In condizioni di pace l'uomo guerriero guarda dentro se stesso. Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda dentro.
- F.W. Nietzsche
Era appena passata l'ora di
pranzo
quando gli agenti dell'unità di analisi comportamentale
presentarono un profilo all'intero dipartimento di quello che la
stampa aveva ribattezzato “il killer mangia-fuoco”.
L'SI era stato identificato come un
uomo bianco fra i trenta e trentacinque anni, dalla
personalità
schiva e poco appariscente. Secondo l'opinione dell'antropologa
forense era probabile che si trattasse di un individuo dalla
corporatura robusta, alto almeno un metro e novanta. Secondo
l'analisi del suo modus operandi poi, i membri del BAU ritenevano che
si trattasse di una sorta di fanatico religioso dalle accezioni
misogine, che puniva le proprie vittime per via della loro condotta
immorale.
“E' per questo motivo che si ritrova
ad agire in zone frequentate per lo più da
prostitute.” si
ritrovò a concludere Hotch.
“E' probabile che segua e osservi le
proprie vittime per qualche giorno, prima di agire, visto che tende a
colpire donne la cui scomparsa non desta preoccupazione.”
aggiunse
Rossi.
Morgan prese la parola subito dopo di
lui “Se doveste individuare un sospetto che corrisponde a
questo
profilo, è bene che agiate con estrema cautela-
spiegò- L'SI è convinto di agire giustamente ed
è disposto a
combattere per le proprie convinzioni.”
Alcuni degli agenti che avevano davanti
prendevano appunti con fare concitato, altri invece si limitavano ad
ascoltare e annuire, concentrati.
“Formeremo delle squadre e
pattuglieremo la zona in cui sono sparite quelle ragazze.”
concluse
quindi Bringman, prendendo la parola.
I poliziotti annuirono e si alzarono,
cominciando a seguire le istruzioni che gli erano state date dai
federali.
“Credete che lo troveremo?” domandò
l'uomo, rivolgendosi questa volta solo agli agenti dell'FBI.
“Questo tipo di SI sviluppa una vera
e propria ossessione per quello che fa.- spiegò Emily-
L'unico
modo che abbiamo di fermarlo è catturarlo, perchè
lui
da solo non lo farà.”
Hotch annuì con aria grave “Non
abbandonerà quella zona, e ora che abbiamo un'approssimativa
descrizione possiamo provare a individuarlo.”
JJ chiuse in quel
momento una chiamata al cellulare “Penelope sta lavorando
sulle
registrazioni delle telecamere di sorveglianza del supermercato, ma
è
un materiale piuttosto corposo.-annunciò ai colleghi-Dato
che
non sappiamo esattamente la data della scomparsa delle ragazze sta
visionando i nastri degli ultimi due mesi.”
“Speriamo ne esca qualcosa di buono.”
commentò Rossi, e non appena finì di parlare un
bip
acuto li fece quasi sobbalzare dallo stupore.
“Scusate, è il mio...”
borbottò Bringman imbarazzato, estraendo dalla tasca un
cellulare giurassico.
“E' Ross. Identificato cadavere
sconosciuto. Due punti, chiusa parentesi.- lesse Bringman, gli occhi
stretti per leggere le piccole lettere sullo schermo del cellulare
Che diavolo vuol dire due punti, chiusa parentesi?”
Reid si strinse nelle spalle, ignorando
il significato di quei simboli “Forse scriveva di fretta e ha
schiacciato dei tasti casualmente.”
JJ scosse la testa e sorrise come al
solito della totale mancanza di conoscenza da parte del giovane per
certi argomenti “E' uno smile: la stilizzazione grafica di un
sorriso.”
“Cioè- riepilogò il
poliziotto, grattandosi la testa confuso- quella ragazza ha messo una
faccina che sorride e la parola cadavere all'interno della stessa
frase?”
Prentiss gli rivolse un sorriso
stiracchiato, alzando le spalle.
“Ok, ci sarà utile avere una
vittimologia completa.- disse Hotch, rimanendo concentrato sul da
farsi- Reid, vai al laboratorio per estrarre qualcosa da
quell'identificazione; JJ tu rimani in contatto con Garcia e vedi se
riesce a identificare l'SI da quelle registrazioni. Noi andremo a
East Baltimore con gli altri.”
Al capo della squadra bastò
finire di parlare per generare un veloce fuggi fuggi, in cui tutti
erano pronti a ricoprire con efficienza i ruoli che gli erano stati
assegnati.
Laboratorio di medicina legale. Baltimora, Maryland.
Reid battè per
due volte le
nocche sulla superficie liscia della porta dell'ufficio di Alaska
Ross.
Non ottenne risposta immediatamente
perciò indugiò per un po' con lo sguardo sui
numerosi
volantini fissati sul legno grazie a delle puntine colorate.
Alcuni pubblicizzavano dei convegni
sull'antropologia che si sarebbero tenuti in città nei mesi
successivi, altri rendevano pubblico l'orario di ricevimento del
dottor Stein. Una cartelletta a cui era legata una matita tramite un
filo di spago, invece, invitava chiunque fosse interessato a
partecipare a degli scavi estivi a segnalare le proprie
generalità.
Il profiler, bussò di nuovo ma,
come la volta precedente, non ottenne risposta. Fece scivolare la
mano sulla maniglia e, titubante, aprì la porta.
“E' permesso?” domandò,
prima di accorgersi che aveva parlato con una stanza vuota.
