Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Rika88    04/06/2010    4 recensioni
Gennaio 1945: in una Germania devastata, Alphonse Elric, arruolato per una guerra ormai persa, lascia i figli a casa del fratello Edward. Tuttavia, come Thomas e Charlotte Elric scopriranno presto, i problemi non si limitano alla difficile convivenza tra due caratteri troppo simili, come quelli del bambino e di Ed: l'abitazione e la libreria sotto di essa sono il fulcro di un movimento incessante e, forse, anche pericoloso.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

            15. Seguire gli ordini

 

 - Pittoresco. Davvero, perché non aprite questa zona al pubblico e fate pagare un biglietto? -

 - Perché alcuni corridoi sono pericolanti, Acciaio. Finora non è ancora successo nulla di grave, ma magari stasera sarò fortunato. -

Trattenni un sorriso, e lanciai un’occhiata complice al maggiore Armstrong, che camminava alla mia sinistra. Da quando eravamo ridiscesi nelle gallerie scavate sotto Central City, Ed non aveva smesso un attimo di fare commenti sarcastici, e il generale Mustang gli rispondeva per le rime: sembravano due bambini, come al solito.

 - Certe cose non cambiano mai. - sussurrai al maggiore. I suoi baffi candidi fremettero, mentre nascondeva a fatica il divertimento.

Avevamo deciso di onorare il pagamento al generale quella sera stessa, subito dopo il tramonto: Ed non voleva avere nessun debito in sospeso con lui, come ribadì più volte, e comunque le gallerie erano illuminate, quindi non c’era differenza tra esplorarle di giorno o di notte. Inoltre, aveva fatto notare il maggiore, se ci fossimo imbattuti nel colonnello Holze e fossimo riusciti a condurlo con noi, una volta tornati in superficie il buio lo avrebbe nascosto da occhi indiscreti.

Consultai la mappa che il generale ci aveva fornito, avvicinandomi all’ennesima lampada installata sulle pareti scabre: camminavamo da circa un’ora, e le gallerie si stavano facendo più strette e basse, oltre che più fitte. La zona in cui ci trovavamo era denominata Area 0052, e ricordava un’immensa tana di coniglio: lì era stata avvistata la creatura che aveva allarmato il generale, e che un tempo era stata il padre di uno dei miei uomini, oltre che l’ufficiale medico che mi aveva salvato la vita. O, almeno, che mi aveva curato: dovevo ammettere che il colonnello Holze era molto più impegnato a seguire i deliri del Presidente della Società di Thule che a badare a me, e dopo l’iniziale preoccupazione che non gli morissi sul camion che ci portava in Baviera aveva delegato la mia sopravvivenza alla cameriera di casa Schneider-Steinglocke. Tuttavia, il suo disinteresse per la mia salute non era un motivo sufficiente per volerlo morto, com’è ovvio, né per augurargli di finire nel Portale e uscirne... come? Di certo devastato nel fisico, ma nella mente?

 - La puzza di piscio di gatto è vera? -

 - Da qui in avanti è più difficile proseguire. - commentai, prima che il generale rispondesse.

 - Questo è uno dei settori più vecchi. - spiegò il maggiore, avanzando fino all’ennesima biforcazione. - I passaggi sono più numerosi e meno regolari. -

 - In effetti, prima la strada era obbligata. - notai, ripensando ai passi percorsi. - Invece, da dieci minuti a questa parte abbiamo trovato tantissime intersezioni con altri corridoi. -

 - Allora sarà meglio dividerci. - sentenziò Edward, portando le mani ai fianchi e guardandosi intorno. - Non da soli, ovviamente: in due gruppi separati riusciremo ad esplorare un’area maggiore in meno tempo. Inoltre, siamo tutti alchimisti, quindi non avremmo difficoltà a difenderci... se ce ne fosse bisogno. - aggiunse, a voce più bassa.

