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Autore: JoJo    04/05/2010    3 recensioni
Nella città di Baltimora vengono trovati dei corpi senza nome. Una ragazza ritornerà inaspettatamente dal passato di uno dei membri della squadra e cercherà di aiutarli nelle indagini. Ma ci sono confini che non devono essere varcati e forse lei questo ancora non lo sa...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '49 ways to live'
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In condizioni di pace l'uomo guerriero guarda dentro se stesso. Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l'abisso ti guarda dentro.

- F.W. Nietzsche

Era appena passata l'ora di pranzo quando gli agenti dell'unità di analisi comportamentale presentarono un profilo all'intero dipartimento di quello che la stampa aveva ribattezzato “il killer mangia-fuoco”.
L'SI era stato identificato come un uomo bianco fra i trenta e trentacinque anni, dalla personalità schiva e poco appariscente. Secondo l'opinione dell'antropologa forense era probabile che si trattasse di un individuo dalla corporatura robusta, alto almeno un metro e novanta. Secondo l'analisi del suo modus operandi poi, i membri del BAU ritenevano che si trattasse di una sorta di fanatico religioso dalle accezioni misogine, che puniva le proprie vittime per via della loro condotta immorale.
“E' per questo motivo che si ritrova ad agire in zone frequentate per lo più da prostitute.” si ritrovò a concludere Hotch.
“E' probabile che segua e osservi le proprie vittime per qualche giorno, prima di agire, visto che tende a colpire donne la cui scomparsa non desta preoccupazione.” aggiunse Rossi.
Morgan prese la parola subito dopo di lui “Se doveste individuare un sospetto che corrisponde a questo profilo, è bene che agiate con estrema cautela- spiegò- L'SI è convinto di agire giustamente ed è disposto a combattere per le proprie convinzioni.”
Alcuni degli agenti che avevano davanti prendevano appunti con fare concitato, altri invece si limitavano ad ascoltare e annuire, concentrati.
“Formeremo delle squadre e pattuglieremo la zona in cui sono sparite quelle ragazze.” concluse quindi Bringman, prendendo la parola.
I poliziotti annuirono e si alzarono, cominciando a seguire le istruzioni che gli erano state date dai federali.
“Credete che lo troveremo?” domandò l'uomo, rivolgendosi questa volta solo agli agenti dell'FBI.
“Questo tipo di SI sviluppa una vera e propria ossessione per quello che fa.- spiegò Emily- L'unico modo che abbiamo di fermarlo è catturarlo, perchè lui da solo non lo farà.”
Hotch annuì con aria grave “Non abbandonerà quella zona, e ora che abbiamo un'approssimativa descrizione possiamo provare a individuarlo.”
JJ chiuse in quel momento una chiamata al cellulare “Penelope sta lavorando sulle registrazioni delle telecamere di sorveglianza del supermercato, ma è un materiale piuttosto corposo.-annunciò ai colleghi-Dato che non sappiamo esattamente la data della scomparsa delle ragazze sta visionando i nastri degli ultimi due mesi.”
“Speriamo ne esca qualcosa di buono.” commentò Rossi, e non appena finì di parlare un bip acuto li fece quasi sobbalzare dallo stupore.
“Scusate, è il mio...” borbottò Bringman imbarazzato, estraendo dalla tasca un cellulare giurassico.
“E' Ross. Identificato cadavere sconosciuto. Due punti, chiusa parentesi.- lesse Bringman, gli occhi stretti per leggere le piccole lettere sullo schermo del cellulare Che diavolo vuol dire due punti, chiusa parentesi?”
Reid si strinse nelle spalle, ignorando il significato di quei simboli “Forse scriveva di fretta e ha schiacciato dei tasti casualmente.”
JJ scosse la testa e sorrise come al solito della totale mancanza di conoscenza da parte del giovane per certi argomenti “E' uno smile: la stilizzazione grafica di un sorriso.”
“Cioè- riepilogò il poliziotto, grattandosi la testa confuso- quella ragazza ha messo una faccina che sorride e la parola cadavere all'interno della stessa frase?”
Prentiss gli rivolse un sorriso stiracchiato, alzando le spalle.
“Ok, ci sarà utile avere una vittimologia completa.- disse Hotch, rimanendo concentrato sul da farsi- Reid, vai al laboratorio per estrarre qualcosa da quell'identificazione; JJ tu rimani in contatto con Garcia e vedi se riesce a identificare l'SI da quelle registrazioni. Noi andremo a East Baltimore con gli altri.”
Al capo della squadra bastò finire di parlare per generare un veloce fuggi fuggi, in cui tutti erano pronti a ricoprire con efficienza i ruoli che gli erano stati assegnati.

Laboratorio di medicina legale. Baltimora, Maryland.

Reid battè per due volte le nocche sulla superficie liscia della porta dell'ufficio di Alaska Ross.
Non ottenne risposta immediatamente perciò indugiò per un po' con lo sguardo sui numerosi volantini fissati sul legno grazie a delle puntine colorate.
Alcuni pubblicizzavano dei convegni sull'antropologia che si sarebbero tenuti in città nei mesi successivi, altri rendevano pubblico l'orario di ricevimento del dottor Stein. Una cartelletta a cui era legata una matita tramite un filo di spago, invece, invitava chiunque fosse interessato a partecipare a degli scavi estivi a segnalare le proprie generalità.