Una parete di vetro separava il piccolo
ufficio, grande poco più che un cubicolo, dal corridoio. La
scrivania, disordinata e caotica, era addossata alla parete e
nascondeva, dietro di sé, una serie di portadocumenti. Alla
sua destra c'era una porta che probabilmente conduceva a un ufficio
laterale a cui quella stanza faceva da anticamera, e sulla targhetta
si leggeva distintamente Dottor D. Stein.
Stava per l'appunto per decidere se
rimanere ad aspettare Alaska lì oppure farla chiamare da
qualcuno, quando quella porta si aprì di scatto, provocando
un
gran rumore.
Davon Stain lo osservava dal basso,
seduto rigidamente sulla sua sedia a rotelle e con un'espressione
decisamente ostile dipinta sul volto.
“Ti darò solo tre risposte,
giovanotto: no, non intendo ascoltare la tua proposta di tesi;
sì,
la mia assistente potrebbe farlo al posto mio, ma tutto dipende dal
fatto se riesci a trovarla; e, no, non ho bisogno di un nuovo
assistente.” buttò fuori velocemente, senza
lasciargli il
tempo di spiegare chi fosse e il motivo della sua presenza
nell'ufficio di Ross.
Reid si schiarì la gola,
leggermente spiazzato da quella reazione “Veramente io non
sono un
suo studente. Sono l'agente Spencer Reid, dell'unità di
analisi comportamentale. Credevo che questo fosse l'ufficio della
dottoressa Ross.”
Stein alzò gli occhi al soffitto
“Infatti lo è, è per questo che sono
qua. Appena
ritorna conto di farle una ramanzina coi fiocchi dato che è
tutta mattina che è uccel di bosco e che ignora le mie
chiamate.”
“Credevo...credevo fosse tornata al
laboratorio.-ribattè Spencer, aggrottando la fronte confuso-
Ha scritto all'agente Bringman di avere notizie su uno dei cadaveri
non identificati.”
“Infatti è qui, nell'edificio,
ma ai piani sotterranei dove ci sono le sale
autopsie.-spiegò
l'antropologo, con il tono di qualcuno che avrebbe preferito buttarsi
in un vulcano piuttosto che sostenere una conversazione-Puoi andare a
parlare con lei laggiù, se ci tieni tanto, e già
che ci
sei comunicale che è licenziata.”
Reid sbattè più volte gli
occhi, stupito “Sul serio?”
“Sto forse ridendo?” sbottò
l'uomo. Il suo viso solcato dal tempo era attraversato da una smorfia
imbronciata.
Il giovane aprì la bocca per
azzardare una risposta ma Stein non gliene diede il tempo “In
fondo
al corridoio c'è una porta che da sulle scale. Scendi per
due
rampe e troverai il laboratorio e, se sei davvero fortunato,
è
probabile che troverai anche Quarantanove.-buttò fuori
velocemente-E ora, fuori di qui.”
Con un movimento brusco sbattè
di nuovo la porta dietro di sé, tornando a sparire
all'interno
del proprio ufficio.
Spencer rimase immobile per qualche
secondo, spiazzato dal carattere burbero dell'antropologo e poi
ruotò
sui tacchi, seguendo passo passo le indicazioni che gli erano state
date.
Le scale che portavano ai piani
sotterranei erano ripide e poco illuminate. Un cartello nello spiazzo
che si apriva dopo aver percorso la prima rampa indicava che a quel
piano si trovava l'obitorio e una freccia inclinata verso il basso
consigliava di proseguire a chiunque cercasse i laboratori.
Quando Reid arrivò al secondo
piano interrato fu accolto da un silenzio spettrale, oltre che da
un'oscurità illuminata a malapena dalle luci d'emergenza.
“C'è nessuno?- domandò,
azzardando qualche passo lungo il corridoio disordinato e aprendo con
cautela tutte le porte in cui si imbatteva- Dottoressa Ross?”
Gli sembrò strano non trovare
nessuno ma, dopotutto, era venerdì pomeriggio: c'era la
probabilità che soltanto chi fosse coinvolto a lavorare in
un
caso particolarmente impegnativo era obbligato a restare al lavoro.
“Dottoressa Ross?” chiamò di
nuovo Reid, la voce leggermente acuita dalla strana inquietudine che
gli provocava quella situazione. Morgan aveva ragione: doveva
lavorare meglio sul suo problema con il buio.
Era entrato in una stanza più
grande delle precedenti. Addossato alla parete c'era un lungo bancone
pieno di microscopi e provette e cartelle cliniche distribuite sul
ripiano in ordine sparso. L'unica cosa che illuminava la stanza,
altrimenti buia, era la debole luce emanata dai diafanoscopi ancora
accesi, le radiografie risplendevano dando un aspetto sinistro a quel
laboratorio.
“Reid?” si sentì chiamare e,
nel sentire improvvisamente quella voce nel silenzio si
ritrovò
a sobbalzare sul posto.
Una figura che non riusciva ancora a
identificare si mosse sopra a uno delle lettighe di metallo,
alzandosi poi di scatto per raggiungere la posizione seduta. Anche se
il suo cervello riconobbe quasi subito la sagoma della dottoressa
Ross, non riuscì a impedire al battito del proprio cuore di
continuare a galoppare velocemente a causa dell'agitazione.
“Quel-quel tavolo non è per i
cadaveri?” domandò Reid confuso, avvicinandosi con
cautela
alla ragazza.
Ora che era più vicino, riusciva
a distinguere l'aria assonnata sul volto dell'antropologa
“Sì...stavo
facendo un riposino. Ho lavorato molto ultimamente, ero un po'
stanca.”
