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Autore: Meiko    15/11/2003    4 recensioni
L'ispirazione mi è venuta ascoltando "At the beginning", un pezzo molto bello, che è stato usato per il cartone di "Anastasia". Quando l'oscurità è attorno a te, hai solo due possibilità: conviverci, o impazzire. Lei ha scelto la prima, e da quel momento la sua vita ha preso quella piega. Poi...qualcosa risvegliò in lei la curiosità perduta. Un viso che non sarebbe mai riuscita a vedere...
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella casa...
Le sembrava così grande e spaziosa, le sembrava addirittura di perdersi, fra le tante stanze.
Però…ogni volta, la sua mente delineava una mappa da lei costruita con sapienza e pazienza, che ogni volta la portava alla sua destinazione.
Spesso Genzo restava stupito dalla veloce capacità di apprendimento e di memorizzazione di Yuko, che in quel momento si mise comoda sulla poltrona di fronte al ragazzo, sorridendo tranquilla, lasciandosi cullare da quell’atmosfera serena.
Era gia da un mese che abitava li, e tutto sembrava andare per il meglio, anche se…
Beh, a giudicare dai brontolii che si sentivano spesso dal piano di sopra, pareva che un orso si stesse lamentando!
In realtà, Genzo avrebbe preferito andare agli allentamenti, ma in qualche modo il suo medico e Yuko lo avevano convinto a restare a casa.
Yuko…
In qualche modo, pensare a quella ragazza lo faceva stare meglio, soprattutto ora che era li, con lui.
Ad Amburgo.
Ogni volta che la vedeva passare, scendere o salire, sedersi o alzarsi, gli prendeva la voglia di abbracciarla e di stringerla a se, e senza vergogna lo faceva, lasciando la ragazza sempre in uno stato di stupore, per poi lasciarsi coccolare da quelle braccia forti, sorridendo dolcemente. Anche quella sera, quando si alzò per salire in camera, l’aveva afferrata da dietro per la vita, trascinandolo verso il suo corpo atletico, muscoloso, dal sapore virile.
E lei aveva sorriso, accoccolandosi ancora di più, lasciando che anche le braccia tenesse per la vita, lei con le mani le accarezzava, mentre lui appoggiava il mento sui capelli di Yuko, che sorrise, per poi voltarsi.
-Tutto bene?-
-Si. E’ tutto…perfetto…-
Yuko sorrise, annuendo, lasciandosi affondare in quel petto coperto dalla felpa, mentre lui intrecciava le dita tra i capelli di lei, che alla luce soffusa delle lampade sembravano onde di oro colato, come un grande mare rilucente.
Restarono, così, in silenzio, fino a quando Genzo non la portò a sedersi sul divano, accanto a lui, trascinandola poi fino a sdraiarsi accanto a lui, occupando una minima parte di divano, dato che il grande fisico dell’atleta lo occupava tutto.
Ma a lei bastava, il braccio del portiere ancora legato alla sottile vita da vespa, mentre una mano giocava con i suoi capelli, lei che teneva gli occhi socchiusi, lasciando che la luce delle lampade semi-spente illuminassero come tante stelle luminose le sue iridi verdi.
-Perfetto?-
l’SGGK si limitò ad annuire, stringendola ancora un po’ a se.
-Si…tu sei qui, ad Amburgo…l’atmosfera…il silenzio…la tua presenza…
E’ tutto…perfetto…-
Yuko si limitò ad annuire, e questo bastò a far sospettare il portiere, per poi udire la voce soffusa della ragazza, che parlava, mormorando timida.
-Sarebbe tutto perfetto…se al mio posto ci sarebbe una ragazza che ti ammirasse guardandoti…-
-Non dire così, perché non è vero-
Genzo sentì un impeto di rabbia: accidenti, certe volte quella ragazza era così cinica nei confronti della sua cataratta, quasi non accorgendosi che si faceva del male a se stessa!
Yuko si voltò con lentezza, aprendo gli occhi, e guardando convinta e forse infastidita Genzo, che restò colpito profondamente dall’infinito di quelle iridi verdi, che apparivano come prati verdi di grandi praterie, bagnate dalla pioggia, illuminate dalla luce di un sole al tramonto.
Yuko parlò con voce più tremolante, quasi fosse sull’orlo di un pianto.
-Dimmi la verità, Genzo Wakabayashi: tu preferiresti che io vedessi?-
il portiere rimase per qualche secondo senza fiatare, la domanda di Yuko era diretta ma, al tempo stesso, incapibile.
Era come…una supplica…una preghiera a rispondere di no…e di si allo stesso tempo.
Il portiere la guardò a lungo: quelle verdi prateria…che vedevano?
La fissava con attenzione, quella pallida macchia grigia, come una pozza d’acqua sporca.
Sospirò, mentre timidamente accarezzava la guancia di Yuko, che aspettava spaventata la risposta.
-Vuoi la verità? No-
Yuko sussultò.
-Cosa? P-Perché?-
Genzo chiuse per un attimo gli occhi, per poi abbracciarla e stringerla a se.
-Perché…perché non ti piacerebbe sapere cosa c’è oltre il buio, quel buio che in qualche modo si, ti nasconde la verità.
Ma…ti protegge.
Tu hai bisogno di protezione…
Ma…
Non lo so neanche io cosa voglio…
Perché, si, ammetto che mi piacerebbe al tempo stesso che tu vedessi…
Ma...ho paura…che il mondo che tu guarderai…ti spaventi…
E…e ti facesse scappare via da me…-
Yuko restò in silenzio, avvertendo quelle braccia stringerla a se, per poi muoversi, e aderire ancora di più a quel corpo.
Il mondo…
Voleva scoprire il mondo…
Non si ricordava quasi più niente, dopo anni da quando era stata colpita da quella malattia.
La sua curiosità e il suo desiderio di guardare il mondo erano stati repressi sotto risposte negative che non portavano a nessun barlume di speranza di famosi dottori.
Era come percorrere un corridoio fato di tante porte, che però si rivelavano sbarrate da pannelli di vetro e di plastica trasparente, che storpiavano in parte la realtà, e in parte la mostravano per quello che era.
Yuko si sentì di colpo stanca e debole, avvertiva la frustrazione prendere il sopravvento, e con lei la rabbia.
Cominciò a tremare, stupendo Genzo, che la guardò preoccupato, mentre lei tremava, furiosa.
-Perché…perché nessuno…nessuno mi dice che va bene così?
Tutti a sperare in qualche miracolo.
Io non posso vedere…
NON POSSO VEDERE!
SONO CIECA, CIECA, MALEDIZIONE!-
Aveva cominciato a gridare e a muoversi convulsamente, sbattendo con rabbia i pugni sul petto di Genzo, che la lasciò alzarsi, ma quel gesto di rabbia della ragazza non procurò a Yuko che una sonora caduta a terra, mentre lei continuava ad urlare che era cieca, che la speranza non sarebbe mai venuta da lei, che non c’era speranza.
C’era solo buio.
-Buio…-
Genzo si era alzato, e si era avvicinato spaventato alla ragazza, per poi tingere il suo viso di dolore, mentre la vedeva piangere, per la prima volta la vedeva piangere di dolore.
Non voleva vederla piangere, non doveva farla piangere.
L’aveva promesso a Taro.
Gentilmente, il portiere l’alzò e la portò verso di se, abbracciandola con gentilezza, lasciando che si sfogasse sul suo petto.
-Vedo solo buio…non voglio più vedere buio…
sono stanca…sono stanca…basta…basta…-
piangeva sommessamente, vergognandosi del suo comportamento, vergognandosi di essere abbracciata a Genzo.
Di sicuro, ora la credeva una pazza…
Perché aveva fatto così?
Perché non riusciva a capire che era inutile sperare?
Nonostante tutto, Yuko credeva ancora in una possibilità di riscattarsi.
Ma…ma come poteva tenere accesa quella fiammella?
Che sciocca…era una sciocca…
-Sono una sciocca-
-No, non lo sei-
Genzo l‘aveva stretta di più, stupendola, mentre lui la teneva a se con fare protettivo, come se davanti a lui ci fosse qualcuno che voleva farle del male.
-Tu speri, e io spero con te…
Tu puoi vedere, Yuko, se lo vuoi.
Se vuoi, domani stesso proveremo a vedere un oculista mio amico.
E ci proveremo ancora e ancora, per cento volte, se sarà necessario.
Ma questo posso farlo solo se tu lo vuoi…-
La ragazza non aveva fiatato, ma si era stretta di più a quel petto così grande, suo appiglio in quello che appariva come un burrone senza fondo, un limbo di paura e orrore, pieno di voci che parlavano, malelingue che le dicevano contro parole crudeli.
Un luogo dove non c’era luce.
Ma qualcuno l’aveva presa…un demone dal volto coperto da un berretto rosso, che però era caduto nel burrone, rivelando un bellissimo viso, che ora Yuko tastava di nuovo, Genzo la lasciava fare, prendendola tra le braccia, quando lei, alla fine, stanca, si tenne per il collo del portiere, che con fare affettuoso e protettivo la portò in camera.

