Urla e
litigi.
La stretta penisola dove si trovava Port-au-Prince era una serie di piccoli
golfi uno in seguito all’altro. Nel più grande si ergeva ovviamente la città,
mentre procedendo alla destra si trovava il forte, aggrappato su uno spuntone
di roccia e proteso verso il mare e un golfo piccolo e stretto dove, sulla
spiaggia, si trovava una grande villa di colore chiaro tenuta in perfetto
stato. Dopo la villa, verso l’interno, si sviluppava una selvaggia foresta
tropicale, attraversata da sentieri e stradine completamente in ombra. Alla
destra del golfo della villa la foresta copriva completamente la visuale. C’era
un pittoresco promontorio di roccia stretta e impervia che si protendeva sul
mare, chiamato Punta Estrema. Era tanto stretto da far passare solo un persona
alla volta, e abbastanza agile e coraggiosa per superare quel passaggio di
scogli viscidi e sconnessi, che si allargavano un poco in fondo solo per far
sedere l’inatteso visitatore. Questo era elevato ad almeno dieci metri sopra il
mare, che gorgogliava e si infrangeva violentemente sulle rocce, creando
curiosi riflessi sugli scogli della penisola.
Proprio sulla parte più esterna, quella più in seno al mare, stava
accoccolata una figura esile e affusolata, vestita con abiti chiari e semplici.
Stava seduta come se niente fosse, sospesa sopra l’acqua cristallina e
trasparente a guardare i suoi piedi che ciondolavano sopra al nulla, dominando
l’intero panorama mozzafiato. Tutto era selvaggio e indomito, la foresta alle
sue spalle, quelle rocce pericolose su cui era seduta e le baie nascoste e
impervie alla sua sinistra. Guardava il sole tramontare accecata dal riverbero,
mentre vedeva che le onde si facevano sempre più possenti. Dense nubi scure si
stavano addensando alle sue spalle, in contrasto agghiacciante con la luce
rossa del tramonto. Il corpo della ragazza ebbe un sussulto quando si accorse
di una nave nera che si avvicinava misteriosa. Aguzzò la vista e provò a
sporgersi nel vuoto, ma le onde che si scontravano contro gli appuntiti scogli
sotto la Punta Estrema la fecero desistere e tornò in una posizione più sicura,
senza riuscire a distinguere i contorni di quella macchia informe che si stava già mimetizzando con il buio
senza che lei capisse di cosa si trattasse.
Quando divenne troppo buio persino per distinguere i suoi piedi si mosse
scoprendo di essere rimasta immobile a scrutare il nulla per tanto tempo. Saltò
in piedi con una folata di vento che la fece tremare, portò indietro i capelli
scuri e si affrettò a tornare verso la villa, sempre con gli occhi grigi che
guizzavano alle sue spalle, come per scoprire quello che nel profondo non
voleva vedere, ma che il suo sesto senso le diceva che c’era.
Ed era il veliero pirata.
La ragazza tornò alla villa di corsa e con il fiatone accompagnata dal
fragore dei primi tuoni in lontananza. Entrò nel cortile più interno, dove
stavano i domestici e gli stallieri, per dirigersi verso una piccola porticina
semiaperta. La spinse e si fiondò dentro rabbrividendo per il freddo.
Attraversò la cucina di volata, sfiorando con una mano il pesante tavolo di
legno, come faceva sempre, senza farci caso. Quando la sua mano incontrò
qualcosa di morbido, lo evitò. Fece due passi ancora, poi si riscosse e tornò
indietro. Prese delicatamente quello che c’era sul tavolo, un sacchettino di
velluto blu. La luce improvvisa di un lampo saettò nella stanza. La ragazza
guardò il sacchettino con curiosità, perché era raro che una cosa del genere si
trovasse in cucina. Tutti quelli che la frequentavano erano servi, e mai aveva
visto gioielli. Sulle sue labbra comparve un sorriso. Si guardò intorno, e
visto che non c’era nessuno, lo aprì curiosa. Non riuscì a guardare dentro,
perché notò un brusio che veniva da una porta lì vicino. Senza mollare il
sacchettino, si avvicinò alla porta socchiusa e accostò l’orecchio. Non riusciva
a capire una parola, ma erano due persone che bisbigliavano sotto voce. Tutto
d’un tratto si fermarono, avvicinandosi alla porta, e lei corse al tavolo. Una
voce di donna disse ad alta voce. “avete sentito? Probabilmente è tornata …”
La ragazza la riconobbe subito, era Katherine, la sua madre adottiva, la
donna che l’aveva trovata una notte di tanto tempo prima.