Spencer aggrottò le
sopracciglia, perplesso“Dormi sempre sul tavolo del
laboratorio?”
“Solo quando non c'è un morto
sopra.- ribattè Alaska, con tono ovvio, mentre con un balzo
agile di metteva in piedi- Non so come vi trattano all'FBI, ma qua i
ritmi sono parecchio serrati, voglio dire, non mi sto certo
lamentando:amo il mio lavoro. Solo che certe volte...”
“Uhm...il dottor Stein mi ha detto di
dirti che...- Reid tossicchiò imbarazzato e dispiaciuto per
la
notizia che stava per dare alla ragazza- uhm, ecco...sei
licenziata.”
Alaska scosse la testa, con aria
divertita a differenza delle sue aspettative “E'
perchè non
ho risposto alle sue chiamate.-spiegò, facendo un cenno con
la
mano- Davon tende a diventare un po' melodrammatico ogni tanto,
questa settimana è la terza volta che mi licenzia.”
La seguì con lo sguardo mentre
si stiracchiava le braccia e si muoveva nella stanza di laboratorio,
dapprima accendendo le luci, e poi buttando nel cestino almeno tre
paia di carte di barrette al cioccolato.
“Hai...hai mangiato tutto quel
cioccolato?” gli sfuggì, prima che potesse
accorgersene.
“Già, voi vi siete presi tutta
la pizza.- rispose la ragazza, accennando un sorriso colpevole- E poi
il cioccolato mi fa stare meglio.”
“In effetti contiene sostanze che
favoriscono il rilascio di endorfine, per cui danno la sensazione di
essere felice e alcuni studi affermano che provocano la sensazione di
essere innamorati.- buttò fuori velocemente Spencer-Comunque
il cioccolato da dipendenza.”
La dottoressa Ross lo guardò con
occhi spalancati, quasi come se stesse ponderando attentamente le sue
parole “Uhm, avresti dovuto dirmelo vent'anni fa. Ora credo
di
essere una tossica allo stadio terminale.”
“Metto a posto questo e sono da te.”
aggiunse, mettendo una scatola di plastica su una barella.
“In quella scatola c'è il
corpo di una persona?” domandò Reid. Aveva notato
delle
coordinate anagrafiche scritte a penna su un'etichetta che svettava
dal lato corto.
La ragazza spinse la lettiga nella
cella frigorifera nascosta sulla parete in fondo alla stanza prima di
rispondere con un sospiro “No. Non tutto.”
“Allora, immagino che sei venuto qui
per via del messaggio che ho mandato ad Alan, giusto?”
Spencer annuì e la seguì
con passo svelto non appena lei le fece un cenno con un dito.
Entrarono nella stanza attigua, dove su tre barelle d'acciaio erano
disposti in ordine le ossa candide, completamente pulite, delle tre
vittime.
“Amanda Jenkins.” disse, additando
i resti sulla prima barella che sorpassò subito, senza
fermarsi a sfogliare la cartella che era appesa sul bordo della
lettiga.
“La giovane ragazza afroamericana.-
continuò, indicando il secondo gruppo di resti- Avete
scoperto
chi è?”
“Garcia ci sta lavorando.” rivelò.
Non sarebbe stato facile: avevano solo il nome di un tatuatore e
altri elementi che non permettevano un'identificazione così
accurata.
Alaska si fermò davanti
all'ultimo lettino. Neanche questa volta ebbe bisogno di leggere
niente dalla cartella con i dati che aveva raccolto, così
l'afferrò e la passò gentilmente all'agente
dell'FBI.
“Lei è Geneve Fox.-annunciò,
incrociando le braccia e voltandosi poi verso Reid- C'era qualcosa di
strano nelle ossa che stavo analizzando ma non riuscivo a capire di
cosa si trattasse. Vedi queste?”
L'antropologa prese delicatamente fra
le mani un femore e passò piano il dito su delle
imperfezioni
che si notavano a malapena sulle ossa.
“Sono fratture rimarginate?”
domandò Spencer, avvicinando il viso all'osso per osservare
meglio.
Alaska ripose il femore al suo posto
“Già, e ce ne sono davvero tante.”
“Forse era anche lei vittima di
violenze domestiche.” ipotizzò Spencer, pensando
che questo
l'avrebbe accomunata alla prima vittima.
“Era quello che avevo pensato anche
io, ma avevo una strana sensazione, come se qualcosa non
quadrasse.”
ribattè la ragazza, sul viso le balenò la stessa
espressione dubbiosa che aveva avuto la prima volta che aveva
esaminato quelle ossa.
“Una sensazione?” ripetè il
giovane, alzando un sopracciglio.
Alaska annuì, facendo ondeggiare
la massa di capelli corvini “Quindi, ho fatto delle analisi
più
specifiche e ho scoperto che era affetta dall'Huntington. La malattia
stava avanzando rapidamente.”
“Come sei arrivata da questo al nome
della ragazza?”
“Tanta pazienza, domande mirate e una
buona tariffa telefonica.-rivelò, alzando un dito ad ogni
voce
di quel corto elenco- Ho chiamato tutti gli ospedali di Baltimora,
partendo da quelli nella zona che avete individuato, e ho chiesto se
avevano avuto delle ospedalizzazioni che coincidevano con quelle
fratture ed è saltato fuori il nome di Geneve.”
“Chiederò a Garcia di fare una
verifica sul nome.” disse allora Reid.
