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Autore: Bellis    11/05/2010    1 recensioni
Mycroft Holmes racconta un caso che vide protagonista il celebre congiunto diversi anni prima e dimostra che, nonostante gli anni passino, i fratelli maggiori rimangono sempre tali.
Genere: Avventura, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Lo so che il Mosaico di Pietra è ancora in sospeso (ci sto lavorando) e che ho un contest a cui dedicarmi (ed al quale parteciperò). Tuttavia, Madamigella Ispirazione è volubile e girovaga, ed io, giovane scrittrice, non posso che seguirne i passi da gitana. EccoTi dunque, caro Lettore, la prima parte di una fanfiction che penso non durerà che pochi capitoli. Spero che Ti riesca gradita!
Buona Lettura!



Le ombre di Whitley Bay

I - Un'attesa apparentemente infruttuosa


Il Diogenes Club era un luogo tranquillo e rispettabile, così come i soci che lo frequentavano. La loro silenziosa e discreta presenza non avrebbe infastidito il più esigente e nervoso anziano Lord, e la tenue luce, appositamente misurata per favorire una quieta e rilassante lettura, avrebbe conciliato anche il riposo di un insonne.

Tuttavia, Sherlock Holmes passeggiava in su e in giù lungo la Sala degli Estranei, gli occhi grigi annebbiati dalla profonda riflessione, i lineamenti del viso tesi e pallidi, le mani giunte dietro la schiena ed il bocchino della pipa spenta stretto tra i denti.

"Sherlock." intervenni, vagamente seccato, "Ti pregherei di sederti e calmarti."

Respinse la mia esortazione con un vago cenno della mano, proseguendo nel suo incessante andirivieni per qualche momento per poi appoggiarsi alla mensola del focolare, incapace di trasgredire completamente al mio saggio consiglio.

"E' assolutamente inaccettabile, Mycroft!" esclamò, il tono prossimo all'esasperazione, "L'ispettore Lestrade ha tutti gli elementi in mano, eppure..."

"... eppure non prenderà iniziative fino a domani mattina, quando il Giudice Lanning fornirà il mandato di arresto." conclusi in vece sua, "E' la legge, ragazzo mio. Non possiamo ignorarla, neppure a fin di bene."

Qualche minuto di benvenuto silenzio. La compostezza di mio fratello non nascondeva del tutto il disaccordo nei confronti della mia opinione, ed il suo sguardo glaciale mal celava lo sconcerto di fronte all'ottusità che troppo spesso gli emissari di Scotland Yard dimostravano.

"Ci deve essere qualcosa che possiamo fare." esclamò infine l'iperattivo giovanotto.

"Purtroppo, Holmes," rispose una terza voce leggermente soffusa d'amarezza, "Temo che il signor Mycroft abbia ragione. Fino a domani, non possiamo che attendere."

Sherlock considerò per alcuni momenti la figura del dottor Watson, seduto sul divano a poca distanza, quindi riprese a camminare, a passi più lenti, che scandivano all'unisono con la vetusta pendola posizionata nell'angolo della stanza i secondi che trascorrevano nella piovosa Londra.
Le gocce d'acqua picchiettavano sui vetri, miscelando acqua grigia all'alone giallastro che permaneva su ogni oggetto che si fosse trovato al di sotto della cupola di fermento e vapori industriali tipica del nostro secolo.

"Vecchio mio," borbottò a un certo punto il medico, "Traccerà un solco sul tappeto." lo ammonì gentilmente, con un vago sorriso.

Mi aspettavo una reazione severa che avrebbe immediatamente tacitato l'incauto Watson: invece mio fratello si fermò, fissò per qualche momento in viso all'altro uno sguardo penetrante, quindi abbassò lo sguardo e sedette in poltrona accanto a me, studiando distrattamente il fornello della pipa, la mente a miglia di distanza.

Impiegai un po' di tempo in una fruttuosa osservazione dell'ex soldato che era divenuto amico e collega del mio fastidiosamente attivo parente, e conclusi che, a giudicare dal comportamento tenuto da quest'ultimo nei suoi confronti e dall'impressione che io stesso ne avevo ricevuto, era probabilmente una persona degna di fiducia.

