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Autore: Mapi D Flourite    21/04/2010    4 recensioni
SPOILER! 6x11, Happily Ever After
[James/Juliet]
Rise di se stesso al solo pensiero che, tempo prima, era stato proprio lui a dire che tre anni potevano bastare, per dimenticare qualcuno che si era amato, e adesso era lì, nel buio della sua mente, a soffrire ancora per un dolore che, alla fine, non era stato altro se non un breve attimo di smarrimento, un ostacolo che era riuscito a superare nell'esatto momento in cui l'aveva ritrovata.
Genere: Romantico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Juliet, Sawyer
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Good morning Dr Burke. Good morning Mrs. Ford
Pairing: James/Juliet
Rating: G
Conteggio Parole: 2611 (Fidipù)
Challenge: W.W.F. su Fiumi di Parole, II settimana: Fluff Week, prompt Domestic!Fluff.
Warnings: Fluff. Ma sul serio.
Spoiler: 6x11, Happily Ever After

Note: Zucchero sotto forma di parole, praticamente. Ma era una vita che volevo scrivere questa fic, infarcendola ben bene di smancerie made in LaFleurs (o meglio made in Fords?) Nel complesso sì, mi piace. Ah, i loro rapporti con gli FS: ancora non ho capito bene come funziona il meccanismo, cioè se si ricorderanno tutto, oppure solo la parte della loro vita legata al loro amore, quindi diciamo che ho improvvisato, ecco. ^^"

Disclaimer: Lost appartiene a J.J. Abrams, Damon Lindelof, Jeffrey Lieber e alla ABC, che ne detengono tutti i diritti. Non è scritta a scopo di lucro, ma di ludo, esclusivamente principalmente il mio.

-:-:-

La luce del sole filtrava appena dalle grandi finestre oscurate e si adagiava mollemente sulle lenzuola disfatte e sulle coperte rivoltate ai piedi del letto che arrivavano perfino a toccare terra. L'aria era silenziosa e placida, l'unico rumore che si poteva sentire era quello dei loro respiri che svanivano soffusi verso il soffitto bianco e le tendine leggere che giacevano immobili ad incorniciare la finestra. James aprì un occhio, ancora mezzo addormentato, e si voltò impacciato verso il comodino, dove le lancette della sveglia ticchettavano lentamente, segnando che erano poco meno delle nove.
Lui sbadigliò, riabbandonando mollemente le testa sul cuscino e chiuse di nuovo gli occhi, cercando di riprendere il ritmo del sonno. Era domenica, e aveva intenzione di approfittarne fino in fondo. Restò immobile, immerso nella luce calda e soffusa, lasciandosi cullare dal respiro profondo e regolare della donna che gli dormiva accanto. Aprì di nuovo gli occhi, come colto da un pensiero, e si voltò nuovamente, questa volta verso di lei.
Juliet era stesa su un fianco e il lenzuolo, arrotolato attorno alla sua vita, le lasciava scoperta una spalla nuda e un braccio che giaceva proprio accanto al suo viso, a pochi centimetri dal naso. Le palpebre tremolavano appena e le sue labbra erano piegate leggermente all'insù, in un sorriso appena accennato.
Guardando il suo viso, così pacifico nel sonno, non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Erano passati anni, ormai, ma tutte le volte che la vedeva era sempre come rincontrarla per la prima volta; ed ogni volta non poteva impedire ai ricordi – i suoi, del se stesso che aveva vissuto un'altra vita – di riversarsi in lui come un fiume in piena, lasciandolo poi a boccheggiare per lo sconcerto e la sorpresa, e tutte le volte gli tornava in mente sempre quel momento, e poteva ancora sentire la mano di lei scivolare via dalla sua e poi, immersi nel buio, la sua vita abbandonarla, come un soffio leggero che scompariva con l'esalare del suo ultimo respiro. Era indescrivibile, il dolore lancinante che poteva sentire direttamente sotto la sua pelle, un pugno ghiacciato nello stomaco che non gli permetteva nemmeno di respirare.