“Ha un gran da fare quella ragazza,
vero?”
Spencer fece un vago cenno affermativo
con la testa e distolse lo sguardo imbarazzato quando si accorse che
Alaska continuava a fissarlo, pur senza parlare.
“Volevi...volevi informarmi di
qualcos'altro?” balbettò.
L'antropologa parve ignorare la sua
domanda, prendendo a camminare e invitandolo a seguirlo
“Credo che
chiuderò il laboratorio, gli altri si stanno già
godendo il week-end.- gli rivelò, accennando a tutte quelle
stanze momentaneamente vuote che stavano scorrendo- Di sopra ho la
mia consulenza completa su questo caso, ma credo proprio che la mia
collaborazione col dipartimento debba finire qua: non credo ci sia
nient'altro che posso estrapolare da quei resti. Oh, certo: se
doveste trovare quelli che l'assassino si è tenuto
sarò
sempre a disposizione.”
“Non vieni?” lo chiamò,
fermandosi in mezzo al corridoio e voltandosi completamente per
guardarlo in faccia. Aveva rallentato il passo e si guardava intorno
confuso.
Spencer sfilò una mano dalla
tasca e indicò la direzione opposta rispetto a quella in cui
si stava dirigendo la ragazza “Sono piuttosto sicuro di
essere
arrivato da quella parte.”
Alaska gli rivolse un ampio sorriso
“Perchè hai preso le scale, ma io sono pigra e
preferisco
l'ascensore.” gli rivelò, con una strizzata
d'occhio.
“Ma se vuoi- continuò
immediatamente, vedendolo titubante- tu puoi prendere tranquillamente
le scale...”
“No. No, credo...credo che verrò
con te...” si affrettò a dire, raggiungendola con
delle
ampie falcate.
Quello era senza dubbio
l'ascensore più
lento esistente sulla faccia della terra o, forse, stava
semplicemente cercando di fare impazzire Reid. Con un certo successo,
per giunta. Saliva piano, provocando un rumore stridente e fastidioso
e, se già questo non lo rincuorava per niente, l'idea di
avere
di fianco Alaska Ross lo stava facendo agitare più del
necessario. Aveva le mani sudate, ma continuava a ripetersi che era
per via del fatto che una personalità imprevedibile come
quella della ragazza non lo metteva a suo agio.
Un sobbalzo improvviso fece perdere
leggermente l'equilibrio ad entrambi e poi cadde il silenzio in
quello spazio angusto.
“Ci siamo fermati.” fece notare
Spencer, guardandosi intorno allarmato. Quella situazione non gli
piaceva per niente.
Alaska, dal canto suo, sembrava
completamente rilassata “Pare di sì.”
“Forse...forse dovremmo...”balbettò
quelle parole in fretta, mentre allungava il braccio per premere
ripetutamente il pulsante rosso di allarme.
“Non succede niente.” commentò,
dopo aver aspettato qualche secondo.
“Perchè non funziona.”
spiegò con calma l'antropologa, un sorriso largo dipinto sul
volto diafano.
Reid sbattè le palpebre più
volte “Non funziona?Lo sapevi?Non avresti dovuto farlo
presente
alla manutenzione?”
“Chiese l'uomo dalle mille domande-
ribattè ridendo la mora-Non è mica la fine del
mondo.
Tranquillo, non è mai successo niente di male a nessuno per
via di un ascensore.”
“Beh, in realtà, ci sono in
media sei morti all'anno e diecimila infortuni che richiedono
l'ospedalizzazione.” buttò fuori Spencer
velocemente.
Prendeva dei grossi respiri nel tentativo di non andare in
iperventilazione.
Alaska si voltò verso di lui,
stupita “Così tanti?”
“Sì, da quanto ho letto...”
“Comunque puoi stare tranquillo:
questo ferro vecchio fa i capricci praticamente tutte le volte che lo
uso.-lo rassicurò Alaska, passandogli amichevolmente una
mano
sul braccio facendolo sobbalzare- È per questo che gli altri
utilizzano quello destinato al trasporto merci: quest'ascensore si
ferma almeno una volta al giorno.”
“Questo ascensore si ferma così
spesso?-domandò Reid spalancando gli
occhi-Perchè...perchè
non me l'hai detto?”
Ross fissò i propri occhi
azzurri in quelli scuri dell'agente. Non sembrava prendere la
situazione con altrettanta filosofia di come faceva lei, quindi si
ritrovò a rammaricarsi “Non lo ritenevo
importante.”
“Se me l'avessi detto sarei salito a
piedi.” borbottò, senza sembrare troppo duro. In
fondo, non
era colpa sua se le statistiche sugli incidenti in ascensore non
erano rassicuranti.
Alaska sembrò capire il motivo
del suo atteggiamento e gli sorrise di nuovo “Tranquillo. Fra
qualche minuto ripartirà.”
“Sicura?” ribattè Reid,
alzando un sopracciglio.
“No.-rispose la ragazza,
improvvisamente seria- Probabilmente rimarremo intrappolati qui per
ore, gli altri penseranno che siamo già andati via dato che
ho
chiuso il laboratorio e non si porranno il problema di controllare. E
poi, dato che questo ascensore non lo usa nessuno a parte me, staremo
qua dentro fino a quando cominceremo a sentire i morsi della sete e
della fame. Magari rimarremo qua per tutto il week-end. Mi sembri
deperito, probabilmente tu non resisterai tanto a lungo.”
Spencer la guardò spalancando
gli occhi, sorpreso. Rimasero qualche secondo in silenzio a fissarsi.