Il generale infilò le mani in tasca: - Molto bene. - disse. - Al può venire con me, e tu andrai con il maggiore. Così, se lo incontreremo, ci sarà sicuramente una persona che possa riconoscere. -

Annuii, anche se lui stava già entrando nel corridoio a sinistra e mi dava le spalle. Feci un rapido cenno di saluto agli altri due e lo seguii, controllando con preoccupazione che il soffitto non si abbassasse tanto da dover procedere chino.

 - Quante volte è già stato qui sotto, generale? - gli domandai, notando che non consultava la mappa che ognuno di noi aveva.

Si fermò il tempo necessario perché mi affiancassi a lui, e tolse le mani dalle tasche del soprabito perché il passaggio era così stretto che i suoi gomiti lo riempivano.

 - Quattro o cinque volte, ma molti anni fa, mentre questa zona era in costruzione: sembra molto difficile orientarsi, ma in realtà ogni bivio è contrassegnato con una lettera e un numero crescente. Vedi? -

Seguii con lo sguardo il suo dito, osservando meglio le scritte in vernice rossa che prima avevo ignorato, nonostante fossero abbastanza grandi da occupare metà della parete. In effetti, erano riportate anche sulla cartina. E le lampade erano posizionate proprio sopra, così da renderle perfettamente leggibili.

 - Lei la fa semplice. - dissi, sorridendo. - Ma come fa a sapere se si sta allontanando o avvicinando ad un’uscita, o se sta girando in tondo? -

 - Segui la lettera e il numero, e ti ritroverai sicuramente fuori. - mi rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Forse lo era, ma a me non era proprio venuto in mente.

 - Capisco. - bofonchiai, per pura educazione. Lui lo intuì e sorrise a sua volta, ma non fece ulteriori commenti.

Il lavoro si era dimostrato piuttosto noioso: una condizione preferibile ad uno scontro, certo, ma continuammo a camminare per quel dedalo di gallerie per così tanto tempo che persi la cognizione del tempo. Per evitare di rovinare ulteriormente gli abiti che Winry ci aveva prestato, che oltretutto erano troppo leggeri per stare lì sotto, avevo indossato di nuovo la divisa, ma mi ero rifiutato di prendere la pistola: in caso di bisogno, mi sarei difeso alzando muri con l’alchimia o creando barriere, ma non avrei mai sparato a nessuno. Eppure, quando un rumore ci fece fermare di colpo portai istintivamente una mano alla cintura, dandomi dello stupido subito dopo. Il generale si piegò leggermente, nonostante non ci fosse nulla dietro cui ripararsi in caso di attacco, e alzò una mano per chiedere silenzio. Entrambi restammo in ascolto, trattenendo persino il respiro.

Il rumore giunse di nuovo, rimbombando in modo tale da rendermi impossibile capire da dove venisse. Qualcosa raspava, e per qualche istante sperai si trattasse di un topo: ma poi venne un colpo di tosse decisamente umano, che mi fece rizzare i capelli in testa. Di certo, non si trattava né di Ed, né del maggiore.

Il generale alzò un dito nella mia direzione, poi indicò qualcosa davanti a noi. Aggrottai le sopracciglia, prima di intuire che stava dicendo a ore due; come avesse fatto a capirlo, era un mistero. Allungò un piede, appoggiando la suola a terra centimetro dopo centimetro, per fare meno rumore possibile. Un passo. Un altro passo, alla stessa esasperante lentezza. Un altro passo.

Lo seguii, e cominciai a preoccuparmi quando lo vidi sollevare la mano destra, chiusa nel guanto, e appoggiare il pollice contro indice e medio: deglutii, e sperai che non ci fosse bisogno dell’alchimia.

Eravamo arrivati all’ennesimo bivio. A destra, uno dei corridoi che si diramavano era stranamente al buio, a parte per il riverbero delle lampade che illuminavano l’intersezione in cui ci trovavamo e un’altra alla fine del cunicolo, a una decina di metri: si intravedeva a malapena un cumulo scuro sul pavimento, come un sacco malamente gettato in terra.

