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Autore: _Princess_    26/04/2010    20 recensioni
La disarmava, questo era il fatto. La lasciava indifesa.
“Su, vuota il sacco.” Le intimò, senza alcuna pietà verso il suo essere così disperatamente persa in lui.
Kuu osò voltare il viso verso il suo, incontrando così i suoi occhi sorridenti, e il suo cuore saltò un battito.
Quegli occhi…
Non si sarebbe mai abituata alla loro imperscrutabile profondità, alla bellezza infinta che traspariva da quel suo sguardo mite, un misto di luci e ombre che faceva venire i brividi, che cancellava ogni capacità di respiro, di raziocinio.
Li amava, quegli occhi, così come amava l’anima che vi stava dietro.
Ed era orribile pensarci. Era orribile amare tanto qualcosa che non sarebbe mai stato alla sua portata, ed anche peggio era essere pienamente consapevole che non sarebbe mai riuscita a farsene una ragione.
[Sequel di The Truth Beneath The Rose]
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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You're too important for anyone
You play the role of all you long to be
But I know who you really are
You're the one who cries when you’re alone

(Where Will You Go, Evanescence)

 

***

 

Lenzuola morbide, profumate di pulito. Poca luce nella stanza. E voci sommesse.

“Questa è l’ultima goccia!”

“Eva, non dire stronzate!”

“Tornatene a dormire con lei, visto che ci tieni tanto!”

“Abbassa la voce!”

“No che non abbasso la voce! Che si svegli, quella stronza!”

“Eva…”

“Perché ogni volta devo trovarla nel tuo letto, si può sapere?! Cos’ha, tre anni, per non saper dormire da sola?”

“Eva, chiudi il becco!”

“Vaffanculo, Matt!”

Stava succedendo di nuovo.

Kuu rimase con gli occhi chiusi, rintanata al di sotto delle coperte, ad ascoltare l’ennesimo litigio tra Kaaos ed Eva. Fece rapidamente mente locale di che giorno fosse: il ventisette di febbraio. Erano ad Amburgo, il giorno seguente avrebbero avuto un concerto, ma tutti aspettavano ospiti per il giorno libero. Sarebbero arrivati parenti e amici dei Tokio Hotel, Georg aspettava con ansia la sua ragazza, e Kaaos, senza essere da meno, aveva chiesto a Eva di raggiungerlo. Eva, però, non sembrava granché felice di essere lì.

“Io me ne vado!” stava strepitando, furibonda. “Tieniti la tua bella bionda, visto che ci tieni tanto! Addio!”

“Eva!”

La porta sbatté.

Bene, pensò Kuu, sollevata, la strega se n’è andata.

Eva non le era mai piaciuta. Era una ragazza poco più grande di lei, alta e formosa, dai tratti mediterranei, e studiava da erborista. Kaaos stava insieme a lei da due anni, ma Kuu non aveva mai capito cosa potesse trovarci in lei: mediamente bella, mediamente intelligente, mediamente antipatica. Era ordinaria, sotto qualunque punto di vista.

Kuu si era appena messa a sedere quando la porta della camera da metto si aprì. Kaaos la fissava dalla soglia, gli occhi neri opacizzati da un’espressione scura.

“Valle dietro, stupido.” Gli intimò.

“E perché?” rispose lui, asciutto, le braccia incrociate. “Per litigare di nuovo e poi tra qualche settimana ripetere la stessa identica scena? E poi ancora tra un mese, due mesi, un anno…”

“Smettila!” lo troncò lei. “Non è colpa mia se la tua ragazza è una pazza isterica!”

“La mia ex ragazza.” La corresse Kaaos. Non c’era dolore nel suo tono, sul suo viso. Solo rassegnazione. “Sono stanco di dover giustificare ogni singola cosa che faccio con te.”

Kuu avvertì un sentore di senso di colpa, ma preferì ignorarlo. Non gli aveva chiesto lei di scegliere, n’è tantomeno chi scegliere.

“Non è mai stata alla tua altezza, comunque.”

“Non sta a te dirlo.”

“Vattela a riprendere, se per te è così importante, allora!” sbottò lei, arrabbiata. “Non capisco perché diavolo tu sia ancora qui!”

Kaaos la pietrificò con uno sguardo spietato:

“Perché tu sei più importante.”

I suoi occhi pesavano insistenti su di lei, neri e duri. Pieni di odio, pieni di amore.

Era scorretto, da parte sua, giocare quella carta. Il senso di colpa morse più a fondo la gola di Kuu, ma lei tenne duro. Era abituata a non farsi scalfire.

“Hai intenzione di farmelo pesare per il resto della vita?”

Kaaos si avvicinò lentamente al letto e sedette sul bordo.