“Stai scherzando, vero?” si decise
infine a parlare Reid.
La giovane antropologa scoppiò
in una risata cristallina “Sì.”
“Non lo trovo così divertente.
E se questa volta non ripartisse?Qua dentro non c'è nemmeno
campo per chiamare qualcuno.” si lamentò Spencer,
tirandosi
fuori dalla tasca il cellulare, per poi rimetterlo a posto, sconfitto
dall'assenza di segnale.
Alaska fece roteare gli occhi
teatralmente “Tu ti preoccupi troppo.”
“E tu troppo poco.” ribattè
piccato il profiler.
“Non è vero...-lo contraddisse
la ragazza- Io non mi preoccupo affatto.”
Lo sentì sospirare di fianco a
sé ed ebbe una specie di moto di tenerezza verso di lui.
“A me piace che questo ascensore si
fermi così spesso.” gli rivelò,
sorridendogli
incoraggiante.
Reid non rispose per qualche secondo,
ma alla fine la curiosità lo costrinse a porgere la fatidica
domanda “Perchè?”
“Sono i miei minuti. Quando si blocca
posso staccare un po', riprendermi da tutto quello che vedo
là
sotto. Io non so davvero come facciate a fare il vostro lavoro,
voialtri, ma io a volte mi sento così...”
Lasciò la frase a metà e
lui la guardò concentrato lasciandole il tempo di continuare
a
parlare.
“Non lo so, Davon dice che, anche se
sono più che qualificata, non ho la mente adatta per questo
lavoro. Il fatto è che vedo qualcosa di più oltre
alle
semplici ossa. Le guardo e vedo la persona che erano: so com'era il
suo viso, so quali sport praticava, dove si era fatta male
più
spesso. È come se conoscessi ciascuno di loro...”
La ragazza notò solo allora lo
sguardo confuso di Reid, quindi alzò i palmi verso di lui e
li
agitò convulsamente mentre iniziava a giustificarsi
“Scusami,
non dovrei dirti queste cose, ma io sono una dalle confidenze facili.
Sai, credo che il concetto di privacy sia sopravvalutato, non credi
che sarebbe tutto molto più semplice se non dovessimo
difendere strenuamente la nostra vita privata?Credi che sia una
specie di sindrome da star di Hollywood?Per te deve essere facile
capire queste cose, cavolo, vorrei essere stata più attenta
alle lezioni di psicologia in università, ma quel professore
era una vera mummia...”
Alaska notò il sorriso che si
stava allargando sul volto dell'agente “Sto parlando troppo,
vero?”
“Un pochetto.” ammise l'altro,
lasciandosi andare ad una risata.
L'antropologa si unì a lui e
risero insieme per un minuto pieno prima che il silenzio tornasse
dentro quell'ascensore.
Alaska Ross aveva la risata facile.
Anzi, si ritrovò a pensare il giovane profiler, sembrava che
quella ragazza sapesse cogliere al volo gli aspetti più
leggeri della vita nonostante il suo lavoro. E il suo passato, si
ritrovò ad aggiungere mentalmente.
Reid tornò a guardare dinnanzi a
sé, riflettendo. Aveva letto tutti i libri di Rossi e sapeva
che il suo collega manteneva invariato il nome dell'SI ma che, per
premura verso le vittime, nei loro casi usava nomi fittizi. David, a
quanto ricordava, aveva partecipato alla risoluzione di più
di
un paio di casi a Denver, dove Alaska aveva detto di averlo
conosciuto, ma calcolando mentalmente l'età al momento dei
fatti e quella attuale era piuttosto sicuro di essere riuscito ad
associare la ragazza al caso esatto di cui era stata vittima. E la
cosa non faceva altro che sconcertarlo.
“Posso...posso farti una domanda?”
azzardò quindi Spencer, portandosi dietro l'orecchio una
ciocca di capelli ribelle.
“Certo, a meno che non si tratti di
qualcosa che riguardi l'argomento musica classica e opere
liriche.-rispose la ragazza, strizzando gli occhi chiari- Non so
molto, a riguardo.”
Reid accennò a un colpetto di tosse
prima di cominciare a parlare “Tu non ti trovi a disagio qua
dentro?- notando l'espressione interrogativa che stava comparendo sul
volto della sua interlocutrice si affrettò a spiegarsi
meglio-
Voglio dire, negli spazi piccoli e chiusi?”
Alaska lo guardò stranita,
sbattendo le palpebre più volte “No.
Perchè, dovrei?”
“Sì, cioè...no.- scosse
la testa, cercando di trovare un modo per affrontare
l'argomento-Voglio dire, stavo solo pensando a una cosa...”
Aveva lasciato cadere la frase a metà
e Ross iniziò a parlare immediatamente, con tono giocoso
nelle
sue parole pronunciate in fretta “Una volta ho visto con
degli
amici un film con Keanu Reeves, in cui lui doveva salvare un gruppo
di persone intrappolate su un ascensore che rischiava di precipitare
e in più aveva installato su di sé una bomba a
orologeria. Dopo averlo visto mi ero ripromessa che avrei usato
sempre e solo le scale, ma sono una pigra cronica e ho lasciato
perdere nel giro di due settimane...”
“Ma immagino che non ti stavi
riferendo a questo, vero?” aggiunse con tono più
sommesso,
dopo essersi interrotta all'improvviso.
Spencer tossicchiò di nuovo
“Ecco io ho...ho chiesto a Rossi come faceva a conoscerti
e...”