Dovremmo bloccare l’altro passaggio., pensai, abbassando gli occhi sulla mappa. Ma era assurdo prepararsi a fronteggiare un possibile nemico con una cartina in mano! Voltai la testa verso il generale, sperando che anche lui ci avesse pensato, ma ero nella zona buia creata dalla benda sull’occhio; non mi vide, e io non osavo attirare la sua attenzione in nessun modo.

 - Ehi, ehi! -

Sobbalzai, e il cuore mi saltò in gola. Il cumulo nero aveva parlato! Si mosse, si sollevò sprigionando un odore disgustoso, un misto di alcol e sporco, fino a rivelare il viso in penombra di un perfetto sconosciuto, che non avrei potuto scambiare neppure per sbaglio per il colonnello Holze.

Sentii la tensione allentarsi, e mi venne una gran voglia di ridere. Quel vecchino ricordava in maniera sorprendente l’uomo che avevo sorpreso in casa di Edward, quel signor Lindemann che sembrava odiarlo così tanto (ed era contraccambiato con pari ardore).

 - Cercatevi un altro posto per andare a dormire! - ci ordinò, calcandosi meglio sulla testa un cappello di lana.

 - Questa zona è interdetta ai civili! - esclamò il generale. Anche lui doveva essersi ripreso solo in quel momento dalla sorpresa, e forse si stava dando dell’idiota esattamente come facevo io. Tuttavia, la nascose meglio, e si avvicinò all’uomo a passi pesanti.

Il poveretto mise finalmente a fuoco la divisa sotto il soprabito e... credo che sbiancò, anche se non saprei dirlo con certezza. Di certo, sul suo volto il fastidio fu rapidamente sostituito dal terrore.

 - Me ne vado! - esclamò, saltando in piedi. - Perdonatemi, signore... Vossignoria... Eccellenza... non sapevo... ho visto, e ho creduto... sarei rimasto solo per questa notte... -

 -  Certo, solo per questa notte... - brontolò l’ufficiale, dando un’occhiata alle coperte e ai resti di cibo sparsi intorno. Doveva essere lì dentro da parecchio.

 - Ha un posto dove andare? - chiesi, preoccupato per lui.

 - Alla Stazione Centrale, se quei bastardi di Aerugo non l’hanno ancora fatta crollare! - rispose quello, raccogliendo in fretta i suoi cenci. - Posso andare lì, Eccellenza? -

 - Macché Eccellenza... - borbottò il generale, voltando le spalle e sbuffando.

Mi spostai per lasciar passare il vecchio, notando la lampada rotta sulla parete: forse l’aveva spaccata proprio lui, per non essere disturbato dalla troppa luce. - Dovrei fargliela pagare, con quel che costa la manutenzione qui sotto... - disse Mustang, con una smorfia. Nonostante la penombra, si leggeva ancora abbastanza bene la scritta B23, larga quattro dita, e che occupava buona parte del muro.

 - Credo non avesse neppure i soldi per comprarsi da mangiare. - ribattei tristemente.

 - Dall’odore, direi che quelli per bere non gli mancano. -

Evitai di commentare, e lasciai che il generale si allontanasse di qualche passo per controllare che il senzatetto se ne fosse davvero andato - e sbollire la rabbia contro se stesso per essersi allarmato per nulla. Mi chinai ad esaminare i rifiuti che il vecchio aveva lasciato, spostando con cautela i vetri della lampada rotta e di una bottiglia con il collo rotto. C’era solo un sacchetto unto, uno straccio che poteva essere stato qualunque cosa e... una cintura? Sì, era identica a quella che portavo io, anche se molto più consumata...

Sentii un brivido corrermi lungo la schiena. La afferrai, e guardai la grossa fibbia metallica.