“Ti farò pesare tutto quello che posso fino a che –”

“Non cominciare nemmeno.” lo ammonì Kuu. “Conosco la solfa.”

La conoscevano tutti e due. Stranamente, però, Kaaos non aveva nessuna voglia di insistere, stavolta:

“Sono quasi le nove,” le disse, alzandosi. “Sarà meglio che tu ti prepari.”

“Già,” sbuffò Kuu, scostando di malavoglia le coperte. “Arriva la preziosa dolce metà di Georg.”

“Si chiama Nicole.”

Comunque si chiamasse, Kuu aveva già deciso che non le piaceva. La aveva già vista su un mucchio di giornali, una ragazzina dagli occhioni azzurri e il viso innocente. Ovviamente graziosa, perché era fuori discussione che uno dei Tokio Hotel si facesse vedere in giro con una ragazza al di sotto del loro livello estetico. Nessuno di loro aveva tempo da perdere a cercare del bello in una ragazza brutta: era più facile trovare la bellezza dove già era palese.

Più che altro, Kuu era curiosa di conoscere la bambina, e soprattutto di vedere i ragazzi alle prese con lei. Georg non le piaceva: l’aveva sempre trattata come una sorta di elemento scenografico di scarsa importanza, come un fantasma la cui presenza lo lasciava totalmente indifferente, e questo lei non lo sopportava: accettava di essere amata da alcuni e odiata da altri, ma l’indifferenza era la peggiore offesa.

“Non mi interessa come si chiama. Non mi interessa e basta.”

“Del resto non ti è mai importato di nessuno al di fuori di te.”

Anche volendo, Kuu non avrebbe potuto ribattere. Nel corso della vita si era lasciata indietro moltissimi amici e non aveva mai avuto rimorsi, mai aveva sentito la mancanza di uno di loro. Forse era insensibile, come diceva Kaaos, ma non poteva farci niente. Era fatta così.

“Cosa vorresti che ti rispondessi, dopo questa provocazione bella e buona?”

“Niente.” Kaaos scrollò le spalle. “Come sempre. Ma prima o poi arriverà qualcuno da cui non potrai difenderti, e allora ti auguro che non si approfitti di te come tu ti approfitti di chi ti ama.”

Sensi di colpa. Erano l’arma preferita di Kaaos, l’unica e la più efficace.

“Mi sembra di aver già sottolineato più volte che nessuno ti obbliga a stare dove stai.”

La sola risposta di Kaaos fu un’occhiata obliqua.

“Vado a vestirmi.” Indifferente, Kuu si alzò e si avvicinò alla cassettiera dove aveva lasciato i propri vestiti, accuratamente piegati. Li prese e se li portò in bagno sotto allo sguardo severo di Kaaos. Si vestì in fretta e poi se ne andò nella propria stanza senza una parola, tornando mezz’ora dopo, pettinata e truccata di tutto punto, con un abito corto al posto dei jeans e della maglietta. Il colore giusto quel giorno era il nero.

Lei e Kaaos scesero insieme per la colazione. Per tutto il tragitto, Kuu non fece che augurarsi che tutto finisse al più presto. Kaaos era taciturno. Gli si leggeva in faccia un malumore incalzante e di sicuro non gli avrebbe giovato incontrare una coppietta felice leggendaria come Georg e Nicole.

Francamente, non avrebbe giovato nemmeno a lei.

Già appena usciti dall’ascensore, si sentivano delle voci concitate provenire dall’atrio.

“Bill! Bill, no! Mi fai il solletico!”

La voce argentina di una bambina. Una risata. L’inconfondibile risata di Bill. Kuu non ricordava di averlo visto sorridere veramente, dall’inizio del tour, figurarsi sentirlo ridere. Ridere con il cuore. Le fece uno stranissimo effetto: un lieve calore le percorse la pelle assieme a un brivido diffuso, quasi impercettibile. Benessere: quella era la definizione esatta.

E poi altre risate, mescolate a voci che non era difficile riconoscere.

“Ci siete mancate, Sandberg.”

Il tono gentile di Gustav.

“Siete sempre in ritardo, però!”

Il timbro profondo di Tom.

“Meglio tardi che mai, no?”

La voce tenue di una ragazza.

“Oh, insomma, l’importante è che adesso Hagen la smetterà di fare l’emo-boy depresso e nostalgico!”

La voce di un’altra ragazza, ruvida e profonda. Vibeke.

Kuu voltò l’angolo, Kaaos accanto, e li vide: stretti in un piccolo capannello vivace, pieni di entusiasmo e sorrisi. Una famiglia.

La sua attenzione cadde immediatamente su Emily: piccola, per la sua età, ma piacevolmente paffuta, con due enormi occhi verdi – inspiegabilmente, lo stesso identico verde di quelli di Georg – e bellissimi boccoli biondi. Sarebbe parsa un angelo, non fosse stato per la vivida luce di furbizia che le brillava sul viso. Gli sguardi di tutti erano puntati su di lei, pieni di amore.  Quello di Georg, invece, vagava da lei a Nicole.