Fece in tempo ad accostarsi al tavolo che lei uscì, un’espressione
indecifrabile sul volto. “Amy!” esordì. “finalmente sei tornata …” disse con
tono accusatore. “ma dove sei stata?” continuò avvicinandosi. “puzzi di mare …”
La ragazza, che si chiamava Amy, non rispose. Era concentrata sull’uomo che
era alle spalle di Katherine, con cui stava parlando poco prima. Chinò il capo
in segno di saluto, poi lo squadrò per bene. Era un uomo abbastanza anziano,
che conoscevano tutti come il mugnaio.
Pochi sapevano il suo nome e lei non era tra quelli. Portava sempre i cereali
alla villa, ma non lo aveva mai visto molto spesso. Aveva un figlio, George,
che lo seguiva quasi sempre. D’istinto lo cercò con gli occhi, perché non lo
sopportava dalla prima volta che lo aveva visto, e sperava con tutto il cuore
che non fosse nei paraggi. Senza accorgersi strinse la presa sul sacchetto di
velluto.
Katherine riprese la parola. “io e il signor Todds stavamo parlando di te,
Amy.” Disse. Allora era così che si chiamava, Todds. Amy non rispose ancora.
Continuava a chiedersi che ci faceva lì quell’uomo, visto che non era tempo di
raccolta. Era già da un po’ che lo incontrava che andava o veniva, ma non ci
aveva mai dato peso, e soprattutto non pensava che lei fosse interessata. “che
cosa?” mormorò, poco convita.
“abbiamo parlato di te, Amy.” Rispose Todds. “e di mio figlio.” Fece una
pausa in cui osservò il suo volto, ma lei fece il massimo per non far
trasparire nessuna emozione. “non so, ti ricordi di George, giusto?” continuò.
Come se avesse sentito, dalla stessa porta che aveva usato Amy entrò un ragazzo
abbastanza robusto, alto come Amy, con la faccia da bonaccione, ma che non
dimostrava i suoi sedici anni. “ah, sei arrivata.” Disse. “ti ero venuto a
cercare, ma non ti ho trovata …”
“che c’è qui dentro?” chiese la
ragazza, secca. Nessuno rispose, così provò a guardare le facce dei presenti.
Nemmeno in quel modo riuscì a capire, così vuotò il sacchetto sul palmo della
sua mano. Lo guardò sconcertata. Erano due anelli identici, d’oro e pesanti.
“che significa? Che ci fanno due fedi qui?” Continuò a fare domande per cercare
di evitare di pensare.
Todds prese la parola. “appartengono alla mia famiglia da generazioni.” Amy
ci avrebbe giurato. Quelle persone erano più povere di lei, che già non nuotava
nell’oro. “e allora?” sibilò.
“tutti i Todds si sono sposati con quegli anelli. Li avevo dati a Katherine
per …”
Amy non gli fece finire la frase, cominciando ad urlare contro Katherine.
“ti avevo già detto che non mi sarei mai sposata!” strillò. “mai! E mai con
lui!” gettò gli anelli contro il petto rotondo di George e corse via cercando
di nascondere le lacrime. Il ragazzo si riprese in fretta, e guardò i due
signori con una sguardo interrogativo.
“dovrai imparare a correrle dietro se vuoi stare con lei.” Commentò
Katherine, lapidaria.
George buttò il sacchetto sul tavolo e si affrettò dietro la ragazza.
Quando la raggiunse stava per spalancare la porta d’ingresso. “fermati!” urlò
prendendola per un braccio. “ma che vuoi fare?”
Amy si dimenò e senza riuscire a liberarsi gli pestò un piede con foga, e
scappò nella notte. George mugugnò di dolore, poi fu raggiunto dai due signori,
più anziani con il fiatone. Il ragazzo provò a guardare fuori dalla porta, ma
aveva iniziato a piovere e il buio era fitto, così non vide nulla tranne il
grande cancello di ferro battuto che si stava chiudendo.
