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Autore: cabol    19/04/2010    2 recensioni
"Certo, bella società quella: i ladri di polli alla gogna e i veri disonesti nei quartieri alti a pavoneggiarsi dei proventi delle loro ruberie. Talvolta anche nei governi. E lui doveva sentirsi rimordere la coscienza se guardava con desiderio qualcosa che non si poteva permettere".
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo Due: il cacciatore

Colline nei dintorni di Elosbrand, Yavios 13, 370

Cinque pelli di lupo.
Niente male come bottino, ma domani?
Ardis si guardò intorno, mentre la luce del tramonto pareva anticipare i colori dell’autunno incombente. Il bosco si era ormai fatto rado e ben presto il giovane cacciatore avrebbe raggiunto il sentiero dove aveva lasciato la sua cavalcatura. Passò accanto ad alcuni rovi dove le ultime more parevano attendere pigramente di essere colte. Allungò la mano e si portò alla bocca un paio di quelle bacche brune, gustandone il dolce, intenso sapore. Il sole, ancora tiepido, scendeva lentamente, sfiorando ormai le vette dei monti lontani. Riprese la marcia per giungere al sentiero prima che la luce sparisse.
Pochi minuti dopo, si era lasciato alle spalle gli ultimi alberi e la vegetazione si era ormai fatta bassa e rada. Il nitrito del suo cavallo lo accolse, festoso. Rapidamente sistemò le pelli sulla piccola lettiga assicurata alla sella, vi appese l’arco e la faretra e salì in groppa al placido animale.
Il giovane elfo aveva da poco passato il secolo di vita: in pratica era poco più che un adolescente, per gli standard della sua razza. Era piuttosto alto, quanto un umano medio e, salvo che per le orecchie a punta, peraltro nascoste dai capelli corvini, sarebbe stato difficile distinguerlo da un giovane uomo. Il volto dai lineamenti aristocratici e delicati era evidentemente corrucciato.
Come sarebbe sopravvissuto con la brutta stagione?
La caccia finora era stata sufficiente a sfamarlo, ma aveva potuto mettere ben poco da parte. D’altronde era ben conscio di non essere mai stato costretto a lavorare per vivere, fino ad allora, e la sua esperienza come cacciatore, in realtà, era limitata alle battute di caccia che in primavera si svolgevano nella tenuta del padre.
Un ricordo ancora troppo doloroso.
Il suo sguardo si perse giù nella valle, dove il nastro argenteo del fiume Elroth[4] indicava la strada per tornare a Elosbrand, la città dove si era stabilito già da alcuni mesi. Man mano che il cavallo scendeva lungo il sentiero, aumentavano le tracce di armenti e qua e là comparivano piccole case circondate di campi coltivati. Quando giunse alla strada carovaniera per la città, gli ultimi raggi del sole tingevano di cremisi il tramonto.
I contadini rientravano nelle loro abitazioni, dopo la lunga e faticosa giornata. Era tempo di vendemmia e i filari di viti cominciavano a essere sempre più spogli e l’odore del mosto si spandeva nella campagna intorno alle case coloniche, insieme alle voci allegre e ai canti della pigiatura.
I pensieri tristi scomparvero dal cuore di Ardis, scacciati da quei suoni e quegli odori che tanto amava. Gli ricordavano i tempi felici della fanciullezza, nelle campagne di Bar-Galen[5], riempiendogli il cuore di una dolorosa dolcezza, un felice rimpianto di tempi che ormai erano irrimediabilmente perduti.
Era notte fonda quando giunse in vista delle mura di Elosbrand.
Come sempre, una pattuglia di guardie sorvegliava la maestosa porta, detta dei Giganti, fermando i viandanti per evitare che in città venissero introdotte mercanzie proibite o pericolose e per esigere il pedaggio d’ingresso agli stranieri. Un carretto era fermo davanti al posto di guardia e voci alterate giungevano all’orecchio sempre all’erta del giovane cacciatore.
La solita storia.
Avrebbe scommesso che al comando della guardia ci fosse il sergente Burt “Ogre” Waster. Quasi due metri di stupida avidità e muscoli. Chi diavolo lo avesse promosso sergente non era dato saperlo, ma quel bestione approfittava del suo grado con arroganza pari quasi alla sua dabbenaggine, esigendo talvolta autentiche tangenti per far entrare in città le mercanzie della gente più semplice od inerme. Autentiche rapine a mano armata.
Ardis non era soggetto a quel taglieggiamento perché aveva l’accortezza di non portare con sé denaro quando usciva a caccia, dal momento che sarebbe stato un inutile impaccio e una pericolosa tentazione per eventuali malintenzionati. Anche in divisa.
La prima volta che aveva inciampato in “Ogre”, in realtà, gli era stata chiesta una moneta d’argento per entrare in città con quelle pelli “di dubbia provenienza”. Il giovane elfo non si era scomposto affatto e si era lasciato perquisire, dimostrando di non avere altro che alcune pelli di lupo, troppo ingombranti per poter essere nascoste dall’avido graduato che gli ordinò di procurarsi qualche piccola pelliccia da consegnargli per poter passare. Ardis aveva provato a convincere il sergente, promettendogli che la volta successiva gli avrebbe portato una bella pelliccia di scoiattolo con la quale ornare la sua armatura ma l’ottuso soldato fu irremovibile. Era pomeriggio avanzato e Ardis dovette andare in cerca di qualcosa per pagare quell’assurda tassa.
