I Cavalieri – gli altri.
Ridevano
– eccome se ridevano,
così felici da sembrare ubriachi,
come se fossero stati ancora intorno a quella Tavola,
come se Camelot fosse improvvisamente tornata,
dopo una lunga, lunghissima assenza -.
Forse qualcuno nascondeva il riso sotto ai baffi
dandosi un'aria composta e indifferente
mentre gli occhi gli si facevano lucidi e il volto arrossava,
o improvvisava una smorfia ridicola -
labbra tese, palpebre sgranate -
per cercare di soffocarselo dentro
come un singhiozzo.
Qualcun'altro, invece, se la ghignava senza ritegno,
ed era già tanto che non si rotolasse per terra
colpendo coi pugni il pavimento, al colmo delle lacrime,
fino a farsi scoppiare la pancia.
Qualcuno, forse, ci sarebbe perfino morto -
e volentieri -
di quella risata così liberatoria.
Ridevano -
eccome se ridevano -
i vivi,
i morti,
gli sconfitti
– sorte che li accomunava tutti-,
gl'uccisi
e quelli che magnanimamente aveva risparmiato.
Assordati dalla sua leggenda, abbagliati dalla sua stella,
oh che piacere che provavano!.
E se qualcuno gli avesse fatto notare
che non erano un bello spettacolo, da vedere -
così ridotti non brillavano certo per cortesia -
vinto il primo momentaneo stupore
lo avrebbero guardato con aria compassionevole
e gli avrebbero detto
«Forse voi non lo sapete, ma la regina non lo ha nemmeno baciato
quando l'ha raggiunta per l'ultimo saluto»
e se non avesse riso, allora non ci avrebbero niente.
Poi, in ogni caso, avrebbero ricominciato -
ciascuno a suo modo, ma tutti così felici
come se Camelot fosse improvvisamente tornata
dopo una lunga, lunghissima assenza.
Ma senza il miglior cavaliere del mondo, questa volta.