. La siringa gli era sfuggita di mano nella caduta.
Benji gli passò accanto diretto verso la porta.

-Mi hai colpito … tu mi hai …

-Non sa ancora niente di me. Ora siamo in guerra, dottore. La odio, come odio mio padre, Doreen e tutto questo posto!

-Tu sei sconvolto, non sai quello che dici.

-Può essere, ma non sono io quello che sta sanguinando. Ci pensi bene se deciderà di scherzare ancora con me.

Scavalcò agilmente i pezzetti di vetro, fece per allungare una mano verso la porta ma Doreen l’aveva già spalancata.
Aveva di sicuro udito lo schianto e si era precipitata dentro l’ufficio, forse pensando che Benji avesse deciso di tentare la fuga dalla finestra.
Dietro di lei fecero capolino i due infermieri. Rimasero tutti di stucco vedendo il dottor Kay ferito. Doreen accorse i suo aiuto, preoccupata.

-Cos’ è successo dottor Kay? –chiese.

Gli infermieri intanto si erano piazzati sulla porta a braccia conserte, per impedire a Benji di fuggire.

-Niente è stato un incidente, Doreen. Ora però credo sia meglio portarlo nella sua stanza. Ha bisogno di riposare, questa nostra prima seduta è stata un po’ dura.

Doreen si voltò verso Benji che era rimasto immobile accanto alla porta, dondolandosi da un piede all’altro, le mani nascoste dietro la schiena.
Fece qualche passo verso di lui.

-Vieni con noi, adesso, da bravo. Tuo padre non sarà per niente contento quando gli riferirò quello che è successo.

Con uno scatto fulmineo del polso, Benji le gettò in faccia alcuni pezzetti di vetro che aveva tempestivamente raccolto da terra quando si era aperta la porta, e che aveva nascosto dietro la schiena.

Doreen urlò. Fu il turno di Kay di prestare soccorso, ma lei lo respinse, sbraitando agli inservienti: -Prendetelo, portatelo via, via di qui!

Gli infermieri mossero verso di lui, liberando l’uscio, ed era proprio ciò che voleva. Con due rapidi scarti se li era già lasciati alle spalle, guadagnando la porta e il corridoio e forse la libertà. Li sentì imprecare dietro di sé e dai loro passi frettolosi capì che lo stavano inseguendo.

Kay si precipitò al telefono:-Presto codice cinque, allerta silenziosa, reparto neuropsichiatria infantile. Bloccare ogni possibile via di fuga. Il soggetto è spaventato e molto nervoso. Si raccomanda cautela nell’avvicinarlo.  

Riagganciò il telefono e si passò di nuovo le dita sulla fronte come per convincersi che la ferita c’era davvero. Doreen era stupita quanto lui. Aveva sentito dire cose molto belle sul giovane psichiatra.

-Come è potuto accadere? Che diamine! Come abbiamo potuto …

-Non andrà lontano, dottor Kay. Grazie alla sua tempestività e alle straordinarie misure di sicurezza, non potrà nemmeno avvicinarsi, all’uscita. Sarà al sicuro nella sua stanza entro i prossimi quindici minuti, e sarà compito mio assicurarmi che ci rimanga, stavolta - Doreen scoccò a Kay un’occhiataccia.

-Ha ragione, è colpa mia. Non pensavo di certo che la situazione precipitasse in questo modo.

-Ora è disposto a visitarlo solo ed esclusivamente nella sua stanza, dottore? Sempre che voglia continuare la terapia …

-Si certo, mi atterrò scrupolosamente al regolamento.

-Bene – esclamò soddisfatta la caposala – allora questo casino è servito a qualcosa, dopotutto, anche se credo che una bella lavata di capo la prenderemo tutti, dal dottor Price in persona.

-Lei non c’entra, Doreen. Io ho insistito con Philip nonostante lei avesse cercato di dissuaderci.

-Non ha importanza, ora. Dobbiamo riprenderlo e lei deve farsi medicare quella ferita.

-Già, mi ha proprio steso. E’ che non me l’aspettavo … è stato talmente veloce che non l’ho nemmeno visto.

-Forse Philip si è dimenticato di avvertirla che suo figlio gioca nella Little League di baseball e che è uno dei migliori lanciatori della sua squadra …

Mentre parlavano si erano incamminati a passo sostenuto verso le scale, dove gli infermieri si erano precipitati all’inseguimento di Benji.
Doreen Jackson, alla fine, ebbe ragione. Le misure di sicurezza si erano dimostrate efficaci, anche se ci vollero molto più di quindici minuti per riprenderlo.
   
 
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