Spero che quest'ultimo capitolo vi piacerà!
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«No» avrebbe voluto gridare Don, ma dalla sua bocca
non
uscì più che un bisbiglio fioco. «No,
per favore. Charlie…»
Non
riusciva più vedere suo fratello. Charlie si era
improvvisamente abbassato assieme a Phelps. Prima di potersi rendere
davvero
conto di cosa stava facendo, Don era già corso
nell’edificio e scattava su le
scale, verso aula. Non si accorse nemmeno che il suo team lo stava
seguendo.
Le
scale e il corridoi sembravano non finire più, eppure
era solo il secondo piano. Don non aveva che un solo pensiero nella
mente ora
sgombera da altro: Come sta?
Finalmente
giunse nel corridoio in questione, lo percorse
veloce e aprì violentemente tutte le porte alla sua destra.
Niente,
niente, di nuovo niente… Eccolo! Una finestra
aperta, studenti sconvolti. Alcuni di loro stavano ancora tenendo un
uomo
sdraiato per terra. E un po’ distante da lui, c’era
una mitragliatrice nera,
accanto al braccio del secondo uomo di cui Don, per gli studenti che lo
circondavano, non poteva vedere più che proprio questo
braccio.
Per
un attimo non si mosse, troppo scioccato dell’orrore che
probabilmente lo attendeva. Finalmente, però, le gambe
parvero muoversi, come
da sole, verso l’accozzaglia di persone. Le grida di Phelps
gli giungevano come
da lontano, ma non gli importava. Continuò a spianarsi la
strada con difficoltà
finché vide la figura di suo fratello sdraiato davanti a
lui. Non era possibile
che qualcuno cosi pallido fosse ancora vivente.
Era
morto.
L’anima
di Don sembrava volersi dividere in due. Una
parte voleva andare via, fuori, voleva correre in
modo che l’immagine
davanti ai suoi occhi potesse infine diventare irreale, voleva correre
nell’altro mondo, quello nel quale viveva suo fratello;
l’altra
parte, invece, si sentiva attratta da Charlie con una forza
insormontabile.
Quest’ultima ottenne il potere sul corpo.
«Charlie?»
La
voce di Don tremava, come tremava la sua mano. Le sue
dita bianche avevano paura di toccare Charlie, paura che la pelle di
suo
fratello potesse essere fredda e in tal modo trasformare il suo cuore
in
ghiaccio. Tuttavia non riuscì a fermarsi.
I
suoi polpastrelli erano appena entrati in contatto con
la guancia di Charlie che subito indietreggiarono spaventati. In
realtà il
contatto era stato così breve da non poter determinare se la
pelle di Charlie
fosse freddo o caldo, ma la domanda parve allo stesso modo ricevere
risposta
perché le palpebre di Charlie si erano aperte, almeno a
metà. Non era morto.
Almeno non lo era se tutto questo stava succedendo veramente.
Don
non osò parlare: se questa parte dell’incubo
– così
terribilmente reale – era realmente solo
un’immagine nella sua testa,
un’allucinazione, non avrebbe voluto mai svegliarsi. E
così fu Charlie a
prendere la parola per primo, appena la nebbia attorno a lui si
dilatò
abbastanza da poter distinguere la figura davanti ai suoi occhi
ardenti.
«Don…»
Allora
non era un’allucinazione.
«Sono
qui, fratellino» lo rassicurò con voce soffocata,
e
prese la mano di Charlie stringendola saldamente. Non
lo
avrebbe lasciato andare. Non lo avrebbe lasciato partire in un mondo in
cui non
poteva seguirlo.
Dovette
avvicinarsi ancora di più a Charlie per sentire
le successive parole.
«...mi…’spiace»
lo sentì respirare. «Non volevo…
litigare…»
«Shhh»
lo calmò mentre doveva lottare contro le
lacrime che volevano uscire fuori dalle code degli occhi.
Non
sapeva più cosa dire. Sta’ calmo?
Quel consiglio
avrebbe dovuto applicarlo lui per primo. L’ambulanza
sarà qui in un attimo?
Ogni attimo poteva essere l’ultimo per
Charlie. Non dire niente? Da un punto di vista
medico sarebbe stata la
cosa più giusta, ma quella poteva essere l’ultima
opportunità per Charlie di
parlare, l’ultima opportunità per lui di sentire
parlare suo fratello…
«Io
resto con te» forzò infine le parole ad uscire
dalla sua gola. Sfiorò amorevolmente i capelli mantidi di
sudore sulla fronte
fredda ed umida di suo fratello e tentò di regolare la sua
propria respirazione
e di reprimere i gemiti.
Sotto
le sue palpebre, Charlie gli lanciò uno sguardo
pieno di gratitudine prima che queste chiudessero.