Non era riuscito a dormire…
Ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva davanti a se l’immagine di una Yuko totalmente diversa da quella che vedeva ogni giorno sorridergli, abbracciarlo, baciarlo.
Era una Yuko disperata, racchiusa dentro una prigione fatta con sbarre di buio e oscurità, troppo forti da spezzare.
Lei teneva il viso coperto dalle sue mani, la sua pelle candida assumeva sfumature cadaveriche.
I capelli, ondulati, erano spettinati.
La si sentiva piangere.
E lui l’ ha chiamava, preoccupato, disperato.
Ed ogni volta.
La vedeva alzare lo sguardo, gli occhi non avevano altro che sclera bianca, e le sue lacrime erano fatte di sangue.
Ed ogni volta, lei gli gridava il nome, ed una frase che non avrebbe mai voluto sentire dalle labbra di colei che amava.
-TI ODIO!!-
Genzo spalancò anche quella volta gli occhi di scatto, tenendoli fissi, colmi di angosci, verso un punto impreciso nel buio della stanza, rischiarato solo dalla tenue luce di una pallida luna ovale, che sbucava a tratti dalle nuvole, chiazzando le tende candide e leggere che nascondevano quella finestra, solo uno spiraglio aperto, per fare entrare un po’ di luce e di aria.
Genzo restò immobile, ancora leggermente sconvolto, per poi chiudere gli occhi in un gesto colmo di sofferenza, mentre si girava, accanto a lui sentiva chiaramente il calore di Yuko, che sembrava dormire.
Sembrava…non si riusciva a capire…ciò che passava per la mente di quella ragazza…ciò che odiava…ciò che voleva…
No, quest’ultima affermazione era sbagliata, lui aveva capito cosa lei volesse.
Lei voleva vedere.
Aprire gli occhi, e vedere com’era fatto il mondo attorno a se, dalla più piccola foglia all’immensità del cielo.
Ma lui…lo voleva?
Con un gesto che aveva del possessivo, il ragazzo avvolse la vita sottile della ragazza con il suo braccio, portandola gentilmente verso il suo grande e forte corpo di atleta, l’altra mano s’intrecciò in quei capelli che sapevano di vaniglia e frutta secca.
Il suo autunno…
Il suo amato e triste autunno…
Avvertì Yuko muoversi, scostandosi leggermente da lui, le mani sottili e fredde si poggiavano sul petto quasi scolpito nel marmo, tanto era forte, che in quel momento pareva bruciare.
- Genzo?-
lui non rispondeva, restando in silenzio ad osservarla…ad ammirarla…
Così bella…così innocente….
Con quel suo sorriso carico di mistero, quel viso dolce, dai lineamenti europei, dai lunghi capelli castani dalle sfumature d’oro, e dagl’occhi verdi…velati dalla cecità…
Yuko non riusciva a capire perché, ma Genzo l’abbracciò di nuovo, il suo viso si ritrovò immerso in quel suo profumo di bagnoschiuma e virilità, un profondo quasi ipnotico.
E lei si accoccolò, come un gatto, come faceva Neko.
A proposito, chissà come stava?
Beh, ma ora, in quel momento, non era importante come stava Neko, anche perché Yuko era certa che stava bene.
Ora la sua preoccupazione era rivolta a Genzo, che la teneva ancora abbracciata a se, accarezzandole con dolcezza la schiena.
- Genzo, qualcosa non va?-
il ragazzo fissò il suo capo, baciandolo con tenerezza, tenendola ancora stretta a se, quasi avesse paura che scappasse.
-No, niente d’importante…-
-Sicuro?-
Yuko lo guardò, ora non sembrava più la donna che passava con lui ogni giorno.
Adesso…assomigliava ad una ragazza di sedici anni, che preoccupata guardava il suo fidanzato turbato, cercando di aiutarlo in qualche modo.
Dolce Yuko.
Genzo sorrise, e lasciò che Yuko tastasse quel sorriso, prima di baciarla sulla fronte.
-Va tutto bene, Yuko. Dormi…-
la ragazza obbedì con un sorriso rasserenato, accoccolandosi ancora un po’ di più tra quelle calde braccia, lasciandosi cullare dal respiro tranquillo di Genzo. Che sorrideva, cercando di smetter edi pensare, assaporando solo quel contatto…

