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Autore: nuria    04/05/2010    2 recensioni
Padmé aspetta. Obi-Wan non arriva su Mustafar. Il destino della Galassia tanto, tanto lontana cambia per sempre. E anche Anakin, l'Eroe Senza Paura, è cambiato - forse per sempre: nella catastrofe della sua vita, Padmé cerca di capire cosa fare per riportare indietro suo marito.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Padmè Amidala
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ceneri della Repubblica'
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N/A: Una nota sul pianeta di Mantooine. Qualche tempo fa ero alla ricerca di un pianeta che rispondesse ad alcuni requisiti, sul quale far accadere la prima ‘ribellione’ all’Impero. Mentre spulciavo l’enciclopedia (cuswe.org), ho trovato questo pianeta e ho visto che anche nell’Universo Espanso ha avuto il ruolo di teatro di ribellione anti-imperiale. La coincidenza mi è piaciuta e Mantooine è stato, ma non c’è nessun collegamento con gli eventi narrati ne ‘The Rebel Alliance Sourcebook’. 

Buona lettura :)

*

X.
 

Due settimane dopo,

battlecruiser classe Protector KZ-2111

 

Essere un gran generale dell’esercito aveva i suoi vantaggi.

Ad esempio, la sua camera era di gran lunga più elegante e comoda del resto degli ambienti all’interno della battlecruiser imperiale.

Non era certo capace di reggere il paragone con le elegantissime camere da letto delle quali Anakin era in possesso altrove, una nel nuovo appartamento di Coruscant, e l’altra nella Maison sur Le Lac di Naboo. Quelli erano luoghi raffinati, il battlecruiser, purtroppo, no. Ma Anakin era un guerriero, e non gli importava certo del lusso mentre s’avviava in territorio di guerra.

O di quasi-guerra…o qualsiasi cosa stesse succedendo nel settore di Atrivis.

Ad ogni modo, la sua camera era spaziosa, molto più spaziosa delle camerette degli altri alti ufficiali, e praticamente immensa se paragonata agli spazi ristretti in cui i cloni dovevano passare le loro notti senza sogni: in questa c’era lo spazio anche per una scrivania e una poltrona, ed era dotato di un ampio, ma praticamente inutilizzato, armadio nel muro.

Le pareti di laminato erano rivestite da una pannellatura imbottita color crema, divisa in quadrati perfetti disposti sulla maggior parte della superficie dei quattro muri della camera (ad Anakin ricordavano vagamente le imbottiture delle celle dei malati nei centri di cura). Di fronte al letto c’era un’ampia finestra sullo spazio buio puntellato di stelle; altre volte si affacciava sull’iperspazio dai vorticanti colori alieni e bellissimi.

Il letto, lenzuola bianche e coperta blu, era comodo: e questa era la parte migliore dell’intera camera.

Non che Anakin fosse schizzinoso quando si trattava di dove dormire. Sarebbe stato capace di dormire ovunque, ed effettivamente si era addormentato ovunque: sui dorsi lisci di grossi sassi in riva ad un mare alieno, sulla sabbia (la peggiore esperienza in assoluto), per terra, su brandine di emergenza, sui materassini alti giusto centimetri del Tempio – ovunque.

Non era quindi imputabile ad una mancanza di comfort se non riusciva ad addormentarsi.

Con le mani intrecciate dietro la schiena e gli occhi puntati sul soffitto grigio e lucido della sua stanza, Anakin faceva i conti con il fatto che, per la terza notte di fila, il sonno non arrivava a sollevarlo dalla pesante realtà in cui stava lentamente ripiombando dopo le brevi settimane di sogno passate a Naboo con sua moglie e i suoi bambini.

Si era evidentemente rammollito.

Un tempo, allontanarsi da Padmé era un’azione odiata ma eseguita senza ripensamenti. Faceva decollare la sua nave, e Padmé rimaneva a terra e andava bene così, perché c’era una guerra, e in una guerra il dovere viene prima di qualsiasi altra cosa: era qualcosa che entrambi avevano accettato (e quando Anakin aveva iniziato a non accettarlo più, era stata Padmé a ricordarglielo). Così, Anakin permetteva a Padmé di diventare un pensiero, per quanto sempre presente, di fondo: la contromelodia tranquilla all’irruente cacofonia della guerra. Il sottofondo tranquillo da cui era bello farsi avvolgere quando le missioni si concludevano ed aveva un attimo per mandare un messaggio veloce a casa: ecco com’erano andate le cose un tempo.

Adesso, Padmé e i bambini erano tutto quello a cui riusciva a pensare. Non c’era letteralmente un attimo in cui non li vedesse davanti ai suoi occhi, e tutto gli ricordava e parlava di loro: un esempio che lo aveva particolarmente straniato era stato scivolare accanto alla culla di Luke e dei suoi capelli chiarissimi dopo aver visto passare davanti a lui un clone dalla chioma platinata. Si era ritrovato a fissare un punto indistinto del muro, impalato in mezzo al corridoio e ostruendo il traffico di legionari e di droidi di servizio: si era riscosso soltanto quando un ufficiale si era accertato che stesse bene.