Gott mit uns, c’era scritto. Dio è con noi. Era la frase incisa sulle cinture dei soldati tedeschi della Wehrmacht.

L’alter ego di Herr Lindemann aveva balbettato non sapevo... ho visto, e ho creduto...: cosa aveva visto? Dei rifiuti lasciati da qualcuno che era lì prima di lui, evidentemente.

Riesaminai i cocci di vetro: la bottiglia aveva un’etichetta di una marca di liquore prodotto nel nord di Amestris, e alcuni pezzi della lampada che aveva illuminato il cunicolo erano sporchi di una qualche sostanza scura e oleosa, che a causa dei guanti che indossavo (sopra c’erano dei cerchi alchemici, e gli altri tre avevano insistito che li indossassi, per ogni evenienza) non avevo notato subito. Me ne sfilai uno, e feci passare un dito.

Il generale stava ritornando, e dalla calma dei suoi passi non doveva aver scoperto molto. Rimasi accovacciato tra la sporcizia.

 - Abbiamo una traccia, anche se non so quanto sia vecchia. - gli dissi, sfregando la punta delle dita sporche tra di loro e annusando. - Questo non è di certo l’acetilene delle lampade, e quella cintura è identica alla mia. Credo che il colonnello sia stato qui. -

Non ricevetti risposta, e mi voltai per mostrargli la scheggia.

Alle mie spalle, si intravedeva soltanto una sagoma scura: non solo per il buio, ma perché l’uomo dietro di me era completamente nero.

Lanciai un grido per la sorpresa, e mi sbilanciai sulle ginocchia. Caddi seduto tra la sporcizia, e sentii alcune schegge ferirmi i palmi delle mani che avevo appoggiato per terra nel tentativo di restare in equilibrio.

 - Colonnello! - esclamai, tirandomi indietro e sbattendo la schiena contro la parete.

Lui non si mosse. Non ebbe reazioni di nessun tipo, in realtà: rimase immobile di fronte a me, senza tentare né di attaccare, né di fuggire.

 - Colonnello Holze. - ripetei, a voce più bassa. - Mi riconosce? Sono il capitano Elric. Si ricorda di me? Remagen? La Baviera? -

Piegò lentamente la testa su una spalla. Il suo volto, al pari del resto del corpo, era coperto di uno strato scuro, come se gli fosse stato colato addosso un barile di petrolio: non vedevo nulla che somigliasse a occhi, o bocca, o naso, perciò era anche impossibile capire cosa pensasse. O se pensasse ad alcunché. Però mi dava l’impressione di essere perplesso.

 - Va bene. Ora mi alzerò. - lo avvertii, alzando i palmi delle mani per fargli vedere che ero disarmato. Cosa del tutto vera, in effetti, perché nella mano destra non avevo il guanto, e quello alla sinistra si era strappato quando ero scivolato.

* * *

 

Io e il maggiore Armstrong ci irrigidimmo appena sentimmo i passi alle nostre spalle; ci voltammo di scatto, pronti a difenderci se fosse stato necessario, e fummo quasi travolti da un vecchietto cencioso che correva verso di noi con le braccia ingombre di ogni genere di cianfrusaglia.

 - Ma che... - balbettai, quando mi accorsi che era identico a Johann Lindemann. Non mi sarei mai abituato a quella storia degli alter ego.

Il nonnetto ci scansò senza degnarci di uno sguardo, ma lanciando occhiate preoccupate alle sue spalle: il col... generale Mustang lo seguiva a qualche metro di distanza, camminando con calma indolente.

 - Che è successo? - gli domandai, ignorando l’uomo che si allontanava.