Quando si era risvegliata, lui non c’era più, doveva essere sceso.
Velocemente, si preparò, ormai conosceva a memoria quella grande villa, e riusciva ad orientarsi con facilità.
Si lavò e vestì in fretta, legandosi i capelli in una coda bassa, lasciandosi scappare qualche ciuffo, per poi scendere rapidamente le scale di casa, contandole a memoria e stando attenta a non inciampare, mentre avvertiva la moquette morbida sotto i piedi scalzi.
Quel giorno era di buon umore, aveva voglia di fare una passeggiata con Genzo, quando lo udì ridere e chiacchierare con un’altra voce.
Era una voce un po’ più bassa, con un timbro di voce invecchiato, come del buon vino.
Silenziosamente, Yuko seguì la voce, alla ricerca della sua sorgente, fino ad incappare nella porta scorrevole chiusa del salotto, aperto solo un breve spiraglio, dove provenivano ancora le voci.
-Allora dottore?-
-Bene, Wakabayashi, posso confermare che la tua mano è guarita, e che ora puoi tornare a riprendere gli allenamenti regolarmente-
-Benissimo, la ringrazio-
-Sei contento?-
Genzo si voltò sorpreso, incrociando il sorriso sereno di Yuko, che entrò nel salotto educatamente, avvicinandosi alla poltrona di Genzo, che le afferrò una mano con quella guarita, lasciando che Yuko la tastasse, con un sorriso felice in volto.
Nel frattempo, il dottore l’aveva guardato sbalordito, e ancora la stava osservando, quel sorriso e quel viso non erano a lui sconosciuti.
-…Yuko Makoto…-
la ragazza si voltò, sentendosi chiamare, e udendo ancora quella voce, nella sua mente si delineavano le forme di un viso a lei familiare, ma avvolto dalla nebbia di ricordi confusi.
-Si? Chi è lei?-
-Ma come, piccola Yuko, ti sei dimenticata del signor Strass?-
la ragazza trattenne un grido di sorpresa, per poi abbracciare il medico, percorrendo velocemente il volto di un anziano uomo sulla settantina d’anni, che sorrideva malinconico.
-Signor Strass, che piacere rincontrarla-
-Anche per me è un piacere, piccola Yuko -
-Vi conoscete?-
Genzo guardò stupito Yuko, che gli prese la mano, annuendo dolcemente con il capo.
-Il signor Strass è stato il medico di mio padre, molto anni fa-
-Non sapevo che ora tu vivessi con Wakabayashi, Yuko -
lei arrossì lievemente, stringendo la mano di Genzo, il medico scambiò un occhiata complice con il ragazzo.
-Abbine cura, Genzo, è una ragazza preziosa-
passarono così la mattinata a chiacchierare, tra risate e momenti di silenzio, nei quali il signor Strass passava il tempo ad osservare la cataratta di Yuko, quando aveva conosciuta la ragazza quando era solo una bambina, la malattia era nata proprio in quel periodo, e il signor Strass si trovò coinvolto non solo come medico, ma anche come amico nei confronti di quella bambina, che ora si era fatta adulata, ma aveva ancora negl’occhi quella orribile patina che le impediva di poter vedere.
-Senti, Yuko…come va la tua cataratta?-
la domanda era venuta a bruciapelo, e la ragazza si trovò per un momento svantaggiata, per poi sorridere gentilmente e rispondere senza alcuna difficoltà.
-Ormai ci vivo, signor Strass, e non posso lamentarmi-
-Tua madre continua a cercare qualche bravo oculista?-
-Si, ora è in Canada, ma io non ci sono voluta andare-
Yuko avvertì di colpo un impulso irresistibile di chiedere una cosa al dottor Strass, ricordandosi di una frase che, quando da bambina aveva avuto la malattia, il vecchio aveva detto al padre.
Ma il signor Strass fu più veloce di lei.
-Io, come sai, conosco un ottimo chirurgo- oculista, che forse potrebbe aiutarti…-
Genzo aveva ascoltato senza fiatare, e con sorpresa scoprì questa informazione, prima d’ora il dottor Strass non glielo aveva mai detto.
Yuko si era fermata.
La…possibilità…di…vedere?
-Lei crede che potrebbe aiutare Yuko?-
Genzo aveva preso la ragazza per una mano, per poi abbracciarla da dietro, stringendola a se, quasi temesse che il dottore l’attaccasse.
Il signor Strass si accarezzò la pelata, ciuffi grigi erano ancora attaccati intorno alle orecchie, mentre i suoi occhi stanchi fissavano pensierosi quella che ora gli appariva tornar come la piccola Yuko che aveva conosciuto molti anni fa.
Il vecchio sorrise.
-Forse….ma non ne sono sicuro…si dovrebbero fare prima dei test-
Genzo stava per ribattere, ma sentì la voce di Yuko farsi più forte della sua, stupendolo.
-Facciamoli-

