N/A: Una nota
sul
pianeta di Mantooine. Qualche tempo fa ero alla ricerca di un pianeta
che
rispondesse ad alcuni requisiti, sul quale far accadere la prima
‘ribellione’
all’Impero. Mentre spulciavo l’enciclopedia
(cuswe.org), ho trovato questo
pianeta e ho visto che anche nell’Universo Espanso ha avuto
il ruolo di teatro
di ribellione anti-imperiale. La coincidenza mi è piaciuta e
Mantooine è stato,
ma non c’è nessun collegamento con gli eventi
narrati ne ‘The Rebel Alliance
Sourcebook’.
Buona lettura
:)
*
X.
Due settimane
dopo,
battlecruiser
classe Protector KZ-2111
Essere un
gran
generale dell’esercito aveva i suoi vantaggi.
Ad esempio,
la sua
camera era di gran lunga più elegante e comoda del resto
degli ambienti
all’interno della battlecruiser imperiale.
Non era certo
capace
di reggere il paragone con le elegantissime camere da letto delle quali
Anakin
era in possesso altrove, una nel nuovo appartamento di Coruscant, e
l’altra nella
Maison sur Le Lac di Naboo. Quelli erano luoghi raffinati, il
battlecruiser,
purtroppo, no. Ma Anakin era un guerriero, e non gli importava certo
del lusso
mentre s’avviava in territorio di guerra.
O di
quasi-guerra…o qualsiasi
cosa stesse succedendo nel settore di Atrivis.
Ad ogni modo,
la sua
camera era spaziosa, molto più spaziosa delle camerette
degli altri alti
ufficiali, e praticamente immensa se paragonata agli spazi ristretti in
cui i
cloni dovevano passare le loro notti senza sogni: in questa
c’era lo spazio
anche per una scrivania e una poltrona, ed era dotato di un ampio, ma
praticamente inutilizzato, armadio nel muro.
Le pareti di
laminato
erano rivestite da una pannellatura imbottita color crema, divisa in
quadrati
perfetti disposti sulla maggior parte della superficie dei quattro muri
della
camera (ad Anakin ricordavano vagamente le imbottiture delle celle dei
malati
nei centri di cura). Di fronte al letto c’era
un’ampia finestra sullo spazio
buio puntellato di stelle; altre volte si affacciava
sull’iperspazio dai
vorticanti colori alieni e bellissimi.
Il letto,
lenzuola
bianche e coperta blu, era comodo: e questa era la parte migliore
dell’intera
camera.
Non che
Anakin fosse
schizzinoso quando si trattava di dove dormire. Sarebbe stato capace di
dormire
ovunque, ed effettivamente si era addormentato ovunque: sui dorsi lisci
di
grossi sassi in riva ad un mare alieno, sulla sabbia (la peggiore
esperienza in
assoluto), per terra, su brandine di emergenza, sui materassini alti
giusto
centimetri del Tempio – ovunque.
Non era
quindi
imputabile ad una mancanza di comfort se non riusciva ad addormentarsi.
Con le mani
intrecciate dietro la schiena e gli occhi puntati sul soffitto grigio e
lucido
della sua stanza, Anakin faceva i conti con il fatto che, per la terza
notte di
fila, il sonno non arrivava a sollevarlo dalla pesante
realtà in cui stava
lentamente ripiombando dopo le brevi settimane di sogno passate a Naboo
con sua
moglie e i suoi bambini.
Si era
evidentemente
rammollito.
Un tempo,
allontanarsi da Padmé era un’azione odiata ma
eseguita senza ripensamenti. Faceva
decollare la sua nave, e Padmé rimaneva a terra e andava
bene così, perché
c’era una guerra, e in una guerra il dovere viene prima di
qualsiasi altra cosa:
era qualcosa che entrambi avevano accettato (e quando Anakin aveva
iniziato a
non accettarlo più, era stata Padmé a
ricordarglielo). Così, Anakin permetteva
a Padmé di diventare un pensiero, per quanto sempre
presente, di fondo: la contromelodia
tranquilla all’irruente cacofonia della guerra. Il sottofondo
tranquillo da cui
era bello farsi avvolgere quando le missioni si concludevano ed aveva
un attimo
per mandare un messaggio veloce a casa: ecco com’erano andate
le cose un tempo.
Adesso,
Padmé e i
bambini erano tutto quello a cui riusciva a pensare. Non
c’era letteralmente un
attimo in cui non li vedesse davanti ai suoi occhi, e tutto gli
ricordava e
parlava di loro: un esempio che lo aveva particolarmente straniato era
stato
scivolare accanto alla culla di Luke e dei suoi capelli chiarissimi
dopo aver
visto passare davanti a lui un clone dalla chioma platinata. Si era
ritrovato a
fissare un punto indistinto del muro, impalato in mezzo al corridoio e
ostruendo il traffico di legionari e di droidi di servizio: si era
riscosso
soltanto quando un ufficiale si era accertato che stesse bene.