Tornò a notte fonda, con una piccola e morbida pelliccia nera, striata di bianco. Il bestione apprezzò tantissimo e fece passare l’esausto cacciatore.
Mal gliene incolse perché la bella e morbida pelliccia proveniva da una moffetta e l’astuto Ardis era stato attento a lasciare intatta la ghiandola contenente la nauseabonda e micidiale arma di quel piccolo animale. Il sergente aveva nascosto la pelliccia sotto l’armatura, provocando la rottura della ghiandola e il panico fra i suoi commilitoni.
Trascorse la settimana seguente in triste solitudine, a vigilare alcuni barili di catrame presso un vecchio imbarcadero abbandonato sul fiume Elroth, con l’obbligo di farsi almeno tre bagni al giorno e l’unica compagnia di dieci pezzi di sapone che avrebbe dovuto consumare prima di ripresentarsi al cospetto del furibondo capitano della sua compagnia.
Da allora, Ardis godeva dell’esenzione dal taglieggiamento del sergente Waster che, pur non avendo chiaramente capito cosa fosse effettivamente accaduto, aveva percepito che quel giovane cacciatore elfo non era pane per i suoi denti.
Stavolta, a far le spese dell’avidità del sergente doveva essere una donna, almeno a giudicare dalle voci che arrivavano dall’imponente e minacciosa porta cittadina.
«Questo è un furto! Una rapina!».
«Cerca di essere più rispettosa ragazzina, o tirerò il collo a tutte quelle stupide papere che vorresti portare in città!».
«Questo anello è l’unica cosa che mi è rimasta della mia povera mamma!».
«Dite tutte così. Siete tutte orfane voi contadinelle?».
Ora Ardis era abbastanza vicino perché la sua acuta vista notturna gli permettesse di osservare i dettagli della scena. Il sergente ridacchiava orgoglioso della sua battuta, convinto di essere troppo scaltro per farsi mettere nel sacco da quella ragazza. La quale era una giovane di circa diciott’anni, piccolina ma ben formata e dalla fresca grazia tipica delle ragazze di quella regione. Il bel visino era avvilito e paonazzo per il tentativo di ricacciare indietro le  lacrime. Si sfilò l’anello dal dito e lo consegnò al sergente che lo fece sparire in un sacchetto appeso alla sua cintura. A quel punto, il carro fu libero di proseguire col suo starnazzante carico.
“Ogre” era in cerca di guai e Ardis pensò che sarebbe stato ingeneroso non accontentarlo. Il giovane elfo scese da cavallo e, fingendo di voler controllare la sella, sfilò da una sacca il sottile coltello che usava per incidere le pelli e se lo assicurò sulla faccia dorsale dell’avambraccio destro, con due sottili stringhe di cuoio, in modo che solo la punta sporgesse dalla manica. Poi raccolse un sasso e lo nascose nella manica sinistra. A quel punto risalì in sella, dirigendosi al piccolo trotto verso le guardie.
«Salve sergente! Buona serata!»
Aveva accompagnato il saluto con un ampio gesto del braccio sinistro, così da lanciare il sasso in alto, senza essere notato, in modo da scavalcare il gruppetto delle guardie per farlo ricadere sull’orlo del fossato.
«Puoi passare, tu, gattaccio nero. Sparisci!»
Il sergente guardò con scarsa simpatia il giovane che gli stava passando accanto e che lo stava salutando con tanto beffardo calore.
Un tonfo seguito da un fruscio e dall’inconfondibile suono di qualcosa che cadeva in acqua fece voltare i soldati in direzione del fossato.
Fu un attimo, ma sufficiente ad Ardis per mettere in pratica certi disdicevoli insegnamenti che aveva ricevuto tempo addietro, nel periodo più buio della sua vita. La mano afferrò saldamente il sacchetto attaccato alla cintura del sergente e, con una semplice torsione del polso, la lama nascosta nella sua manica tagliò il cordone che lo sosteneva, senza fare il minimo rumore. Un istante dopo, il sacchetto scivolò silenziosamente nella tasca della sella.
Quando Burt “Ogre” Waster si voltò, il giovane cacciatore era già lontano.
Quando si accorse della scomparsa del sacchetto, era già mattina e non riuscì assolutamente a spiegarsi come poteva essere scomparso.
La cosa peggiore era che in quel sacchetto c’era anche il suo salario appena riscosso.
«Madamigella!».
Serataccia. Chi mai poteva essere ora? La ragazza esitò a voltarsi. L’appellativo “madamigella” era alquanto insolito se rivolto a una contadina e la fanciulla era già abbastanza cresciuta per sapere quali rischi poteva correre una bella e giovane ragazza in città.
«Madamigella!».
Era una voce melodiosa, dolce, priva di inflessioni ambigue e la ragazza arrischiò un’occhiata da sopra una spalla, pur continuando a camminare a fianco del mulo che tirava il carretto. Vide un giovane sui vent’anni dal volto affascinante e sorridente e… Sacra Telgëa[6]!  Aveva in mano il suo anello e glielo stava mostrando!
«Questo sta meglio nelle vostre morbide manine che nelle zampe di quel bestione, non credete?».
Il fatto che le manine in questione non fossero già più molto morbide ma alquanto callose, non sciupò la poesia di quella serata.

[4] Il grande fiume sulla riva del quale sorge Elosbrand
[5] Città nella parte meridionale dell’isola, ai confini con le terre degli Elfi
[6] La dea della famiglia e dell’agricoltura, detta anche Yavië quando viene venerata quale dea dell'amore e della fertilità.

  
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