Vedere…
Tornare a vedere…
Riaprire gli occhi…spalancarli…
E poter vedere il cielo…
Un cielo che lei gli è sempre apparso grigio e nuvoloso, prossimo a piovere…
Poter vedere di nuovo i sorrisi di persone…il verde dei prati…
E vedere…quel viso…
Non più schizzo di disegno…ma certezza di pelle ed ossa…
Vedere…
Vedere…
Si…ma…se non gli sarebbe piaciuto quello che avrebbe visto?
Se…aprendo gli occhi…avrebbe visto qualcosa che l’avrebbe spaventata?
Non avrebbe più potuto rifugiarsi nella sua oscurità, nel buio del suo essere…
Paura…aveva tanta paura…
Cosa doveva fare…cosa?

L’oculista controllò la cartellina rigida che teneva tra le mani, mentre con la coda dell’occhio lanciava uno sguardo alla coppia, il ragazzo stringeva con fare protettivo la mano della ragazza, che fissava un punto vuoto, sembrava nervosa, anche se manteneva quel sorriso dolce.
Il dottore guardò le varie scartoffie piene di numeri e dati all’apparenza indecifrabili, prima di voltarsi verso i due, sorridendo.
-Allora…secondo i dati del test, la sua cataratta appare molto profonda. Tuttavia, è possibile un’operazione chirurgica con la possibilità di successo del 50%-
per Genzo e per Yuko quel numero appari enorme, eppure al tempo stesso traballante, come fatto di un enorme pila di carte, al minimo cenno di vento rischiavano di cadere giu.
50%…
Yuko avvertì la testa pesargli, mentre Genzo si voltava a guardarla, tutto intorno a lei prendeva un’aria così confusa e intoccabile, come se si fosse alzata un muro di sapone, inconsistente ma presente.
50%…
Vuol dire che avrebbe potuto vedere, come avrebbe potuto perdere l’ultima speranza di vedere…
Dio, quel numero la metteva in crisi…
Ma non aveva tempo per pensarci.
-Purtroppo questa situazione è temporanea, nel senso che questa cataratta è ormai penetrata nell’occhio, e si rischia solo ad un peggioramento-(Avverto che non so’ nulla di medicina, non so se questo che ho scritto sia corretto! N.d.M.)
-Quanto tempo ho per decidere?-
l’oculista guardò fermamente la ragazza, anche se sapeva che lei non l’avrebbe potuto vedere.
-Molto poco, signorina. Io le consiglio di decidere adesso, sempre che questo non le metta agitazione-
due forze contrapposte stavano lottando.
Come due gladiatori romani in un arena.
Il suo cuore a metà.
Cosa fare? Cosa fare?