 - Lo abbiamo trovato che dormiva in una galleria. - spiegò concisamente lui, scrollando le spalle. - Direi che conosce questo posto molto meglio di tutti noi, quindi è inutile accompagnarlo ad un’uscita. È abbastanza spaventato da andarsene davvero, e non tornare per un bel po’. -

 - E Al? -

 - È rimasto indietro. - sorrise, e agitò pigramente una mano in aria. - Non ti preoccupare, Acciaio: a differenza di te, tuo fratello può essere lasciato da solo per più di cinque minuti senza timore che si cacci nei guai! -

Stavo per rispondere con qualcosa di pungente, ma le mie parole furono coperte da un grido che riconobbi subito provenire da mio fratello, nonostante fosse distorto dal rimbombo delle gallerie. Ci irrigidimmo, e vidi i volti degli altri due distorcersi in una smorfia terrorizzata che doveva essere identica alla mia. Mustang imprecò, girandosi nella direzione da cui era venuto, e io corsi subito in avanti, urtandolo involontariamente.

In uno degli infiniti corridoi che si incrociavano non c’era luce: mi fermai, scivolando leggermente in avanti a causa delle suole consumate. Alphonse era in piedi, schiacciato contro la parete, la schiena contro una scritta a vernice rossa, apparentemente incolume a parte alcuni tagli sulle mani. Di fronte a lui...

Feci cenno a Mustang e al maggiore di fermarsi, prima che venissero visti. Non distolsi lo sguardo dalla... persona? Creatura? Speravo ci fosse ancora qualcosa di umano nel colonnello Holze. Il Presidente Eckhart, nel ‘23, era rimasta fino all’ultimo la stessa pazza psicotica, in fondo...

D’accordo, non era un buon paragone.

Al mi vide con la coda dell’occhio. Non si mosse, e non lo fece neppure l’uomo di fronte a lui.

 - Colonnello Holze. - disse, parlando con voce bassa e pacata. - Sta bene? Si ricorda di noi? Sono il capitano Elric, e questo è mio fratello. Ricorda? - ripeté di nuovo.

Holze mosse lentamente la testa verso di me. Al pari del resto del corpo, anch’essa era ricoperta dalla sostanza nera: non capivo come potesse vedere, o anche solo respirare. Eppure in qualche modo doveva riuscirci, perché mi diede proprio l’impressione che mi stesse squadrando con attenzione.

 - Non le vogliamo fare del male. - aggiunse Al.

Dal colonnello provenne un suono gracchiante, che ci fece trasalire per lo stupore. Stava cercando di parlare? Trattenni il respiro quando mi accorsi che la materia scura sul suo viso si stava muovendo, fino a lasciare scoperto il volto baffuto di Holze. Mi stava fissando, con un paio di occhi che non riconobbi, così freddi e vuoti. Ripeté il suono:

 - B... mb... n. -

 - Che cosa? - chiesi.

 - Ba... mb... n. -

 - Bambino? Intende suo figlio? Klaus non è qui. - lo tranquillizzai.

 - Bambino. - gracchiò quella voce che non conoscevo. La pronuncia migliorava ogni volta che parlava, ma non sembrava afferrare davvero il senso di quello che gli stavamo dicendo. - Dove bambino? -

Cercai con la coda dell’occhio il generale e il maggiore, a qualche metro alla mia destra. Riuscivo a distinguere la stazza dell’Alchimista Nerboruto, ma Mustang non era con lui.

Che diavolo aveva in mente?

 - Klaus è a casa. In Baviera. - spiegai lentamente.

 - Controllare bambino. -

Rabbrividii, capendo a chi si stesse davvero riferendo. Al lo realizzò più o meno nello stesso istante, perché vidi la sua espressione cambiare.

 - Sta parlando di Thomas e Lotte! - disse, angosciato.

 - Non ce n’è bisogno, colonnello. - feci un cauto passo in avanti, e lui non sembrò preoccuparsene. - I bambini sono al sicuro, con noi. -

 - Controllare bambini. Seguire ordini. - replicò. Fece anche lui un passo in avanti nella mia direzione, e me lo ritrovai a meno di mezzo metro di distanza. Cercai di non fare movimenti bruschi, anche se mi spostai leggermente all’indietro quando lui si chinò verso di me, emettendo uno strano rumore col naso.