Il profiler, bussò di nuovo ma, come la volta precedente, non ottenne risposta. Fece scivolare la mano sulla maniglia e, titubante, aprì la porta.
“E' permesso?” domandò, prima di accorgersi che aveva parlato con una stanza vuota.
Una parete di vetro separava il piccolo ufficio, grande poco più che un cubicolo, dal corridoio. La scrivania, disordinata e caotica, era addossata alla parete e nascondeva, dietro di sé, una serie di portadocumenti. Alla sua destra c'era una porta che probabilmente conduceva a un ufficio laterale a cui quella stanza faceva da anticamera, e sulla targhetta si leggeva distintamente Dottor D. Stein.
Stava per l'appunto per decidere se rimanere ad aspettare Alaska lì oppure farla chiamare da qualcuno, quando quella porta si aprì di scatto, provocando un gran rumore.
Davon Stain lo osservava dal basso, seduto rigidamente sulla sua sedia a rotelle e con un'espressione decisamente ostile dipinta sul volto.
“Ti darò solo tre risposte, giovanotto: no, non intendo ascoltare la tua proposta di tesi; sì, la mia assistente potrebbe farlo al posto mio, ma tutto dipende dal fatto se riesci a trovarla; e, no, non ho bisogno di un nuovo assistente.” buttò fuori velocemente, senza lasciargli il tempo di spiegare chi fosse e il motivo della sua presenza nell'ufficio di Ross.
Reid si schiarì la gola, leggermente spiazzato da quella reazione “Veramente io non sono un suo studente. Sono l'agente Spencer Reid, dell'unità di analisi comportamentale. Credevo che questo fosse l'ufficio della dottoressa Ross.”
Stein alzò gli occhi al soffitto “Infatti lo è, è per questo che sono qua. Appena ritorna conto di farle una ramanzina coi fiocchi dato che è tutta mattina che è uccel di bosco e che ignora le mie chiamate.”
“Credevo...credevo fosse tornata al laboratorio.-ribattè Spencer, aggrottando la fronte confuso- Ha scritto all'agente Bringman di avere notizie su uno dei cadaveri non identificati.”
“Infatti è qui, nell'edificio, ma ai piani sotterranei dove ci sono le sale autopsie.-spiegò l'antropologo, con il tono di qualcuno che avrebbe preferito buttarsi in un vulcano piuttosto che sostenere una conversazione-Puoi andare a parlare con lei laggiù, se ci tieni tanto, e già che ci sei comunicale che è licenziata.”
Reid sbattè più volte gli occhi, stupito “Sul serio?”
“Sto forse ridendo?” sbottò l'uomo. Il suo viso solcato dal tempo era attraversato da una smorfia imbronciata.
Il giovane aprì la bocca per azzardare una risposta ma Stein non gliene diede il tempo “In fondo al corridoio c'è una porta che da sulle scale. Scendi per due rampe e troverai il laboratorio e, se sei davvero fortunato, è probabile che troverai anche Quarantanove.-buttò fuori velocemente-E ora, fuori di qui.”
Con un movimento brusco sbattè di nuovo la porta dietro di sé, tornando a sparire all'interno del proprio ufficio.
Spencer rimase immobile per qualche secondo, spiazzato dal carattere burbero dell'antropologo e poi ruotò sui tacchi, seguendo passo passo le indicazioni che gli erano state date.
Le scale che portavano ai piani sotterranei erano ripide e poco illuminate. Un cartello nello spiazzo che si apriva dopo aver percorso la prima rampa indicava che a quel piano si trovava l'obitorio e una freccia inclinata verso il basso consigliava di proseguire a chiunque cercasse i laboratori.
Quando Reid arrivò al secondo piano interrato fu accolto da un silenzio spettrale, oltre che da un'oscurità illuminata a malapena dalle luci d'emergenza.
“C'è nessuno?- domandò, azzardando qualche passo lungo il corridoio disordinato e aprendo con cautela tutte le porte in cui si imbatteva- Dottoressa Ross?”
Gli sembrò strano non trovare nessuno ma, dopotutto, era venerdì pomeriggio: c'era la probabilità che soltanto chi fosse coinvolto a lavorare in un caso particolarmente impegnativo era obbligato a restare al lavoro.
“Dottoressa Ross?” chiamò di nuovo Reid, la voce leggermente acuita dalla strana inquietudine che gli provocava quella situazione. Morgan aveva ragione: doveva lavorare meglio sul suo problema con il buio.
Era entrato in una stanza più grande delle precedenti. Addossato alla parete c'era un lungo bancone pieno di microscopi e provette e cartelle cliniche distribuite sul ripiano in ordine sparso. L'unica cosa che illuminava la stanza, altrimenti buia, era la debole luce emanata dai diafanoscopi ancora accesi, le radiografie risplendevano dando un aspetto sinistro a quel laboratorio.
“Reid?” si sentì chiamare e, nel sentire improvvisamente quella voce nel silenzio si ritrovò a sobbalzare sul posto.
Una figura che non riusciva ancora a identificare si mosse sopra a uno delle lettighe di metallo, alzandosi poi di scatto per raggiungere la posizione seduta. Anche se il suo cervello riconobbe quasi subito la sagoma della dottoressa Ross, non riuscì a impedire al battito del proprio cuore di continuare a galoppare velocemente a causa dell'agitazione.