Non aveva mai avuto problemi con le
parole anzi, chiunque lo conoscesse poteva benissimo affermare che il
dottor Spencer Reid era in grado di utilizzare termini sconosciuti ai
più formando frasi di senso compiuto ma, in quel momento,
stava provando una certa difficoltà a tradurre i propri
pensieri in parole. Si ripeteva che era per via dell'argomento
delicato ma, in effetti, i grandi occhi azzurri di Alaska e il suo
atteggiamento di paziente attesa e l'aria fiduciosa, gli stavano
creando parecchi problemi.
L'ascensore riprese a cigolare,
troncando la sua frase a metà.
“Visto?- trillò Alaska,
battendo le mani- Te l'avevo detto che sarebbe ripartito!”
La ragazza aveva rivolto lo sguardo
alle porte chiuse e Reid non potè che notare che forse, in
quell'affermazione gioviale, gli era parso di sentire una nota di
sollievo.
“Alaska, c'è una telefonata
per te.” la chiamò una donna di colore, dall'aria
distinta,
non appena fecero qualche passo fuori dall'ascensore.
Si stava allontanando da un triste
cubicolo grigio con passo svelto e le braccia cariche di documenti,
ma sul viso aveva un'espressione serena e un sorriso amichevole
rivolto alla ragazza a cui aveva parlato.
L'antropologa rivolse un'occhiata a
Reid, come per giustificarsi di dover distogliere per un po'
l'attenzione da lui “Amico o nemico?”
“Un giornalista di non so quale
testata, uno dei soliti avvoltoi della cronaca nera.- rispose vaga
l'altra, facendo volteggiare la mano libera nell'aria- Mi ha detto
che voleva parlare con il responsabile del caso del killer dei
roghi.”
“Quindi gli hai dato il mio nome così
che lo tenga al telefono a ciarlare del più e del meno per
mezz'ora finchè si renderà conto che ho le labbra
cucite sull'argomento?” ricapitolò Alaska,
rivolgendole
un'occhiata divertita.
“Sì.-ammise la donna-E anche
perchè, in effetti, la responsabile di quel caso sei
tu.”
Solo in quel momento parve notare per
la prima volta la presenza di Reid, che squadrò con
attenzione
come era solita fare con tutti quelli che le passavano davanti
“Hai
ospiti.- constatò- Fai pure aspettare quel tizio.
È
stato piuttosto maleducato.”
“No, non fa niente. È il caso
che io torni dagli altri, ora.- annunciò Spencer, non appena
la ragazza fissò di nuovo il suo sguardo ceruleo su di lui-
Grazie dell'aiuto, comunque.”
“Potrei dirti che è stato un
piacere, ma sarebbe un po' fuori luogo, vero?”
domandò Ross,
accennando a una risatina.
Sul viso di Reid comparve un sorriso
stiracchiato “Già. Un po'.”
“Ci vediamo allora. Non ti dispiace
se non ti accompagno fuori, vero?Ho una chiamata in attesa...”
“Tranquilla, credo che me la caverò.”
la rassicurò lui, alzando goffamente una mano in segno di
saluto.
Alaska gli rivolse un sorriso aperto e
poi si avviò verso il cubicolo da cui era uscita la donna di
colore pochi istanti prima. Prima di arrivare a destinazione,
però,
con una mezza piroetta si girò di nuovo verso di lui
“Hey
dottor Reid!” chiamò, attirando su di
sé lo sguardo
del giovane agente.
“Tieni.” gli sorrise, lanciandogli
una barretta di cioccolato che il ragazzo afferrò
goffamente,
dopo averla fatta saltare da una mano all'altra.
Spencer la guardò interrogativo
e lei gli strizzò l'occhio prima di spiegare
“Felicità
incartata.”
Non aspettò di vedere la
reazione del ragazzo, ma alzò immediatamente la cornetta,
portandosela all'orecchio “Pronto, parla la dottoressa Alaska
Ross.”
Dall'altro capo del filo sentì
soltanto silenzio e qualche rumore di sottofondo.
“Pronto?”ripetè senza
ottenere nuovamente risposta.
“Prooooo-nto?” canticchiò
con voce acuta, prima di scrollare le spalle e riappendere.
Con qualche saltello spensierato
abbandonò quella scrivania non sua e chiamò a
gran voce
la donna che le aveva passato la chiamata “Tesoro, su che
linea hai
detto che era il giornalista?”
“La uno.” rispose l'altra, senza
pensarci troppo.
“Ha riappeso.- spiegò Alaska,
allargando le braccia-Strano.”
East Baltimore, Orleans Street. Baltimora, Maryland.
David Rossi chiuse con uno
scatto il
cellulare e si rivolse al collega seduto al posto di guida, che
aspettava paziente di sapere che cosa stava succedendo.
“Reid ha il nome dell'altra vittima:
Geveve Fox. Garcia l'ha cercata nel database e ha scoperto che era
una senza tetto.”
Morgan annuì “Una senza tetto,
una donna socialmente invisibile e una prostituta. All'SI piace agire
ai margini della società.”
“Così pare.” concordò
l'agente più anziano, tornando a guardare fuori dal
finestrino.
Erano lì da un'ora buona e, a
pare il via vai continuo di persone, e qualche traffico non proprio
legale, non avevano ancora visto niente che potesse interessarli.
“Strano che Alaska faccia questo...”
borbottò Derek, allontanandosi dalle labbra carnose una
tazza
di caffè.