Rise di se stesso al solo pensiero che, tempo prima, era stato proprio lui a dire che tre anni potevano bastare, per dimenticare qualcuno che si era amato, e adesso era lì, nel buio della sua mente, a soffrire ancora per un dolore che, alla fine, non era stato altro se non un breve attimo di smarrimento, un ostacolo che era riuscito a superare nell'esatto momento in cui l'aveva ritrovata.
Allungò un dito per accarezzarle una guancia e le scostò una ciocca di capelli dagli occhi, delicatamente, per poter vedere il suo volto nella sua interezza. Qualsiasi cosa gli fosse costata, non voleva assolutamente perderla di nuovo.
Indugiò sulla sua pelle, sentendola tiepida sotto le dita, e Juliet si riscosse, piano, scostando il viso e aprendo gli occhi.
La prima cosa che vide fu il sorriso di James. Lei sorrise a sua volta, afferrando la sua mano e gli si avvicinò appena, quanto bastava perché le punte dei loro nasi fossero a pochi centimetri di distanza. «Buongiorno, dottor Burke,» sussurrò, ridacchiando e James le sollevò la mano, portandosela alle labbra. Lasciò un bacio impercettibile sulle nocche e le sfiorò la punta del naso con la sua. «Buongiorno, signora Ford.» Si allungò sul cuscino, verso di lei, e appoggiò piano le labbra sulle sue, soltanto per un istante, come se quel contatto, seppur breve, fosse stato indispensabile e poi si allontanò ancora, abbastanza per poter parlare, ma non così tanto da non sentire più il suo respiro sulla pelle. «Ti ho svegliata,» mormorò, a bassa voce, cosicché nemmeno le pareti che li circondavano potessero sentire quello che le diceva.
Juliet scosse il capo, piano. «No, ero già sveglia. Mi piace sentirti dormire.»
Restarono in silenzio, avvolti dalla sensazione confortevole che provavano nello stare insieme, riparati in quel bozzolo caldo, intimo, un quell'attimo che potevano rubare al tempo e dimenticare completamente l'esistenza del mondo intero.
Gli occhi di lei, di quell'azzurro intenso che riluceva anche al buio, brillavano e lui sapeva che l'espressione sul proprio viso non poteva essere molto diversa dalla sua. La baciò di nuovo, facendo scorrere un braccio dietro le sue spalle, stringendola a sé. Juliet si scostò, sistemandosi più comodamente, e portò entrambe le sue mani sul suo viso, accarezzandogli le guance ispide con le dita sottili. Si scostò per prendere aria. «Va a raderti,» borbottò, disegnando con i pollici dei cerchietti sui suoi zigomi. «La barba mi fa il solletico.»
James lasciò che il suo sorriso si trasformasse in un ghigno appena accennato, mentre la circondava con entrambe le braccia, impedendole qualsiasi via di fuga. «Ah, davvero?» la stuzzicò, prima di ribaltarla e di cominciare a sfregare le proprie guance contro le sue, cercando di darle più fastidio possibile.
«James!» La sua risata cristallina riempì la stanza in un secondo, illuminandola. «James, smettila!» Rise ancora, dibattendosi pigramente e spintonandolo, cercando di guadagnare una via di fuga.
James rise con lei, ribaltandosi sul materasso fino a farla stendere sopra di sé, beandosi della vista delle sue guance leggermente arrossate e dei suoi occhi brillanti. Fece una smorfia, tirando in fuori il mento. «Sei arrabbiata?»
«Furibonda!» esclamò, incapace di trattenere le risate.
Lui le accarezzò nuovamente il viso, e Juliet si alzò, permettendogli di scivolare via. «Andiamo,» disse. «Non possiamo stare qui tutto il giorno.»
James le afferrò i fianchi. «No? Perché io avrei una mezza idea di restarmene qui a poltrire almeno fino a domani mattina.»
