Capitolo undici
Era estate, ed erano le quattro del mattino.
Gianluca si alzò dal suo letto, e i piedi nudi toccarono il freddo pavimento.
Si stropicciò gli occhi, e immerso nel buio della casa, andò in cucina a bere
un bicchiere d'acqua, nel massimo silenzio.
Non era la prima volta che Gianluca si svegliava nel cuore della notte, perché
non riusciva più a dormire: aveva troppi pensieri in testa, in quel periodo.
Era confuso, triste, e neanche dormire riusciva a scrollargli via alcuni dei
suoi brutti pensieri.
Buttò giù l'acqua ghiacciata: sua madre gli diceva sempre che faceva male berla
a stomaco vuoto, ma lui se ne fregava sempre, anche questa volta. A maggior
ragione, dato che non poteva neanche vederlo.
Uscì dalla cucina, e in punta di piedi salì le scale del piano di sopra, verso
il terrazzo. Il rumore della porta che conduceva al terrazzo sembrò quello di
uno sparo di pistola, in quel silenzio, ma lui fece finta di nulla ed uscì.
Gianluca si rifugiava spesso sul terrazzo. Si arrampicava cautamente sul tetto
spiovente, e si sedeva sulle tegole rosse e rovinate. Guardava le luci della
città accese, quelle luci che sembravano bruciare come fuoco, e pensava.
Pensava, pensava, pensava.
E in quel momento pensò anche che avrebbe proprio dovuto smettere di pensare così
tanto. Gli faceva male.
Anche quella volta, si arrampicò e si sedette sul tetto. Era quasi tutto buio,
e anche quella volta le luci all'orizzonte non lo delusero. Era davvero bello.
Lì, Gianluca si sentiva felice...
Spostò una tegola che aveva rotto mesi fa con un martello e lo scalpello. Ne
estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino, ne prese una e se l'accese,
sorridendo. Ogni volta non poteva che essere fiero del suo nascondiglio... Come
avrebbero fatto i suoi genitori a scoprire che ormai fumava regolarmente? A
nessuno sarebbe mai venuto in testa di controllare lì. Mai.
Gianluca espirò profondamente, guardando l'orizzonte davanti a sé. Già, i suoi
genitori... Erano proprio loro, a recargli così tanti pensieri, ultimamente. Li
aveva visti sempre sereni ed innamorati, comprensivi, pronti ad ascoltarlo, e
non erano mai stati neanche troppo severi nei suoi confronti. Li aveva sempre
adorati, e rispettati. Il loro era proprio un bel rapporto.
Ma qualcosa – Gianluca non sapeva cosa – si era spezzato, in loro. Ormai non
facevano altro che litigare e rinfacciarsi ogni cosa, anche la più minima. Non
parlavano più con lui – certi giorni non gli chiedevano neanche come stava - e
non facevano altro che pressarlo per la storia dell'università, dicendogli gli
sbrigarsi a scegliere una facoltà e a studiare, quando gli esami di maturità
erano finiti da poco più di un mese.
E, appunto, c'era anche la storia dell'università. Era uscito dal liceo con un
ottimo punteggio, ma non sapeva ancora che strada prendere. Era sempre stato
bravo nelle lingue straniere, e parlava l'inglese ormai abbastanza
scorrevolmente anche grazie al viaggio a Londra dell'anno prima, ma aveva
paura. L'università non era come il liceo. E poi, se non si fosse trovato bene?
E se avesse voluto cambiare? E se avesse deluso i suoi genitori?
Quest'ultimi pensavano che l'indecisione di Gianluca fosse determinata dal
fatto che non si era mai ammazzato di studio e che si era stufato. Che volesse
rimanere un pantofolaio, cosa che Gianluca aveva aborrito da sempre. D'altra
parte, lui non aveva mai parlato delle sue paure e delle sue indecisioni con
loro, perché pensava fosse perfettamente inutile. Ormai, non l'avrebbero
capito. Gli avrebbero solo puntato il dito contro, come facevano sempre.
A Gianluca sembrava di soffocare. Voleva andare a vivere da solo, voleva
partire e non ritornare mai più. Voleva tornare a Londra, città che gli aveva
rubato il cuore.
Schiacciò la sigaretta ormai finita e rimise a posto la tegola.
E proprio lui, che non aveva mai mentito ai suoi genitori, e che li aveva
sempre considerati degni di stima, aveva iniziato a fumare. E ovviamente loro
non lo sapevano, e non dovevano saperlo. Era come se volesse vendicarsi per il
modo in cui lo stavano trattando: e l'unico modo era trasgredire alle loro
regole. Essere un ribelle. E fare una cosa che loro due avevano sempre trovato
orrenda... Schifosa.
Ma Gianluca, quella notte, non sapeva fino a che punto si sarebbe spinto.
*
« Dai, Gianlu, fallo per me! »
« Ma dai, che ci vengo a fare in discoteca? Lo sai che non so ballare. E
neanche mi piace quel tipo di musica, che schifo! »
« Per favore. Possiamo incontrare qualche ragazza, divertirci un po'. Non esci
da una settimana, ti farà bene stare un po' fuori! »
Gianluca pensò che era vero, anche se detestava andare in discoteca.
« Oh, e va bene. Passo da te alle nove. »
« Alla grande! A più tardi. »
*
Gianluca sorseggiava il suo cocktail. Aveva ordinato un Quattro Bianchi, ma
quello che aveva nel bicchiere non era un Quattro Bianchi. Faceva
schifo, si sentiva solo troppo alcol. Che baristi incapaci.