Dave si voltò verso di lui,
aggrottando la fronte “E' il suo lavoro, no?”
“Appunto.- continuò l'altro,
spiegandosi meglio- Non è strano che abbia scelto questa
professione, nonostante quello che ha passato?”
“Scommetto che Reid ci ha messo
trenta secondi a capire di quale caso faceva parte, vero?”
sbuffò
l'uomo, incrociando le braccia.
Morgan accennò a un sorriso
“Forse un po' meno. È stata così
dura?”
Rossi scosse piano la testa “E' stata
nelle mani di quell'SI più del tempo necessario. Avrei
potuto
trovarla prima.”
“Non sembra che lei te ne faccia una
colpa.- lo rassicurò l'uomo di colore- Anzi, sembra che tu
sia
una specie di eroe, per lei.”
“Perchè non si ricorda come è
andata. Il suo cervello la protegge da quello che ha
passato.”
spiegò Rossi. A volte, avrebbe voluto anche lui dimenticare
così facilmente.
“Forse è più forte di
quello che credi. Magari ha semplicemente voltato pagina.”
David scosse la testa “Credimi
Morgan, una che ha passato quello che ha passato lei non può
semplicemente voltare pagina.”
Derek colse il tono amaro del collega,
così decise di lasciar cadere la conversazione.
Appoggiò
casualmente una mano sul volante e prese a guardare oltre il
parabrezza. Quando si ritrovò a fissare due figure femminili
che stavano avanzando nella loro direzione, proprio sul marciapiede
affianco al quale avevano parcheggiato, sobbalzò sul sedile.
“Che c'è?Che hai visto?”
domandò Rossi preoccupato da quella reazione.
“Quella non è...- iniziò
a parlare Morgan, strizzando gli occhi per vedere meglio- Quella non
è Alaska Ross?”
L'altro seguì la direzione del
suo sguardo “Sì, è proprio
lei.”
Morgan abbassò il finestrino, e
si sporse leggermente all'esterno per attirare la sua attenzione.
“Hey!” la chiamò, attirando
immediatamente il suo sguardo
chiaro.
Alaska fece una piccola corsa per
raggiungerlo e poi, guardando all'interno della macchina, sorrise
gioviale “Derek!David!Che bello vedervi.”
“Dolcezza, questi due ti danno
fastidio?” si intromise l'altra donna che il volto tirato
faceva
sembrare più vecchia di quella che doveva essere la sua
età
effettiva. L'abbigliamento e il tono della voce non lasciavano dubbi
su quale professione esercitasse.
“No, tranquilla, li conosco.- la
rassicurò Alaska, rivolgendole un sorriso radioso-Chiamami,
d'accordo?”
La donna le fece un vago cenno del
capo, scuotendo le mani dalle unghie laccate.“Ci
penserò. E
smettila di girare da queste parti, non è il posto adatto a
te.” Mentre le rivolgeva quel consiglio accorato se ne
andò
alla svelta. Non le piacevano quei due con cui stava parlando, certo
l'uomo di colore era piuttosto bello, ma faceva quel mestiere da
abbastanza anni da sapere quando era il momento di tagliare la corda.
“Lei è Candy.- iniziò a
spiegare la giovane antropologa ai due profiler, senza preoccuparsi
della loro faccia stupita- Conosce tutti in zona, mi ha fatto fare un
giro prima. È antropologicamente interessante vedere le
gerarchie e le sottoculture che si creano in luoghi come questi,
sapete?”
“Perchè le hai dato il tuo
numero?- la interruppe Rossi, aggrottando le sopracciglia- Non sei
un'investigatrice e non devi giocare a farlo.” Si sentiva un
po'
sciocco a trattarla come se fosse una ragazzina sprovveduta, ma
qualcosa di istintivo lo spingeva a farlo.
Alaska sbattè le palpebre, non
capendo il motivo di tanta preoccupazione “Le ho dato il mio
numero
perchè nei week-end insegno ad un corso di ginnastica
correttiva e lei ha degli evidenti problemi alla schiena. Volevo solo
che provasse a fare una lezione.”
“Beh, non è un bel quartiere
per distribuire biglietti da visita.-riprese a parlare David. Era
stranito da come quella ragazza non percepisse la potenziale
situazione di pericolo nel fidarsi così ciecamente degli
sconosciuti-E poi non credo che ti pagherà per quelle
lezioni,
e non credo che accetterà la tua elemosina.”
“Oh, ci siamo già messe
d'accordo.-lo rassicurò Ross, con una scrollata di spalle-
Mi
pagherà in natura.”
Rossi spalancò gli occhi
scioccato, mentre Morgan per poco non si strozzò con il
caffè
per via dello stupore causato da quell'affermazione.
“Ti sei ingozzato?” domandò
Alaska premurosa.
L'uomo fece un gesto vago con la mano,
come per dirle di non preoccuparsi.
“Comunque, invece di darmi la quota
di partecipazione mi farà la manicure.- continuò
a
parlare l'antropologa, chiarificandosi- Mi ha detto che è
un'estetista molto brava. Forse le lascerò anche tagliarmi i
capelli, avrei bisogno di una spuntatina...”
“Ah, ecco...-commentò Derek
con un sospiro- Uhm...comunque, non è un bel quartiere in
cui
trovarti.”
“Ma è quello che frequentava
una delle vittime.-ribattè Alaska- Ho fatto alcune domande
in
giro e mi hanno detto che si chiamava Sandrine, nessuno sa il
cognome, ma mi hanno detto che veniva da una piccola città
del
Maine, vicino Portland. Ora dovete solo chiamare la vostra bambolina
e farle fare qualcuna delle sua magie da FBI.”
