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Autore: baby80    16/04/2010    13 recensioni
Ho provato a immaginare il primo giorno di André a palazzo Jarjayes, e il suo incontro con Oscar... Anche questa storia è stata iniziata tempo fa, e modificata di recente, ed anche in questo caso la "mia" Oscar è a conoscenza d'essere una bambina. Sono indecisa se concludere la storia in questo modo, come una one shot, o se continuare a raccontare di André... ci penserò. Si accettano consigli.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se solo fossi stato un nobile.
Se solo fossi stato un nobile avrei potuto sposare Oscar.
Se solo fossi stato un nobile, il generale Jarjayes, mi avrebbe concesso sua figlia.
Il generale Jarjayes avrebbe visto di buon occhio un matrimonio tra me e Oscar
Se solo fossi stato nobile.
Il generale Jarjayes avrebbe caldeggiato la nostra unione.
Se solo fossi stato un nobile.
Il generale avrebbe concesso tutto questo, perché convinto l'avrei resa felice, la sua Oscar.
Se solo fossi stato un nobile.
Poche parole, precise, pronunciate ad occhi bassi, da un insolito Generale.
Poche parole che hanno ferito la mia dignità, il mio orgoglio, le mie origini.
Inizialmente.
Poche parole, pronunciate ad occhi bassi, che mi hanno riempito il cuore.
Alla fine.
Poche parole, pronunziate ad occhi bassi, quasi con imbarazzo, in quel luogo che è parte di me, come un prolungamento del mio corpo, una parte del mio essere.
Un luogo che mi ha visto crescere.
Un luogo che mi ha visto piangere.
Un luogo che ha accolto, secoli addietro, le risate di due bambini.
Un luogo che è stato testimone, silenzioso, della nascita di un amore, il mio, per lei.
Un luogo che non dimenticherò mai.
Il mio rifugio, il mio porto sicuro, la mia anima, il mio tormento.
Le scuderie.
E proprio in questo luogo, poche ore fa, il generale ha fatto di me un uomo.
Il duro e burbero generale Jarjayes, ha trasformato, un piccolo servo, in un uomo.
Un uomo, puro e semplice.
Solo un uomo ai suoi occhi.
Un uomo spogliato da stupide etichette.

“Spero che non ti accada niente, lo desidero davvero, André.”

Queste ultime parole, enunciate a testa alta, dall'uomo che mi ha cresciuto.
Queste ultime parole, le più forti, per il mio povero cuore affaticato.
Queste parole, le ultime, hanno riempito, per un istante, quel vuoto che ha il nome di mio padre.
Il generale, una sorta di padre, per me.
Un padre detestato, a volte.
Un padre incomprensibile, altre.
Un padre quasi odiato, altre ancora.
Un uomo, puro e semplice, anch'esso.
Un uomo che, immagino, mi abbia voluto bene, in un qualche modo.
Un benefattore, il caro generale Jarjayes.
Un benefattore, senza il quale, non avrei incontrato lei.
Un teatrante, il bizzarro generale Jarjayes.
Un pazzo teatrante che, con perversa maestria, ha declamato la storia di una bellissima donna vestita da uomo.
Una folle pantomima, senza la quale, non sarei esistito.
Una pantomima che, se non fosse esistita, non mi avrebbe condotto a lei.
Lei, la prima donna.
La protagonista senza diritto di replica.
Lei.
La mia Oscar.
L'amore della mia vita.
Mi cinge le spalle, il Generale, con quelle mani che gli ho visto usare, per tutta la vita, come fossero armi, in battaglia, così come nella quotidianità della famiglia.
Mi cinge le spalle, con quell'affetto che non immaginavo, con quel calore che non credevo vivesse in lui.
Ho lasciato palazzo Jarjayes, quella casa che da bambino pareva, ai miei piccoli occhi, immensa al pari di Versailles.
Ho lasciato quella casa che mi ha visto tramutare in uomo.
Ho lasciato quel palazzo con l'incognita nel cuore, vi sarei mai tornato?
Ho lasciato quella casa col sorriso.
Ho lasciato quella casa col regalo più bello tra le mani.
L'affetto e la stima dell'uomo che mi ha fatto dono dell'amore.
Vi ringrazio Generale, vi ringrazio dal profondo del cuore.
Se solo fossi nobile...
Se solo fossi nobile, credetemi, la renderei felice.
Renderei felice la vostra Oscar.
Se solo fossi nobile, vi giuro, le donerei tutto l'amore di cui sono capace.
Avvicinatevi Generale, un sussurro.
Una confessione.
La renderei felice e l'amerei in egual modo.
Anche se in me non vi è alcun titolo nobiliare.
L'amo, di quell'amore che strugge ogni fibra dell'essere.
L'amo.
E la renderei felice, credetemi.
Un altra confessione, Signor Generale.
L'ho amata, la vostra Oscar.
L'ho resa felice.
Un istante fa.
Mi ha amato, vostra figlia.
Mi ha reso felice, la vostra Oscar.
Un istante fa.
Senza titoli.
Senza denaro.
L'amore non ha rango, Signor Generale.