Genzo le strinse la mano, e Yuko socchiuse gli occhi.
Lui…le sarebbe sempre stata accanto…
Genzo…
Yuko sorrise, e aprì gli occhi in un gesto convinto.
-Dottore, a quando l’operazione?-

*

Si svegliò ancora assonnato, quella benedetta tenda era ancora semi aperta, e quel dannato raggio di sole lo colpiva precisamente in faccia.
Beh, almeno un buon giorno tranquillo, senza quella dannata sveglia che gli fracassava il cervello con il suo rumore assordante.
Ma cribbio, era Domenica!
L’unica Domenica libera che era riuscito a permettersi.
E lui voleva dormire, DORMIRE!
Uff!
Si girò, e di colpo si trovò di fronte agl’occhi uno spettacolo mozzafiato.
Lei era li, ancora addormentata, un braccio sotto la testa per cuscino, vestita di una maglietta più grande di lei di almeno tre misure, che la rendeva ancora più infantile, e…
Deliziosa.
I capelli ramati sparsi per il cuscino bianco, la posizione leggermente acciambellata come un felino.
Il suo piccolo micio.
Kojiro sorrise, intenerito, dimenticandosi tutte le bestemmie che avrebbe voluto gridare contro quella benedetta tenda, fermandosi ad ammirare quella creatura, un braccio sosteneva la testa, mentre l’altra mano sfiorava con un innata delicatezza quel viso addormentato, tinto di un sorriso sereno.
Anche se era da un mese che Neko stava con lui, ancora non si era abituato alla presenza di quel piccolo gattino li affianco.
Non l’avrebbe mai voluta svegliare, gli sarebbe piaciuto fermare il tempo, come in una fotografia da ammirare ogni volta che voleva.
Perché, dannazione, Neko c’era, ma lui no .
Gli allenamenti con la squadra lo tenevano sempre occupato, soprattutto la mattina, mentre le Domeniche doveva giocare.
Lei però lo seguiva sempre, dagli spalti più vicini dello stadio, a gridargli fino a quasi perdere la voce.
Per poi attenderlo fuori dallo spogliatoio, tornando a casa a braccetto, lasciandosi anche fotografare dai paparazzi, tanto di cosa dovevano vergognarsi?
Stavano insieme, e allora? Cosa c’era di così sconveniente?
Forse perché prima stava con una famosa giocatrice di softball…
Che stronzate!
Non amava Maki, gli era solo molto grato, questo era la verità.
Lo aveva capito quella notte, quando aveva stretto a se Neko, quando erano rimasti loro due abbracciati per tutta la notte, a coccolarsi…
Lui amava Neko. Quella era la verità.
Solo quella.
Sentì qualcosa muoversi sotto le lenzuola, e sorrise, mentre osservava due felini occhi verdi brillargli, e un sorriso felice e un po’ assonnato gli risplendeva quella mattinata un po’ grigia.
-Buon giorno-
- ‘Giorno-
Neko si stiracchio un po’ sotto le coperte, quella maglietta in realtà era una camicia a maniche lunghe di tre taglie più grande, bianca, che la rendeva ancora più deliziosa e innocente, appariva un’adolescente.
Beh, lei lo era, aveva diciassette anni.
Forse anche per questo i paparazzi facevano tanto baccano.
Ma Kojiro mica era pedofilo!
Scusa, c’era solo una differenza di tre anni, cosa c’era di strano?
UFF!
-Qualcosa non va Kojiro?-
il ragazzo scosse il capo, accarezzandogli la guancia con il dorso della mano, per poi avvicinarsi quel viso di bimba e scoccargli un bacino sul nasino, la ragazza lo arricciò insoddisfatta, mettendosi in ginocchio e baciando con gentilezza le labbra del ragazzo, per poi sorridere e andare sotto la doccia, stiracchiandosi ancora un po’.
Il ragazzo ammirò quella sottile figura coperta dall’intimo e da quella camicia che non riusciva a raggiungere le ginocchia, i capelli ramati spettinati formavano una specie di aureola birichina, e gli occhi verdi brillavano ancora un po’ assonnati, il suo movimento felino dei fianchi faceva impazzire il ragazzo, che si lasciò scappare un sorrisone beato, prima di uscire dal letto, aprendo le tende del tutto, lasciando che una vampata di sole lo colpisse direttamente in faccia e sulla pelle scura.
Sentì chiaramente lo scrosciare della doccia, e con uno sbadiglio e grattandosi il capo il ragazzo si spostò in cucina.
Bisogna dire che l’appartamento di Kojiro non era affatto male: quattro locali spaziosi, con vista sulla città, abbastanza sobrio ma con un tocco di eleganza che non faceva mai male.
E poi, con quella presenza femminile, sembrava essere diventato ancora più luminoso.
Il ragazzo, con fare distratto, accese la radio sul tavolo della cucina, lasciando che la radio mettesse un disco italiano, di un certo Nek .