Mi sta fiutando??, mi chiesi, allibito. Avevo appena formulato il pensiero, che l’ufficiale si fece indietro, avvicinandosi ad Alphonse e annusando la sua camicia come un cane. Mio fratello mi lanciò un’occhiata dubbiosa, ma neppure lui si oppose.

 - Venga con noi. - propose gentilmente. - Vedrà che i bambini stanno bene. Poi torneremo tutti dall’altra parte del Portale. -

 - Controllare bambini. Seguire gli ordini. -

 - Certo, ma... - Al fece per allungare una mano verso il braccio del colonnello; probabilmente aveva deciso che il poveruomo non sembrava volerci attaccare. Tuttavia, il gesto dovette inquietare la mente sconvolta di Holze, perché saltò all’indietro con un movimento rapidissimo, che feci fatica a seguire con lo sguardo. Saltammo anche noi due, per lo spavento, e l’ufficiale scappò nella direzione opposta a quella in cui ero arrivato, verso i corridoi illuminati.

 - Aspetti! - gridai, preoccupato.

In pochi secondi - anzi, millesimi di secondo! - la situazione ci sfuggì completamente di mano: il maggiore Armstrong si materializzò alle mie spalle, e Mustang si parò di fronte al fuggitivo, impedendogli il passaggio. Giusto per creare ancora un po’ più di caos, l’idiota pensò bene di spaventare Holze schioccando le dita e creando delle scintille che lo fecero indietreggiare con un gemito. Immagino non avesse tenuto conto che chi stavamo fronteggiando si comportava più da animale che da essere umano, e come gli animali aveva una paura istintiva e atavica del fuoco.

Balzai in avanti e afferrai mio fratello, rimasto immobile nel bel mezzo della bagarre: quel guerrafondaio del generale sarebbe stato capace di cuocerlo e poi venire da me con aria afflitta a chiedermi scusa.

 - Fermatevi! - implorò Al mentre lo tiravo indietro. - È innocuo, non c’è bisogno di trattarlo così! -

Ovviamente, aveva appena pronunciato quelle parole che l’innocua creatura appoggiò il palmo della mano su una parete della galleria, creando un cerchio alchemico la cui intensa luce verde ci costrinse a ripararci gli occhi con le mani.

 - Tutti a terra! - gridò il maggiore, e per maggior sicurezza ci gettò violentemente al suolo. Feci appena in tempo a chiedermi cosa diavolo ne sapesse Holze di alchimia, che il muro esplose in una nube di polvere e detriti. La creatura sparì nel buco formato dal crollo, correndo nel passaggio parallelo a quello che ci trovavamo; nonostante gli occhi che lacrimavano per il pulviscolo nell’aria, mi alzai goffamente in piedi e cercai di inseguirlo, con Alphonse dietro di me.

 - Torna indietro! - gli ordinai. - Ora che è spaventato può essere più pericoloso! -

Non mi rispose. Non avevo mai davvero creduto che mi obbedisse, a dire il vero.

 

Guardammo in tutti i corridoi che ci capitarono a tiro. Tenemmo le orecchie aperte, sperando di sentire il suono dei passi.

Tutto inutile. Lo avevamo perso.

Non solo. Ci eravamo persi anche noi!

 - Secondo te siamo già passati di qua? - chiesi dopo un po’, quando non ne potei più di correre.

Alphonse recuperò la sua cartina, strappata in così tanti punti da essere inservibile. Nonostante tutto, ridacchiò: - Cosa sarebbe successo se non fossi rimasto con te? - mi domandò.