La nostalgia
minacciava di divorarlo, la lontananza pareva già
insopportabile; non erano
nemmeno passati tre giorni interi da quando li aveva salutati per
l’ultima
volta per dirigersi a Coruscant, stringendoli forte al petto uno ad uno
e
cercando di far calmare una Leia inconsolabile. La povera bambina era
sembrata
assolutamente disperata. Guardando nei suoi occhi, Anakin aveva saputo
che i
suoi bambini non lo avrebbero dimenticato: nella Forza lo avrebbero
immediatamente riconosciuto, prima ancora di vederlo o sentirlo.
Se chiudeva
gli
occhi, sentiva sulle dita la pelle vellutata dei suoi bambini; nelle
sue mani
erano per sempre impresse le forme minuscole dei loro corpicini, nei
suoi occhi
c’erano sempre i loro visetti, le labbra e i nasini e gli
occhi così diversi
tra loro, e nel suo naso c’era il loro dolce odore di latte e
zucchero (quando
erano puliti, s’intende).
Aveva
pensato, prima
di partire, che forse allontanarsi non sarebbe stata la fine del mondo:
avrebbe
riposato dai ritmi notturni imprevedibili dei gemellini, dalla
confusione
continua, dalla tensione che ancora permaneva, in maniere profonde e
striscianti, tra lui e Padmé; Padmé, a sua volta,
avrebbe avuto tempo per
finalmente riflettere a fondo sulle azioni di Anakin e sui suoi ideali,
magari
con più tranquillità, non dovendo vederlo ogni
giorno – era in buone mani,
perché Dormé, Moteé ed Ellé
erano ritornate tutte e tre a Naboo dalla loro
signora, accompagnate da un confuso Trepio.
Si era
sbagliato.
E ogni volta
che i
suoi pensieri s’avventuravano nei ricordi della famigliola
che aveva lasciato
indietro, la vasta voragine all’interno del suo petto
s’allargava impietosa,
attirando tutti gli altri pensieri nella mente di Anakin (quelli
importanti, ad
esempio, quelli sulla missione su Mantooine) e inghiottendoli come un
buco
nero, finché Anakin non era costretto di nuovo a guardare e
a ricordare.
Della sua
famiglia
aveva sviluppato un bisogno fisico. Si sentiva esattamente come uno dei
tanti
sfortunati schiavi delle spezie illegali: gli mancava il fiato, gli
palpitava
il cuore, sudava freddo. Se ci pensava troppo, sentiva un vago dolore
al petto.
L’amore
fa male.
Per Anakin
Skywalker
era vero in più di un senso.
Due giorni
dopo,
Atrivis
‹‹Dormito
bene,
generale?›› chiese Dodd, capitano
dell’unità Tempesta all’interno della
501a
Legione, la legione comandata personalmente da Anakin.
Dodd era uno
dei
cloni basati sul template genetico di Jango Fett: come tutti gli altri
era
stato allevato e addestrato su Kamino, la fabbrica dei cloni. Si era
distinto
in battaglia, era diventato capitano, e il suo mestiere lo svolgeva
alla perfezione.
Era coraggioso, affidabile e rispettoso, non mancava di senso
dell’ironia e
aveva trovato il giusto mezzo tra autorità e
permissività: un soldato perfetto
prima, e un capitano perfetto poi.
Come molti
altri
cloni, per riacquistare almeno un briciolo
dell’individualità della quale erano
stati negati ancora prima di aprire gli occhi la prima volta aveva
tinto i
capelli: i suoi erano blu elettrico, e davano in un curioso contrasto
con la
carnagione mora e molto abbronzata.
‹‹Perfettamente,››
rispose Anakin, sperando che le occhiaie e il colorito non lo
tradissero.
‹‹Noi
della 501a
la stavamo aspettando tutti,››
continuò Dodd. ‹‹La sua leggenda la
precede,
generale. I nuovi ragazzi sono molto orgogliosi.››
Leggenda. Anakin ebbe
un brivido, e poi si sentì sciogliere in una
pozza di tiepida soddisfazione. La 501a Legione,
il suo braccio
militare, era orgogliosa di averlo come generale. Di nuovo insieme,
erano
pronti a combattere spalla a spalla, e Anakin non avrebbe mai tradito
la loro
fiducia, come loro non avrebbero mai fatto con la sua.
Sapeva un
po’ di
vecchi tempi, tutto ciò. Di tempi meno complicati, in cui
lui era un eroe per
tutta
Anakin non
era cieco,
né stupido: aveva visto chiaramente come Padmé
disapprovasse della sua missione
al settore di Atrivis. In generale, come disapprovasse totalmente di
tutte le
missioni e di tutti gli incarichi che l’imperatore gli aveva
e gli avrebbe mai
affidato: era chiaro che il lavoro di Anakin la disgustava.