Amy approfittò del temporale per non farsi vedere, corse nelle scuderie, e
prese un cavallo dalla cavezza. Non aveva tempo di sellarlo, così gli saltò
agilmente in groppa e trottò verso l’uscita con sguardo deciso e il cuore che
le batteva all’impazzata. Uscì sotto una pioggia torrenziale e fece galoppare
il cavallo fino al cancello. Quando vide che era chiuso imprecò per la prima
volta nella sua vita. Scese e provò a spingere con tutte le sue forze e a
tirare pugni al cancello. Cominciò a urlare e piangere, con le lacrime che le
entravano in bocca miste alla pioggia. Urlò disperata poi, quando il cancello
cominciò a scivolare nel fango, qualcuno le saltò addosso facendola cadere
faccia a terra. Amy urlò ancora, senza vedere l’assalitore accecata dalla disperazione.
L’estraneo era pesante, le faceva male e lei voleva scappare, doveva scappare. Urlò ancora e tirò
pugni all’aria, cercando di graffiarlo, ma due mani salde le presero i polsi e
le fu impossibile muoversi. Alla fine si arrese e la testa le scivolò di lato,
nel fango, e continuò a piangere silenziosamente. “lasciami andare George …”
mormorò.
“ma io non sono George!” obbiettò l’assalitore. “Amy, guardami.”
Quella voce le era familiare, ancora prima di vederlo in faccia sapeva di
chi si trattasse. In un attimo riprese un po’ di sicurezza. Con uno scossone
della testa spostò i capelli che le si attaccavano alla faccia e lo guardò in
faccia, furiosa. La guardava sorridendo, quasi soddisfatto di averla trovata in
uno stato di debolezza. “levati di dosso.” Sibilò maligna.
“tu non scappare, e io ti lascio.” Ribatté lui allentando solo un po’ la
presa sui polsi.
“no, non scappo.” Rispose lei, e si dibatté per farsi liberare. “lascia! Mi
fai male!”
Il ragazzo non si mosse, voltò la testa alle sue spalle e urlò agli altri
per farsi raggiungere. “l’ho trovata! È qui, venite!”
Amy gli lanciò un’occhiataccia quando vide arrivare Katherine, George e più
distante il signor Todds. “diamine!” strillò Katherine appena li vide. “tirati
su, non è mica una criminale!”
Il ragazzo si alzò tenendola per un polso, poi la consegnò alla donna.
“voleva scappare” riferì orgoglioso.
“e ci sarei anche riuscita se …” Amy fu sul punto di saltargli al collo, ma
Katherine la fermò subito. “Amy!” urlò. “ma cosa fai?! Non è da te … tu eri
sempre calma e …”
“già” sibilò Amy. “prima di essere tradita e venduta come selvaggina dalla
donna che doveva essere mia madre.” Scandì bene le parole guardandola irata.
Katherine era sul punto di piangere, quando una voce tonale si intromise
dal fondo del cortile. “si può sapere che succede qui fuori?” domandò il
governatore avvicinandosi a grandi passi. Amy si fece piccola pulendosi la
faccia dal fango e dall’acqua.
L’uomo si avvicinò con passo fiero, aveva un viso duro e severo, sembrava
che la pioggia e il temporale che si stava scatenando non gli dessero alcun
problema. “allora?” tuonò. “cosa è successo signora Meadwods?” Interrogò
Katherine.
Lei chinò il capo in segno di rispetto, e parlò guardando a terra con voce
bassa. “un … un momento di debolezza da parte di mia figlia, signore.” Mormorò,
cercando di avvicinare la ragazza.
Lo sguardo gelido del governatore si fissò allora su Amy, che cercò di
sostenerlo, invano. “ho notato.” Concluse lui lapidario.
“voleva scappare, signore.” Si intromise allora il ragazzo. L’uomo lo
guardò di traverso, come fece Amy. Il governatore non sembrò sorpreso. “ebbene.”
Concluse. “Sorvolerò sull’accaduto, perché momenti di debolezza possono
capitare a tutti.” Sembrò che stesse per andarsene quando riprese. “ma non
voglio essere svegliato di nuovo in piena notte da urla o altro, intesi? … Voi”
indicò il ragazzo. “tornate a fare il vostro lavoro e riportate il mio cavallo
nella stalla. Signora Meadwods, accompagni i signori Todds alla porta. Credo
che ormai sia un po’ tardi per una visita.” Scoccò un’occhiata accusatrice al
padre di George. Poi prese Amy in malo modo per un polso dirigendosi verso
casa. “e tornate tutti a dormire, domani è un giorno importate per mia figlia e
non voglio che una baruffa tra servi rovini l’atmosfera.”