Perchè mi piaci
in ogni modo
da ogni lato o prospettiva tu
perchè se manchi
stringe un nodo
e il respiro non mi ritorna più
perchè non chiedi mai perdono
ma se mi abbracci
non ti stancheresti mai
e poi sai fare
morire un uomo
con l'innocenza del pudore che non hai

Un po’ d’italiano Kojiro lo aveva imparato, e gli sembrò di sentire la descrizione perfetta di Neko.
Una deliziosa ragazza dai corti capelli ramati sbarazzini e occhi verdi felini birbanti, dal corpo sottile e flessuoso, dai movimenti felini, dall’aspetto innocente eppure al tempo stesso birichino.
In quel momento, la ragazza uscì dalla doccia, mettendosi dei jeans e una maglietta, un’ asciugamano ancora in testa, mentre si spostava dalla camera da letto in disordine alla cucina, osservando con una punta di malizia e d’imbarazzo la schiena nuda di Kojiro, che non accorgendosi di lei continuava a cucinare.
Quelle spalle così grandi, la schiena gli sembrava un enorme distesa scura.
Nonostante vivesse con lui gia da un mesetto e più, vederlo a torace nudo ogni mattina, quando si svegliava, gli faceva ancora quell’effetto d’imbarazzo.
Lo sapeva che era un po’ sciocca, ma non ci poteva fare niente.
Neko sorrise birichina, camminando con passo felpato, i piedi nudi toccavano il pavimento gelato, mentre l’asciugamano dalla testa si spostava sulle spalle.
Con un balzo, la ragazza afferrò Kojiro dietro, coprendogli per un secondo gli occhi, per poi dargli un bacino dietro la schiena.
Lui sorrise, divertito, lasciando fare la ragazzina, mentre la canzone continuava ad andare.

sei solo tu
nei giorni miei
sempre più
dentro me
sei solo tu
e dimmi che sono questo ora anch’io per te

Kojiro afferrò dolcemente per la vita la ragazza, che si mise di fronte a lui, aiutandolo nel preparare la colazione, chiacchierando senza pensieri.
-Oggi sei libero, che vuoi fare?-
-Pensavo di restare ad oziare qui a casa, magari coccolando un bel gatto dai capelli rossi-
Neko fece le fusa, scatenando le risate di Kojiro, che le baciò la testolina, continuando a trafficare in cucina con la ragazza, che dava una mano.
-Io, invece, pensavo di fare un passeggiata. E’ da un po’ di tempo che non usciamo insieme-
Kojiro la guardò per un momento, per poi lanciare un’occhiata fuori dalla finestra, nuvole grigie e bianche passavano a tratti lente e a tratti veloci sul cielo.
-Mm…non credo sia una buona idea. Con il tempo che ha fatto in questi giorni, ci si può aspettare di tutto!-
Neko sbuffò delusa, annuendo: in effetti, in quell’ultimo periodo il tempo era stato davvero lunatico, non si capiva niente.
Una volta era freddo, poi pioveva, poi faceva un caldo torrido, poi tornava la pioggia, poi c’era bel tempo.
Insomma, un tempo pazzo!
Kojiro la guardò lei aveva fatto una smorfia delusa, per poi tornare a lavorare, l’asciugamano ancora sulle spalle e i capelli ancora umidi

perchè sei bella
che mi fai male
ma non ti importa
o forse neanche tu lo sai
e poi la sera vuoi far l'amore
ogni volta come fosse l'ultima

Kojiro, senza pensarci, gli prese l’asciugamano da dietro, posandoglielo sulla testa, e iniziando a sfregarglielo con forza, scatenando le lamentele di Neko.
-Ehi! Mi fai male!-
-Allora vatti ad asciugare i capelli, se non vuoi prendere un malanno!-
e con un bacino e una spintarella, il ragazzo la fece uscire dalla cucina, lei si voltò a guardarlo, notando poi che era ancora a torso nudo.
Neko si fece di colpo rossa, e Kojiro capì subito il motivo, tornando a ridere divertito, mentre Neko si lamentava ancora.
-E dai, non prendermi in giro!!-

sei solo tu
nei gesti miei
sempre più oramai
sei solo tu
dentro me
tutto il resto è invisibile

cancellato ormai
conquistato dagli occhi tuoi
quel che resta poi

Kojiro si avvicinò a Neko, il loro visi si sfioravano.
La ragazza si limitò a socchiudere gli occhi, in un gesto d’invito, che il ragazzo afferrò al volo, accarezzando le labbra di lei con le sue in un bacio sfiorato e sensuale, che pian piano si fece più profondo.
Nulla
Nulla era più bello di quella sensazione.
Un misto di dolcezza e di passione che riusciva sempre a mettere in subbuglio la tigre.
Una tigre innamorata di un dolce gattino dal muso dolce e dal manto ramato.
Kojiro sfiorò con la lingua quelle labbra, prima di staccarsi, facendo prendere fiato a Neko, che fece l’occhiolino, sciogliendosi da quelle braccia, correndo in bagno ad asciugarsi.