Una fugace fitta di invidia si insinuò subdola nell’animo di Kuu.

Lei…

Nicole era inconcepibilmente umana. Un viso fresco e pulito, a forma di cuore, sorridente, ma le sue guance erano scavate e il suo corpo non riusciva e riempire i vestiti, che le ricadevano addosso più larghi del normale. Kuu sentì l’asprezza dell’invidia accentuarsi quando Georg, Emily in braccio, le avvolse un braccio attorno alla vita e la attirò verso di sé per baciarla. Tra loro due c’era una tenerezza – un’intimità – che Kuu non aveva visto tra Tom e Vibeke. E il sorriso di Georg, la gioia nei suoi occhi, erano cose che andavano troppo oltre le limitate esperienze di Kuu. Una sola cosa sapeva: loro erano più vicini alla felicità di quanto non lo sarebbe mai potuta essere lei.

E poi, proprio quando la sua testa stava iniziando a urlarle di fare dietrofront e andarsene prima che fosse tardi, Tom si voltò e la vide. Sollevò una mano per salutare:

“Hey, ragazzi!”

No, pensò Kuu, inorridendo. Non voglio. Non posso. Non…

La mano di Kaaos la afferrò e la trascinò verso il centro dell’atrio. Lei lo seguì controvoglia, senza desiderare altro che tutto finisse al più presto. Avrebbe salutato e poi se ne sarebbe andata fingendo un mal di testa. Non voleva restare lì. Non voleva stare in mezzo a loro.

Tollerava Tom e Vibeke perché erano una coppia anomala, priva di sdolcinatezze e romanticherie, ma non avrebbe sopportato a lungo Georg e Nicole.

Si era sempre detta che era impossibile, che i ragazzi non fossero in grado di amare come le ragazze. Tutte le volte che si era presa una cotta per qualche suo compagno di scuola, era stata ripagata con assoluta incuranza. E anche le sue compagne, più spigliate e carine di lei, erano sempre finite con il cuore spezzato, in un modo o nell’altro, e per questo questa sua convinzione si era solo consolidata, negli anni. Le era inconcepibile che qualche ragazzo potesse guardarla e vedere in lei qualcosa per cui valesse la pena di perdere il sonno e l’appetito, qualcosa per cui valesse la pena di lottare, qualcosa di cui innamorarsi. Voleva risparmiarsi l’umiliazione di stare lì, davanti a loro, a chiedersi cosa facesse di Nicole una persona meritevole di tanto amore, che cosa avesse quella ragazza che a lei mancasse.

Non voglio…

 

***

 

L’allegria era contagiosa: Tom la respirava con piacere, a pieni polmoni, riflessa sui volti di tutti coloro che lo circondavano. Aveva atteso a lungo il ritorno di Nicole ed Emily, sia perché gli mancavano, sia perché sapeva quanto fosse importante per Georg avere di nuovo del tempo da trascorrere con loro. Adesso che c’erano tutti, si sentiva un po’ meno in colpa per avere Vibeke sempre accanto a sé. E gli piaceva, le rare volte che capitava, fare uscite a quattro con i due amici: nonostante le abissali differenze che c’erano tra Vibeke e Nicole, le ragazze, poco per volta, avevano acquisito confidenza e si erano scoperte buone amiche. La cosa buffa era che, nonostante Vibeke fosse di quattro anni maggiore, era Nicole la più calibrata e matura tra le due.

Erano una compagnia bizzarra, tutti loro assieme, ma Tom non avrebbe più saputo immaginare la propria vita senza uno soltanto di loro.

Questa era la sua più grande paura, e non lo aveva mai detto a nessuno: che qualcosa andasse storto. Era un periodo complicato per Georg e Nicole, e Tom non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se non fossero riusciti ad uscirne. Era preoccupato per loro, per la band, ma soprattutto per la piccola Emily, che ormai lo considerava un genitore a tutti gli effetti.

Tom non era religioso, ma spesso pregava – senza sapere bene chi – che tutto si risolvesse per il meglio al più presto.

Mentre Bill, accovacciato a terra, abbracciava festosamente Emily, con la coda dell’occhio Tom vide due figure scure apparire in un angolo del salone: Kuu e Kaaos, in total black, guardavano dalla loro parte, immobili.

Appena Tom alzò il braccio per chiamarli, Kuu sembrò stringersi in se stessa, come se avesse preferito non essere vista. Ma ormai era tardi e tutti si erano già voltati nella sua direzione.