Juliet rise. «Oh, non fare il pigrone,» lo rimproverò, sforandogli con le labbra la punta del naso. «Dai, tu va in bagno e io intanto preparo la colazione.»
Fece per alzarsi ma lui la trattenne di nuovo, scivolando seduto sotto le sue gambe. «No, no, no. Se permetti, io avrei un'idea migliore.»
«Che sarebbe?» gli chiese, poco convinta.
«Sarebbe che in bagno ci andiamo insieme,» soffiò, accarezzandola la schiena languidamente, come per chiarire il concetto. «E poi, con tutta calma, ci prepariamo una lunga e abbondante colazione che ci duri almeno fino all'ora di pranzo.» Lei rise, ma lui continuò, serio nelle sue intenzioni. «Che ne dici?»
Juliet finse di pensarci su e poi annuì, convinta. «Ci sto.»
«Perfetto, signora, si tenga forte.» E senza permetterle di dire alcunché le afferrò le gambe, costringendola a stringersi a lui e la sollevò senza fatica, portandola in braccio fuori dalla camera e fino alla porta del bagno che aprì malamente con un gomito, rischiando di far capitolare entrambi.
La lasciò a terra poco lontano dalla doccia e si tolse la maglia che usava come pigiama con un movimento fluido, abbandonandola sulle piastrelle candide del pavimento. Juliet gli si avvicinò, stringendogli le mani dietro alla nuca e carezzandogli i capelli biondi. «Tu sei matto,» gli disse, baciandolo.
Lui le afferrò i fianchi e le sfiorò le labbra. «No, biondina. Sei tu che mi mandi fuori di testa.»


James aveva appena inserito il filtro del tè nell'acqua calda quando sentì il getto della doccia riversarsi con meno intensità e poi spegnersi del tutto. Diede ancora una rapida occhiata ai fornelli e, quando ritenne che tutto fosse a posto si voltò, soltanto per trovarsi Juliet con indosso una delle sue camicie pulite che lo guardava dalla porta con un sopracciglio inarcato.
«Che c'è?» le chiese, stringendosi nelle spalle.
«Non lo so,» rispose, avanzando dubbiosa. «Ho sempre paura di cosa possa accadere, lasciandoti solo ai fornelli.»
Lui si fece da parte, facendole ammirare i risultati del suo duro lavoro. «Uova e pancetta, succo di frutta, pane tostato e marmellata, se ti va, e infine tè caldo e biscotti per la signora e caffè amaro per me,» concluse, sollevando una grande tazza da cui usciva una spessa voluta di fumo.
Juliet fece schioccare la lingua, genuinamente ammirata. «E tutto questo mentre io mi stavo facendo la doccia? Non hai nemmeno spaccato le uova.»
Lui le girò attorno, andando ad appoggiare la sua tazza sulla tavola modestamente imbandita e si fermò dietro di lei, lasciandole un bacio sulla nuca. «Tu non hai idea di quanto tempo sai perdere, chiusa in bagno.»
Juliet li lanciò una gomitata scherzosa, fingendosi oltraggiata. «Questo non è vero.» i due rimasero zitti un momento, l'uno stretto all'altra, ad assaporare l'aroma di caffè e pane tostato che riempiva la cucina; poi lei si voltò verso il tavolo, facendo un cenno con la testa. «Se tu qui hai fatto tutto, io posso anche sedermi, no?»
«Ma certo.»
La guidò verso il tavolo e scostò una sedia per lei, lasciando che si sedesse comodamente. Juliet rimase incantata a guardarlo con il viso appoggiato su una mano mentre lui faceva di tutto per non rovinare il suo duro lavoro. Sistemò il pane e la marmellata sul tavolo, subito seguito da un paio di bicchieri stracolmi di succo aranciato e i loro piatti di uova e pancetta.
Juliet sospirò.
«Cosa?»
«Ti ci sei davvero impegnato, eh?»
«Ci puoi scommettere.» Si sedette di fronte a lei ed infilzò un pezzo di pancetta abbrustolita con la forchetta. «E poi, per te questo ed altro.»