La nostalgia minacciava di divorarlo, la lontananza pareva già insopportabile; non erano nemmeno passati tre giorni interi da quando li aveva salutati per l’ultima volta per dirigersi a Coruscant, stringendoli forte al petto uno ad uno e cercando di far calmare una Leia inconsolabile. La povera bambina era sembrata assolutamente disperata. Guardando nei suoi occhi, Anakin aveva saputo che i suoi bambini non lo avrebbero dimenticato: nella Forza lo avrebbero immediatamente riconosciuto, prima ancora di vederlo o sentirlo.

Se chiudeva gli occhi, sentiva sulle dita la pelle vellutata dei suoi bambini; nelle sue mani erano per sempre impresse le forme minuscole dei loro corpicini, nei suoi occhi c’erano sempre i loro visetti, le labbra e i nasini e gli occhi così diversi tra loro, e nel suo naso c’era il loro dolce odore di latte e zucchero (quando erano puliti, s’intende).

Aveva pensato, prima di partire, che forse allontanarsi non sarebbe stata la fine del mondo: avrebbe riposato dai ritmi notturni imprevedibili dei gemellini, dalla confusione continua, dalla tensione che ancora permaneva, in maniere profonde e striscianti, tra lui e Padmé; Padmé, a sua volta, avrebbe avuto tempo per finalmente riflettere a fondo sulle azioni di Anakin e sui suoi ideali, magari con più tranquillità, non dovendo vederlo ogni giorno – era in buone mani, perché Dormé, Moteé ed Ellé erano ritornate tutte e tre a Naboo dalla loro signora, accompagnate da un confuso Trepio.

Si era sbagliato.

E ogni volta che i suoi pensieri s’avventuravano nei ricordi della famigliola che aveva lasciato indietro, la vasta voragine all’interno del suo petto s’allargava impietosa, attirando tutti gli altri pensieri nella mente di Anakin (quelli importanti, ad esempio, quelli sulla missione su Mantooine) e inghiottendoli come un buco nero, finché Anakin non era costretto di nuovo a guardare e a ricordare.

Della sua famiglia aveva sviluppato un bisogno fisico. Si sentiva esattamente come uno dei tanti sfortunati schiavi delle spezie illegali: gli mancava il fiato, gli palpitava il cuore, sudava freddo. Se ci pensava troppo, sentiva un vago dolore al petto.

L’amore fa male.

Per Anakin Skywalker era vero in più di un senso.

 

 

Due giorni dopo,

Atrivis

‹‹Dormito bene, generale?›› chiese Dodd, capitano dell’unità Tempesta all’interno della 501a Legione, la legione comandata personalmente da Anakin.

Dodd era uno dei cloni basati sul template genetico di Jango Fett: come tutti gli altri era stato allevato e addestrato su Kamino, la fabbrica dei cloni. Si era distinto in battaglia, era diventato capitano, e il suo mestiere lo svolgeva alla perfezione. Era coraggioso, affidabile e rispettoso, non mancava di senso dell’ironia e aveva trovato il giusto mezzo tra autorità e permissività: un soldato perfetto prima, e un capitano perfetto poi.  

Come molti altri cloni, per riacquistare almeno un briciolo dell’individualità della quale erano stati negati ancora prima di aprire gli occhi la prima volta aveva tinto i capelli: i suoi erano blu elettrico, e davano in un curioso contrasto con la carnagione mora e molto abbronzata.

‹‹Perfettamente,›› rispose Anakin, sperando che le occhiaie e il colorito non lo tradissero.

‹‹Noi della 501a la stavamo aspettando tutti,›› continuò Dodd. ‹‹La sua leggenda la precede, generale. I nuovi ragazzi sono molto orgogliosi.››

Leggenda. Anakin ebbe un brivido, e poi si sentì sciogliere in una pozza di tiepida soddisfazione. La 501a Legione, il suo braccio militare, era orgogliosa di averlo come generale. Di nuovo insieme, erano pronti a combattere spalla a spalla, e Anakin non avrebbe mai tradito la loro fiducia, come loro non avrebbero mai fatto con la sua.

Sapeva un po’ di vecchi tempi, tutto ciò. Di tempi meno complicati, in cui lui era un eroe per tutta la Galassia, un eroe per se stesso e anche un eroe per Padmé.

Anakin non era cieco, né stupido: aveva visto chiaramente come Padmé disapprovasse della sua missione al settore di Atrivis. In generale, come disapprovasse totalmente di tutte le missioni e di tutti gli incarichi che l’imperatore gli aveva e gli avrebbe mai affidato: era chiaro che il lavoro di Anakin la disgustava.