Gabriele era in mezzo alla pista già da un bel po', come minimo tre quarti
d'ora. Gianluca aveva solo ballato per massimo dieci minuti, poi si era
precipitato a bere. Del resto, sembrava che Gabriele avesse già adocchiato una
ragazza con cui ballare.
Bevve ancora. Che noia. Noia, noia, noia.
Aveva pensato che uscire avrebbe allontanato i numerosi pensieri della sua
testa. Neanche quella orrenda musica a palla, neanche tutta quella gente attorno
a sé, neanche più le sigarette e l'alcol riuscivano a farlo. E lì, in mezzo a
tutta quella folla, si sentiva solo.
Gianluca ricacciò indietro le lacrime. Le tratteneva da tanto tempo, ma quello
non era il momento né il luogo migliore per scoppiare a piangere. Aveva proprio
bisogno di un pianto liberatorio, come quelli che si fanno da bambini, quando
ti sbucci il ginocchio o semplicemente quando credi di esserti perso al
supermercato. La mamma mi ha lasciato solo, invece si è solo allontanata al reparto
della frutta e tu sei rimasto indietro...
Finì il suo cocktail, col cuore che gli scoppiava, e che andava in mille pezzi.
Cosa ci faceva lì? Voleva solo tornare a casa...
Voleva solo qualcuno che lo capisse, che lo facesse sentire meno solo.
Voleva qualcuno che azzerasse la sua mente da ogni pensiero opprimente.
Nient'altro...
Gabriele riemerse dalla folla di sardine che ballavano.
« Gianluca! Che ti prende? Hai una faccia... »
« Il cocktail faceva schifo. » Rispose prontamente lui, mentendo. Non voleva che
il suo amico lo considerasse un pappamolla.
« Non è solo questo... »
« Già, scusa ma non sono proprio di buon umore. »
« Lo so bene. Infatti ho pensato a te. »
« Che vuoi dire? »
Gabriele si avvicinò moltissimo a lui, e aprì il pugno chiuso.
Sul palmo della mano, c'era una piccola pillolina blu intenso. Sopra era inciso
uno smiley, una faccina sorridente.
Gianluca la guardò, poi guardò Gabriele.
« Ma... Sei impazzito o cosa? Chi te l'ha... »
« Non è la prima volta che lo faccio, Gianlu. »
« Cosa?! Ma fai schifo! Non me l'hai mai detto. »
« Perché sapevo che avresti reagito così, figlio di papà. »
A Gianluca quella frase diede fastidio, per ovvi motivi. Improvvisamente sentì
la rabbia montare dentro di sé. Lo stava forse sfidando?
« Non è vero, stronzo. »
Gabriele sapeva dove colpire. Sorrise.
« Allora, dai... Fidati di me, ti farà sentire meglio. Peggio di così... »
« Ma... » cercò di protestare Gianluca, ma Gabriele gli ficcò la pillolina in
mano.
« Ritorno tra cinque minuti, non la voglio più vedere nella tua mano. »
Detto questo, sparì di nuovo tra la folla.
Gianluca rimase lì immobile e senza parole. Ma era impazzito? Della droga...
Era davvero quella la soluzione? La vita doveva ridursi tutta là?
Da una parte però quello che diceva Gabriele era vero. Era disperato... Peggio
di così? Gianluca guardò la pillolina nella sua mano. Gli sorrideva, era
proprio così. Scrollò le spalle, se la ficcò in bocca ed inghiottì, prima che
ci ripensasse. Se ne pentì quasi all'istante.
Dopo un quarto d'ora, Gabriele era accanto a lui.
E Gianluca piangeva, piangeva, piangeva come aveva desiderato poco prima,
piangeva come un bambino. Il mondo si era ribaltato, i colori erano
psichedelici, e a lui sembrava di volare. Non sentiva più il suo corpo.
Piangeva, piangeva, ma non sapeva perché. Nella sua testa non c'era più niente,
era libero, vuoto, e piangeva, però non era triste. Era felice... Non c'era più
niente.
Niente.
*
Gianluca ritornò a casa alle sei e mezzo del mattino.
Si buttò sul letto, incapace di altri movimenti, distrutto.
Chiuse gli occhi, ma sorrise tra sé e sé.
Aveva capito.
La droga era quello che cercava.
Lei lo capiva, lo faceva sentire meno solo.
Lei azzerava la sua mente da qualsiasi pensiero opprimente...
Decise che l'avrebbe abbandonata mai più.
Buona domenica! E' ancora Adrienne che vi parla, eccoci qui con un nuovo capitolo pronto per voi. Dopo lo scorso capitolo, incentrato su Rachele, ecco il capitolo "Gianlucentrico", come l'ha definito la mia collega AllegraRagazzaMorta XD
As always, fateci sapere cosa ne pensate! Ringraziamo Tiara, _deny_, Emily Doyle e TheDreamerMagic; i vostri commenti ci fanno molto piacere, continuate così *-*
Poi vorremmo ricordare agli utenti che proprio in questo momento è in corso un EFP un concorso per le storie originali con i migliori personaggi... Se la nostra storia vi è piaciuta tanto, sarebbe un piacere se voi ci segnalaste, ne saremmo DAVVERO onorate! (: Vi invitiamo a leggere il bando sulla homepage del sito per saperne di più.
Detto questo... Alla prossima, grazie!