“Quel-quel tavolo non è per i cadaveri?” domandò Reid confuso, avvicinandosi con cautela alla ragazza.
Ora che era più vicino, riusciva a distinguere l'aria assonnata sul volto dell'antropologa “Sì...stavo facendo un riposino. Ho lavorato molto ultimamente, ero un po' stanca.”
Spencer aggrottò le sopracciglia, perplesso“Dormi sempre sul tavolo del laboratorio?”
“Solo quando non c'è un morto sopra.- ribattè Alaska, con tono ovvio, mentre con un balzo agile di metteva in piedi- Non so come vi trattano all'FBI, ma qua i ritmi sono parecchio serrati, voglio dire, non mi sto certo lamentando:amo il mio lavoro. Solo che certe volte...”
“Uhm...il dottor Stein mi ha detto di dirti che...- Reid tossicchiò imbarazzato e dispiaciuto per la notizia che stava per dare alla ragazza- uhm, ecco...sei licenziata.”
Alaska scosse la testa, con aria divertita a differenza delle sue aspettative “E' perchè non ho risposto alle sue chiamate.-spiegò, facendo un cenno con la mano- Davon tende a diventare un po' melodrammatico ogni tanto, questa settimana è la terza volta che mi licenzia.”
La seguì con lo sguardo mentre si stiracchiava le braccia e si muoveva nella stanza di laboratorio, dapprima accendendo le luci, e poi buttando nel cestino almeno tre paia di carte di barrette al cioccolato.
“Hai...hai mangiato tutto quel cioccolato?” gli sfuggì, prima che potesse accorgersene.
“Già, voi vi siete presi tutta la pizza.- rispose la ragazza, accennando un sorriso colpevole- E poi il cioccolato mi fa stare meglio.”
“In effetti contiene sostanze che favoriscono il rilascio di endorfine, per cui danno la sensazione di essere felice e alcuni studi affermano che provocano la sensazione di essere innamorati.- buttò fuori velocemente Spencer-Comunque il cioccolato da dipendenza.”
La dottoressa Ross lo guardò con occhi spalancati, quasi come se stesse ponderando attentamente le sue parole “Uhm, avresti dovuto dirmelo vent'anni fa. Ora credo di essere una tossica allo stadio terminale.”
“Metto a posto questo e sono da te.” aggiunse, mettendo una scatola di plastica su una barella.
“In quella scatola c'è il corpo di una persona?” domandò Reid. Aveva notato delle coordinate anagrafiche scritte a penna su un'etichetta che svettava dal lato corto.
La ragazza spinse la lettiga nella cella frigorifera nascosta sulla parete in fondo alla stanza prima di rispondere con un sospiro “No. Non tutto.”
“Allora, immagino che sei venuto qui per via del messaggio che ho mandato ad Alan, giusto?”
Spencer annuì e la seguì con passo svelto non appena lei le fece un cenno con un dito. Entrarono nella stanza attigua, dove su tre barelle d'acciaio erano disposti in ordine le ossa candide, completamente pulite, delle tre vittime.
“Amanda Jenkins.” disse, additando i resti sulla prima barella che sorpassò subito, senza fermarsi a sfogliare la cartella che era appesa sul bordo della lettiga.
“La giovane ragazza afroamericana.- continuò, indicando il secondo gruppo di resti- Avete scoperto chi è?”
“Garcia ci sta lavorando.” rivelò. Non sarebbe stato facile: avevano solo il nome di un tatuatore e altri elementi che non permettevano un'identificazione così accurata.
Alaska si fermò davanti all'ultimo lettino. Neanche questa volta ebbe bisogno di leggere niente dalla cartella con i dati che aveva raccolto, così l'afferrò e la passò gentilmente all'agente dell'FBI.
“Lei è Geneve Fox.-annunciò, incrociando le braccia e voltandosi poi verso Reid- C'era qualcosa di strano nelle ossa che stavo analizzando ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Vedi queste?”
L'antropologa prese delicatamente fra le mani un femore e passò piano il dito su delle imperfezioni che si notavano a malapena sulle ossa.
“Sono fratture rimarginate?” domandò Spencer, avvicinando il viso all'osso per osservare meglio.
Alaska ripose il femore al suo posto “Già, e ce ne sono davvero tante.”
“Forse era anche lei vittima di violenze domestiche.” ipotizzò Spencer, pensando che questo l'avrebbe accomunata alla prima vittima.
“Era quello che avevo pensato anche io, ma avevo una strana sensazione, come se qualcosa non quadrasse.” ribattè la ragazza, sul viso le balenò la stessa espressione dubbiosa che aveva avuto la prima volta che aveva esaminato quelle ossa.
“Una sensazione?” ripetè il giovane, alzando un sopracciglio.
Alaska annuì, facendo ondeggiare la massa di capelli corvini “Quindi, ho fatto delle analisi più specifiche e ho scoperto che era affetta dall'Huntington. La malattia stava avanzando rapidamente.”
“Come sei arrivata da questo al nome della ragazza?”
“Tanta pazienza, domande mirate e una buona tariffa telefonica.-rivelò, alzando un dito ad ogni voce di quel corto elenco- Ho chiamato tutti gli ospedali di Baltimora, partendo da quelli nella zona che avete individuato, e ho chiesto se avevano avuto delle ospedalizzazioni che coincidevano con quelle fratture ed è saltato fuori il nome di Geneve.”