Eppure, ed era un pensiero assai soddisfacente, Anakin era adesso quasi convinto di non essere più lui l’oggetto del disgusto di sua moglie. I giorni bui dopo il suo ritorno da Mustafar sembravano lontani. Padmé, quelle ultime settimane su Naboo, lo aveva guardato con quell’espressione indefinibile che Anakin non aveva visto per settimane e la cui assenza lo aveva tormentato; ed era stata dolce e attenta e le notti era sempre stata lei a…

Notando con disappunto di aver di nuovo ceduto, Anakin si riscosse e si obbligò a ritornare sulla nave, ai comandi, di fronte a Dodd, che lo guardava con un’espressione leggermente allarmata.‹‹Io, uh, li incontrerò personalmente più tardi. Sarà un piacere per me. Ma prima dobbiamo sbrigarci questa faccenda. Non mi piace, credimi.››

‹‹Brutta, sì,›› commentò Dodd con tono solenne.

Anakin si passò una mano tra i capelli. Stavano diventando un po’ troppo lunghi. Se avesse continuato a farli crescere, da Padmé sarebbe ritornato simile ad un Wookiee. Padmé. Di nuovo. Astronave. Dodd. ‹‹Cattivo governo e cattiva situazione. Vanno sempre mano nella mano, eh?››

La situazione era, riassunta in breve, la seguente.

A meno di ventiquattro ore dalla dichiarazione dell’Impero in Senato da parte dell’allora Cancelliere Palpatine, Mantooine, pianeta storicamente di velleità indipendentiste, aveva sfruttato l’occasione per dichiararsi indipendente dalla Repubblica prima e dall’Impero poi.

Così facendo, il governo di Mantooine rispondeva ad un’esigenza sentita dalla stragrande maggioranza della sua popolazione, che chiedeva ormai da secoli, se non millenni, l’indipendenza da un gigante ritenuto a tutti gli effetti alieno.

La decisione epica era stata presa dall’Assemblea delle Nazioni di Mantooine (l’equivalente topico del Senato Planetario, istituzione statisticamente più frequente attraverso la Galassia) assieme alla Dieta della Reggenza e al Reggente di Mantooine, durante un concilio durato un solo, febbrile giorno tenuto in una località oceanica del pianeta; era stato un giorno concitato in tutto il pianeta, caratterizzato da voci, fughe di notizia, dichiarazione e veloci smentite, finché non era circolata la notizia che sì, Mantooine nel settore di Atrivis aveva preso la palla al balzo e aveva preso la decisione più agognata ed importante della sua storia millenaria.

Immediatamente, una ‘missione diplomatica’, per quanto ampiamente armata, era stata inviata dall’Impero, in via quasi ufficiosa; arrivata solo una settimana dopo nel sistema di Mantooine a causa di un’imprevista implosione stellare in mezzo alla via che conduceva direttamente ad Atrivis, la magnanima missione aveva fallito nel cercare di far ritrattare il Reggente e l’Assemblea delle Nazioni: uno dei motivi potrebbe esser stato aver fatto una leva insistente sulla ‘non esigua popolazione di Mantooine contraria all’azione dei suoi governanti’, quando, del miliardo di abitanti di Mantooine, ben l’ottantacinque percento si dichiarava fermamente convinto delle azioni prese dai suoi rappresentanti. La schiacciante maggioranza registrata era quasi entrata nella leggenda. 

Nelle due settimane successive, anche altri pianeti e sistemi, nel settore di Atrivis e contigui, si erano uniti al sentimento indipendentista espresso per la prima volta da Mantooine, nel quale vedevano echi e richiami chiarissimi dei loro propri desideri di indipendenza da un organo, Repubblica o Impero che fosse, che non aveva procurato loro altro che danni, diretti o indiretti. Tra i vari gemellaggi e fratellanze armate formatisi tra sistemi, si potevano ricordare Sestooine, che aveva risposto immediatamente all’appello in virtù di origini comuni con Mantooine, e anche Iridium e Generis e perfino settori interi come quello di Horuz. 

Nei pianeti in cui la maggioranza era meno schiacciante dell’eccezionale Mantooine, le controversie politiche, a livello non solo planetario, ma anche nazionale e locale, minacciarono di far piombare interi pianeti nell’anarchia totale; molti, temendo un’improvvisa rappresaglia, avevano deciso di emigrare su due piedi sui pianeti che ora con ancora più forza riaffermavano la loro comunione con l’Impero; altri, confondendo l’inattività e le magnanime misure adottate dall’imperatore riguardo ‘la questione di Mantooine’ (questione che, peraltro, aveva fatto scarsamente il giro della Galassia), avevano deciso di prendere provvedimenti anche più estremisti, e un paio di tali pianeti, scarsamente popolati, avevano addirittura proclamato l’anarchia e instaurato un governo fantoccio che lasciasse  fare al brulicante movimento indipendentista.