Con
il dorso di una mano Don gli accarezzò la guancia
pallida. Dove era andato tutto il sangue? Solo dopo averlo pensato si
rese
conto che in realtà conosceva la risposta, e
fissò con lo sguardo le fattezze
di suo fratello, segnate dalla pena, per resistere
all’impulso di guardare il
lago di sangue accanto a lui.
«Oh
Charlie…» bisbigliò, soffocato, e
strinse forte la
mano di suo fratello. No, non lo avrebbe lasciato. Sarebbe rimasto con
lui.
Materialmente
parlando, Don mantenne quella promessa
fino alla sala operatoria.
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Don
era seduto immobile su una delle dure sedie di
plastica nell’area d’aspetto. Il suo sguardo vuoto,
fissava le piastrelle
fredde, vedendo sempre le stesse immagini: Charlie, sdraiato come morto
sul
pavimento; Charlie, che litigava con lui; Charlie, che spiegava una
formula
matematica a lui e al team; Charlie, che semplicemente rideva;
Charlie…
Don
deglutì e sentì come di nuovo le sue lacrime
tentassero di sopraffarlo. Questa volta non fece nulla per impedirlo. Non
poteva più farlo. Non ne aveva più la forza. Era
allo
stremo.
Come
era potuto succedere tutto questo? Perché non era
riuscito a proteggere suo fratello?
È
facile, perché tu sei un fratello cattivo
disse una voce maliziosa nella sua mente. Hai litigato con
lui. Ben fatto,
complimenti! Le ultime parole scambiate con tuo fratello saranno un
litigio
perché tu hai voluto che lui lasciasse perdere tutto per te.
Il
singhiozzo solitario e disperato di Don si espanse
tra le mura del corridoio. Le
ultime parole… No! Non sarebbero
state le ultime! Charlie non doveva morire! Non
poteva
morire! Era ancora… talmente giovane, aveva ancora
così tanti progetti, col suo
lavoro, con Amita, non doveva morire! Era il suo
fratellino…
Senza
rendersene conto, Don aveva preso le mani l’una
nell’altra, pregando in silenzio, mentre il suo singhiozzo si
estingueva
lentamente, senza essere sentito da nessuno.
Ti
prego, Dio, non farlo morire, ti prego. Lui…
io
non potrei sopportarlo. Prima
la mamma e poi lui… non lo
potrei sopportare! Per favore, ti prego, non portarlo via da me.
Sarò più gentile
con lui in futuro, lo giuro, ma per favore, non portarlo via da me. Io
ho
bisogna di lui!
La
parte di Don che era ancora troppo scioccata per
fare qualcosa ascoltò le parole nella sua testa che venivano
dal profondo del
suo cuore. Era sorpresa, eppure nello stesso tempo sapeva che era la
verità:
Don aveva bisogna di Charlie. E non sapeva che cosa avrebbe fatto se
fosse
successo qualcosa a suo fratello, qualcosa di irreparabile.
«Donnie!»
Don
riconobbe immediatamente la voce, nonostante
questa non fosse che un flebile sussurro che andava scemando. Mentre si
alzò e
si voltò verso suo padre, cancellò
frettolosamente le lacrime della sua faccia
e dagli occhi arrossiti con la manica.
«Papà!»
disse a bassa voce così che la sua fragilità
potesse passare inosservata. Prima
che Don potesse ordinare alle
sue gambe di andare da suo padre, quello era già arrivato da
lui, e gli Eppes
si abbracciarono forte, l’unico appoggio che potessero darsi.
Don
sentì come il dorso di Alan sussultasse e lui stesso sentiva
che stava per
andare di nuovo in briciole, ma adesso doveva essere forte. Doveva
aiutare suo padre.
Durante
l’abbraccio Don aveva lasciato chiusi i suoi
occhi, e solo quando li aprì di nuovo si accorse di Megan,
Larry e Amita.
Lasciò suo padre e i due si separarono.
«Grazie
per averlo portato qui» disse Don con quanta
più calma possibile.
«Di
niente» rispose Megan a voce bassa.
Il
suo sguardo volò alla porta della sala operatoria prima
che fissasse Don.
«Si
sa già
qualcosa?»
Don
scosse il capo e fece entrare febbrilmente un po’
d’aria sterile nel suo naso.
«Due
ferite da arma da fuoco, una nella spalla,
l’altra nell’addome. E… e ha perso molto
sangue. Non mi hanno detto di più».
Però
era stato sufficiente per lui. E in fondo era tutto
ugualmente chiaro: il colpo nella spalla, Charlie doveva averlo
ricevuto già
all’inizio dell’Odissea; il secondo lo aveva
colpito quando uno dei tiratori
scelti aveva sparato alla spalla di Phelps. Era
tutto
logico; probabilmente sarebbe stato un rapporto di facile stesura. Eppure
Don non riusciva ancora realizzare cosa fosse successo. Non
finché il suo
fratellino stava lottando contro la morte lì dentro.