I presenti fecero un inchino e si misero ad eseguire gli ordini.
Il governatore trascinò una Amy riluttante fino alla porta, poi entrò in
casa continuando a portarsela dietro senza dire una parola. La ragazza era
mortificata per quello che era successo, ma non aveva il coraggio di dire
niente. Non aveva mai fatto molto per il governatore e tutti si erano adeguati
ad ignorarla. Non era abituata a tutta quell’attenzione.
Salirono le scale con l’unico rumore dei tacchi degli stivali del
governatore sul legno dei pavimenti, e dell’abito zuppo e sporco di Amy che
strisciava a terra lasciando fanghiglia da tutte le parti. Il fragore dei tuoni
era impressionante e metteva paura ad Amy, perché l’ira del governatore
sembrava amplificata. Lei non seguì nemmeno la strada, occupata a pensare a
quello che voleva fare il governatore. L’uomo si fermò davanti ad una porta senza
lasciarla e provò a mettersela di fronte strattonandola, visto la ragazza che
opponeva resistenza. Amy cominciò ad avere paura. Il viso dell’uomo che aveva
di fronte era l’incarnazione della serietà e anche dell’ira, lei tremava.
“non voglio che quello che è successo prima si ripeta, mi hai capito bene?”
sibilò. Amy chinò la testa cercando di trattenere di nuovo le lacrime. Di certo
non si aspettava una ramanzina proprio dal governatore. “chiedo perdono.”
Mormorò. Ma dentro di lei non ne poteva più, nel profondo si era divertita ad
azzuffarsi per la prima volta, voleva solo che quell’uomo la lasciasse andare a
dormire sperando che con il sonno tutto quello che era successo scomparisse
come se non fosse mai accaduto.
“non mi sarei mai aspettato una simile reazione da te, Amy.” Continuò il
governatore. “siete sempre stata un persona tranquilla e moderata.”
Amy in risposta chinò il capo. Dentro di lei continuava a sperare che
quella situazione finisse il prima possibile.
“vedi di tornare così, altrimenti io ti posso lasciare come ti ho presa a
casa mia, hai capito?” Fece per finire, poi visto che non sembrava soddisfatto,
riprese. “non è colpa né mia né tua se sei comparsa una notte sotto al
camino, ma vedi di non farmi arrabbiare di nuovo, oppure quella situazione si
potrebbe ripete, ma io non sceglierò di tenerti …”
Ci fu una lunga pausa in cui Amy temette di nuovo di non riuscire a
trattenersi dal piangere, poi il governatore sbuffò, buttandola contro la
porta. Solo allora Amy riconobbe il corridoio del terzo piano e la porta della
sua camera. “adesso fatti una bella dormita e poi domani torna quella di
sempre.” Le sibilò in faccia, poi aprì la porta e la scaraventò dentro come un
panno sporco.
Amy aspettò che la porta si chiudesse alle spalle del governatore, poi
cominciò a piangere senza più trattenersi. Tirò la gambe al petto e appoggiò il
mento sulle ginocchia, in mezzo alla sua piccola stanza, circondata dai tre
letti e tre bauli. Pochi minuti dopo la porta si spalancò un’altra volta e una
ragazza con i capelli rossi si fiondò dentro e senza badare di chiudere la
porta. Le gettò le braccia al collo e la strinse forte sussurrando il suo nome.
Quando Amy si fu calmata cominciò a parlare con tono accusatore. “si può sapere
cosa ti è saltato in mente?” urlò distruggendo l’atmosfera. Un tuono
particolarmente forte penetrò nel silenzio che era caduto, aumentando l’aria
rabbiosa che c’era tra le due.
Amy smise di piangere e cercò di ricambiare lo sguardo accusatore. “io non
mi voglio sposare.” Disse convinta. La ragazza rossa non cambiò espressione.
“allora?” incalzò.
“io non mi voglio sposare, quindi me ne sarei andata.” Ripeté lei.
“andata dove? Con cosa?” sbraitò la ragazza.
“ma lasciami in pace, Anne!” urlò Amy.