“Chiederò a Garcia di fare una verifica sul nome.” disse allora Reid.
“Ha un gran da fare quella ragazza, vero?”
Spencer fece un vago cenno affermativo con la testa e distolse lo sguardo imbarazzato quando si accorse che Alaska continuava a fissarlo, pur senza parlare.
“Volevi...volevi informarmi di qualcos'altro?” balbettò.
L'antropologa parve ignorare la sua domanda, prendendo a camminare e invitandolo a seguirlo “Credo che chiuderò il laboratorio, gli altri si stanno già godendo il week-end.- gli rivelò, accennando a tutte quelle stanze momentaneamente vuote che stavano scorrendo- Di sopra ho la mia consulenza completa su questo caso, ma credo proprio che la mia collaborazione col dipartimento debba finire qua: non credo ci sia nient'altro che posso estrapolare da quei resti. Oh, certo: se doveste trovare quelli che l'assassino si è tenuto sarò sempre a disposizione.”
“Non vieni?” lo chiamò, fermandosi in mezzo al corridoio e voltandosi completamente per guardarlo in faccia. Aveva rallentato il passo e si guardava intorno confuso.
Spencer sfilò una mano dalla tasca e indicò la direzione opposta rispetto a quella in cui si stava dirigendo la ragazza “Sono piuttosto sicuro di essere arrivato da quella parte.”
Alaska gli rivolse un ampio sorriso “Perchè hai preso le scale, ma io sono pigra e preferisco l'ascensore.” gli rivelò, con una strizzata d'occhio.
“Ma se vuoi- continuò immediatamente, vedendolo titubante- tu puoi prendere tranquillamente le scale...”
“No. No, credo...credo che verrò con te...” si affrettò a dire, raggiungendola con delle ampie falcate.

Quello era senza dubbio l'ascensore più lento esistente sulla faccia della terra o, forse, stava semplicemente cercando di fare impazzire Reid. Con un certo successo, per giunta. Saliva piano, provocando un rumore stridente e fastidioso e, se già questo non lo rincuorava per niente, l'idea di avere di fianco Alaska Ross lo stava facendo agitare più del necessario. Aveva le mani sudate, ma continuava a ripetersi che era per via del fatto che una personalità imprevedibile come quella della ragazza non lo metteva a suo agio.
Un sobbalzo improvviso fece perdere leggermente l'equilibrio ad entrambi e poi cadde il silenzio in quello spazio angusto.
“Ci siamo fermati.” fece notare Spencer, guardandosi intorno allarmato. Quella situazione non gli piaceva per niente.
Alaska, dal canto suo, sembrava completamente rilassata “Pare di sì.”
“Forse...forse dovremmo...”balbettò quelle parole in fretta, mentre allungava il braccio per premere ripetutamente il pulsante rosso di allarme.
“Non succede niente.” commentò, dopo aver aspettato qualche secondo.
“Perchè non funziona.” spiegò con calma l'antropologa, un sorriso largo dipinto sul volto diafano.
Reid sbattè le palpebre più volte “Non funziona?Lo sapevi?Non avresti dovuto farlo presente alla manutenzione?”
“Chiese l'uomo dalle mille domande- ribattè ridendo la mora-Non è mica la fine del mondo. Tranquillo, non è mai successo niente di male a nessuno per via di un ascensore.”
“Beh, in realtà, ci sono in media sei morti all'anno e diecimila infortuni che richiedono l'ospedalizzazione.” buttò fuori Spencer velocemente. Prendeva dei grossi respiri nel tentativo di non andare in iperventilazione.
Alaska si voltò verso di lui, stupita “Così tanti?”
“Sì, da quanto ho letto...”
“Comunque puoi stare tranquillo: questo ferro vecchio fa i capricci praticamente tutte le volte che lo uso.-lo rassicurò Alaska, passandogli amichevolmente una mano sul braccio facendolo sobbalzare- È per questo che gli altri utilizzano quello destinato al trasporto merci: quest'ascensore si ferma almeno una volta al giorno.”
“Questo ascensore si ferma così spesso?-domandò Reid spalancando gli occhi-Perchè...perchè non me l'hai detto?”
Ross fissò i propri occhi azzurri in quelli scuri dell'agente. Non sembrava prendere la situazione con altrettanta filosofia di come faceva lei, quindi si ritrovò a rammaricarsi “Non lo ritenevo importante.”
“Se me l'avessi detto sarei salito a piedi.” borbottò, senza sembrare troppo duro. In fondo, non era colpa sua se le statistiche sugli incidenti in ascensore non erano rassicuranti.
Alaska sembrò capire il motivo del suo atteggiamento e gli sorrise di nuovo “Tranquillo. Fra qualche minuto ripartirà.”
“Sicura?” ribattè Reid, alzando un sopracciglio.
“No.-rispose la ragazza, improvvisamente seria- Probabilmente rimarremo intrappolati qui per ore, gli altri penseranno che siamo già andati via dato che ho chiuso il laboratorio e non si porranno il problema di controllare. E poi, dato che questo ascensore non lo usa nessuno a parte me, staremo qua dentro fino a quando cominceremo a sentire i morsi della sete e della fame. Magari rimarremo qua per tutto il week-end. Mi sembri deperito, probabilmente tu non resisterai tanto a lungo.”