Kuu però era una regina della scena, padrona di un corridoio d’hotel tanto quanto di un palcoscenico o di una passerella, e non le ci volle nulla a tramutare la sua aria sorpresa nel suo consolidato cipiglio snob. Attraversò la hall al fianco di Kaaos, lui sorridente, lei impassibile. Le vetrate opache nascondevano l’interno dell’albergo agli occhi indiscreti dei fan appostati di fuori, il cui vociare era però perfettamente udibile. Kuu sfilò maestosa di fronte a loro, le gambe sottili fasciate rese ancora più affusolate da un paio di leggings scuri, e si fermò proprio al cospetto di Tom.

“Buongiorno.” La accolse lui, sfacciato, mentre Vibeke, alle sue spalle, si voltava altrove.

“Buongiorno a voi.” Replicò Kuu, passando in rassegna ciascuno di loro.

“Ciao.” Si aggiunse Kaaos, sollevando la mano.

Mormorii affini si sollevarono da Bill, Gustav e Georg. Nicole, lo sguardo basso, era arrossita vistosamente e teneva le mani strette attorno alla propria borsa. Emily, dal basso del suo metro di statura, occhieggiava avidamente i due sconosciuti.

“Penso sia il caso di fare qualche presentazione.” Disse Bill, voltandosi verso Nicole.

Georg la spinse dolcemente in avanti e lei lo seguì, mansueta.

“Kaaos, Kuu, lei è Nicole, la mia ragazza.”

Nicole strinse le mani ai due ragazzi, avvampando ulteriormente qualdo Kaaos le disse:

“Sei ancora più carina dal vivo, rispetto alle foto.”

Subito dopo, Georg si voltò per chiamare Emily. Lei gli trotterellò accanto, il suo Wilhelm che ballonzolava da una parte all’altra stretto in mano. I suoi occhioni verdi si sgranarono ammirati davanti  a Kuu.

“Emily, loro sono Kuu e Kaaos. Li conosci già, vero?”

“Sì.” Rispose lei, pronta. “La mamma ascolta le loro canzoni.” Poi si rivolse direttamente a Kuu e Kaaos, porgendo loro la propria manina paffuta: “Io mi chiamo Emily. Vado in prima elementare.”

“Piacere di conoscerti, Emily!” le disse Kaaos con un gran sorriso, accovacciandosi per stringerle la mano. Si soffermò a osservarla un secondo più del necessario, e c’era un che di malinconico nei suoi occhi, mentre la accarezzavano. Ma poi si risollevò e scompigliò affettuosamente i capelli di Emily, strappandole una piccola risata.

Tom ammise che ci sapeva fare con i bambini.

Poi fu il turno di Kuu, e stavolta fu Emily a farsi avanti: la squadrò incantata di sotto in su, senza fiato, mangiandosi con gli occhi il vestito merlettato e le decolleté che portava.

“Sei un angelo, signorina Kuu?”

L’imbarazzo di Kuu era evidente. Le sue guance si tinsero di rosa e qualcosa di stranamente simile a un sorriso le ingentilì le labbra.

“No, direi proprio di no.”

“Sei una principessa?”

Kuu rise.

“No, Emily.”

“Come sei bella…”

Lo era davvero. E con quel sorriso, incredibilmente, lo era ancora di più.

Forse c’era altro, in lei. Forse, dopotutto, la sua freddezza era solo una maschera che indossava per il mondo. Tom, in fin dei conti, di maschere ne sapeva parecchio.

Kuu ringraziò Emily e ricevette in cambio un sorriso sdentato. Emily aveva perso tutti gli incisivi: quelli superiori un po’ le stavano già ricrescendo, ma gli inferiori mancavano completamente. Era adorabile.

“Sembra che la Regina delle Nevi abbia finalmente trovato qualcuno che le va a genio.” Sussurrò Vibeke all’orecchio di Tom.

“Qualcuno che guarda caso crede che sia una principessa.” Sghignazzò Tom. “Oh, ma non ti ho detto cos’è successo tra lei e Bill!”

“Cosa?” domandò Vibeke, avida.

“Sono diventati intimi!” bisbigliò Tom, mentre i Pristine Blue erano occupati con gli altri. “Bill ha detto che ha chiacchierato un po’ con lei, l’altro giorno. Un bel po’, capisci? Kuu chiacchiera! È capace di concedere più di tre parole di fila, ti rendi conto? E con Bill, per giunta!”

“Ha già iniziato ad allungare gli artigli, quella megera!”

“Scommettiamo che quel coglione di mio fratello si è già fatto tutti i filmini romantici da qui ai prossimi dieci anni?”

“Bill non si farà incantare da quell’insulsa gattamorta.” Sibilò Vibeke. “Non c’è nulla di cui lui abbia bisogno che lei gli possa dare.”

Tom sogghignò.

“Una cosa ci sarebbe…”

Vibeke gli rifilò un pizzicotto sul sedere che gli fece così male da fargli venire le lacrime agli occhi.