“certo, per te va tutto bene finché è come vuoi tu, ma quando qualcosa non va bene …” sbottò l’altra infiammandosi
subito a sentire il tono. Amy non si riusciva a trattenere, le bruciavano le
mani come non le era mai successo. Strinse i pugni per non seguire l’istinto di
picchiarla. Non le era mai successo, voleva bene a Anne, ma quando faceva così
era proprio insopportabile. Il problema era perché aveva ragione, aveva
maledettamene ragione.
“non posso credere che secondo te sia giusto che io sposi George!” le urlò
di risposta.
“non dico che è giusto, ma che non è quello che vuoi tu, e ovviamente non
ti va bene! Non è per il matrimonio in sé, ma per quello che rappresenta.” Disse
la ragazza con voce risoluta e con convinzione.
“stai zitta …” borbottò Amy e con una mano le fece cenno di andarsene.
“ti comporti come un principessina.” Sibilò Anne. “ma è solo perché ti
hanno sempre trattato come tale. Non convincerti di essere speciale, o cose
simili perché prima o poi capirai che ti sbagli.”
La ragazza si avviò verso la porta, mentre Amy le urlava dietro. “e tu non
credere di essere molto più saggia di me, che quando qualcuno ha un problema serio sfrutti il momento solo per
sfogarti della tua stupida invidia nei miei confronti che hai da quando mi hai
vista la prima volta!”
La ragazza stava chiudendosi la porta alle spalle, quando sporse un attimo
il volto dentro, e disse. “il bello è che credevamo di essere amiche.”
Un tuono fragoroso fece tremare Amy, insieme alla forza di quella frase. “come
dici tu è perché ci hanno convinto di
esserlo.” Le sibilò di risposta.
Anne sbatté la porta e corse via, mentre Amy urlava ancora: “non ti
sopporto quando fai così, diamine!” la sua voce risuonava ancora per i
corridoi.
Pochi minuti dopo la porta della camera si aprì di nuovo, lentamente. Dal
buio entrò una ragazza dai capelli scuri, con la pelle mulatta, con una candela
in mano che creava riflessi tremolanti sul suo volto dolce. All’inizio Amy
nemmeno si accorse della sua presenza, da quanto era stata cauta, poi
lentamente si voltò per guardare la luce, che era l’unica della stanza, oltre
al bagliore di alcuni fulmini fuori dalla finestra.
La ragazza si sedette davanti a Amy e posò la candela in mezzo a loro, tanto
vicino che si sentiva il calore sulle palme delle mani. La ragazza, che si
chiamava Stephanie, osservò Amy per un po’, come studiandola, mentre lei faceva
di tutto per evitare il suo sguardo penetrante. Visto che Amy non la guardava,
Stephanie guardò a terra. Osservò la mani di Amy con attenzione, poi le prese i
polsi. “deve averti fatto male …” mormorò.
Amy alzò lo sguardo, e Stephanie le donò un sorriso dolce. “Lucas mi ha
detto quello che è successo, e che ha dovuto fermarti con la forza.” Lucas era
il ragazzo che l’aveva fermata al cancello. “gli hai graffiato la faccia tanto
che gli hai fatto uscire il sangue, lo sai?” continuò la ragazza, ma nel suo
tono non c’era nemmeno una briciola di accusa.
Anche Amy guardò le proprie mani. Intorno ai polsi c’erano dei segni rossi,
come se fosse stata incatenata, e sotto le unghie di una mano c’era del sangue
secco. Provò quasi un moto di orgoglio a sentire quelle parole. “non me ne ero
accorta.” Sussurrò. “ti sei scusata anche per me?” aggiunse con un filo di voce
dopo qualche attimo di riflessione. Era confusa, quello che provava era del
tutto nuovo per lei. L’adrenalina che aveva in corpo quando era quasi scappata
sembrava essersi ritirata nel profondo del suo corpo, e adesso si vergognava
terribilmente per quello che aveva fatto. Non era mai stata un’attaccabrighe o
una manesca, sono si adeguava. Se la gente non la notava, in fondo le andava
bene, perché non correva il rischio di sbagliare qualcosa. Tutta
quell’attenzione improvvisa e la confusione che aveva provocato le mettevano
paura e le facevano battere forte il cuore. Lei non era così, ma la situazione
l’aveva plasmata a suo piacimento.
Stephanie sorrise, ma quando parlò il suo sorriso scomparve. “veramente no.
