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Autore: Diana924    22/04/2010    1 recensioni
Gertude Gustavson si reca in Etiopia per lavoro. Non sa che lì incontrerà l'orrore, e poi c'è quella voce, una voce che viene dalla foresta...
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando il leucrotta e il corocotta iniziarono il loro pasto infernale io non ero più lì. Infatti correndo il più veloce che potevo ero tornata nell’accampamento e mi ero rannicchiata nella mia tenda. Mi ripetevo che era un sogno, che avevo sognato tutto, che la mattina avrei rivisto Belate, che quello che avevo veduto era un parto della mia fantasia.

Ma la mattina seguente, non sentendo l’ormai familiare odore del caffè mi resi conto con amarezza che quello che avevo veduto la notte scorsa era reale, e non frutto della mia mente.

Chiesi all’aiutante di Belate, un somalo di nome Serge Moussà se sapeva dov’era il suo capo. Ero infatti ben decisa a non rivelare a nessuno ciò che era accaduto quella notte, e quindi di tacere la mia vigliaccheria.

Mi rispose di non saperlo e di cominciare a preoccuparsi, Belate era sempre puntuale, doveva essergli accaduto qualcosa.

Trattenendomi replicai che anch’io ero inquieta e proposi di chiamare la polizia. Mi dette ragione, perchè quella di Belate era una famiglia agiata, e da quelle parti agiata vuol dire ricca. Ma mi consigliò di aspettare almeno fino al tramonto, infatti Belate poteva aver avuto un impegno urgente e forse già per la cena poteva essere di ritorno. accettai il suo consiglio sollevata, per poco non gli stavo per rivelare il mio segreto sulla morte di Belate e sulle voci che udivo da almeno una settimana nella foresta.

La giornata passò in uno stato di agitazione, Serge non si staccava mai dal telefono, il suo capo poteva chiamare da un momento all’altro e non voleva perdersi la telefonata.

Io invece ero all’esterno e con il mio portatile visionavo le fotografie, scegliendo quelle che avrei utilizzato per il servizio e quelle che sarebbero state eliminate.

Verso le sei del pomeriggio mi chiamò Mark. Disse solo quattro parole: << Papà si è svegliato >> e riattaccò, lasciandomi felice e con gli occhi che mi si rigavano di lacrime di felicità.

Dopo dieci anni di speranze infrante e di dolore, e di tentativi infranti mio padre, che fino a poco fa era poco più di un vegetale era tornato alla vita. So che tornato alla vita è un termine un po’ eccessivo, ma per me in quegli anni era come se mio padre fosse morto; che il suo cuore battesse ancora mi aveva lasciato indifferente. Ma ora era tutto diverso, avrebbe parlato, avrebbe camminato, avrebbe finalmente vissuto il resto della sua vita vigile, non più in stato vegetativo.

Ero così felice che entrai nella tenda con gli occhi umidi dal pianto. << Cattive notizie Miss? >> mi chiese Serge, sempre vicino al telefono.

<< No, Serge, meravigliose ed inaspettate >> gli risposi con voce rotta dalla felicità, dopo tanto tempo le miei premere erano state esaudite, e ciò mi metteva in uno stato che si avvicinava il più possibile alla beatitudine che secondo alcuni è propria degli angeli.

Per tre minuti vagai come inebita, troppa era la gioia, che non riuscivo che a pensare a quelle quattro parole che per me avevano ormai un potere quasi magico: << Papà si è svegliato >>, com’erano belle e celestiali, le parole che cancellavano come una gomma il dolore e le afflizioni che avevo patito in quei dieci lunghi anni.

Ammetto di essere  stata un po’ egoista nei confronti di Mark, che era stato presente nel momento in cui papà si svegliava dal coma, ma ero allo stesso tempo contenta che ci fosse qualcuno della famiglia con lui in quel momento cruciale.

Poi, come erano sparite tornarono l’ansia, la paura e il desiderio di raccontare tutto. Per un po’ quei pensieri erano rimasti immobili, ma poi erano tornati, e mi sembrarono più forti, tanto che temetti che quando mi avrebbero sopraffatto avrei raccontato tutto, o a Serge o ai poliziotti che avevamo intenzione di convocare.

Infatti la sera Serge prese suo cellulare e chiamò la polizia di Adis Abeba, sollecitandoli a venire; all’inizio furono riluttanti, ma gli bastò fare il nome della madre di Belate: Giselle Tayab, per farli correre. Come poi mi disse la famiglia della madre di Belate era una delle più potenti in tutta la capitale, ma essendosi ritrovati, dopo la scomparsa di Halille Selassie senza più denaro furono costretti a far sposare Giselle con Azouz Dominici, nonostante il fatto che la sua famiglia fosse tra le più emarginate; ma potevano sempre contare su un’ingente ricchezza.

Infatti già verso le nove di sera venimmo avvisati che una pattuglia ci avrebbe raggiunto almeno fra dodici ore, cosa davvero rara da quelle parti, motivata solo da due cose secondo molti: denaro e potere, i veri dei del nostro secolo che muovono tutto e sono mossi da tutto e da niente.

La notte dormì male, in perenne attesa di sentire la voce, ma stranamente non udì nulla, nemmeno un mormorio od un sospiro.

Poi venni investita da un terrore enorme: e se invece di uccidere Belate avesse preferito me? Lui mi avrebbe cercato?

Fu con questo pensiero che risvegliai, in un mare di sudore.