“Zitto, maiale!”

“Mi hai fatto un male cane, stronza!” piagnucolò lui.

“Non mi parlare di cani!” sbottò lei. “Il tuo sacco di pulci mi ha mangiato i miei collant preferiti!”

“Kart è un angelo!” disse Tom, in difesa del proprio animale. “Sei tu che lasci sempre tutto in giro.”

“Ma dimmi tu come si fa a chiamare un cane come una patata!”

“Te l’ho già detto! Kart non sta per kartoffel! È un nome e basta!”

“Lo so io perché l’hai chiamato così. Così quando gli lanci la palla gli puoi dire ‘Go, Kart!’.”

Una vampata di imbarazzato rossore schiaffeggiò il viso di Tom.

Io commetto un gemellicidio! Mai che se ne stia zitto, quella pettegola!

“Bill, sei una merda!” urlò, voltandosi verso il fratello, il quale, ignaro, stava mostrando a Nicole delle fotografie sul proprio cellulare mentre lei gli faceva i complimenti per quanto gli donasse quel berrettino di cotone.

Bill dilatò gli occhi con fare innocente:

“Che c’è? Cos’ho fatto?”

“Hai detto a questa stronza il segreto del nome di Kart!” si lamentò Tom, puntando un dito contro Vibeke. “Bastardo!”

“Tom, non rompere, tanto lo sapevano tutti!”

“A cuccia, voi due.” Li esortò Vibeke. “Fate i bravi, non facciamoci riconoscere.”

“Vi, tu devi solo stare zitta! In calze a rete e anfibi in un hotel a cinque stelle!”

“Ma se tu sei vestito come un barbone!”

“E tu come una donna di strada!”

“Ok, ok, basta così, grazie.” Intervenne Georg, dividendoli. “La figuraccia del giorno l’abbiamo fatta, adesso leviamoci da questa hall e portiamo la nostra follia in luoghi più riservati, per favore.”

A giudicare dallo sguardo speranzoso che il concierge lanciò loro dalla reception, l’idea era apprezzata.

“Ci dispiace, ma purtroppo noi ora dobbiamo andare.” Disse Kuu, in un tono che denotava tutto fuorché dispiacere.

“Noi andiamo a pranzo a Il Mare,” comunicò loro Georg, più per educazione che altro, suppose Tom, dato che i due colleghi non gli erano mai stati molto simpatici. “Se volete unirvi a noi…”

“Grazie dell’invito,” rispose Kuu, prima che Kaaos potesse parlare. “Ma non credo riusciremo a liberarci per l’ora di pranzo.”

A Georg non riuscì di nascondere un’espressione risollevata.

“Sarà per la prossima volta.”

“Sì, certo.”

Kuu e Kaaos concessero un cenno di congedo, poi voltarono loro le spalle e se ne andarono.

Quando furono al di fuori della portata uditiva, Vibeke schioccò la lingua con disapprovazione e borbottò:

“Dio mio, quanto se la tirano…”

 

***

 

Kaaos continuava a guardarla. A ogni passo, uno sguardo. Non lo vedeva, ma lo sentiva, camminandogli avanti a passo svelto per lasciarselo alle spalle, lui e le sue gambe lunghe, la sua statura incombente su di lei fin da quando aveva memoria.

“Non ti azzardare a dirlo.” Lo avvertì.

“Che cosa?”

Kuu trattenne un fremito di impazienza. Lo detestava quando faceva lo gnorri.

“Quello che stai pensando.”

Riuscì quasi a intuire le labbra di Kaaos che si arricciavano di soddisfazione.

“L’hai notato anche tu, allora.”

“Sta’ zitto.”

Non aveva voglia di rispolverare quel frammento di storia. Non adesso, né mai.

“Era uguale.”

Kuu si fermò nel mezzo del corridoio e si voltò bruscamente:

“Ti ho detto di stare zitto!”

Kaaos la fronteggiò, scuro in volto:

“Fa male anche a te?”

Kuu non lo ascoltò. Gli diede nuovamente le spalle e riprese a camminare.

“Fa male anche a te, vero?” ripeté Kaaos, alzando la voce. “Fa male anche a te rivedere Sissi nel viso di Emily.”

Kuu si costrinse a non voltarsi, a non urlare.

“Sissi è morta.” Dichiarò a denti stretti. “E spero per quella bambina che il suo destino sia ben diverso dal suo.”

Voleva solo arrivare in camera e restarci chiusa dentro fino a sera. Non avevano impegni di alcun tipo, in giornata.

Voleva restare sola e basta.

Lasciare fuori gli sguardi innamorati di Georg e i sorrisi radiosi di Nicole.

Dimenticare il momento di confidenza con Bill, le parole amichevoli di Gustav.