sei solo tu
nei giorni miei
sempre più dentro me
sei solo tu a dirmi che
solo tu dentro me

sei solo tu
nei giorni miei
sempre più dentro me
sei solo tu
e dimmi che
sono questo ora anch’io per te

sei solo tu
nei giorni miei
sempre più dentro me
sei solo tu
e dimmi che
tutto il resto non conta
ora non conta
tutto il resto sei solo tu

Kojiro si voltò verso la radiolina nera sul tavolo, ascoltando le ultime note di quella canzone.
Certe volte quel Nek scriveva cose sensate!
E dire che quella canzone a Kojiro non piaceva tanto.
Con fare stanco, il ragazzo sistemò le ultime cose per al colazione, prima di entrare in bagno dopo Neko, che si era asciugata i corti capelli.
A dire la verità, in quegl’ultimi giorni il ragazzo aveva notato che gli si erano allungati, ora raggiungevano a malapena le spalle, mentre prima erano davvero corti, solo quella zazzeretta sbarazzina.
Aveva scoperto che la ragazza aveva i capelli ondulati proprio come Yuko, solo il colore era diverso.
Quando il ragazzo tornò in cucina, ad aspettarlo c’era Neko, che tranquillamente stava sorseggiando il suo caffellatte, aveva finito gia di mangiare.
-Allora restiamo a casa?-
Kojiro la guardò un attimo, ammirandola.
Deliziosa.
Sbuffò, guardando fuori dalla finestra, per poi sorridere.
Gli era venuta un idea.
-No . Prendi la tua roba da disegno, che usciamo-
la ragazza illuminò il volto con un sorriso radioso, per poi correre a preparare la sua sacca, mentre Kojiro finiva di mangiare e di mettere a posto, aspettando Neko.
Quando la ragazza gli arrivò da dietro, saltandogli sulle spalle, per poco non fece un capitombolo!
Il parco era a pochi passi dal loro appartamento, il posto preferito di Neko, dove di solito a quell’ora e quasi tutti i giorni la si trovava li a schizzare e a fare disegni di famiglie con bimbi piccoli, o uomini e donne che tranquillamente facevano jogging, spesso passandosi accanto, senza conoscersi,senza nemmeno immaginare a cosa sarebbe potuto accadere, in un futuro alternativo, se si sarebbero conosciuti.
Spesso Neko pensava a queste cose, mentre disegnava impiegati, manager, single, casalinghe,e chi più ne ha più ne metta che trascorrevano almeno un’ora della loro vita impegnata a pensare solo a se stessi, allenando su quel percorso fatto di terra battuta, dove ogni tanto, ad un certo tot di metri percorsi, s’incrociava un cartello e un attrezzo in legno, dove si faceva flessioni e vari esercizi (nel parco della mia città queste cose ci sono! N.d.M.)
Neko e Kojiro passeggiarono per un po’ lungo la strada battuta, a volte incrociando lo sguardo stupito e forse emozionato di qualche uomo, donna o ragazzo che vedeva incrociare la strada con la famosa Tigre, Kojiro Hyuga in persona!!
Al suo fianco, mano nella mano, una deliziosa ragazza dai corti capelli ramati e gli occhi verdi, che chiacchierava allegra, tenendo sulla spalla una sacca colorata qualcosa di quadrato e grande.
Neko si guardò intorno, prima di sorridere, indicando con un cenno della testa una panchina verde che dava con lo sguardo alla zona dove i bambini si divertivano su scivoli, altalene e vari giochi.
Kojiro si sedette con fare stanco, nonostante tutto aveva ancora un po’ sonno, mentre Neko aveva gia cominciato a schizzare delle bambine con due donne che si divertivano a giocare alla campana.
I suoi schizzi erano semplici, ma al tempo stesso complessi, sembrava che la bimba che stava in quel momento saltando uscisse di colpo dal foglio, mentre Neko rifiniva i particolari con chiaroscuri a carboncino, occupandosi poi delle due donne l affianco, che chiacchieravano come vecchie amiche, mentre le grida delle due bimba si facevano sentire con la conta, in italiano.
Neko spostò lo sguardo e girò il foglio, coprendo il disegno appena fatto con una patina in plastica, per poi cominciare a disegnare un bimbo di pochi mesi su un’altalena con la madre, il padre da dietro spingeva.
Quei visi gioiosi, quelle risate e quel chiacchiericcio tranquillo.