Eppure, ed
era un
pensiero assai soddisfacente, Anakin era adesso quasi convinto di non
essere
più lui l’oggetto del disgusto di sua moglie. I
giorni bui dopo il suo ritorno
da Mustafar sembravano lontani. Padmé, quelle ultime
settimane su Naboo, lo
aveva guardato con quell’espressione indefinibile che Anakin
non aveva visto
per settimane e la cui assenza lo aveva tormentato; ed era stata dolce
e
attenta e le notti era sempre stata lei a…
Notando con
disappunto di aver di nuovo ceduto, Anakin si riscosse e si
obbligò a ritornare
sulla nave, ai comandi, di fronte a Dodd, che lo guardava con
un’espressione
leggermente allarmata.‹‹Io, uh, li
incontrerò personalmente più tardi.
Sarà un
piacere per me. Ma prima dobbiamo sbrigarci questa faccenda. Non mi
piace,
credimi.››
‹‹Brutta,
sì,››
commentò Dodd con tono solenne.
Anakin si
passò una
mano tra i capelli. Stavano diventando un po’ troppo lunghi.
Se avesse
continuato a farli crescere, da Padmé sarebbe ritornato
simile ad un Wookiee.
Padmé. Di nuovo. Astronave.
Dodd.
‹‹Cattivo governo e cattiva
situazione. Vanno sempre mano nella mano, eh?››
La situazione
era,
riassunta in breve, la seguente.
A meno di
ventiquattro ore dalla dichiarazione dell’Impero in Senato da
parte dell’allora
Cancelliere Palpatine, Mantooine, pianeta storicamente di
velleità indipendentiste,
aveva sfruttato l’occasione per dichiararsi indipendente
dalla Repubblica prima
e dall’Impero poi.
Così
facendo, il
governo di Mantooine rispondeva ad un’esigenza sentita dalla
stragrande
maggioranza della sua popolazione, che chiedeva ormai da secoli, se non
millenni, l’indipendenza da un gigante ritenuto a tutti gli
effetti alieno.
La decisione
epica
era stata presa dall’Assemblea delle Nazioni di Mantooine
(l’equivalente topico
del Senato Planetario, istituzione statisticamente più
frequente attraverso
Immediatamente,
una
‘missione diplomatica’, per quanto ampiamente
armata, era stata inviata
dall’Impero, in via quasi ufficiosa; arrivata solo una
settimana dopo nel
sistema di Mantooine a causa di un’imprevista implosione
stellare in mezzo alla
via che conduceva direttamente ad Atrivis, la magnanima missione aveva
fallito
nel cercare di far ritrattare il Reggente e l’Assemblea delle
Nazioni: uno dei
motivi potrebbe esser stato aver fatto una leva insistente sulla
‘non esigua
popolazione di Mantooine contraria all’azione dei suoi
governanti’, quando, del
miliardo di abitanti di Mantooine, ben l’ottantacinque
percento si dichiarava
fermamente convinto delle azioni prese dai suoi rappresentanti. La
schiacciante
maggioranza registrata era quasi entrata nella leggenda.
Nelle due
settimane
successive, anche altri pianeti e sistemi, nel settore di Atrivis e
contigui,
si erano uniti al sentimento indipendentista espresso per la prima
volta da
Mantooine, nel quale vedevano echi e richiami chiarissimi dei loro
propri
desideri di indipendenza da un organo, Repubblica o Impero che fosse,
che non
aveva procurato loro altro che danni, diretti o indiretti. Tra i vari
gemellaggi e fratellanze armate formatisi tra sistemi, si potevano
ricordare
Sestooine, che aveva risposto immediatamente all’appello in
virtù di origini
comuni con Mantooine, e anche Iridium e Generis e perfino settori
interi come
quello di Horuz.
Nei pianeti
in cui la
maggioranza era meno schiacciante dell’eccezionale Mantooine,
le controversie
politiche, a livello non solo planetario, ma anche nazionale e locale,
minacciarono di far piombare interi pianeti nell’anarchia
totale; molti,
temendo un’improvvisa rappresaglia, avevano deciso di
emigrare su due piedi sui
pianeti che ora con ancora più forza riaffermavano la loro
comunione con
l’Impero; altri, confondendo
l’inattività e le magnanime misure adottate
dall’imperatore riguardo ‘la questione di
Mantooine’ (questione che, peraltro,
aveva fatto scarsamente il giro della Galassia), avevano deciso di
prendere
provvedimenti anche più estremisti, e un paio di tali
pianeti, scarsamente
popolati, avevano addirittura proclamato l’anarchia e
instaurato un governo
fantoccio che lasciasse fare
al
brulicante movimento indipendentista.