Smettere di pensare ai vuoti, al senso di insoddisfazione.

Fumo negli occhi.

“Kuu!” provò a chiamarla Kaaos, ma il suono le giunse vago e sfumato.

Aprì la porta ed entrò nella stanza con l’aria che le premeva nei polmoni dallo sforzo di trattenere le lacrime. Piangere era fuori discussione.

“Fa male anche a te, vero?”

No, era una storia chiusa. Non le faceva né caldo né freddo, il passato era passato, sepolto sotto anni e anni di lotta per la dimenticanza. Quello che era stato non sarebbe tornato più, nel bene e nel male. Non la avrebbe più tormentata.

No, mai più.

Nella stanza, vetri e riflessi ovunque, a lampade spente e tende serrate. Poca luce e molte ombre. Come la sua vita. Quella vita perfetta che aveva sempre sognato, e la vita di prima non era che un ricordo impotente. Era tutto diverso, adesso.

Più facile.

Più comodo.

Più libero.

Più bello.

Sì, più bello.

Più bello…

Perché quello che aveva ora era tutto ciò che aveva sempre sognato e non avrebbe avuto alcun senso esserne scontenti.

E la lacrima che le scivolò silenziosa sul viso, fece finta di non sentirla.

 

***

Life is beautiful under these lights
Charming tricks to flash a smile
Pretty, pretty, don’t you care
Stars don’t bleed
Don’t hide
Don’t share
Everybody’s wish to be in your place
Your kingdom for a hope
Your life for an escape
Don’t cry
Angel of fame

[Angel of Fame, Pristine Blue]

 

***

 

Di giornate così felici ce n’erano state poche, negli ultimi mesi. Non che avesse molto di cui lamentarsi, tutto sommato, ma avere Nicole di nuovo lì con lui lo aveva fatto come rinascere. Avrebbe solo voluto che lei fosse più libera di seguirlo durante il tour, e se fosse stata una ragazza comune, sicuramente ne sarebbe stata in grado, ma lui amava Nicole proprio perché la aveva sempre vista distante anni luce da qualsiasi ragazza che gli si fosse presentata negli anni, e parte di questo era sicuramente da imputare a Emily.

Georg a volte non riusciva a capacitarsi di che cosa gli fosse successo: l’amore che provava per Emily era così forte da spaventarlo, a volte, quando pensava al profumo di biscotti della sua pelle morbida, alla sua voce sottile che lo chiamava per nome. Non aveva mai pensato seriamente all’eventualità di avere dei figli, un giorno, e per anni era stato convinto che non ci avrebbe pensato ancora a lungo, ma adesso – adesso che aveva tutto questo – la prospettiva di farsi una famiglia non era poi così assurda e lontana. Loro tre, del resto, erano già una famiglia a tutti gli effetti.

Il problema era trovare il tempo di comportarsi da famiglia.

Lui e gli altri avevano trascorso tutta la giornata insieme alle rispettive famiglie e Georg non smetteva mai di commuoversi nel vedere sua madre che giocava con Emily. Un tempo aveva temuto di raccontare ai proprio genitori di essersi innamorato di una ragazza madre, ma, inaspettatamente, sia Nicole che Emily erano state accolte a braccia aperte in casa. Nonostante gli imbarazzi iniziali, le cose erano sempre state promettenti.

“A cosa stai pensando?”

Georg abbassò lo sguardo: Nicole, sotto al suo braccio, lo studiava attenta, vagamente accigliata. A volte Georg aveva la preoccupante sensazione che lei potesse leggergli nel pensiero.

“Niente di particolare.” Le rispose.

Lo sguardo di Nicole si intristì. Georg riusciva a contare le pallide lentiggini sul suo naso alla luce lattiginosa del lampione. L’aria era fredda e umida ad Amburgo, quella sera, e l’odore della neve non era ancora scomparso del tutto. Era squallido dove portare la propria ragazza in un vicolo sul retro di un hotel per poter fare quattro passi indisturbati. Davanti all’ingrasso, già da diverse ore, c’erano appostate decine di fans.

Nicole gli camminava accanto fin troppo composta e raramente lo guardava. Georg riusciva quasi a intuire i mille pensieri che le ronzavano in testa, ma, per codardia o per egoismo, non li voleva conoscere.

A un tratto, però, Nicole si fermò. Rimase immobile per un attimo, poi, con un labile sospiro, si scostò da lui. Era dimagrita molto negli ultimi mesi e quel livore grigiastro attorno ai suoi occhi la faceva sembrare malata.

“Georg, vogliamo parlare seriamente, per una volta?”

La voce vellutata di Nicole era sciupata da una spiacevole incrinatura ansiosa e lo distrusse vedere tutto quel dolore in quegli occhi di cui, prima di ogni altra cosa, aveva amato la serenità.