La mattina, verso le nove come ci avevano assicurato; quanto potere ha il denaro; giunse l’ispettore Jean-Luc Renart, fresco di nomina secondo Serge e anche totalmente incapace, vuoi per stupidità o perchè corrotto, abitudine cara da quelle parti.

Devo dire che la prima espressione non mi convinse: basso, con il pizzetto e un basco con sopra una stella sembrava una caricatura: mi sembrava uscito da un giornale satirico.

E quando iniziò a parlare ci mancò poco che scoppiassi a ridere: la sua voce era ridicola; sembrava una trombetta.

Iniziò l’interrogatorio parlando prima con Serge, o meglio aggredendolo, urlando come un pazzo, roba da spaccare i timpani.

Poi passò a me, dimostrandosi straordinariamente gentile e accomodante, ma forse lo faceva perché indossavo una T-shirt bianca che mostrava abbastanza bene il mio reggiseno, che lui sbirciava di continuo. << Deve capirci Miss, il Nostro Governo non può permettersi che una bella turista come lei rischi di essere rapita, sarebbe una catastrofe per la nostra immagine all’estero, comprende? >> blaterava da almeno trenta minuti, io mi limitava ad annuire, era da molto tempo che non lo ascoltavo.

<< Miss; cosa mi sa dire sul signor Serge Moussà? >> questa domanda mi giunse inaspettata; mai avrei sospettato Serge.

<< No, fino a due settimane fa non lo conoscevo nemmeno!!! >> urlai furiosa, come si permetteva quella caricatura di sospettare di Serge?

<< Miss, è il mio lavoro sospettare di chiunque, tranne della belle turiste >> aggiunse, con un’occhiata che mi fece accapponare la pelle, nonostante facessero 40° gradi all’ombra. Che uomo insopportabile ed odioso.

Con una scusa riusci a fargli terminare quell’odioso interrogatorio, e siccome era domenica chiamai Mark, volevo sapere di papà. Mi rispose al terzo squillo, andava tutto bene, la salute di papà faceva passi da gigante, forse fra tre giorni avrebbe ripreso a parlare correttamente. Per il momento biascicava alcune parole, e secondo i dottori era un miracolo che avesse riconosciuto subito Mark.

In quel momento papà si stava sottopendo ad una visita di controllo, ma non c’era da preoccuparsi, almeno secondo i medici.

Felice riattaccai, era ormai questione di ore prima che ritrovassero il corpo di Belate, e io ero sempre più in ansia.

Poi, verso le sei del pomeriggio lo trovarono; esattamente a come l’avevo lasciato la notte precedente. Fu Serge a trovarlo, e ciò avvalorò i sospetti dell’ispettore, che credeva che Belate fosse stato ucciso da Serge. Ignoro il movente, ma lui ne era fermamente convinto.

Infatti, verso le otto, dopo una cena che lui e i suoi uomini avevano scroccato, urlò rivolto a Serge: << Signore, siete in arresto per l’omicidio di Belate Dominici, occultamento del cadavere ed intralcio alle indagini, ci segua >>.

A nulla valsero prima l’alibi di ferro di Serge e il mio spiegare che quella notte non avevo sentito nulla, la mia tenda era vicino la sua e io ho il sonno leggero, l’avrei sicuramente sentito. Non volle ascoltarci, e si portò via Serge, ammanettato, verso Adis Abeba.

Sulle prime restai di sasso, annichilita dalla sorpresa, ma poi decisi cosa avrei fatto: avrei affrontato il corocotta e il leucrotta, l’avrei fatto per Belate; morto a causa loro, e per Serge, accusato ingiustamente.

Così, dopo aver preso una pistola mi incamminai. Questa volta non udii nessuna voce, niente di niente, evidentemente non mi aspettavano così presto.

Mentre mi avvicinavo avvertivo la loro presenza, sempre più vicina.

Infatti dopo un po’ risentii la voce, ma questa volta era meno ammaliante, più naturale.

Poi li vidi. Erano nello stesso punto dove le avevo viste ieri, sempre minacciosi, quegli orrendi mostri.

Presi la pistola e puntai, lo facevo per Belate, questo colpo sarebbe stata la sua vendetta, e per Serge, solo io sapevo che era innocente.

Per primo colpì il leucrotta, che lanciò un grido bestiale, inumano. Il corocotta, furiosa perchè avevo colpito il suo cucciolo si girò verso di me e mi vide. Colpì anche lei, ma la ferì soltanto alla zampa sinistra. Vedendo il sangue che le fuoriusciva cercò di mordermi, ma in quel momento il leucrotta iniziò a gemere. Subito l’istinto materno prese il sopravvento sulla vendetta e il corocotta si slanciò verso la sua creatura, che stava morendo.

Ne approfittai per fuggire, più veloce che potevo.

Raggiunsi l’accampamento e presi la mia roba: destinazione l’aeroporto.

Arrivata presi il primo aereo per Oslo, non intendevo restare un secondo di più in quel posto.

Il volo fu piacevole, senza soste e giunsi ad Oslo verso le sette di sera. Ad attendermi c’era Mark, con papà! felice abbracciai papà, erano anni che non lo vedevo in piedi.

Uscimmo, felici come a Natale, ancora ignari di quello che sarebbe accaduto in seguito

X kakashina97100, corretto, un errore di disattenzione, in questi giorni ho molto da fare

   
 
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