I motivi di tanta rivoluzione erano semplici e alla base delle più grandi rivoluzioni della Storia, nella Galassia e probabilmente anche fuori: l’insoddisfazione popolare di culture sottomesse da millenni a poteri giganteschi ed esigenti ma anche lontani ed intransigenti, ai quali avevano sempre dato tributi e per la quale avevano sempre perso uomini, senza mai averne mai beneficiato in maniera congrua. Era quindi importante notare che la rivoluzione non nasceva contro l’impero in sé, animata da eroico spirito repubblicano, ma in realtà proprio contro la Repubblica defunta.

L’agitazione era culminata quando il governatore imperiale (o moff, come venivano adesso chiamati) posto dall’allora Cancelliere Palpatine nel settore di Atrivis, il comandante Willer Ardia, con base a Montooine, era stato obbligato – in maniera più o meno forzosa – a ritornare a Coruscant e portare ambascerie all’imperatore. Anakin aveva un ottimo motivo per ricordarsi di tale avvenimento: l’arrivo di Ardia al Palazzo Imperiale era accaduto proprio mentre lui e l’imperatore discutevano della nascita dei gemelli, due giorni dopo il lieto evento.

Scacciato da Atrivis il moff Ardia, un primo battaglione era arrivato sul pianeta a condurre negoziazioni meno ipocritamente pacifiche delle precedenti; Mantooine, dopo il secondo fallimento diplomatico, era stata finalmente messa sotto assedio dalle truppe imperiali e il Reggente era stato catturato.

Indubbiamente, da parte dell’imperatore c’era stato il tentativo di non ricorrere alla violenza come primo metodo per tamponare la ribellione; non per scrupolo morale, ma per evitare di rovinare la facciata che l’Impero stava cercando di costruire per se stesso: la facciata di incrollabile propugnatore della pace. Una volta infatti che i cittadini della Galassia avessero assimilato alla perfezione la somministrazione imperiale, sarebbe stato facile giocare con l’opinione pubblica e farla oscillare secondo i voleri del potere centrale.

L’assedio di Mantooine non aveva però fatto smettere le agitazioni nei pianeti e nei sistemi che si erano affiliati alla Federazione di Mantooine, come avevano scelto di chiamarsi; il Reggente di Mantooine, il barone Morst Drav’ok, era diventato una specie di eroe anche nei pianeti lontani. Tutti, ovviamente, stavano sottovalutando il potere distruttivo che l’amministrazione di Coruscant era pronta a scatenare sulle loro teste.

Cinque giorni dopo era arrivata, senza quelle che si potrebbero definire giustificazioni appropriata, l’improvviso aumento tributario sulle spalle di molti settori (a dire il vero, la maggior parte) del Bordo Esterno, esasperando ulteriormente – si potrebbe sospettare anche intenzionalmente – le tensioni ad Atrivis e vicinanze. Lo scopo, malcelato, era iniziare a rimpolpare le casse di una Repubblica-poi-Impero quasi in bancarotta a causa della costosissima guerra; i pochi che seppero dell’aumento fiscale nei Mondi del Nucleo e nei Mondi del Bordo Centrale che avevano saputo dell’azione tributaria avevano alzato uno, o forse anche due, scettici sopraccigli. 

La situazione era esplosa totalmente quando erano entrati in azione anche gli eserciti degli altri pianeti, in aiuto a Mantooine e alla Federazione. A quel punto, era stata guerra. Dagli uffici degli alti politici dei pianeti, la battaglia si trasformò in un vero e proprio scontro armato, che aveva messo in subbuglio l’intero, fragilissimo equilibrio.
 

Erano scoppiate le violenze. Tutte le capitali planetarie vennero velocemente assediate, insediando stati militari. Finalmente, paura e sofferenza regnavano mentre i numeri dei deceduti aumentavano.

La notizia finalmente fece in maniera più consistente il giro degli outlet di notizie della Galassia; tuttavia, l’Holonet, maggiore fonte di notizie per la maggior parte dei cittadini imperiali, venne setacciata e ampiamente filtrata, così che della Ribellione di Mantooine non uscì che una versione molto diluita e tinta di generosi sottotoni filoimperiali.

Fu firmato un velocissimo armistizio per far respirare le popolazioni: la sua validità fu di giusto dieci giorni, perché poi il Reggente evase.

Era stata un’azione che lasciava tutti ancora molto perplessi. Per recuperare il capo della Federazione di Mantooine, fu fatta esplodere deliberatamente un’intera ala del Palazzo della Reggenza di Mantooine, una deflagrazione immane che costò la vita a decine di cloni nel giro di un secondo. Quindi, un piccolo velivolo non meglio identificato, aveva sfruttato la confusione generale per far imbarcare il Reggente e scortarlo via. Almeno, questa era la versione più probabile dei fatti. 