Spencer la guardò spalancando gli occhi, sorpreso. Rimasero qualche secondo in silenzio a fissarsi.
“Stai scherzando, vero?” si decise infine a parlare Reid.
La giovane antropologa scoppiò in una risata cristallina “Sì.”
“Non lo trovo così divertente. E se questa volta non ripartisse?Qua dentro non c'è nemmeno campo per chiamare qualcuno.” si lamentò Spencer, tirandosi fuori dalla tasca il cellulare, per poi rimetterlo a posto, sconfitto dall'assenza di segnale.
Alaska fece roteare gli occhi teatralmente “Tu ti preoccupi troppo.”
“E tu troppo poco.” ribattè piccato il profiler.
“Non è vero...-lo contraddisse la ragazza- Io non mi preoccupo affatto.”
Lo sentì sospirare di fianco a sé ed ebbe una specie di moto di tenerezza verso di lui.
“A me piace che questo ascensore si fermi così spesso.” gli rivelò, sorridendogli incoraggiante.
Reid non rispose per qualche secondo, ma alla fine la curiosità lo costrinse a porgere la fatidica domanda “Perchè?”
“Sono i miei minuti. Quando si blocca posso staccare un po', riprendermi da tutto quello che vedo là sotto. Io non so davvero come facciate a fare il vostro lavoro, voialtri, ma io a volte mi sento così...”
Lasciò la frase a metà e lui la guardò concentrato lasciandole il tempo di continuare a parlare.
“Non lo so, Davon dice che, anche se sono più che qualificata, non ho la mente adatta per questo lavoro. Il fatto è che vedo qualcosa di più oltre alle semplici ossa. Le guardo e vedo la persona che erano: so com'era il suo viso, so quali sport praticava, dove si era fatta male più spesso. È come se conoscessi ciascuno di loro...”
La ragazza notò solo allora lo sguardo confuso di Reid, quindi alzò i palmi verso di lui e li agitò convulsamente mentre iniziava a giustificarsi “Scusami, non dovrei dirti queste cose, ma io sono una dalle confidenze facili. Sai, credo che il concetto di privacy sia sopravvalutato, non credi che sarebbe tutto molto più semplice se non dovessimo difendere strenuamente la nostra vita privata?Credi che sia una specie di sindrome da star di Hollywood?Per te deve essere facile capire queste cose, cavolo, vorrei essere stata più attenta alle lezioni di psicologia in università, ma quel professore era una vera mummia...”
Alaska notò il sorriso che si stava allargando sul volto dell'agente “Sto parlando troppo, vero?”
“Un pochetto.” ammise l'altro, lasciandosi andare ad una risata.
L'antropologa si unì a lui e risero insieme per un minuto pieno prima che il silenzio tornasse dentro quell'ascensore.
Alaska Ross aveva la risata facile. Anzi, si ritrovò a pensare il giovane profiler, sembrava che quella ragazza sapesse cogliere al volo gli aspetti più leggeri della vita nonostante il suo lavoro. E il suo passato, si ritrovò ad aggiungere mentalmente.
Reid tornò a guardare dinnanzi a sé, riflettendo. Aveva letto tutti i libri di Rossi e sapeva che il suo collega manteneva invariato il nome dell'SI ma che, per premura verso le vittime, nei loro casi usava nomi fittizi. David, a quanto ricordava, aveva partecipato alla risoluzione di più di un paio di casi a Denver, dove Alaska aveva detto di averlo conosciuto, ma calcolando mentalmente l'età al momento dei fatti e quella attuale era piuttosto sicuro di essere riuscito ad associare la ragazza al caso esatto di cui era stata vittima. E la cosa non faceva altro che sconcertarlo.
“Posso...posso farti una domanda?” azzardò quindi Spencer, portandosi dietro l'orecchio una ciocca di capelli ribelle.
“Certo, a meno che non si tratti di qualcosa che riguardi l'argomento musica classica e opere liriche.-rispose la ragazza, strizzando gli occhi chiari- Non so molto, a riguardo.” 
Reid accennò a un colpetto di tosse prima di cominciare a parlare “Tu non ti trovi a disagio qua dentro?- notando l'espressione interrogativa che stava comparendo sul volto della sua interlocutrice si affrettò a spiegarsi meglio- Voglio dire, negli spazi piccoli e chiusi?”
Alaska lo guardò stranita, sbattendo le palpebre più volte “No. Perchè, dovrei?”
“Sì, cioè...no.- scosse la testa, cercando di trovare un modo per affrontare l'argomento-Voglio dire, stavo solo pensando a una cosa...”
Aveva lasciato cadere la frase a metà e Ross iniziò a parlare immediatamente, con tono giocoso nelle sue parole pronunciate in fretta “Una volta ho visto con degli amici un film con Keanu Reeves, in cui lui doveva salvare un gruppo di persone intrappolate su un ascensore che rischiava di precipitare e in più aveva installato su di sé una bomba a orologeria. Dopo averlo visto mi ero ripromessa che avrei usato sempre e solo le scale, ma sono una pigra cronica e ho lasciato perdere nel giro di due settimane...”
“Ma immagino che non ti stavi riferendo a questo, vero?” aggiunse con tono più sommesso, dopo essersi interrotta all'improvviso.