Megan
gli aveva posto una mano sulla spalla, ma non
disse niente. Anche Larry, le mani tenute l’una accanto
all’altra in modo da
coprire la bocca e il naso, e Amita, gli occhi bagnati dalle lacrime,
rimanevano silenziosi.
Non
ce la farà
pensò Don disperato. Sanno
che non ce la farà.
Si
voltò dall’altro lato. Non riusciva più
a
guardarli. Di nuovo la disperazione minacciò di tirarlo
giù, ma questa volta
Don sapeva che non doveva lasciarlo succedere.
Credo
in te, Charlie
pensò a
fatica, Mi senti? Non
ti mollo. So che ce la farai. Non
lasciarmi…
E
da qualche parte, nel profondo della sua anima, Don
sapeva che Charlie lo sentiva.
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Era
buio. Si guardò in torno. No, non c’era niente,
tutto vuoto. E dall’altra parte? Niente. Forse dietro di lui?
Possibile. Se
solo sapesse dove era il “dietro“.
«Charlie!»
Charlie
voltò la testa nella direzione della dolce
voce che lo aveva chiamato. C’era una luce. Accecato,
socchiuse gli
occhi. Dio, questo sì che era abbagliante! Ma,
malgrado
tutto, bellissima. Come la voce.
«Charlie,
vieni! Ti aspettiamo».
Charlie
non dovette neanche rifletterci che andò verso la
voce, come se stesse camminando su velluto.
Circa
a metà strada Charlie sentì uno sguardo
trafiggergli la schiena e si voltò.
«C’è
qualcuno?»
Non
poteva vedere niente, ma sapeva che c’era qualcuno
che l’osservava. Che vigilava su lui.
«Don?»
La
figura fece un passo avanti e adesso era
rischiarata scarsamente da quella luce abbagliante e bianca. Un corpo
forte e
muscoloso, fattezze nitide, spigolose, ma belle, sottili rughe attorno
agli
occhi. Don, senza alcun dubbio.
«Vieni,
Charlie?» Di nuovo questa voce argentina
cristallina.
Charlie
guardò a lungo suo fratello prima di voltarsi
a mezza verso di lei.
«Subito,
Mamma!».
Ma
lei non lo lasciava stare. «Qui
non c’è
più dolore, Charlie».
«Ma
mamma! Don è qui!»
«No,
Charlie, non è qui. E
dall’altra
parte, con tutti gli altri».
Charlie
era confuso. Poteva vedere Don, no? Poteva
anche andare da lui… almeno così credeva. Chiese ai suoi
piedi di farlo, ma stranamente non si mossero
dal posto dov’era fermi.
«Perché
Don non è con noi? Perché noi non siamo con gli
altri?»
«Questo
è il corso delle cose, Charlie».
«Ma
non voglio lasciarli!»
Margaret
tacque misteriosamente.
«Cosa
devo fare, Mamma?»
«Devi
saperlo tu, piccolo mio. Sei
tu a
dover prendere una decisione».
Di
nuovo Charlie guardò suo fratello a lungo. Don
semplicemente sorrise, niente di più. È
felice di
vedermi
pensò Charlie ad un tratto. Ma perché?
si
chiese e si diede subito una risposta. È venuto a
prendermi. Devo esser
stato via. Ma Don vuole che io torni.
Charlie
ricambiò il sorriso di suo fratello e andò
verso di lui. La luce bianca si distribuì e
schiarì il buio sul loro cammino
mentre andavano in silenzio l’uno accanto
all’altro.
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Con
un ultimo sguardo ai suoi figli, Alan sparì oltre
la porta, diretto a casa. Aveva veramente meritato una pausa da quello
stress.
«Puoi
andartene anche tu, se vuoi. Non
c’è
bisogno che tu rimani qui tutto il tempo, Don. Sicuramente
hai da fare cose più importanti».
Don,
sorridendo, scosse il capo. «No,
detto francamente, non c’è una cosa più
importante,
Chuckie».
Charlie
arrossì. Da qualche parte, dentro di lui,
aveva sempre saputo in fondo che Don si preoccupava per lui. Ma il
fatto che
l’affetto di Don per lui fosse talmente profondo da farlo
restare nella sua
stanza ogni minuto in cui non doveva essere a lavoro, era stata una
nuova,
scaldante esperienza. Don era stato con lui anche quando, una settimana
fa, si
era svegliato per la prima volta dopo l’operazione. E
nonostante fosse stato
abbastanza frastornato in questo momento, Charlie ricordava ancora
perfettamente gli occhi lucidi che brillavano tradendo le lacrime.
