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Autore: Diana924    30/04/2010    1 recensioni
Gertude Gustavson si reca in Etiopia per lavoro. Non sa che lì incontrerà l'orrore, e poi c'è quella voce, una voce che viene dalla foresta...
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ora sono qui, in una clinica vicino Hammerfest, nel nord del Paese. Ogni giorno mi interrogano, certi che prima o poi crollerò e confesserò tutto, ovvero il duplice omicidio. Ma non sanno che ho confessato già tutto quel giorno di sei mesi fa, al commissario Sorenson. Io mi sento a posto con la mia coscienza, anche se a volte di notte, nel mio letto, penso di star pagando un prezzo troppo alto per la mia salvezza. Allora ripenso all’aspetto muostroso del corocotta e mi dico che no, il prezzo è giusto, e almeno io sono viva, e che qui lui non mi potrà mai uccidere.

Durante l’ora d’aria vado fino al mare e lo fisso, seduta su uno scoglio, assorta. Il mare sembra attirarmi, delle volte mi sembra di sentirlo mentre mi sussurra di unirmi a lui, di saltare e di terminare così la mia vita. In quei momenti guardo le onde agitate, con il malcelato desiderio di unirmi a loro, di diventare anch’io schiuma di mare, di non pensare a nient’altro, solo la volontà di annegare resta.

Poi queste fantasticherie terminano bruscamente come sono iniziate e io torno nell’ospedale, pronta a nuovi interrogatori.

Va avanti così da quattro mesi, e presumo che continuerà fino alla fine dei miei giorni. Vogliono la mia confessione, ebbene io l’ho già data, non è colpa mia se non è quella che si aspettavano.

La notte, dopo che è stato dato il segnale del coprifuoco io mi siedo sul letto e osservo. Osservo quel poco di mondo che posso vedere dalla mia finestra. Anche se ha le grate è un ottimo osservatorio per poter scorgere il mondo che mi circonda.

Ciò che più cattura la mia attenzione, in questi giorni, è il sole di mezzanotte. Posso restare ore a guardare il sole che non tramonta e che mi ricorda l’eternità , l’eternità della mia prigionia. A volte, solo dopo l’una di sera smetto di osservarlo, chiudendo le tapparelle e mettendomi a letto, pronta a dormire. E’ stato il sole di mezzanotte a convincermi a scrivere queste pagine, siccome ho l’eternità di fronte a me non avevo alcun motivo per non iniziare a raccontare la mia storia.

Anche ora, mentre scrivo lo osservo, calmo placido e tuttavia scrutatore severo nel cielo.

Ora che sento di essere quasi alla conclusione chiudo gli occhi e cercò di ricordare.

E rivedo i loro visi: Belate, morto per colpa mia, Serge, accusato ingiustamente di un omicidio mai commesso, mio padre, morto perchè non ho parlato, e Mark, per cui avevo accettato la proposta del signor Ansem, per fargli avere un futuro migliore.

Non sono potuta andare al loro funerale, perchè il giorno in cui sono stati seppelliti è stato il giorno in cui io sono giunta nell’ospedale psichiatrico, in quella che ora è, e per lungo tempo sarà la mia casa.

Non passa giorno in cui non pensi a loro, anche se fingo una suprema indifferenza ogni volta che i dottori mi parlano di loro. Nonostante tutto continuò ad insistere nella mia versione dei fatti, che ho modificato solo leggermente in questi mesi.

Ho infatti dichiarato che solo mio padre è stato ucciso, ma non Mark. Ogni volta dichiaro, convinta come se fosse il primo giorno che Mark è ancora vivo. Anzi da qualche giorno ho annunciato che non solo mio fratello è sopravvissuto, ma che si trova con me, ad Hammerfest. Ricordo ancora lo sguardo allucinato dei dottori e degli infermieri, che sicuramente pensano che sia una pazza incurabile. Che lo pensino pure, non mi importa, non mi importa più cosa pensano di me.

E quando uno di loro mi ha domandato dove credevo che fosse Mark ho replicato d’istinto, velocemente, così che non possano pensare che menta: << Che domande dottore! Mark è qui con me, ad Hammerfest, è nella camera accanto alla mia. Lo vedo e parlo con lui ogni giorno >>.

Ciò li ha terrorizzati e subito dopo mi hanno fatto tornare nella mia stanza. Sicuri che avessi parlato con qualcuno nei giorni successivi mi hanno cambiato stanza, isolandomi dagli altri pazienti. Poco male, non ne conosco nessuno, non parlo mai con loro, so a malapena i loro nomi e il perchè sono finiti qui.

Devo dire che la cosa mi è indifferente, sommamente indifferente.

A volte la sento, specialmente quando dormo, risento la vice del corocotta che mi chiama, come in Africa.

Allora mi rilasso e conto fino a dieci, sicura che la voce non esiste , che la sento solo nella mia testa. Voglio convincermi anch’io, e sento che per raggiungere questo risultato mi occorreranno molte forze e una grande volontà.

Già, la voce, la causa di tutte le nostre sventure. quella voce suadente che speravo di non sentire più. quella voce che mi ha portato via mio padre e il mio adorato fratellino Mark.

Quella voce che veniva da un essere immondo dell’Africa , quella voce che mi ha stregato, quella voce nella foresta.

   
 
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