Fecero colazione con calma, prendendosi ogni minuto disponibile, continuando per tutto il tempo a parlare di tutto e di niente, godendosi semplicemente quel breve attimo di intimità come se di lì a breve tutto quanto sarebbe scomparso. James chiuse gli occhi, solo per un momento. Da quando tutto era cominciato, aveva sempre avvertito dentro di sé il terrore che ogni cosa sarebbe scomparsa, che lui si fosse trovato nuovamente solo – sull'Isola o in questa realtà, poco importava – senza di lei, accorgendosi che tutto non era stato altro se non un bel sogno.
Forse era per questo che, dopo tutti quegli anni, ancora si ritrovava con un anello nascosto in qualche angolo e una proposta non fatta sulla punta della lingua; perché aveva paura che chiedendo di più a questa realtà forse avrebbe finito con ritrovarsi senza più nemmeno la sua presenza accanto.
Sollevò gli occhi verso di lei, e restò un attimo incantato nel vederla assorta a leggere il giornale, domandandosi se anche lei, ogni tanto, avesse le sue stesse paure, se qualche volta si ritrovasse da sola a pensare che la fortuna che era capitata a entrambi fosse veramente di più di quella che potevano permettersi.
Eppure, più restava a guardarla, più sentiva che le sue paure erano del tutto infondate. Lei era lì e lui era con lei: questa era la realtà e niente al mondo sarebbe riuscito a distruggere – di nuovo – quello che con tanta fatica avevano creato.
Juliet depose il giornale e sollevò lo sguardo, incontrando i suoi occhi assorti. «James?» lo chiamò e lui si riscosse, leggermente stralunato. «Sì? Che c'è?»
«Va tutto bene?»
Lui non rispose subito. Ora o mai più, si disse e, sotto gli occhi sbalorditi di lei, si alzò in piedi. «Puoi aspettarmi qui un momento?»
«Certo, ma… Sei sicuro che vada tutto bene?»
«Tutto benissimo devo solo… fare una cosa,» e se ne andò senza aggiungere altro, dirigendosi a passo deciso verso la loro camera da letto. Si voltò indietro, prima di chiudersi la porta alle spalle, per controllare che lei non l'avesse seguito. Non perse tempo ad accendere la luce o ad aprire le inferriate, sapeva benissimo che cosa stava cercando.
Aprì l'armadio e si inginocchiò, sfilando dalla pila di scatole che teneva sotto gli abiti un contenitore anonimo, bianco e blu. Lo aprì con reverenza, mostrando un contenuto di oggetti banali e, in un angolo, di una scatoletta in velluto blu scuro. La prese con due dita e, prima che riuscisse ad aprirla per guardarne il contenuto, squillò il telefono.
Scattò in piedi lasciando cadere la scatola più grande sul pavimento e trattenne il fiato fino a che lo squillo non cessò. Chiuse alla rinfusa l'armadio, cercando di mettere tutto a posto e, quando uscì dalla camera, fu immediatamente richiamato dalla voce di Juliet: «James?»
Lui deglutì, nascondendo la scatolina dietro la schiena sperando che lei non se ne accorgesse. «Sì?»
«C'è Miles al telefono, dice che ha bisogno di parlarti.»
Miles? «E che accidenti vuole?»
«Dice che si tratta di lavoro.»
James sbuffò vistosamente, imprecando a bassa voce. Merda. «Lo prendo qui in camera,» le disse, sgusciando già dentro la porta.
«Ok,» gli rispose, per poi tornare a borbottare qualcosa alla cornetta.
Entrò nella camera ed accese la luce, prima di buttarsi sul letto e di prendere in mano il telefono. Avrebbe ucciso Miles, era ufficiale. L'avrebbe ucciso nel modo più doloroso possibile. «Miles, che accidenti vuoi? Lo sai che giorno è?»
«Ehi, amico, non ti scaldare, è domenica per tutti.»
James si pinzò la radice del naso con due dita e sospirò. «Ok, ok. Che c'è di così urgente?»