I motivi di
tanta
rivoluzione erano semplici e alla base delle più grandi
rivoluzioni della
Storia, nella Galassia e probabilmente anche fuori:
l’insoddisfazione popolare
di culture sottomesse da millenni a poteri giganteschi ed esigenti ma
anche
lontani ed intransigenti, ai quali avevano sempre dato tributi e per la
quale
avevano sempre perso uomini, senza mai averne mai beneficiato in
maniera
congrua. Era quindi importante notare che la rivoluzione non nasceva
contro
l’impero in sé, animata da eroico spirito
repubblicano, ma in realtà proprio
contro
L’agitazione
era
culminata quando il governatore imperiale (o moff, come venivano adesso
chiamati) posto dall’allora Cancelliere Palpatine nel settore
di Atrivis, il
comandante Willer Ardia, con base a Montooine, era stato obbligato
– in maniera
più o meno forzosa – a ritornare a Coruscant e
portare ambascerie
all’imperatore. Anakin aveva un ottimo motivo per ricordarsi
di tale
avvenimento: l’arrivo di Ardia al Palazzo Imperiale era
accaduto proprio mentre
lui e l’imperatore discutevano della nascita dei gemelli, due
giorni dopo il
lieto evento.
Scacciato da
Atrivis
il moff Ardia, un primo battaglione era arrivato sul pianeta a condurre
negoziazioni meno ipocritamente pacifiche delle precedenti; Mantooine,
dopo il
secondo fallimento diplomatico, era stata finalmente messa sotto
assedio dalle
truppe imperiali e il Reggente era stato catturato.
Indubbiamente,
da
parte dell’imperatore c’era stato il tentativo di
non ricorrere alla violenza
come primo metodo per tamponare la ribellione; non per scrupolo morale,
ma per
evitare di rovinare la facciata che l’Impero stava cercando
di costruire per se
stesso: la facciata di incrollabile propugnatore della pace. Una volta
infatti
che i cittadini della Galassia avessero assimilato alla perfezione la
somministrazione imperiale, sarebbe stato facile giocare con
l’opinione
pubblica e farla oscillare secondo i voleri del potere centrale.
L’assedio
di
Mantooine non aveva però fatto smettere le agitazioni nei
pianeti e nei sistemi
che si erano affiliati alla Federazione di Mantooine, come avevano
scelto di
chiamarsi; il Reggente di Mantooine, il barone Morst Drav’ok,
era diventato una
specie di eroe anche nei pianeti lontani. Tutti, ovviamente, stavano
sottovalutando il potere distruttivo che l’amministrazione di
Coruscant era
pronta a scatenare sulle loro teste.
Cinque giorni
dopo
era arrivata, senza quelle che si potrebbero definire giustificazioni
appropriata, l’improvviso aumento tributario sulle spalle di
molti settori (a
dire il vero, la maggior parte) del Bordo Esterno, esasperando
ulteriormente –
si potrebbe sospettare anche intenzionalmente – le tensioni
ad Atrivis e
vicinanze. Lo scopo, malcelato, era iniziare a rimpolpare le casse di
una
Repubblica-poi-Impero quasi in bancarotta a causa della costosissima
guerra; i
pochi che seppero dell’aumento fiscale nei Mondi del Nucleo e
nei Mondi del
Bordo Centrale che avevano saputo dell’azione tributaria
avevano alzato uno, o
forse anche due, scettici sopraccigli.
La situazione
era
esplosa totalmente quando erano entrati in azione anche gli eserciti
degli
altri pianeti, in aiuto a Mantooine e alla Federazione. A quel punto,
era stata
guerra. Dagli uffici degli alti politici dei pianeti, la battaglia si
trasformò
in un vero e proprio scontro armato, che aveva messo in subbuglio
l’intero,
fragilissimo equilibrio.
Erano
scoppiate le
violenze. Tutte le capitali planetarie vennero velocemente assediate,
insediando stati militari. Finalmente, paura e sofferenza regnavano
mentre i
numeri dei deceduti aumentavano.
La notizia
finalmente
fece in maniera più consistente il giro degli outlet di
notizie della Galassia;
tuttavia, l’Holonet, maggiore fonte di notizie per la maggior
parte dei cittadini
imperiali, venne setacciata e ampiamente filtrata, così che
della Ribellione di
Mantooine non uscì che una versione molto diluita e tinta di
generosi sottotoni
filoimperiali.
Fu firmato un
velocissimo armistizio per far respirare le popolazioni: la sua
validità fu di
giusto dieci giorni, perché poi il Reggente evase.
Era stata
un’azione
che lasciava tutti ancora molto perplessi. Per recuperare il capo della
Federazione di Mantooine, fu fatta esplodere deliberatamente
un’intera ala del
Palazzo della Reggenza di Mantooine, una deflagrazione immane che
costò la vita
a decine di cloni nel giro di un secondo. Quindi, un piccolo velivolo
non
meglio identificato, aveva sfruttato la confusione generale per far
imbarcare
il Reggente e scortarlo via. Almeno, questa era la versione
più probabile dei
fatti.
Le violenze
ricominciarono. Legioni di droidi e di cloni sparse come biglie in
tutti i
pianeti della Federazione combattevano contro gli eserciti planetari,
spronati
dai politici nascosti del luogo. L’agitazione
escalò in maniera insensata: in
meno di due mesi completi, la guerra era scoppiata nel Bordo Esterno.