Ho pensato che è compito tuo scusarti. Domani devi andare con Anne al borgo, e
Lucas vi accompagnerà. Glielo dirai tu, domani.”
“io con Anne non ci parlo.” Obbiettò Amy. “e tanto meno con Lucas.”
“ho sentito infatti che stavate litigando.” Ricordò Stephanie. “Con toni
più accesi del solito, tra l’altro.”
“questa volta è una cosa seria.” Disse Amy alzando la voce. “non la
sopporto più. Fa tanto finta di essere saggia a minacciarmi quando è infantile
come pochi.” La ragazza stava tornando ad arrabbiarsi, l’adrenalina tornava a
scorrerle nel sangue, gli occhi le brillavano. “solo perché vuole essere la
migliore. È invidiosa, ecco cos’è. Pensa Steph, che dice persino che sia giusto
che io sposi George!” la sua voce era sempre più alta. “è assurdo! Ti rendi
conto, Steph? Lei che è mia amica mi viene contro! Credimi quando ti dico che è
una cosa seria, perché questa volta non sono bazzecole come le altre volte.”
Amy si fermò per prende fiato, quando Stephanie la interruppe. “hai finito?”
chiese gentilmente, però non le diede tempo di rispondere. “dici che è una cosa
seria, e ti credo, ma anche le altre volte dicevi che era una cosa seria, però
vi bastava riparlarne più tranquillamente che tutto passava e ci ridavate su!”
Amy sbuffò. “questa volta è veramente
seria.”
“ti credo, anche questa volta, ma secondo te tutto andrebbe meglio se io ne
parlassi con Anne?”
“non annulleresti il mio matrimonio.” Obbiettò Amy.
“giusto, ma almeno non perderesti un’amica.” Lo disse con tale convinzione,
che anche se avesse voluto, Amy non poteva ribattere.
Amy la guardò poco convinta, poi sul suo viso comparve un sorriso.
“Stephanie, come li risolvi tu i problemi … nessuno.” Disse commossa
abbracciandola.
Restarono così per un po’, poi Stephanie si staccò. “adesso però è meglio
che ci sistemiamo. È quasi passata mezzanotte e domani ci dobbiamo svegliare
ancora prima del solito … vale a dire tra poche ore.” Si alzò con un sorriso e si
lisciò la gonna. “in più tu sembri un porcaro, e domani dobbiamo sembrare tutte
delle bambole di porcellana al ricevimento per il matrimonio della Miss. Io
vado a cercare Anne, mentre tu ti lavi e ti sistemi per bene.” Le tese una mano
per alzarsi senza smettere di parlare. “Miss Magdalene ha fatto il bagno poche
ore fa, l’acqua dovrebbe essere ancora calda nella sua stanza da bagno, quindi
saltaci dentro e poi buttati a letto e dormi per un po’. Va bene?”
Amy sorrise di cuore. “grazie. Hai sempre le parole giuste per …”
“basta!” sbottò Stephanie. “non c’è tempo nemmeno per parlare … e ormai
sono abituata a sistemare i vostri battibecchi. Potrei scriverne un libro.”
Il sorriso di Amy non scomparve. “non dei miei battibecchi con Anne,
piuttosto delle nostre avventure.”
“avventure?” chiese Stephanie andando verso la porta.
“certo. Come tre impavide ragazze
riuscirono a sfuggire al matrimonio.” Recitò Amy.
“perfetto. Suona bene … però lo voglio anche illustrare.”
“tutto quello che vuoi somma poetessa e artista.” La prese in giro Amy.
Stephanie andò via sorridendo. “peccato che siamo troppo insignificanti
perché diventi realtà.” Mormorò.
“certo.” La rimbeccò Amy da dentro. “ma l’avventura la vivremo lo stesso. Sarà
meraviglioso.”
Stephanie badò bene che Amy non sentisse, ma quando fu fuori scosse le
spalle. “ma quale avventura? Persone come noi non possono avere nessuna
avventura …” Non era una persona negativa, al contrario, ma era da tempo che
non credeva più alle favole. Amy non lo aveva ancora capito.
Stephanie andò subito a parlare con Anne.
La cercò per tutto il primo piano, e alla fine la trovò in cucina, seduta
davanti al camino con le gambe tirate al petto e il mento sopra le ginocchia.
L’unico rumore era il crepitare del fuoco e il rumore delle onde che si
infrangevano sulla scogliera fuori della porta.