«Dicono che ci sono stati dei casini con certi rapporti, ci sono delle versioni che non coincidono, hanno bisogno di noi qui per verificare le deposizioni.»
«Porca puttana,» imprecò, stringendo con più forza del necessario la cornetta del telefono. «Ma questi bastardi non possono aspettare almeno fino a domani?»
Non poteva vederlo, ovviamente, ma sapeva che Miles aveva appena scrollato le spalle. «Gliel'ho detto anche io, ma sono stati irremovibili. Comunque non credo che ci vorranno più di un paio d'ore.»
«Un paio d'ore?» esclamò, indignato.
«Che diventeranno tre se non muovi il culo e non ti presenti qui immediatamente…»
James scattò in piedi, sfilandosi malamente la maglia pulita che aveva indossato. «Ok, ok, mi vesto e in un quarto d'ora, traffico permettendo, sono alla centrale.»
«Perfetto. Muoviti,» e chiuse la chiamata senza nemmeno salutare. James sbatté giù il telefono e si gettò verso l'armadio, vestendosi il più velocemente possibile. Ogni tanto – e in realtà più spesso di quanto fosse consigliabile – odiava davvero tanto il suo lavoro.
Si infilò una camicia e i jeans e, prima di uscire, raccolse anche la scatolina di velluto. Corse verso l'ingresso e si infilò le scarpe e il cappotto, e aveva appena nascosto l'anello nella tasca del giubbotto quando Juliet gli si presentò davanti, un sopracciglio inarcato e un'aria poco divertita sul viso. «Problemi?» gli chiese, e lui allargò le braccia, sconsolato. «Qualcuno ha fatto casino e i pezzi grossi non possono aspettare fino a domani.» Le si avvicinò e le carezzò i capelli. «Mi spiace piccola, farò in modo di tornare il prima possibile.»
Lei annuì abbozzando un sorriso. «Fa il tuo dovere, agente.»
Lui rise e, in quell'istante, si accorse di aver dimenticato qualcosa. «Porca puttana. Ho dimenticato il distintivo.»
Juliet gli sorrise. «Vado a prenderlo io. È nel cassetto, no?» e si incamminò lungo il corridoio.
«Sì, grazie.» Sbuffò, appoggiandosi contro il tavolino del telefono. E anche questa volta non se ne fa niente. Si voltò e, quando lo sguardo gli cadde sul ripiano lucido del mobile, prese la sua decisione. Afferrò velocemente un post-it e una penna e vi scarabocchiò sopra alcune parole. Se il destino non aveva intenzione di andargli incontro, ci avrebbe pensato da solo. Appiccicò il bigliettino in bella vista sullo specchio e quando Juliet tornò con il suo distintivo lui raccolse le chiavi della macchina, ringraziandola.
Si avviarono insieme alla porta e, quando lui fu fuori si voltò di nuovo indietro, guardandola dritta negli occhi. «Torno presto.»
Lei annuì. «Fa quello che devi, io non me ne vado.»
James restò per un attimo interdetto e poi sorrise. «Lo so.» Stava per voltarsi, ma poi cambiò idea: «Ah, Juliet.»
«Mh?»
«Ti ho lasciato un post-it sullo specchio,» e se ne andò, senza aggiungere altro.
Lei rimase immobile a guardarlo per un momento e poi, vinta dalla curiosità, rientrò in casa, e si fermò subito nell'ingresso, davanti al suo riflesso, dove un fogliettino giallo fosforescente faceva bella mostra di sé, attirando la sua attenzione.
Lo staccò delicatamente e lesse le parole che vi erano scritte almeno tre volte, mentre un sorriso quasi sciocco le spuntava sulle labbra. Accarezzò con le dita le lettere malamente scarabocchiate, ma comunque sufficientemente leggibili e sentì il suo cuore gonfiarsi di gioia mentre i ricordi affluivano in lei come un'ondata inarrestabile.

Quando torno ci prendiamo un caffè.
Offro io.


  
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