Da entrambi
gli
schieramenti si registrarono vittorie preliminari, ma i cloni avevano
iniziato
ad avere la meglio più e più mentre le energie e
le munizioni dei ribelli
andavano finendo, così come la loro incrollabile fiducia che
il Reggente
sarebbe riapparso per guidare il movimento, capopopolo vittorioso anche
in caso
di sconfitta (perché di sconfitta si sarebbe trattata).
Il generale
Anakin
Skywalker era giusto arrivato a Mantooine quando una nave
cercò di lasciare il
pianeta dal suo polo meridionale e venne scorta da una delle fregate
imperiali
di guardia. Dopo una completa perquisizione, il Reggente era stato
trovato,
compostamente in attesa nella sua camera e circondato dalle sue guardie
del
corpo.
Preso e
portato su
Atrivis per la sua detenzione, e fattegli esaminare le dichiarazioni di
pace
dell’imperatore, Anakin era arrivato con la delega imperiale,
con lo scopo di
riprovare a mettere sotto controllo le violenze e costringere
Drav’ok e la sua
Federazione a posare immediatamente le armi e accettare le pesanti
condizioni
di pace imperiali. Le sanzioni di guerre profilate erano già
piuttosto
appetibili: si parlava di quantità inestimabili di risorse,
facilmente
estraibili dai suoli ricchi e dalle braccia operose degli abitanti di
quei
luoghi.
Ora Anakin
era su una
fregata in direzione della base imperiale sul pianeta di Atrivis, che
fin
dall’inizio si era dichiarato imperiale, e dove avrebbe
dovuto condurre questo
ultimo tentativo diplomatico. Almeno sulla carta. Anakin non era un
diplomatico, e nessuno si aspettava davvero che lo fosse. Il suo
compito,
Anakin lo sapeva, non era altro che dichiarare la condanna di
Drav’ok, per,
ufficialmente, le morti e la distruzione sociale che aveva causato in
tanti
pianeti e tanti cuori di leali cittadini dell’impero.
Le strade
della
capitale di Atrivis erano deserte.
Il pianeta
era uno
dei più importanti del settore omonimo, e capitale
economica; la capitale
amministrativa si trovava su Mantooine, che in quel momento era
saldamente in
mano alle legioni imperiali.
In
realtà, un po’
come in quasi tutti i pianeti a vocazione agricola del Bordo Esterno,
Atrivis
non aveva una capitale piena di bei palazzi da sfoggiare.
L’impressione che
dava, invece, era una di grande efficienza, come se non fossero stati
sprecati
una pietra o un bullone in più del necessario.
Era curiosa,
perché a
differenza della maggior parte dei pianeti della Galassia, come anche
la stessa
Mantooine, Atrivis non era stata costruita per ripide verticali, a
grattare il
cielo; invece, la capitale si allargava sul suo territorio in orizzontale, con grandi
palazzi dalle
forme geometriche regolari e decisamente bassi in confronto a quelli
che poteva
sfoggiare anche un luogo dimenticato nel nulla come Iego.
Era molto
ordinata ed
efficiente, appunto, con questi edifici dai tetti bassi e piatti e i
giardini
pensili ad ingentilire quelli che altrimenti sarebbero sembrati degli
ineleganti casermoni dalle finestre piccole (un’altra
peculiarità di quel
pianeta essenziale e pratico). I viali larghi tra i vari isolati erano
popolati
da alti alberi dalle foglie larghe e verdissime, perché su
Atrivis capitale di
Atrivis in quel momento c’era la più bella
primavera.
Per i viali,
a far
compagnia agli alberi, non c’era nessuno. Non servivano
grandi doti intuitive
per capire che il supporto della popolazione di Atrivis
all’impero era più
nominale che reale: nessuno era venuto ad acclamare
l’esercito imperiale mentre
faceva la sua marcia in direzione del Reggente ribelle, ma anzi tutti
ssembrava
si fossero rifugiati nelle loro case a mantenere il silenzio.
Il grande
viale
centrale alberato conduceva su per una collina lasciata spoglia da
altri
edifici, sul quale sorgeva il Palazzo Amministrativo di Atrivis e,
dietro di
esso, la grande pista di atterraggio. Era lì che si dirigeva
Anakin con la sua
nave, perché era lì che il Reggente era rinchiuso
in una cella.
‹‹Posto
tranquillo,
uh,›› borbottò Dodd.
‹‹Anche
troppo,››
commentò spassionatamente Anakin.
‹‹Cerchiamo di sbrigarci. Appena finiamo vi
lascio la giornata libera. So che ne avete
bisogno.››
Dodd sorrise.
‹‹Lei è
gentile, ma non si preoccupi per noi, generale…staremo in
piedi finché ce ne
sarà il bisogno.››
Una volta
sbarcati,
venne loro incontro, accompagnato da vari droidi, il moff Ardia,
vestito in una
delle nuove casacche militari verde scuro disegnate per gli ufficiali
dell’impero. Anakin si rifiutava di indossarle, preferendo
mantenere le comode
vesti che aveva sempre indossato. La sua decisione poteva essere
più o meno
influenzata dal commento sprezzante di Padmé riguardo la
nuova moda imperiale.