Stephanie si concesse di osservarla per un attimo, con le mani appoggiate
sulla stipite della porta, indecisa si cosa dire. Le veniva abbastanza naturale
chiarire sempre tra Anne ed Amy ma l’impresa non era mai una passeggiata, e
soprattutto aveva sempre bisogno di riordinare le idee prima di affrontare una
discussione con Anne. La ragazza aveva l’ambiguo “potere” di mandarla in
confusione ogni volta che voleva. La mente di Amy era molto più docile, ed era
di gran lunga più facile farle cambiare idea. Anne invece era una delle persone
più testarde con cui Stephanie avesse mai avuto a che fare. Ma le voleva bene,
per questo si fece avanti e si sedette accanto a lei.
Per un attimo rimase in silenzio, adottando la stessa tattica che con Amy
aveva funzionato. Guardò il viso di Anne, sulle guancie c’erano i segni lucidi
lasciati dalle lacrime. “ne valeva veramente la pena di litigare così
furiosamente?” chiese Stephanie. Il modo brusco con cui la sua voce aveva
spezzato il silenzio aveva preso Anne di sorpresa, i muscoli del suo viso si
erano irrigiditi.
“direi proprio di sì.” Rispose Anne decisa, con la voce roca.
Stephanie sospirò. “Amy mi ha spiegato per sommi capi quello che è successo
… ora me lo vuoi raccontare tu?”
Anne sospirò a sua volta. “forse ho esagerato …” ammise, ma poi il suo
orgoglio tornò a farsi sentire. “ma anche Amy, non scherzava … ha preso questa
storia di George Todds come un modo per mettersi al centrò dell’attenzione, e
io …” Stephanie si accorse che la sua voce pian piano andava spegnendosi,
infatti Anne non concluse la frase. “sei gelosa?” le chiese.
Anne abbassò la testa. “sono spregevole?” guardò l’amica in faccia. “ma è
così. Tutti che pensano a Amy e io invece … sono sempre nella sua ombra, mai
una volta che riesca a fare qualcosa meglio di lei.”
Stephanie si sentì avvampare. “ma questa non è una gara! Con questa storia Amy si gioca il futuro! Scusami,
ma non puoi proprio sfogarti della gelosia di tanti anni in questa situazione.
Non puoi.” Appena ebbe finito, Stephanie avrebbe voluto rimangiarsi tutto. Era
stata troppo dura, si vergognava. Stava per provare a rimediare, ma Anne la
interruppe. “forse hai ragione …” la guardò con un mezzo sorriso. “anzi, senza
il forse … hai proprio ragione, è sbagliato comportarsi in questo modo con Amy,
proprio adesso. Ma cosa dobbiamo fare?”
Stephanie lasciò andare un sospiro. Per quelle parole che le erano sfuggite
poteva rischiare di far arrabbiare ancora di più Anne, e la cosa sarebbe state
pericolosa.
“vedremo Anne …” sorrise. “ma per ora penso sia meglio andare a dormire,
non credi?” anche Anne sorrise.
“va bene, ha proprio ragione …” si alzò e le tese una mano per farle alzare
a sua volta. Stephanie la accettò e, appena fu in piedi, le gettò le braccia al
collo e la abbracciò stretta.
Dopo quel discorso tutto tornò come prima, come se non fosse successo
niente e di quelle litigate e di quella nottata così strana, era rimasto solo
un ricordo.
Quando le ragazze erano tornate in camera, Amy era già a letto, con i
capelli bagnati raccolti alla nuca e l’abito sporco di fango accasciato ai piedi
del letto, ma con un sorriso sereno sul volto. Stephanie era sempre orgogliosa
del uso lavoro quando metteva pace tra le due amiche, ma quella sera era più
orgogliosa del solito. Purtroppo era troppo stanca anche per pensare, così non
ci badò molto. Si stese sul suo letto, esausta. “buonanotte, Anne.” Disse
sospirando, mentre anche Anne la imitava e si metteva a letto.
“buonanotte Steph.” Rispose l’altra. “e grazie di tutto.” Aggiunse.
“ormai ci sono abituata.”
“non deve essere molto piacevole.” Rifletté Anne ad alta voce.
“a me non dà problemi, vi voglio così tanto bene …”
“va bene …” mormorò Anne. “allora a domani.”
Fu mattina in fretta.