Le violenze ricominciarono. Legioni di droidi e di cloni sparse come biglie in tutti i pianeti della Federazione combattevano contro gli eserciti planetari, spronati dai politici nascosti del luogo. L’agitazione escalò in maniera insensata: in meno di due mesi completi, la guerra era scoppiata nel Bordo Esterno.

Da entrambi gli schieramenti si registrarono vittorie preliminari, ma i cloni avevano iniziato ad avere la meglio più e più mentre le energie e le munizioni dei ribelli andavano finendo, così come la loro incrollabile fiducia che il Reggente sarebbe riapparso per guidare il movimento, capopopolo vittorioso anche in caso di sconfitta (perché di sconfitta si sarebbe trattata).

Il generale Anakin Skywalker era giusto arrivato a Mantooine quando una nave cercò di lasciare il pianeta dal suo polo meridionale e venne scorta da una delle fregate imperiali di guardia. Dopo una completa perquisizione, il Reggente era stato trovato, compostamente in attesa nella sua camera e circondato dalle sue guardie del corpo.

Preso e portato su Atrivis per la sua detenzione, e fattegli esaminare le dichiarazioni di pace dell’imperatore, Anakin era arrivato con la delega imperiale, con lo scopo di riprovare a mettere sotto controllo le violenze e costringere Drav’ok e la sua Federazione a posare immediatamente le armi e accettare le pesanti condizioni di pace imperiali. Le sanzioni di guerre profilate erano già piuttosto appetibili: si parlava di quantità inestimabili di risorse, facilmente estraibili dai suoli ricchi e dalle braccia operose degli abitanti di quei luoghi. 

Ora Anakin era su una fregata in direzione della base imperiale sul pianeta di Atrivis, che fin dall’inizio si era dichiarato imperiale, e dove avrebbe dovuto condurre questo ultimo tentativo diplomatico. Almeno sulla carta. Anakin non era un diplomatico, e nessuno si aspettava davvero che lo fosse. Il suo compito, Anakin lo sapeva, non era altro che dichiarare la condanna di Drav’ok, per, ufficialmente, le morti e la distruzione sociale che aveva causato in tanti pianeti e tanti cuori di leali cittadini dell’impero.

 

Le strade della capitale di Atrivis erano deserte.

Il pianeta era uno dei più importanti del settore omonimo, e capitale economica; la capitale amministrativa si trovava su Mantooine, che in quel momento era saldamente in mano alle legioni imperiali.

In realtà, un po’ come in quasi tutti i pianeti a vocazione agricola del Bordo Esterno, Atrivis non aveva una capitale piena di bei palazzi da sfoggiare. L’impressione che dava, invece, era una di grande efficienza, come se non fossero stati sprecati una pietra o un bullone in più del necessario.

Era curiosa, perché a differenza della maggior parte dei pianeti della Galassia, come anche la stessa Mantooine, Atrivis non era stata costruita per ripide verticali, a grattare il cielo; invece, la capitale si allargava sul suo territorio  in orizzontale, con grandi palazzi dalle forme geometriche regolari e decisamente bassi in confronto a quelli che poteva sfoggiare anche un luogo dimenticato nel nulla come Iego.

Era molto ordinata ed efficiente, appunto, con questi edifici dai tetti bassi e piatti e i giardini pensili ad ingentilire quelli che altrimenti sarebbero sembrati degli ineleganti casermoni dalle finestre piccole (un’altra peculiarità di quel pianeta essenziale e pratico). I viali larghi tra i vari isolati erano popolati da alti alberi dalle foglie larghe e verdissime, perché su Atrivis capitale di Atrivis in quel momento c’era la più bella primavera.

Per i viali, a far compagnia agli alberi, non c’era nessuno. Non servivano grandi doti intuitive per capire che il supporto della popolazione di Atrivis all’impero era più nominale che reale: nessuno era venuto ad acclamare l’esercito imperiale mentre faceva la sua marcia in direzione del Reggente ribelle, ma anzi tutti ssembrava si fossero rifugiati nelle loro case a mantenere il silenzio.

Il grande viale centrale alberato conduceva su per una collina lasciata spoglia da altri edifici, sul quale sorgeva il Palazzo Amministrativo di Atrivis e, dietro di esso, la grande pista di atterraggio. Era lì che si dirigeva Anakin con la sua nave, perché era lì che il Reggente era rinchiuso in una cella. 

‹‹Posto tranquillo, uh,›› borbottò Dodd.