Spencer tossicchiò di nuovo “Ecco io ho...ho chiesto a Rossi come faceva a conoscerti e...”
Non aveva mai avuto problemi con le parole anzi, chiunque lo conoscesse poteva benissimo affermare che il dottor Spencer Reid era in grado di utilizzare termini sconosciuti ai più formando frasi di senso compiuto ma, in quel momento, stava provando una certa difficoltà a tradurre i propri pensieri in parole. Si ripeteva che era per via dell'argomento delicato ma, in effetti, i grandi occhi azzurri di Alaska e il suo atteggiamento di paziente attesa e l'aria fiduciosa, gli stavano creando parecchi problemi.
L'ascensore riprese a cigolare, troncando la sua frase a metà.
“Visto?- trillò Alaska, battendo le mani- Te l'avevo detto che sarebbe ripartito!”
La ragazza aveva rivolto lo sguardo alle porte chiuse e Reid non potè che notare che forse, in quell'affermazione gioviale, gli era parso di sentire una nota di sollievo.
“Alaska, c'è una telefonata per te.” la chiamò una donna di colore, dall'aria distinta, non appena fecero qualche passo fuori dall'ascensore.
Si stava allontanando da un triste cubicolo grigio con passo svelto e le braccia cariche di documenti, ma sul viso aveva un'espressione serena e un sorriso amichevole rivolto alla ragazza a cui aveva parlato.
L'antropologa rivolse un'occhiata a Reid, come per giustificarsi di dover distogliere per un po' l'attenzione da lui “Amico o nemico?”
“Un giornalista di non so quale testata, uno dei soliti avvoltoi della cronaca nera.- rispose vaga l'altra, facendo volteggiare la mano libera nell'aria- Mi ha detto che voleva parlare con il responsabile del caso del killer dei roghi.”
“Quindi gli hai dato il mio nome così che lo tenga al telefono a ciarlare del più e del meno per mezz'ora finchè si renderà conto che ho le labbra cucite sull'argomento?” ricapitolò Alaska, rivolgendole un'occhiata divertita.  
“Sì.-ammise la donna-E anche perchè, in effetti, la responsabile di quel caso sei tu.”
Solo in quel momento parve notare per la prima volta la presenza di Reid, che squadrò con attenzione come era solita fare con tutti quelli che le passavano davanti “Hai ospiti.- constatò- Fai pure aspettare quel tizio. È stato piuttosto maleducato.”
“No, non fa niente. È il caso che io torni dagli altri, ora.- annunciò Spencer, non appena la ragazza fissò di nuovo il suo sguardo ceruleo su di lui- Grazie dell'aiuto, comunque.”
“Potrei dirti che è stato un piacere, ma sarebbe un po' fuori luogo, vero?” domandò Ross, accennando a una risatina.
Sul viso di Reid comparve un sorriso stiracchiato “Già. Un po'.”
“Ci vediamo allora. Non ti dispiace se non ti accompagno fuori, vero?Ho una chiamata in attesa...”
“Tranquilla, credo che me la caverò.” la rassicurò lui, alzando goffamente una mano in segno di saluto.
Alaska gli rivolse un sorriso aperto e poi si avviò verso il cubicolo da cui era uscita la donna di colore pochi istanti prima. Prima di arrivare a destinazione, però, con una mezza piroetta si girò di nuovo verso di lui “Hey dottor Reid!” chiamò, attirando su di sé lo sguardo del giovane agente.
“Tieni.” gli sorrise, lanciandogli una barretta di cioccolato che il ragazzo afferrò goffamente, dopo averla fatta saltare da una mano all'altra.
Spencer la guardò interrogativo e lei gli strizzò l'occhio prima di spiegare “Felicità incartata.”
Non aspettò di vedere la reazione del ragazzo, ma alzò immediatamente la cornetta, portandosela all'orecchio “Pronto, parla la dottoressa Alaska Ross.”
Dall'altro capo del filo sentì soltanto silenzio e qualche rumore di sottofondo.
“Pronto?”ripetè senza ottenere nuovamente risposta.
“Prooooo-nto?” canticchiò con voce acuta, prima di scrollare le spalle e riappendere.
Con qualche saltello spensierato abbandonò quella scrivania non sua e chiamò a gran voce la donna che le aveva passato la chiamata “Tesoro, su che linea hai detto che era il giornalista?”
“La uno.” rispose l'altra, senza pensarci troppo.
“Ha riappeso.- spiegò Alaska, allargando le braccia-Strano.”

East Baltimore, Orleans Street. Baltimora, Maryland.

David Rossi chiuse con uno scatto il cellulare e si rivolse al collega seduto al posto di guida, che aspettava paziente di sapere che cosa stava succedendo.
“Reid ha il nome dell'altra vittima: Geveve Fox. Garcia l'ha cercata nel database e ha scoperto che era una senza tetto.”
Morgan annuì “Una senza tetto, una donna socialmente invisibile e una prostituta. All'SI piace agire ai margini della società.”
“Così pare.” concordò l'agente più anziano, tornando a guardare fuori dal finestrino.
Erano lì da un'ora buona e, a pare il via vai continuo di persone, e qualche traffico non proprio legale, non avevano ancora visto niente che potesse interessarli.
“Strano che Alaska faccia questo...” borbottò Derek, allontanandosi dalle labbra carnose una tazza di caffè.