Intendevo rendere partecipe Sherlock della mia conclusione, in un modo o nell'altro. Mi voltai verso di lui: tra di noi, le parole erano state sempre pressochè superflue, e mi sarebbe stato facile comunicargli il concetto attraverso qualche semplice sguardo. Ma le sue iridi chiare erano fisse sul fuoco che ardeva nel caminetto, scoppiettante ed allegro, anche se questa gaiezza non si rifletteva nell'espressione cupa e fosca del mio congiunto.
Raramente lo avevo veduto così privo del distacco che era necessario nella sua professione: probabilmente a causa della brutalità e della malvagità dimostrata dall'assassino da lui identificato e localizzato, ma che si trovava ancora in libertà, nonostante le indagini e prove raccolte da mio fratello, a causa della lentezza del nostro seppur consolidato sistema giudiziario.

Repressi un sospiro, rendendomi conto che questo umore malsano lo avrebbe certo caratterizzato sino a mattina, e che buie ore attendevano sia me che - a maggior ragione - il suo coinquilino.

Tanto più che neppure il dottore sembrava tanto incline a lasciarsi andare a pensieri lieti, anzi, scrutava Sherlock con duplice - e indubbiamente genuina - preoccupazione: per quel caso dall'urgenza tanto pressante rimasto in sospeso, e per l'incipiente depressione del camerata.

Tutto ciò era troppo; faticosamente mi raddrizzai sulla sedia.

"Dottor Watson, non dubito che la sua conoscenza di mio fratello e della sua attuale attività sia molto approfondita," esordii, guadagnandomi un'occhiata interrogativa e d'avvertimento da parte di Sherlock - che prontamente ignorai. "Tuttavia, immagino che egli non le abbia mai parlato del primo caso in assoluto del quale si occupò personalmente."

Il medico mi guardò con evidente curiosità, "Confesso di non saperne nulla." spostò lo sguardo da me a Sherlock, esitando a chiederne di più e mostrando un riserbo tipico della sua categoria.

"In verità, affrontammo insieme quella strana serie di circostanze."

Watson era sempre più incuriosito, come notai con intima soddisfazione; era evidente come la propensione per la teatralità di mio fratello fosse appagata da quell'ottimo e silenzioso ascoltatore, un attento ed interessato apprendista, la platea ideale sia per il commediante che per l'acuto ragionatore.

"La vicenda ebbe luogo nel 1869, quando Sherlock era poco più di un ragazzo [1] ed io appena un uomo. Il nostro coinvolgimento non fu affatto intenzionale, eppure ci diede modo di esplorare profondamente e vedere in azione quelle facoltà deduttive sulle quali ora si basa il mestiere di mio fratello. Il suo contributo fu in effetti essenziale, ma quel suo intromettersi in questioni così tetre quasi gli costò la vita."

Feci una breve pausa.
"Penso, dottore, che troverebbe interessante sapere cosa accadde, e, pur pregandola di non riportare in alcuno dei suoi famosi inserti dello Strand il resoconto di questi eventi, ritengo sia giusto che lei sappia quale misura di oscurità potesse ottenebrare anche le dolci e soavi colline del Sussex meno di vent'anni fa."

Sul viso di Watson era cresciuta la serietà ed una certa misura di incredulo timore, al sentire il mio minaccioso preambolo. Tuttavia, protendendosi leggermente in avanti, annuì appena.
"Sarei onorato di udire la sua narrazione."

Scoccai uno sguardo d'intesa a mio fratello, ed egli lo ricambiò. Con un rapidissimo sorriso che solo Sherlock avrebbe saputo riconoscere ed interpretare nel modo giusto, rivolsi il viso austero verso il dottore, mi soffermai a raccogliere le idee, ed iniziai...


************************

[1] : Quindicenne, per la precisione. -- Torna SU

Note dell'Autrice
Uno dei miei soliti esperimenti letterari, per il quale chiedo perdono. A presto! Prevedo che durerà assai poco.


   
 
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