‹‹Anche troppo,›› commentò spassionatamente Anakin. ‹‹Cerchiamo di sbrigarci. Appena finiamo vi lascio la giornata libera. So che ne avete bisogno.››

Dodd sorrise. ‹‹Lei è gentile, ma non si preoccupi per noi, generale…staremo in piedi finché ce ne sarà il bisogno.››

Una volta sbarcati, venne loro incontro, accompagnato da vari droidi, il moff Ardia, vestito in una delle nuove casacche militari verde scuro disegnate per gli ufficiali dell’impero. Anakin si rifiutava di indossarle, preferendo mantenere le comode vesti che aveva sempre indossato. La sua decisione poteva essere più o meno influenzata dal commento sprezzante di Padmé riguardo la nuova moda imperiale.

Ardia era un uomo di media statura, dalla testa grande con piccoli occhi azzurri acquosi e baffetti rossi sul viso arrossato dal sole e tempestato di capillari esplosi e arrossati in superficie. Allungò la mano verso Anakin e la strinse con forza. ‹‹Generale Skywalker, benvenuto ad Atrivis.›› 

‹‹Purtroppo le condizioni non sono le migliori,›› disse Anakin.

‹‹Purtroppo. Vogliamo entrare?››

L’interno del Palazzo Amministrativo di Atrivis gli ricordava molto gli interni del Palazzo Imperiale di Coruscant, con quell’uso di colori intensi e cupi che davano all’atmosfera una certa aria ovattata. I loro passi venivano assorbiti totalmente dalla folta moquette sotto i piedi.

‹‹Non cede?›› chiese Anakin, mentre il moff lo conduceva alla stanza dove si sarebbero incontrati lui e il Reggente.

‹‹No.››

Il moff era un uomo di poche parole. 

In realtà nemmeno Anakin era troppo loquace.

‹‹È un tipo coriaceo,›› spiegò il moff.

‹‹Gli si deve riconoscere che ha coraggio.›› 

Il moff non sembrò gradire il commento; il suo sopraccigliò s’inarcò impercettibilmente. 

‹‹Non è questo il tipo giusto di coraggio. Pura temerarietà, in mia opinione, generale.››

Anakin annuì brusco. ‹‹E follia.››

Il moff gli indicò un portellone bianco.

‹‹Il Reggente è qui dentro. Si diverta.››

Anakin aveva un lavoro da fare. Si prese un istante per considerare la situazione e quello che doveva ottenere. Una nuova, fredda determinazione calò su di lui, a soppiantare l’apatica indifferenza con cui aveva affrontato l’intera missione. Era tutto quello di cui aveva bisogno: il distacco assoluto. Come gli aveva insegnato tanti anni prima il suo Maestro.

La stanza era piuttosto standard. Moquette bordeaux, due piccole finestre in alto sul muro opposto alla porta, un tavolo rotondo al centro, due droidi di guardia e lui, seduto con la schiena dritta e il mento alto.

Il barone Drav’ok era un uomo magro e presumibilmente alto, dalla carnagione olivastra e il viso incavato. I capelli corti erano grigi, e gli occhi brillavano nerissimi sugli zigomi alti. Il naso adunco mostrava immediatamente un po’ della personalità altera dell’uomo davanti a lui,  così come le finissime rughe che gli ricoprivano il viso, il collo e le mani lunghe e affusolate.

‹‹La stavo aspettando, generale Skywalker.››

‹‹Reggente Drav’ok.›› Anakin si sedette al tavolo di fronte all’uomo che, con le sue azioni, lo aveva trascinato via dalla sua famiglia. Il distacco che aveva raggiunto gli permetteva di considerare la situazione in maniera chiara; tuttavia gli occhi pungenti del barono lo inquietavano leggermente. Come se quell’uomo sapesse qualcosa del quale Anakin non era al corrente.

‹‹Ha fatto un buon viaggio fino a qui?›› chiese Drav’ok, e Anakin fu sorpreso di notare che il suo tono sembrava sincero. Non c’era traccia di ironia o di disprezzo nel suo tono, ma tutto sincero interesse. Era calmo, sereno: nella Forza Anakin non sentiva niente che non fosse il normale respiro vitale.

‹‹Ho due figli piccoli. Avrei preferito rimanere con loro.››

‹‹Ho sentito. Mi dispiace averla fatta scomodare.››

Aveva sentito? Che universo strano. La notizia della nascita dei suoi bambini doveva essere fuoriuscita…o forse aveva soltanto fatto due più due con il messaggio dell’imperatore al senato, due mesi prima, quando aveva svelato la sua relazione con Padmé.

Non era il momento per  considerare le possibilità.

Anakin fece spallucce. ‹‹È il mio lavoro.›› 

Che strano gioco che stavano giocando. Davanti a quell’uomo anziano, così diverso dall’immagine mentale che Anakin si era fatta, pur avendolo visto in un vago ologramma, Anakin non si sentiva così sicuro di se stesso. Per qualche motivo, aveva la gran voglia di ammirare quell’uomo. Dopotutto, Anakin era un guerriero, e il coraggio guerriero lo sapeva riconoscere ovunque, negli alleati come nei nemici.