“Di cosa?” domandò, guardando altrove, ma Nicole lo obbligò a voltarsi.

“È inutile che tu faccia finta di niente,” La sua mano fredda sulla guancia di Georg gli provocò un brivido, o forse era il timore del discorso che stavano per affrontare.. “Le cose non stanno andando bene, tra noi, lo sai meglio di me.”

Oh, Nicole…

Georg abbassò lo sguardo con una terribile fitta di dolore al cuore. Era scappato, finora, rifugiandosi nella negazione, ma non poteva più fingere che fosse tutto a posto.

“Che cosa sta succedendo?” gli chiese Nicole, cercando di incontrare i suoi occhi. “Georg, per favore,” lo pregò in un soffio tremulo. Lo prese per le spalle e lo costrinse a guardarla. “Sono settimane che ti comporti in modo strano. Sei distratto, malinconico, taciturno…”

Preoccupazione, amore, impotenza… Vedeva tutte queste cose in lei e si sentiva una persona orribile per averla costretta a vivere per  mesi in una finzione.

“Non è un bel periodo, Nicole.” Borbottò, pregando che lei gli concedesse un po’ più di tempo per riflettere, per ponderare la situazione.

“Sì, questo l’avevo capito da sola!”

“Passerà.” Insisté.

“Sì? E io nel frattempo cosa dovrei fare, me lo dici?” esclamò Nicole, traboccante di rabbia e frustrazione. “Starmene a casa a chiedermi cosa capiterà e mentire a mia figlia ogni volta che mi chiede ‘Mamma, perché piangi?’?”

Zitta! Stai zitta, ti prego…

“Ho detto che passerà!” urlò Georg, esasperato. Non voleva ascoltare quelle parole, non voleva sentirsi più in colpa di quanto non si sentisse già. Non voleva ammettere di aver fatto soffrire tanto qualcuno a cui teneva più che a chiunque altro.

Più che a qualunque altra cosa.

“Smettila di chiudermi fuori da qualunque cosa ti riguardi!” urlò Nicole di rimando, con una disperazione nella voce che gli fece tanto male da smorzargli il respiro. “Siamo stati insieme per due anni, ho il diritto di sapere se è finita!” Respirava in modo irregolare, pallidissima in viso nonostante la rabbia. “Se vuoi lasciarmi, dimmelo in faccia una volta per tutte, perché io non ce la faccio più, Georg!”

Sei un bastardo, disse lui a se stesso, sentendosi ghiaccio liquido nelle vene al posto del sangue. La guardava, così fragile e ferita, e si sentiva male per averla tenuta all’oscuro di tutto così a lungo, così egoisticamente.

Non meritava niente di quello che le aveva fatto passare.

“Nicole, per favore, calmati,” La abbracciò quasi con violenza e le accarezzò i capelli, lasciandola singhiozzare contro il proprio petto. “Calmati.” ripeté con più gentilezza.

Era rimasto zitto finora. Per quale motivo, non lo sapeva veramente nemmeno lui. Per proteggerla, forse, o forse per evitare di farsi influenzare da quello che lei avrebbe potuto dirgli.

Ci aveva pensato tanto, fino a farsi venire il mal di testa, valutando infiniti pro ed infiniti contro.

Quante volte aveva messo l’una e l’altra controparte sulla bilancia? L’ago puntava sempre su un lato diverso. C’erano sentimenti molto profondi di mezzo, non solo vantaggi e svantaggi, ma lui non aveva più quindici anni, aveva capito che la vita non era solo uno spettacolo su un palcoscenico, e adesso, alla soglia dei suoi ventitre anni, le cose cominciavano ad apparire sotto una prospettiva diversa.

Nicole gli stringeva la vita e non emetteva più un suono. Tremava tra le sue braccia ed aspettava in silenzio, e Georg sapeva che non era giusto, non poteva più stare zitto.

“Sta’ tranquilla,” le sussurrò dolcemente, cullandola nel proprio abbraccio. Ebbe l’ennesima fitta al cuore al pensiero di quello che stava per dirle, ma era arrivato il momento di affrontare quella questione, rimandare avrebbe solo peggiorato le cose. Inspirò profondamente e, finalmente, si liberò di quel peso: “Non è te che lascerei.”

 

***

 

A volte l’unica chance di uscire da un tunnel buio è scegliere di camminare da soli su una strada a senso unico.

Nessuno ti verrà mai incontro e non ti sarà concesso tornare indietro.

Tutto ciò che puoi sperare è di trovare un incrocio con la via a senso unico di qualcun altro.