Un istante fa.
Fatico a ricordare cosa vi fosse prima di oggi.
Fatico a rammentare la mia vita prima di lei.
Lei, questa piccola creatura appena sbocciata.
Un istante fa.
Poco più di un istante fa lasciavamo, forse per sempre, la nostra casa, per andare incontro ai tumulti della rivolta Francese.



“Perchè mi hai ingannato per tanto tempo?”
La voce di Oscar mi coglie di sorpresa, la testa mi duole, odo ancora le grida della gente del popolo, odo ancora gli spari, anche se non vi sono più grida, ne spari, attorno a noi.
Ingannata? In che modo?
Sono confuso.
“Come?” le chiedo.
“Parlo del tuo occhio destro, il dottore mi ha detto tutto, vedi con molta difficoltà vero?”
Vedo con molta difficoltà?
Vorrei ridere di te, amore mio.
Vorrei ridere di me stesso.
Il nulla è tutto ciò che vedo, mia cara Oscar.
Se solo tu sapessi.
Il dottore? Per quale motivo hai parlato con il dottore?
I pensieri giungono alla mia testa in modo caotico, senza logica, senza preavviso.
“Vorrei che tu lasciassi l'uniforme André, comunque domani quando andrò col mio reggimento a Parigi è meglio che tu non venga, preferirei che tu tornassi a casa dove tua nonna si prenderà cura di te. Ti supplico di darmi ascoltò André, non puoi combattere in quelle condizioni”
Vorrei ridere di te, ancora una volta, amore mio.
Chiedermi di lasciare l'uniforme, di lasciare te, sarebbe come chiedermi di smettere di respirare, sarebbe come chiedere, al mio cuore, di cessare di battere.
Ti basterebbe così poco per uccidere un uomo, senza alcun bisogno di armi.
Ti basterebbe, così  poco, per uccidere me.
Vorresti che tornassi a casa?
Non esiste luogo che io possa chiamare “casa” se tu non vi dimori.
Non ho paura di combattere “nelle mie condizioni”.
Non ho paura di affrontare la battaglia, col fumo a velarmi la vista.
Ho paura, invece, di perdere quella breve luce che ancora mi permette di poterla guardare.
Ho paura di non aver più tempo a disposizione.
Ho paura di lasciarmi sfuggire anche il più piccolo istante di lei.
Ho tremendamente paura di allontanarmi da lei, ora che, in lei, percepisco, a ragione, o a torto, un lieve cambiamento.
Ho timore di lasciarla andare e di perderla per sempre.
Ho timore di mancare se mi allontanassi da lei, anche solo di un passo.
Non possono, i miei polmoni, smettere di respirare.
Non può, il mio cuore, interrompere la propria corsa.
Non posso, io stesso, abbandonare la mia vita.
La mia vita.
Lei.
No, non posso.

“No, verrò con te, come sempre. Ormai è una vita che vengo con te in ogni occasione, non posso certo cambiare adesso ti pare?”
Le parole mi colano dalle labbra con una fluidità che ha la consistenza dell'acqua.
Rido, con una dolcezza che odora di angoscia.
Taccio il panico dietro il sorriso.
Celo, alle spalle dell'amore, la paura, ancestrale, del rifiuto.
Ti osservo, Oscar, mi sei dinnanzi.
Osservo la tua figura che, da tempo, è avvinghiata da una spessa coltre di nebbia.
Contraggo il mio unico occhio agonizzante, alla ricerca di uno spiraglio di luce.
Un istante di splendore.
Lo sguardo diviene nitido.
Ti guardo, Oscar, mi sei davanti.
Bella, bellissima, come sempre.
Attendo il tuo rifiuto, e ciò che mi offri sono un paio di occhi azzurri, enormi e immensi come il cielo.
Abbassi lo sguardo, inaspettatamente.