Rossi e Morgan si scambiarono
un'occhiata “Chiamo Garcia e le chiedo di fare un controllo
incrociato con i dati in nostro possesso con quelli delle persone
trasferite da quella zona.” disse l'agente più
giovane.
“E questo non è investigare?”
chiese David, rivolgendosi di nuovo alla ragazza mentre Derek parlava
al telefono.
Ross si strinse nelle spalle “Facevo
solo delle domande.”
“Qua nessuno vuole rispondere alle
domande.” le fece notare l'uomo, alzando un sopracciglio.
“Le ho fatte in modo molto gentile.”
Il profiler provò con tutte le
sue forze a mantenere il volto rigido e con espressione severa, ma
fissare il sorriso fiducioso di Alaska rendeva quell'impresa
piuttosto difficile.
“Sali in macchina, ti riaccompagnamo
in una zona più sicura.” sospirò
infine, scuotendo
leggermente la testa.
Ross scattò sull'attenti “Agli
ordini, agente speciale Rossi.”
“Fa parte del tuo lavoro cercare così
strenuamente le identità dei corpi di cui ti
occupi?” si
informò Morgan, dopo aver riattaccato il telefono.
“In teoria no...” sospirò la
ragazza, sedendosi sul sedile posteriore.
“Sapete che cosa succede ai cadaveri
non identificati?- continuò, sporgendosi verso di loro
puntellando le mani sugli schienali imbottiti- Stanno nel limbo per
un po' e poi, quando il caso viene chiuso, vengono cremati e sepolti.
Senza nome. Senza che a qualcuno importi di portare dei fiori sulla
loro tomba. Nessuno merita una cosa simile, di essere
dimenticato.”
Per un po' il silenzio calò
nell'abitacolo, mentre Derek avviava l'auto e iniziava a dirigersi
verso una strada che portava in una zona potenzialmente meno soggetta
alla micro criminalità.
“Dì un po': non hai niente di
meglio fa fare che passare così il tuo tempo libero?-
domandò
Morgan, stemperando la tensione-Non hai un ragazzo con cui
uscire?”
Alaska scrollò le spalle,
noncurante “No. Sono carina, ma non così tanto da
giustificare questo lavoro macabro.”
“Non hai bisogno di qualcuno che ti
giudichi per il lavoro che fai.” le fece notare David.
“Il punto è che nessuno lo
capisce davvero.- spiegò con tono leggero- La maggior parte
delle persone provano ribrezzo e si domandano come io possa passare
le mie giornate con degli scheletri, ma il punto è che io
vedo
molto più di questo. Tutti nasciamo con una faccia, un nome,
delle caratteristiche. È giusto che gli altri se le
ricordino
quando ce ne andiamo.”
Derek stava per ribattere ma il suo
cellulare prese a squillare. Lanciò un'occhiata a David e
lui
rispose al suo posto. Dopo qualche secondo di ascolto
riattaccò
e inziò a parlare rivolgendosi al collega “Era
Garcia. Ha
visionato le registrazioni della telecamera esterna di quel
supermercato e ha individuato un filmato in cui si vedeva un uomo
seguire Amanda Jenkins. È riuscita a estrapolare un
riconoscimento facciale e abbiamo il suo nome e indirizzo. Fracis
Stork. Gli altri stanno già andando sul posto.”
I due uomini si lanciarono un'occhiata
significativa. Non potevano portarsi dietro Alaska, ma non erano
nemmeno sicuri di volerla scaricare semplicemente in strada. Non in
una zona così.
“Tranquilli, c'è una fermata
dell'autobus qua a due passi.- dichiarò la ragazza,
cogliendo
il motivo della loro esitazione-Anzi, se mi sbrigo riesco a prendere
quello che passa fra cinque minuti.”
“Sei sicura?” domandò
Morgan, guardandola attraverso lo specchieto.
“Certo, lasciatemi pure qui. Cosa
volete che mi possa accadere?”
Non le accadde niente,
infatti.
Niente durante il tragitto fino alla
fermata dell'autobus. Niente durante il viaggio, in cui fu
piacevolmente intrattenuta da un autista dalla chiacchiera facile.
Niente quando abbandonò il mezzo, a poco più che
cinquecento metri da casa sua.
“Alaska Ross?” quella voce le
arrivò dalle spalle. Era leggermente stridula e secca.
La giovane si girò piano, con un
sorriso cortese stampato sul volto.
Non fece in tempo a rispondere, però.
Una fitta feroce alla testa e la
sensazione di freddo per l'impatto col suolo furono le ultime cose
che percepì.
Busy,busy,busy!Aggiornamento
veloce veloce mentre cerco di barcamenarmi fra mille scadenze e impegni
assurdi...Sono solo io ad avere visioni di isole paradisiache dove
splende sempre il sole e il mio unico problema sarebbe di scostare
l'ombrellino dal cocktail prima di bere?
Comunque...che ne pensate del capitolo?Pare che le cose si stiano
leggermente complicando, soprattutto per qualcuno! Fatemi sapere che ne
pensate, scappo a stressarmi ancora un pò! Bacionissimi! JoJo
takara : visto?tu chiedi, io eseguo!eheheh. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, e devo dirti che la recensione di quello precedente mi ha reso particolarmente felice, perchè a quanto sembra la mia storia ti piace proprio!Sono davvero happy, thanks!Al prossimo capitolo!besos!