Ardia era un
uomo di
media statura, dalla testa grande con piccoli occhi azzurri acquosi e
baffetti
rossi sul viso arrossato dal sole e tempestato di capillari esplosi e
arrossati
in superficie. Allungò la mano verso Anakin e la strinse con
forza. ‹‹Generale
Skywalker, benvenuto ad Atrivis.››
‹‹Purtroppo
le
condizioni non sono le migliori,›› disse Anakin.
‹‹Purtroppo.
Vogliamo
entrare?››
L’interno
del Palazzo
Amministrativo di Atrivis gli ricordava molto gli interni del Palazzo
Imperiale
di Coruscant, con quell’uso di colori intensi e cupi che
davano all’atmosfera
una certa aria ovattata. I loro passi venivano assorbiti totalmente
dalla folta
moquette sotto i piedi.
‹‹Non
cede?›› chiese
Anakin, mentre il moff lo conduceva alla stanza dove si sarebbero
incontrati
lui e il Reggente.
‹‹No.››
Il moff era
un uomo
di poche parole.
In
realtà nemmeno
Anakin era troppo loquace.
‹‹È
un tipo
coriaceo,›› spiegò il moff.
‹‹Gli
si deve
riconoscere che ha coraggio.››
Il moff non
sembrò
gradire il commento; il suo sopraccigliò
s’inarcò impercettibilmente.
‹‹Non
è questo il
tipo giusto di coraggio. Pura temerarietà, in mia opinione,
generale.››
Anakin
annuì brusco.
‹‹E follia.››
Il moff gli
indicò un
portellone bianco.
‹‹Il
Reggente è qui
dentro. Si diverta.››
Anakin aveva
un
lavoro da fare. Si prese un istante per considerare la situazione e
quello che
doveva ottenere. Una nuova, fredda determinazione calò su di
lui, a soppiantare
l’apatica indifferenza con cui aveva affrontato
l’intera missione. Era tutto
quello di cui aveva bisogno: il distacco assoluto. Come gli aveva
insegnato
tanti anni prima il suo Maestro.
La stanza era
piuttosto standard. Moquette bordeaux, due piccole finestre in alto sul
muro
opposto alla porta, un tavolo rotondo al centro, due droidi di guardia
e lui,
seduto con la schiena dritta e il mento alto.
Il barone
Drav’ok era
un uomo magro e presumibilmente alto, dalla carnagione olivastra e il
viso
incavato. I capelli corti erano grigi, e gli occhi brillavano nerissimi
sugli
zigomi alti. Il naso adunco mostrava immediatamente un po’
della personalità
altera dell’uomo davanti a lui,
così
come le finissime rughe che gli ricoprivano il viso, il collo e le mani
lunghe
e affusolate.
‹‹La
stavo
aspettando, generale Skywalker.››
‹‹Reggente
Drav’ok.››
Anakin si sedette al tavolo di fronte all’uomo che, con le
sue azioni, lo aveva
trascinato via dalla sua famiglia. Il distacco che aveva raggiunto gli
permetteva di considerare la situazione in maniera chiara; tuttavia gli
occhi
pungenti del barono lo inquietavano leggermente. Come se
quell’uomo sapesse
qualcosa del quale Anakin non era al corrente.
‹‹Ha
fatto un buon
viaggio fino a qui?›› chiese Drav’ok, e
Anakin fu sorpreso di notare che il suo
tono sembrava sincero. Non c’era traccia di ironia o di
disprezzo nel suo tono,
ma tutto sincero interesse. Era calmo, sereno: nella Forza Anakin non
sentiva niente
che non fosse il normale respiro vitale.
‹‹Ho
due figli
piccoli. Avrei preferito rimanere con loro.››
‹‹Ho
sentito. Mi
dispiace averla fatta scomodare.››
Aveva sentito? Che universo strano. La notizia
della nascita dei suoi bambini doveva essere fuoriuscita…o
forse aveva soltanto
fatto due più due con il messaggio dell’imperatore
al senato, due mesi prima,
quando aveva svelato la sua relazione con Padmé.
Non era il
momento
per considerare le
possibilità.
Anakin fece
spallucce. ‹‹È il mio
lavoro.››
Che strano
gioco che
stavano giocando. Davanti a quell’uomo anziano,
così diverso dall’immagine
mentale che Anakin si era fatta, pur avendolo visto in un vago
ologramma,
Anakin non si sentiva così sicuro di se stesso. Per qualche
motivo, aveva la
gran voglia di ammirare quell’uomo. Dopotutto, Anakin era un
guerriero, e il
coraggio guerriero lo sapeva riconoscere ovunque, negli alleati come
nei
nemici.