Dave si voltò verso di lui, aggrottando la fronte “E' il suo lavoro, no?”
“Appunto.- continuò l'altro, spiegandosi meglio- Non è strano che abbia scelto questa professione, nonostante quello che ha passato?”
“Scommetto che Reid ci ha messo trenta secondi a capire di quale caso faceva parte, vero?” sbuffò l'uomo, incrociando le braccia.
Morgan accennò a un sorriso “Forse un po' meno. È stata così dura?”
Rossi scosse piano la testa “E' stata nelle mani di quell'SI più del tempo necessario. Avrei potuto trovarla prima.”
“Non sembra che lei te ne faccia una colpa.- lo rassicurò l'uomo di colore- Anzi, sembra che tu sia una specie di eroe, per lei.”
“Perchè non si ricorda come è andata. Il suo cervello la protegge da quello che ha passato.” spiegò Rossi. A volte, avrebbe voluto anche lui dimenticare così facilmente.
“Forse è più forte di quello che credi. Magari ha semplicemente voltato pagina.”
David scosse la testa “Credimi Morgan, una che ha passato quello che ha passato lei non può semplicemente voltare pagina.”
Derek colse il tono amaro del collega, così decise di lasciar cadere la conversazione. Appoggiò casualmente una mano sul volante e prese a guardare oltre il parabrezza. Quando si ritrovò a fissare due figure femminili che stavano avanzando nella loro direzione, proprio sul marciapiede affianco al quale avevano parcheggiato, sobbalzò sul sedile.
“Che c'è?Che hai visto?” domandò Rossi preoccupato da quella reazione.
“Quella non è...- iniziò a parlare Morgan, strizzando gli occhi per vedere meglio- Quella non è Alaska Ross?”
L'altro seguì la direzione del suo sguardo “Sì, è proprio lei.”
Morgan abbassò il finestrino, e si sporse leggermente all'esterno per attirare la sua attenzione. “Hey!” la chiamò, attirando immediatamente il suo sguardo chiaro.
Alaska fece una piccola corsa per raggiungerlo e poi, guardando all'interno della macchina, sorrise gioviale “Derek!David!Che bello vedervi.”
“Dolcezza, questi due ti danno fastidio?” si intromise l'altra donna che il volto tirato faceva sembrare più vecchia di quella che doveva essere la sua età effettiva. L'abbigliamento e il tono della voce non lasciavano dubbi su quale professione esercitasse.
“No, tranquilla, li conosco.- la rassicurò Alaska, rivolgendole un sorriso radioso-Chiamami, d'accordo?”
La donna le fece un vago cenno del capo, scuotendo le mani dalle unghie laccate.“Ci penserò. E smettila di girare da queste parti, non è il posto adatto a te.” Mentre le rivolgeva quel consiglio accorato se ne andò alla svelta. Non le piacevano quei due con cui stava parlando, certo l'uomo di colore era piuttosto bello, ma faceva quel mestiere da abbastanza anni da sapere quando era il momento di tagliare la corda.
“Lei è Candy.- iniziò a spiegare la giovane antropologa ai due profiler, senza preoccuparsi della loro faccia stupita- Conosce tutti in zona, mi ha fatto fare un giro prima. È antropologicamente interessante vedere le gerarchie e le sottoculture che si creano in luoghi come questi, sapete?”
“Perchè le hai dato il tuo numero?- la interruppe Rossi, aggrottando le sopracciglia- Non sei un'investigatrice e non devi giocare a farlo.” Si sentiva un po' sciocco a trattarla come se fosse una ragazzina sprovveduta, ma qualcosa di istintivo lo spingeva a farlo.
Alaska sbattè le palpebre, non capendo il motivo di tanta preoccupazione “Le ho dato il mio numero perchè nei week-end insegno ad un corso di ginnastica correttiva e lei ha degli evidenti problemi alla schiena. Volevo solo che provasse a fare una lezione.”
“Beh, non è un bel quartiere per distribuire biglietti da visita.-riprese a parlare David. Era stranito da come quella ragazza non percepisse la potenziale situazione di pericolo nel fidarsi così ciecamente degli sconosciuti-E poi non credo che ti pagherà per quelle lezioni, e non credo che accetterà la tua elemosina.”
“Oh, ci siamo già messe d'accordo.-lo rassicurò Ross, con una scrollata di spalle- Mi pagherà in natura.”
Rossi spalancò gli occhi scioccato, mentre Morgan per poco non si strozzò con il caffè per via dello stupore causato da quell'affermazione.
“Ti sei ingozzato?” domandò Alaska premurosa.
L'uomo fece un gesto vago con la mano, come per dirle di non preoccuparsi.
“Comunque, invece di darmi la quota di partecipazione mi farà la manicure.- continuò a parlare l'antropologa, chiarificandosi- Mi ha detto che è un'estetista molto brava. Forse le lascerò anche tagliarmi i capelli, avrei bisogno di una spuntatina...”
“Ah, ecco...-commentò Derek con un sospiro- Uhm...comunque, non è un bel quartiere in cui trovarti.”
“Ma è quello che frequentava una delle vittime.-ribattè Alaska- Ho fatto alcune domande in giro e mi hanno detto che si chiamava Sandrine, nessuno sa il cognome, ma mi hanno detto che veniva da una piccola città del Maine, vicino Portland. Ora dovete solo chiamare la vostra bambolina e farle fare qualcuna delle sua magie da FBI.”