A volte è concesso un momento – uno soltanto – per decidere se tirare dritto o seguire ciecamente il cammino di uno sconosciuto…

 

***

 

 

Gustav non si era mai fidato troppo dei presentimenti, dell’istinto. La sua razionalità gli aveva sempre impedito di seguire una semplice sensazione come fosse stata un dato certo. Per questo non si spiegava per quale motivo, all’una di notte, assonnato,si fosse alzato dal letto appositamente per andare a dare un’occhiata al corridoio fuori dalla propria stanza.

Si stava dando dello stupido da solo, la testa che sbirciava fuori dalla porta, senza uno straccio di motivo. Non capiva che razza di assurdo presentimento lo avesse spinto a controllare un banalissimo corridoio vuoto.

L’indomani mattina sarebbero partiti per Copenhagen e sarebbe stato consigliabile riposare, o i ragazzi avrebbero avuto seri problemi a convivere con il suo malumore.

“Gustav?”

Tutto il sonno e la spossatezza si dileguarono nel sentire quella voce. Si voltò verso la propria sinistra, dove il corridoio svoltava, e, anche senza occhiali, non gli fu difficile riconoscere l’immagine sinuosa di Kuu. Cosa ci facesse lei lì, a quell’ora, poi, non aveva la forza di domandarselo.

Kuu si avvicinò in pochi passi silenziosi, con indosso una semplicissima tuta blu firmata Adidas, ai piedi un paio di ballerine. Per la prima volta Gustav la vedeva senza tacchi. Era davvero molto minuta.

“Sei un nottambulo anche tu?”

“Non esattamente.” Rispose lui. Gli sembrava meglio di un ‘Avevo un presentimento’.

Kuu lo scrutò da sotto le sue ciglia bionde, con un’espressione che lui non riuscì a decifrare. Essere in sua presenza lo metteva sempre un po’ a disagio: era impossibile indovinare cosa pensasse.

“E tu come mai sei in giro?”

“Non riesco a prendere sonno.”

Un pensiero folle e decisamente inappropriato lampeggiò nella mente di Gustav: ‘Ti va di entrare?’

Lo scacciò nervosamente, sforzandosi di tornare in sé.

“Quando ero piccolo mia madre mi dava un bicchiere di latte e menta, per farmi addormentare.” Le disse. “Forse ti potrebbe essere utile.”

Kuu si avvolse tra le proprie braccia e annuì.

“Sì, potrei provare. Al piano bar hanno sicuramente sia l’uno che l’altro.”

Era maledettamente bella. Gustav si vergognò della superficialità dei propri pensieri, ma era più forte di lui. Anche con il viso tirato e gli occhi gonfi dal sonno, Kuu restava incredibilmente attraente.

“Vuoi compagnia?”

Le parole gli uscirono di bocca prima che lui si fosse reso conto di averle formulate.

Kuu lo fissò per un secondo, palesemente stupita, e Gustav si chiese quanto drammaticamente sbagliata potesse essere l’impressione che le aveva dato.

Eppure, dopo quell’attimo di indecisione, le labbra chiare di Kuu gli sorrisero.

 

***

 

A volte, inaspettatamente, ti si presenta un bivio davanti.

E allora l’unica cosa da fare è tentare.

Rischiare.

E fidarsi.

 

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Note: e ancora una volta la Mary stupì il suo pubblico, riuscendo miracolosamente a postare un nuovo capitolo! ^^ Chiedo scusa a tutti per il solito,  immenso ritardo, ma eventi semi-importanti della mia vita privata hanno avuto la precedenza: la mia laurea (ma è roba di poco conto, tutto sommato) e il concerto di questi quattro meravigliosi ragazzi che tutte noi adoriamo! Non li ringrazierò mai abbastanza per il mondo che mi hanno regalato in una sola serata! Sono magnifici, dico solo questo.

In secondo luogo, volevo mettervi al corrente (per chi, come me, non se ne fosse ancora accorto) del concorso che si sta svolgendo in questo periodo qui su EFP: Migliori Personaggi Originali. Ora, mi sembra ovvio che alla sottoscritta farebbe piacere che votaste per le sue creature, ma il fondamentale è che sappiate che questo benedetto concorso esiste e si vota semplicemente accedendo alla storia con il/i personaggio/i scelto/i e spiegando in un commento perché ritenete che meritino il vostro voto.

Spam a parte, penso che finalmente la storia stia iniziando a entrare nel vivo e penso anche che molti di voi stiano iniziando a farsi delle domande, a cui peraltro, ai limiti del possibile, sarò più che felice di rispondere. ^^

Ciò detto, mi ritiro di nuovo nel mio bozzolo di letargia post-laurea, pregando che la Santa Ispirazione torni presto da me a dettarmi un nuovo capitolo. Fino ad allora, statemi bene e, se pensate ne valga la pena, fatemi sapere le vostre impressioni su questo settimo capitolo. Sapete che fanno sempre piacere. ;)

Alla prossima!

   
 
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