‹‹Andiamo
al sodo
della questione.››
Il barone
annuì. ‹‹La
trovo un’ottima idea.››
‹‹Sono
qui per chiederle
di dichiarare immediatamente la cessazione di ogni ostilità
da parte della Federazione
della quale è a capo e l’accettazione delle
condizioni imposte dal nostro
imperatore, e in nome del quale sono venuto qui.››
Drav’ok
sorrise e
scosse la testa con gentilezza, come se avesse chiesto ad un vecchio
nonno
stanco di uscire a farsi una passeggiata. Il Reggente aveva decisamente
un
ascendente sulle persone, un carisma racchiuso negli occhi scuri:
adesso Anakin
capiva meglio come avesse potuto trainare gli spiriti di tanti. Quando
parlò,
tuttavia, l’irritazione di Anakin rimontò.
‹‹Non farò niente del genere,
generale Skywalker. Mi dispiace dover riciclare con lei la risposta che
ho
usato per ufficiali ben meno famosi e qualificati, ma questa
è.›› Piegò la
testa un po’ di lato, come se aspettasse con pazienza la
risposta di Anakin.
Anakin
afferrò il
foglio elettronico di flimsiplast tra di loro, sul quale erano
stampigliati i
dettagli del trattato.
‹‹Ascolti. Se lei
firma in questo esatto momento questo documento, tutte le
ostilità finiranno
anche da parte dell’impero. Il suo popolo smetterà
di morire…››
Il tono di
Drav’ok fu
convinto. ‹‹Il mio popolo preferirebbe che il suo
rappresentante affrontasse le
sue responsabilità a testa alta.››
Anakin scosse
la
testa.
Di nuovo un
uomo innamorato
di ideali. Nella sua vita Anakin adesso poteva dire di averne
incontrati molti.
E lui? Anakin era un uomo animato da ideali? C’era
un’ideale per cui Anakin
viveva, per il quale sarebbe stato capace di perdere la vita?
‹‹No,
barone, le
assicuro che il suo popolo preferirebbe continuare a vivere
normalmente.››
‹‹Non
sapevo
conoscesse in tale profondità gli animi dei cittadini di
Mantooine.››
Il gentile
rimprovero
fu come un buffetto sulla mano di un bimbo che mette la mano sulla
torta per
rubare un po’ di crema. La voce profonda del generale aveva
una curiosa
qualità, di essere allo stesso tempo gentile e ferma: non
erano ammesse
repliche.
Anakin sapeva
che
quell’ultimo tentativo diplomatico sarebbe finito male per il
barone. Facevano
tutti quella fine, gli idealisti.
Il barone
continuò.
‹‹Non firmerò quel documento, generale
Skywalker. E onestamente, non vedo quali
sarebbero i vantaggi per il mio popolo. Quello che è
delineato in quel trattato
non è altro che la schiavitù a dei padroni
lontani. Una schiavitù durata già
troppo a lungo. Da questi parti siamo più orgogliosi di
così.››
Anakin
impugnò il trattato
di pace e lo alzò in aria. ‹‹Mantooine
non ha il lusso della scelta. Che lei
firmi o meno questa carta, il risultato è sempre uno,
cioè che l’impero vincerà
e imporrà queste
condizioni. Se lei
firma, però, verranno risparmiate le vite di molti dei suoi
cittadini. Sta a
lei scegliere.››
Gli occhi del
barone
divennero fessure. ‹‹Le parlerò
francamente. Non credo che la mia firma salverà
una sola vita dei miei uomini. Conosco il vostro imperatore, conosco il
vostro
impero da prima che nascesse, e i miei sospetti sono stati solamente
confermati.
E non ho fiducia. Quello che voi volete da me è una resa e
un’umiliazione, e in
qualità di rappresentante di tutta Mantooine, non sono
disposto a concedervi né
l’una né l’altra.››
L’irritazione
di
Anakin aumentò ronzante. Non aveva più voglia di
stare in quella stanza con quell’uomo.
Perché non poteva semplicemente…schiacciarlo,
o qualcosa del genere? Tanto sarebbe stata questa la sua fine. Anakin
aveva
sempre avuto il dono di prevedere gli eventi di qualche frazione di
secondo –
era il segreto dei suoi riflessi sovrumani – ma in questo
caso poteva prevedere
benissimo quello che sarebbe successo…a ore (giorni?) di
distanza.
‹‹Lei
sta correndo un
brutto rischio, barone.››
Agitò
una mano
delicata a mezz’aria. ‹‹Non
m’interessa quello che l’imperatore vuole farmi.
Certe cose valgono più della vita.››
‹‹Il
suo sarà un
sacrificio inutile, Reggente. L’impero non si
lascerà fermare dalle proteste di
un gruppetto di sbandati in un settore del Bordo
Esterno.››
‹‹Qualsiasi
sacrificio compiuto per il proprio onore non è invano. Lei
è un soldato,
dovrebbe saperlo. Siamo uomini liberi, generale Skywalker, non
è vero?››
Anakin si
massaggiò
gli occhi. ‹‹Reggente Drav’ok, glielo
ripeto per l’ultima volta. Se lei firma
questo documento, l’Impero si impegna a concludere tutte le
ostilità, firmare una
pace con tutti i pianeti che si sono ribellati e aiutare il
riassorbimento dei
danni economici che sono stati sostenuti dai pianeti ribelli.