Nostalgia….
Una dolce nostalgia che nasceva da ricordi passati, quando, anche lei su un’altalena, da piccola, si faceva spingere dal padre, li accanto la sorellina, la madre le osservava.
Poi…la madre prese il posto di Yuko, che sorridendo salutava con un cenno della mano Neko, che non capiva.
Perché la sorellona non giocava più con lei?
Poi…un giorno…
Gli aveva allungato una tazza, e l’aveva lasciata andare, sicura che Yuko l’avesse presa.
Invece…
Invece era caduta a terra, spaccandosi in tanti pezzi…
E da li la verità nuda e cruda.
-La tua sorellina non vede, ha una brutta malattia-
cataratta.
Sua sorella…cieca…
Aveva pianto, gridato, fatto i capricci.
Poi si era calmata.
Ed aveva smesso di andare sull’altalena.

Kojiro la fissò con occhio preoccupato, Neko fissava con aria assente quell’altalena con il bimbo e la madre, il disegno ancora grossolano fatto con il carboncino.
Il ragazzo spostò il braccio appoggiato sulla panchina alle spalle di Neko, che si riscosse, sorridendo a Kojiro, per poi continuare a disegnare, schizzando velocemente, come a voler cancellare qualcosa.
Kojiro la guardò preoccupato, per poi a vere un’idea.
-Ti va di fare un giro sull’altalena?-
-Cosa?-
Neko lo guardò come se fosse ammattito, per poi sorridere come una bambina felice, annuendo, mettendo a posto la roba per disegno, il ragazzo gliela prese cavallerescamente, prendendola per la mano e accompagnandola alle altalene più grandi, facendola sedere, per poi iniziare a spingerla.
Come volare…
Andare sull’altalena era come volare.
Volare, sempre più in alto.
Superare tutti gli ostacoli, per toccare il cielo.
Il cielo azzurro, il cielo infinito.
Neko dondolava allegra, sorridendo, mentre con una mano si allungava verso il cielo azzurro, tentando di toccarlo, inutilmente.
Quell’altalena era come la vita.
Sali…e scendi…
Neko scese giù, Kojiro la guardava con occhio sereno, sulla spalla la sua sacca.
Neko dondolò ancora, prima di fermarsi lentamente, e sorridere come una ragazzina pestifera, come una bimba che aveva ricevuto il suo regalo di compleanno.
- E’ stato divertentissimo! Era da un sacco di tempo che non andavo più sull’altalena!-
Neko prese a braccetto Kojiro, come una fidanzata spensierata, come una di quelle quindicenni a cui piace fantasticare ad occhi aperti, sognando il grande amore.
Si spostarono, dalla panchina si sedettero a dei strani cilindri colorati in cemento, un po’ sporchi, di varie altezze, Neko si prese quello più alto, ricominciando a disegnare, mentre Kojiro stava a quello più sotto, le raggiungeva la spalla, socchiudendo gli occhi.
Nonostante tutto quella era davvero una bella giornata.
-Guarda-
Kojiro si voltò, Neko indicò un ragazzino che giocava a pallone con il padre.
Qualcosa che Kojiro tempo addietro aveva provato, ma poi…
-Non mi hai mai parlato della tua famiglia…-
Neko parlava con tono di voce basso, temendo di toccare qualche tasto dolente.
Ma Kojiro ormai aveva passato tutto.
-Ho una madre, due fratelli e una sorellina. Mio padre purtroppo è morto…-
-Mi dispiace…-
-E di cosa? Non è mica colpa tua-
-Si…ma è triste…perdere qualcuno a se caro…-
Neko si strinse le braccia intorno alle spalle, quasi come un’ improvviso gelone l’avesse colta.
Kojiro Si affrettò a stringerla a se.
-Lo so, ma adesso ci siamo noi due, no?-
Neko restò in silenzio, per poi sorridere ed annuire.
-Si…-
-Sei stanca?-
Neko si rimise seduta, scrollando il capo.
-No, sta tranquillo-
la ragazza prese un profondo respiro, memorizzando l’odore del vento, per poi voltarsi verso Kojiro, sorridendo tranquilla, balzando giù dal cilindro più grande, seguita poco dopo dal ragazzo.
Passarono così la mattinata, tornando a casa ad ora di pranzo.
Appena entrarono dentro casa, scoppiò un fortissimo temporale, i tuoni rimbombavano con violenza, spaventando Neko, che si strinse a Kojiro, che la guardò sorridendo divertito, per poi stringerla a se.
Così piccola…così adorabile…
Restarono così, abbracciata, fino a quando il telefono non squillò come un ossesso, e Kojiro lo mandò a quel paese, scatenando la risata di Neko, che affettuosamente prendeva il cappotto suo e del ragazzo e li metteva sull’attaccapanni, Kojiro rispose con fastidio al telefono.
-Pronto…!!-
il ragazzo si bloccò per un istante, mentre Neko lasciava sbucare fuori la testolina ramata, fissando stupita e preoccupata i ragazzo pietrificato, che balbettava al telefono.
-Che…che cosa vuoi? Io…io e te non abbiamo niente da dirci!…Cosa?!-
il ragazzo scostò la tenda, e spalancò gli occhi, Neko gli fu subito accanto, e per poco non svenne. …quella cabriolet nera le era familiare…
…Maki…

(Vi lasciò con il fiato sospeso, anche perché non so nemmeno io come la continuerò! Scherzo, tranquilli A presto con il prossimo capitolo! Meiko)

  
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