“André io... una volta sono stata innamorata di Fersen, anche se sapevo chiaramente che tu mi volevi molto bene, che mi amavi, è mai possibile che tu mi voglia ancora bene André?”
Vorrei ridere di te, amore mio.
Non sbagliavano i miei sensi.
Non equivocava il mio cuore.
Sei diversa.
Stai mutando, da tempo, dinnanzi a me.
Tutto è differente in te.
La voce.
Il tocco delle tue mani
Gli occhi.
Le parole.
Sento, ora più che mai, il disfacimento, di quella corazza, che ti ha imprigionato da tutta la vita.
Avverto, ora più che mai, l'abbandono del soldato.
Vorrei ridere di te, Oscar.
Vorrei ridere, di quella domanda, che ha la voce di una bambina preoccupata.
Vorrei ridere, amore mio, di quel dubbio che nemmeno per un batter di ciglia dovrebbe turbarti.

“Certo Oscar, io ti voglio bene da sempre.”
Non vi è più traccia di ilarità, in me.
Non distolgo lo sguardo dal tuo viso, non lo farei per nulla al mondo, non ora che la nebbia ha abbandonato il mio occhio.
Piangi.
Un fiume di lacrime ha rotto gli argini del tuo sguardo.
Oh, lacrime, continuate a rigarle il viso.
Piccole perle dell'anima, non cessate di impreziosirle gli occhi.
Piangi Oscar.
Piangi, amore mio.
Sbarazzati, prima che sia troppo tardi, di tutto ciò che non ti appartiene.
Abbatti il dolore, la rabbia, l'ingiustizia, l'orgoglio, che sono cementati attorno a te, in questi lunghissimi anni.
Strappa, senza pietà, le vesti d'uomo, di erede, di commediante, che hai creduto di dover indossare, dal giorno in cui sei venuta al mondo.
Oh lacrime, continuate la vostra corsa su quel viso di porcellana.
Oh lacrime, divenite fiume in piena, mutante in alluvione.
Lacrime devastate la paura.
Lacrime sgretolate l'uomo, e liberate lei.
Lei, la donna.
Una donna che...
Temo, una folle punizione divina, se solo provassi, se solo osassi credere che lei potrebbe...
Lei potrebbe amarmi?
Si, credo che lei potrebbe.
Al diavolo.
Si, ne sono certo, lei mi...
Il pensiero non giunge al termine.
Uno scatto improvviso, un gesto inatteso.
Oscar poggia i palmi delle mani, e il viso, contro il mio petto.
Trattengo a fatica un sussulto.
Sento le sue mani stringere la stoffa della mia uniforme.
Il mio cuore percepisce la medesima stretta.
E' scossa dai singulti, la mia Oscar.
La guardo, la sento, ma non la tocco.
Non oso posare le mie mani su di lei, temo di bloccare, con l'impazienza, ciò che sembra inarrestabile.
Altre lacrime, altri singhiozzi.
Piangi Oscar, piangi.

“Oh Andrè, anch'io ti voglio bene. Ti voglio bene.”

Oh signore, ti ringrazio.
Oh signore, prenditi il mio occhio, fai di me il tuo schiavo, null'altro ho da offrire per rendere grazie di ciò che mi è stato donato.