Rossi e Morgan si scambiarono un'occhiata “Chiamo Garcia e le chiedo di fare un controllo incrociato con i dati in nostro possesso con quelli delle persone trasferite da quella zona.” disse l'agente più giovane.
“E questo non è investigare?” chiese David, rivolgendosi di nuovo alla ragazza mentre Derek parlava al telefono.
Ross si strinse nelle spalle “Facevo solo delle domande.”
“Qua nessuno vuole rispondere alle domande.” le fece notare l'uomo, alzando un sopracciglio.
“Le ho fatte in modo molto gentile.”
Il profiler provò con tutte le sue forze a mantenere il volto rigido e con espressione severa, ma fissare il sorriso fiducioso di Alaska rendeva quell'impresa piuttosto difficile.
“Sali in macchina, ti riaccompagnamo in una zona più sicura.” sospirò infine, scuotendo leggermente la testa.
Ross scattò sull'attenti “Agli ordini, agente speciale Rossi.”
“Fa parte del tuo lavoro cercare così strenuamente le identità dei corpi di cui ti occupi?” si informò Morgan, dopo aver riattaccato il telefono.
“In teoria no...” sospirò la ragazza, sedendosi sul sedile posteriore.
“Sapete che cosa succede ai cadaveri non identificati?- continuò, sporgendosi verso di loro puntellando le mani sugli schienali imbottiti- Stanno nel limbo per un po' e poi, quando il caso viene chiuso, vengono cremati e sepolti. Senza nome. Senza che a qualcuno importi di portare dei fiori sulla loro tomba. Nessuno merita una cosa simile, di essere dimenticato.”
Per un po' il silenzio calò nell'abitacolo, mentre Derek avviava l'auto e iniziava a dirigersi verso una strada che portava in una zona potenzialmente meno soggetta alla micro criminalità.
“Dì un po': non hai niente di meglio fa fare che passare così il tuo tempo libero?- domandò Morgan, stemperando la tensione-Non hai un ragazzo con cui uscire?”
Alaska scrollò le spalle, noncurante “No. Sono carina, ma non così tanto da giustificare questo lavoro macabro.”
“Non hai bisogno di qualcuno che ti giudichi per il lavoro che fai.” le fece notare David.
“Il punto è che nessuno lo capisce davvero.- spiegò con tono leggero- La maggior parte delle persone provano ribrezzo e si domandano come io possa passare le mie giornate con degli scheletri, ma il punto è che io vedo molto più di questo. Tutti nasciamo con una faccia, un nome, delle caratteristiche. È giusto che gli altri se le ricordino quando ce ne andiamo.”
Derek stava per ribattere ma il suo cellulare prese a squillare. Lanciò un'occhiata a David e lui rispose al suo posto. Dopo qualche secondo di ascolto riattaccò e inziò a parlare rivolgendosi al collega “Era Garcia. Ha visionato le registrazioni della telecamera esterna di quel supermercato e ha individuato un filmato in cui si vedeva un uomo seguire Amanda Jenkins. È riuscita a estrapolare un riconoscimento facciale e abbiamo il suo nome e indirizzo. Fracis Stork. Gli altri stanno già andando sul posto.”
I due uomini si lanciarono un'occhiata significativa. Non potevano portarsi dietro Alaska, ma non erano nemmeno sicuri di volerla scaricare semplicemente in strada. Non in una zona così.
“Tranquilli, c'è una fermata dell'autobus qua a due passi.- dichiarò la ragazza, cogliendo il motivo della loro esitazione-Anzi, se mi sbrigo riesco a prendere quello che passa fra cinque minuti.”
“Sei sicura?” domandò Morgan, guardandola attraverso lo specchieto.
“Certo, lasciatemi pure qui. Cosa volete che mi possa accadere?”

Non le accadde niente, infatti.
Niente durante il tragitto fino alla fermata dell'autobus. Niente durante il viaggio, in cui fu piacevolmente intrattenuta da un autista dalla chiacchiera facile. Niente quando abbandonò il mezzo, a poco più che cinquecento metri da casa sua.
“Alaska Ross?” quella voce le arrivò dalle spalle. Era leggermente stridula e secca.
La giovane si girò piano, con un sorriso cortese stampato sul volto.
Non fece in tempo a rispondere, però.
Una fitta feroce alla testa e la sensazione di freddo per l'impatto col suolo furono le ultime cose che percepì.

Busy,busy,busy!Aggiornamento veloce veloce mentre cerco di barcamenarmi fra mille scadenze e impegni assurdi...Sono solo io ad avere visioni di isole paradisiache dove splende sempre il sole e il mio unico problema sarebbe di scostare l'ombrellino dal cocktail prima di bere?
Comunque...che ne pensate del capitolo?Pare che le cose si stiano leggermente complicando, soprattutto per qualcuno! Fatemi sapere che ne pensate, scappo a stressarmi ancora un pò! Bacionissimi! JoJo

takara : visto?tu chiedi, io eseguo!eheheh. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, e devo dirti che la recensione di quello precedente mi ha reso particolarmente felice, perchè a quanto sembra la mia storia ti piace proprio!Sono davvero happy, thanks!Al prossimo capitolo!besos!

   
 
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