‹‹Andiamo al sodo della questione.››

Il barone annuì. ‹‹La trovo un’ottima idea.›› 

‹‹Sono qui per chiederle di dichiarare immediatamente la cessazione di ogni ostilità da parte della Federazione della quale è a capo e l’accettazione delle condizioni imposte dal nostro imperatore, e in nome del quale sono venuto qui.››

Drav’ok sorrise e scosse la testa con gentilezza, come se avesse chiesto ad un vecchio nonno stanco di uscire a farsi una passeggiata. Il Reggente aveva decisamente un ascendente sulle persone, un carisma racchiuso negli occhi scuri: adesso Anakin capiva meglio come avesse potuto trainare gli spiriti di tanti. Quando parlò, tuttavia, l’irritazione di Anakin rimontò. ‹‹Non farò niente del genere, generale Skywalker. Mi dispiace dover riciclare con lei la risposta che ho usato per ufficiali ben meno famosi e qualificati, ma questa è.›› Piegò la testa un po’ di lato, come se aspettasse con pazienza la risposta di Anakin.

Anakin afferrò il foglio elettronico di flimsiplast tra di loro, sul quale erano stampigliati i dettagli del trattato.

‹‹Ascolti. Se lei firma in questo esatto momento questo documento, tutte le ostilità finiranno anche da parte dell’impero. Il suo popolo smetterà di morire…››

Il tono di Drav’ok fu convinto. ‹‹Il mio popolo preferirebbe che il suo rappresentante affrontasse le sue responsabilità a testa alta.››

Anakin scosse la testa.

Di nuovo un uomo innamorato di ideali. Nella sua vita Anakin adesso poteva dire di averne incontrati molti. E lui? Anakin era un uomo animato da ideali? C’era un’ideale per cui Anakin viveva, per il quale sarebbe stato capace di perdere la vita?

‹‹No, barone, le assicuro che il suo popolo preferirebbe continuare a vivere normalmente.››

‹‹Non sapevo conoscesse in tale profondità gli animi dei cittadini di Mantooine.››

Il gentile rimprovero fu come un buffetto sulla mano di un bimbo che mette la mano sulla torta per rubare un po’ di crema. La voce profonda del generale aveva una curiosa qualità, di essere allo stesso tempo gentile e ferma: non erano ammesse repliche.

Anakin sapeva che quell’ultimo tentativo diplomatico sarebbe finito male per il barone. Facevano tutti quella fine, gli idealisti.

Il barone continuò. ‹‹Non firmerò quel documento, generale Skywalker. E onestamente, non vedo quali sarebbero i vantaggi per il mio popolo. Quello che è delineato in quel trattato non è altro che la schiavitù a dei padroni lontani. Una schiavitù durata già troppo a lungo. Da questi parti siamo più orgogliosi di così.››

Anakin impugnò il trattato di pace e lo alzò in aria. ‹‹Mantooine non ha il lusso della scelta. Che lei firmi o meno questa carta, il risultato è sempre uno, cioè che l’impero vincerà e imporrà queste condizioni. Se lei firma, però, verranno risparmiate le vite di molti dei suoi cittadini. Sta a lei scegliere.››

Gli occhi del barone divennero fessure. ‹‹Le parlerò francamente. Non credo che la mia firma salverà una sola vita dei miei uomini. Conosco il vostro imperatore, conosco il vostro impero da prima che nascesse, e i miei sospetti sono stati solamente confermati. E non ho fiducia. Quello che voi volete da me è una resa e un’umiliazione, e in qualità di rappresentante di tutta Mantooine, non sono disposto a concedervi né l’una né l’altra.››

L’irritazione di Anakin aumentò ronzante. Non aveva più voglia di stare in quella stanza con quell’uomo. Perché non poteva semplicemente…schiacciarlo, o qualcosa del genere? Tanto sarebbe stata questa la sua fine. Anakin aveva sempre avuto il dono di prevedere gli eventi di qualche frazione di secondo – era il segreto dei suoi riflessi sovrumani – ma in questo caso poteva prevedere benissimo quello che sarebbe successo…a ore (giorni?) di distanza.

‹‹Lei sta correndo un brutto rischio, barone.››

Agitò una mano delicata a mezz’aria. ‹‹Non m’interessa quello che l’imperatore vuole farmi. Certe cose valgono più della vita.››

‹‹Il suo sarà un sacrificio inutile, Reggente. L’impero non si lascerà fermare dalle proteste di un gruppetto di sbandati in un settore del Bordo Esterno.››

‹‹Qualsiasi sacrificio compiuto per il proprio onore non è invano. Lei è un soldato, dovrebbe saperlo. Siamo uomini liberi, generale Skywalker, non è vero?››

Anakin si massaggiò gli occhi. ‹‹Reggente Drav’ok, glielo ripeto per l’ultima volta. Se lei firma questo documento, l’Impero si impegna a concludere tutte le ostilità, firmare una pace con tutti i pianeti che si sono ribellati e aiutare il riassorbimento dei danni economici che sono stati sostenuti dai pianeti ribelli. L’imperatore le ha fatto un’offerta generosa, che non verrà ripetuta tanto facilmente. La pace dipende solamente da lei. Se lei firma, non verranno presi ulteriori provvedimenti contro la sua persona.››

Era facile ripetere quel discorsetto.