“Io questo l'ho saputo da sempre Oscar. Adesso niente può più dividerci.”
Una piccola  menzogna
Una piccola innocente bugia.
Ho sperato, da tutta la vita, che tu mi amassi.
Ho saputo, da tutta la vita, dell'affetto che ti lega a me.
Ma ho capito, solo oggi che quell'affetto, in realtà, portava un nome differente su di sé.
Amore.
La paura ha abbandonato il mio corpo, non vi è più nulla che le mie mani potrebbero arrestare.
Non vi è più nessun impedimento.
Non vi è più alcun ostacolo tra lei, la mia Oscar, e il tocco delle mie mani.
La mia Oscar.
Mia.
Mia nel cuore, nell'anima, e infine in questa contorta realtà
Finalmente mia, in lei, nel suo cuore.
Poso la mano su quella di Oscar, la sento tremare.
Stringo le dita attorno alla sua mano, il tremore si fa più violento.
Piange ancora, questa nuova creatura venuta al mondo da pochi istanti.
Piangi, amore,  piangi tutte le lacrime che ti stavano avvelenando l'anima.
Piangi, amore mio, tutte quelle lacrime che ti sono state negate.
Piangi, Oscar, come un infante piange il suo natale.
Io stesso dovrei piangere, questo pensiero balza alla mia mente senza richiesta.
Dovrei piangere ma non ho più lacrime.
Sostituisco le lacrime, fedeli compagne degli ultimi anni, con la gioia.
Celebro, il mio ritorno alla vita, col sorriso sulle labbra.
Lacrime e singulti.
Ogni singolo singulto, ogni singola lacrima, ogni tremore è, per me, una gioia immensa.
Un'intima preghiera, un rito solenne, di cui io sono spettatore.
Stringo la mano di Oscar.
Pelle contro pelle.
Fuoco sotto le mie dita.
Non posso guardarla in volto, si nasconde, la mia Oscar.
Scorgo i suoi bellissimi riccioli biondi.
Non posso ancora guardarla in volto.
Vorrei rubare il tormento dal suo viso.
Vorrei lambire il suo pianto.
Sfugge il mio sguardo, come le ho visto fare, da sempre.
Una piacevole privazione, una deliziosa agonia.
Una scossa, un terremoto sul mio petto.
L'azzurro del cielo.
Il bianco delle neve.
Il rosso del fuoco.
Colpi di colore sul viso.
Occhi.
Pelle.
Labbra.
Mostri il tuo viso, amore, il tuo bellissimo viso di donna.
Tu, una donna innamorata.
Innamorata di me.
Mi ami, Oscar? Vorrei domandartelo, ma taccio, le parole sono bandite.
Perdo il mio unico sguardo in te.
I tuoi occhi, limpidi, brillanti, impreziosisti da lacrime dispettose.
La tua pelle, candida, sporcata da tormenti liquefatti.
Le tue labbra, rosse, gonfie, irritate dal pianto.
Il tuo volto, l'unico che non voglio smettere di vedere.
Il tuo volto, l'unico che ricorderò, quando la notte scenderà sul mio occhio.
Il tuo volto, ora, tutto ciò che bramo.
Mi guardi, amore, e in te non riconosco la persona che mi è stata accanto per oltre 20 anni.
Mi guardi e scopro, in te, una donna nuova.
Mi guardi e leggo, nei tuoi occhi, l'amore.
Mi guardi e vedo, sulle tue labbra, il desiderio.
Amore, ti prego, uccidimi.
Uccidimi, Oscar, come solo tu potresti fare.
Toccami, ed io sarò perso, finito, morto.
Bramo la morte come un neonato brama il seno della madre.
Toccami.
Uccidimi.
Avverto il suo corpo muoversi, ergersi sulle punte dei piedi.
Un tuffo al cuore.
Un respiro mancato.
Il suo volto dinnanzi al mio, così prossimo da sentirne il respiro, bollente, sulla mia bocca.
Uno sguardo, il suo, dolorosamente femminile.
Uno sguardo, ferocemente sensuale.
Non muovo un passo.
Io, un muto spettatore, in questa folle notte.
Un passo, il suo, e la morte sulla mia bocca.
Labbra su labbra.
Un bacio gentile, questo suo primo bacio.
Vorrei osare, vorrei saziare la mia fame, vorrei ma non oso.
Assaporo il gusto innocente delle sue labbra, così deliziosamente dolci.
Così maledettamente calde.
L'ennesimo tuffo al cuore.
Oscar dischiude la bocca e vi imprigiona, sconvolgendomi, le mie labbra.
La sua bocca è come fuoco.
Mando al diavolo la mia virtù e riporto, in me, il desiderio.
Compio gli stessi gesti della mia compagna, imprigionando, a mia volta, le sue labbra.
Carezzo con la lingua la pienezza della sua bocca, disegnandone i contorni.
Cerco la sua lingua, ancora timida, all'interno.
Un sussulto, il suo.
Una punta d'orgoglio, la mia.
La sua lingua nella mia bocca, la sua lingua senza più vergogna.
Un bacio che ha il sapore del desiderio.
Un bacio impaziente, questo suo primo.
Un bacio spudorato, il primo, della mia Oscar.
Svesto i panni di muto spettatore, e indosso, senza permesso, quelli che mi sono più congeniali.
Di nuovo attivo, di nuovo me stesso, attore in questa folle notte.
Stringo il corpo di Oscar, cingo il suo corpo con le mie braccia.
Stringo il suo corpo di donna, con le mie braccia di uomo.
Un gemito, il suo.
Le sue dita, piccole e delicate, tra i miei capelli.
Le sue mani tra i miei capelli, spingono, con quella prepotenza che l'ha sempre distinta, il mio capo verso la sua bocca.
Le sue mani, ordinano senza parole, un bacio più profondo.
Ed io obbedisco, come ho sempre fatto.
Un bacio, il nostro, che ha in sé, il desiderio e la passione di tutta una vita.
Un bacio, il nostro, che racchiude, in sé, una fame d'amore.
Non possiamo far altro che divorarci.
Non vi è altra soluzione che sfamarci, l'uno dell'altra.
Un bacio che ha il gusto dell'amore.
Un bacio che è solo il principio.
Un bacio che sa di promessa.
Un bacio che è, ora, tutta la nostra vita.
  
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