«Allora,
com’è andata oggi?» si
informò Don e Charlie
sapeva che suo fratello si riferiva alla terapia di riabilitazione.
«Abbastanza
bene, almeno così dice il dottore Clark.
Ritiene che fra un mese dovrei essere capace di muovere il mio braccio
come
prima».
Per
fortuna, il danno ai nervi della spalla non si era
dimostrato molto grave. E con la terapia, che aveva cominciato quattro
giorni
dopo l’operazione, le sue prospettive di guarigione erano
molto buone.
«Questo
è un bene», sorrise Don.
«E…»
Charlie
esitò, respirò profondamente e poi
continuò «E come sta Phelps?»
Ad un
tratto, il sorriso di Don svanì rapidamente.
«Speriamo che stia tanto male come
si può stare in carcere preventivo»
brontolò.
Charlie
tacque. Non voleva litigare con Don.
«Cosa
c’è?» tornò alla carica Don e
nei suoi occhi si
poteva vedere una fusione strana di preoccupazione e incomprensione.
«E’
solo…» Charlie ammutolì.
«Cosa?»
insistette Don. «Dimmelo, Charlie! Non starai
seriamente dicendo che ti spiace per quel pezzo di merda?!»
Charlie
guardò le sue mani, che si stringevano in modo
convulso l’una nell’altra sulla coperta bianca.
«Penso
anch’io che sia stato un po’
estremo…» mormorò,
ma non ci riuscì ad andare avanti.
«Un
po’ estremo? Un po’ estremo?!
Charlie, ti
ha quasi ucciso!»
«Sì,
è
vero, ma…»
«Niente
ma, Charlie! Per favore fammi il piacere e non
tentare di difendere quel mostro! Non c’è niente
– senti, niente – che
potrebbe giustificare le sue azioni!»
«Ma
non e questo il punto!»
Don
si arrestò. Charlie aveva ragione. Non si trattava
più dell’odio che poteva provare per
l’essere che aveva quasi avuto suo fratello
minore sulla coscienza; ora si trattava di Charlie. Don sentiva che
qualcosa
occupava i pensieri di suo fratello e – maledizione!
– era suo dovere di essere
lì per lui! Non solo perché l’aveva
giurato.
«Allora
di che cosa si tratta, Charlie?» chiese Don,
calmo, sperando di apparire così come voleva essere per suo
fratello.
Di
nuovo Charlie respirò profondamente. «E
solo… Phelps ha perso tutto, solo perché non ha
superato l’esame nel mio corso.
I suoi genitori non l’hanno più mantenuto,
è andato in prigione e poi la sua
ragazza l’ha lasciato. E tutto questo solo a
causa… solo perché non ha superato
il mio esame. Voglio dire… Don, quali sono le conseguenze
quando faccio
bocciare qualcuno?»
Don
lo fissò. Non aveva ancora guardato il tutto da
questo punto di vista. Fino ad adesso aveva sempre solo fatto
attenzione a
Charlie, non al mostro che l’aveva quasi distrutto. Don
corresse l’immagine nel
suo cervello: il mostro era stato distrutto anche lui stesso da
qualcosa…
Ad
un tratto scosse il capo. «Non
puoi dire
così, Charlie. Non puoi darti la colpa perché
quel tipo non ce l’ha più fatta
ad andare. Non lo hai di certo spinto tu a diventare un criminale. E
penso che
tu non l’abbia bocciato senza ragioni, no?»
«Certo
che no!» rispose Charlie. «Le sue conoscenze erano
semplicemente insufficienti. Ma…»
«Vedi»
incalzò Don sfruttando l’esitazione del fratello.
«Non hai potuto promuoverlo finché non aveva le
conoscenze necessarie. Immagina
se avesse avuto il suo diploma e fosse andato – non so
– nell’edilizia e ci
avesse aiutato colla costruzione di… di una scuola, per
esempio: ma non avendo
le conoscenze necessarie, l’intera struttura sarebbe
crollata».
Charlie
lo fissò. «Penso che tu veda troppi
film» disse
in modo secco.
Don
trattenne un sorriso. «Ti sbagli, fratellino. E
così
anche nella vita. Credimi».
E
Charlie gli credette. Non sapeva le ragioni, ma aveva
una fiducia irremovibile in suo fratello maggiore. E questa fiducia si
era
dimostrata nel fatto che Don gli avendo bisbigliato cosa aveva dovuto
fare.
Aveva proibito che tutto succedesse senza ordine, così come
ora aveva messo in
ordine il caos delle emozioni di Charlie. Non c’era un
dubbio, Don era il
migliore fratello nel mondo. Ed il migliore eliminatore di caos di
tutti i
tempi.
FIN3