L’imperatore le
ha fatto un’offerta generosa, che non verrà
ripetuta tanto facilmente. La pace
dipende solamente da lei. Se lei firma, non verranno presi ulteriori
provvedimenti
contro la sua persona.››
Era facile
ripetere
quel discorsetto.
Il barone
sorrise
quasi con bonarietà. ‹‹Generale
Skywalker, io non firmerò. Il mio popolo, i
cittadini di Mantooine, non vogliono che io lo faccia, e io non sono
altro che
un servo del mio popolo. Questa è la mia decisione, e ora
faccia quello che
deve fare.››
Forse se
Padmé fosse
stata lì…
Si
alzò. ‹‹Si alzi,
Reggente Drav’ok.››
Il barone
obbedì
senza cambiare espressione. Sembrava perfettamente a suo agio. Come
Anakin
aveva previsto, era molto alto, più alto di Anakin, ma
aveva, in quella casacca
grigia che gli stava un po’ larga, un’aria di
grande fragilità. Il sangue gli
lasciò il viso, perché rimase vagamente
impallidito.
‹‹Vista
la sua
decisione, è mio compito dichiararla nemico
dell’impero. La condanna per tale
crimine,›› ripetè, manfrina che aveva
imparato a memoria, ‹‹è la pena di
morte,
da essere eseguita al più presto. Ha diritto ad
un…giusto processo. Ritratta le
sue affermazioni?››
‹‹No.››
Anakin il
giudice
emanò la sua sentenza. Com’era assurdo annunciare
la pena prima della
possibilità del processo.
‹‹Così è
deciso.››
Anakin fece
un cenno
ad uno dei droidi e quello si avvicinò per ammanettare il
Reggente, che aveva
allungato le mani docilmente.Alla luce della mattina che filtrava nella
stanza,
sembrava soltanto un vecchio.
Il droide lo
prese e
lo condusse via. Quando il barone fu vicino ad Anakin, dopo aver fatto
il giro
del tavolo rotondo, Anakin gli chiese la domanda che gli ronzava in
testa fin
dall’inizio. ‹‹Perché?
Perché lo fa? Non sarebbe molto più
semplice…?››
Il barone lo
guardò
quasi con compassione. ‹‹Ognuno è
artefice del proprio destino, Skywalker.››
Lo disse con
tale
delicatezza che Anakin poteva esserselo anche sognato.
Il barone non
si
fermò oltre, ma quasi tirò lui il droide fuori
dalla porta.
Anakin rimase
solo
nella stanza, a parte l’altro droide nell’angolo.
La guerra ricominciava a fare vittime dentro di lui.
*
Anne Deveria: avermi
offesa, ma figurati ^^ Scrivere è un piacere e
ogni commento è più che bene accetto :D
Adesso, non per fare
dell'apologia, ma cercherò di rispondere alle tue legittime
'accuse’ :)
1. Come ho già scritto
in risposta ad un commento, quello che scrivo è il punto di
vista di Obi-Wan. Io
direi che è comprensibile che Obi-Wan non riconosca
immediatamente dov'è stato
il suo errore (peraltro abbastanza complesso). Concordo, Obi-Wan
è molto meno
perfetto di quello che crediamo – o almeno non è
onnisciente lol
Riguardo
l'intromissione di Obi-Wan ne 'La trappola dei Sith', come ho indicato
nel
prologo, non tengo conto dell'Universo Espanso (a parte qualche
intrusione in
campo di onomastica planetaria e oggettistica). Quindi ai fini di
questa storia
fa testo solamente 'La vendetta dei Sith', in cui Obi-Wan dice a
Padmé di
essere stato completamente cieco per il loro bene. Stessa cosa vale per
il
discorso della Forza Vivente e Unificante...sono cose solo menzionate
nell'EU e
non nel George-canon al quale mi attengo :)
2. Avrò scritto male
la scena! :D Non era mia intenzione far trasparire solamente la
gelosia, ma
anche (e soprattutto) lo sconforto di Anakin che si sente totalmente
rifiutato
dalla donna per cui ha commesso i suoi terribili crimini. Quando
farò
dell'editing sistemerò il tiro!
3. Interpretazioni
differenti suppongo. Per me, alla fine di ROTS, Anakin - per quanto io
lo adori
- è tutto fuorché l'eroe che una volta era stato;
è tutta un'altra persona,
Darth Vader. L'obiettivo con Anakin è mostrare come non sia
lui quando c'è
Vader...sono due personalità che non riescono a convivere
insieme, il Sith e il
(nolente) Jedi. Visto, interpretazioni differenti, ma magari
riconciliabili! ^^
Spero la mia
storia
continui a piacerti!