Il barone sorrise quasi con bonarietà. ‹‹Generale Skywalker, io non firmerò. Il mio popolo, i cittadini di Mantooine, non vogliono che io lo faccia, e io non sono altro che un servo del mio popolo. Questa è la mia decisione, e ora faccia quello che deve fare.››

Forse se Padmé fosse stata lì…

Si alzò. ‹‹Si alzi, Reggente Drav’ok.››

Il barone obbedì senza cambiare espressione. Sembrava perfettamente a suo agio. Come Anakin aveva previsto, era molto alto, più alto di Anakin, ma aveva, in quella casacca grigia che gli stava un po’ larga, un’aria di grande fragilità. Il sangue gli lasciò il viso, perché rimase vagamente impallidito.

‹‹Vista la sua decisione, è mio compito dichiararla nemico dell’impero. La condanna per tale crimine,›› ripetè, manfrina che aveva imparato a memoria, ‹‹è la pena di morte, da essere eseguita al più presto. Ha diritto ad un…giusto processo. Ritratta le sue affermazioni?››

‹‹No.››

Anakin il giudice emanò la sua sentenza. Com’era assurdo annunciare la pena prima della possibilità del processo. ‹‹Così è deciso.››

Anakin fece un cenno ad uno dei droidi e quello si avvicinò per ammanettare il Reggente, che aveva allungato le mani docilmente.Alla luce della mattina che filtrava nella stanza, sembrava soltanto un vecchio.

Il droide lo prese e lo condusse via. Quando il barone fu vicino ad Anakin, dopo aver fatto il giro del tavolo rotondo, Anakin gli chiese la domanda che gli ronzava in testa fin dall’inizio. ‹‹Perché? Perché lo fa? Non sarebbe molto più semplice…?››

Il barone lo guardò quasi con compassione. ‹‹Ognuno è artefice del proprio destino, Skywalker.››

Lo disse con tale delicatezza che Anakin poteva esserselo anche sognato.

Il barone non si fermò oltre, ma quasi tirò lui il droide fuori dalla porta.

Anakin rimase solo nella stanza, a parte l’altro droide nell’angolo.

 E così era stato lui a sancire la prima condanna a morte dell’Impero Galattico. Per qualche motivo, non sentiva niente, in quella vasta voragine di freddo distacco che gli si era aperta nel petto e che non aveva intenzione di richiudersi.

La guerra ricominciava a fare vittime dentro di lui.

*

Anne Deveria: avermi offesa, ma figurati ^^ Scrivere è un piacere e ogni commento è più che bene accetto :D
Adesso, non per fare dell'apologia, ma cercherò di rispondere alle tue legittime 'accuse’ :)
 

1. Come ho già scritto in risposta ad un commento, quello che scrivo è il punto di vista di Obi-Wan. Io direi che è comprensibile che Obi-Wan non riconosca immediatamente dov'è stato il suo errore (peraltro abbastanza complesso). Concordo, Obi-Wan è molto meno perfetto di quello che crediamo – o almeno non è onnisciente lol
Riguardo l'intromissione di Obi-Wan ne 'La trappola dei Sith', come ho indicato nel prologo, non tengo conto dell'Universo Espanso (a parte qualche intrusione in campo di onomastica planetaria e oggettistica). Quindi ai fini di questa storia fa testo solamente 'La vendetta dei Sith', in cui Obi-Wan dice a Padmé di essere stato completamente cieco per il loro bene. Stessa cosa vale per il discorso della Forza Vivente e Unificante...sono cose solo menzionate nell'EU e non nel George-canon al quale mi attengo :)
2. Avrò scritto male la scena! :D Non era mia intenzione far trasparire solamente la gelosia, ma anche (e soprattutto) lo sconforto di Anakin che si sente totalmente rifiutato dalla donna per cui ha commesso i suoi terribili crimini. Quando farò dell'editing sistemerò il tiro!
3. Interpretazioni differenti suppongo. Per me, alla fine di ROTS, Anakin - per quanto io lo adori - è tutto fuorché l'eroe che una volta era stato; è tutta un'altra persona, Darth Vader. L'obiettivo con Anakin è mostrare come non sia lui quando c'è Vader...sono due personalità che non riescono a convivere insieme, il Sith e il (nolente) Jedi. Visto, interpretazioni differenti, ma magari riconciliabili! ^^ 

Spero la mia storia continui a piacerti!

 

  
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