 - Ora non fare il presuntuoso: neppure tu sai dov’è l’uscita. -

 - No, - ammise lui, - ma so come trovarla. Me lo ha spiegato il generale. - Indicò il numero e la lettera dipinti con la vernice rossa sul muro di quella galleria. - Siamo nel passaggio E88. Cerchiamo i numeri decrescenti contrassegnati dalla stessa lettera, e arriveremo all’uscita. Ad un’uscita, almeno. -

Il cunicolo perpendicolare a quello, in effetti, era segnato come E87. Cominciammo a camminare.

 - Mi domando, - riprese dopo un po’ - perché il colonnello Holze sia ridotto così. Al Presidente Eckhart non era successo nulla di simile. -

 - Credo sia una questione di tempo. - commentai. - Anche lei, dopo un po’, aveva dato segni di cedimento: quando eravamo tornati dall’altra parte del Portale, era completamente fuori di sé. -

 - Già. Voleva a tutti i costi tornare di qui per distruggere questo mondo, anche se era ferita in modo tale da reggersi a malapena in piedi. -

 - Cambiamo argomento. - sbottai, a disagio.

Per alcuni secondi, Al non parlò. L’unico rumore che sentivo era quello del suo respiro che andava regolarizzandosi, da qualche parte dietro di me.

 - Ed... -

 - Mh? -

 - Cos’è successo sei anni fa tra te e Winry? -

 - Affari miei! - esclamai, con una voce così isterica che mi diedi fastidio da solo. Alphonse ridacchiò, il verme!

 - Avete litigato, vero? Per suo marito? -

 - Non era ancora sposata. - rettificai. - E comunque no, non abbiamo litigato. -

 - Allora cosa... - lasciò in sospeso la frase. Trattenne rumorosamente il fiato, poi lo rilasciò facendo altrettanto chiasso. - Non ci credo! - esclamò.

 - A cosa? - domandai innocentemente, senza fermarmi né tantomeno voltarmi.

 - Ma... È come una sorella! -

 - Forse per te. -

Con la coda dell’occhio, lo vidi cercare di recuperare la calma. Era leggermente arrossito.

 - Solo una volta? -

 - Solo una volta cosa? -

 - Piantala, Ed! -

 - ... No. - ammisi, sentendo un fastidioso calore sul viso. - E comunque, non sono affari tuoi. Io non ti ho mai chiesto nulla della tua vita coniugale, no? -

 - Quindi è possibile che Alex... -

 - No. - tagliai corto. - Ha quattro anni, me l’ha detto lui stesso. -

 - La cosa ti rende felice o triste? -

Non risposi. Non lo sapevo neppure io.

Lo sentii sospirare. - Riusciremo a tirare fuori di qui il colonnello e riportarlo a casa? - mi chiese.

 - Non ne ho idea. -

E, in ogni caso, anche se ci fossimo riusciti, e lui fosse sopravvissuto ad un secondo passaggio nel Portale, cosa sarebbe cambiato? Il poveretto avrebbe dovuto come minimo essere rinchiuso da qualche parte. Nonostante avesse riguadagnato in fretta la capacità di parlare, non pareva in grado di formulare un discorso coerente: inoltre, nella sua mente sembrava essere rimasto solo l’ultimo ordine che gli era stato impartito, quello di controllare i ragazzi, oltre a una ferrea ostinazione a seguirlo...

Mi fermai di colpo. Al per poco non mi venne addosso.

 - Che c’è? - domandò, in ansia.

 - Thomas e Lotte. - esalai. - Ho detto al colonnello Holze che erano con noi, e lui ci ha annusati... - mi voltai e lo presi per le spalle. - Non capisci? Ora sa come trovarli! -

 - Seguendo il nostro odore! - comprese lui, il viso distorto in una smorfia di puro terrore.

 - Dobbiamo uscire di qui, Al! Adesso! -

* * *

 

La signora Winry sembrava molto più ansiosa di me e Lotte.

 - Mi domando quanto ci vorrà. - ripeté per l’ennesima volta, mentre se ne stava seduta in una delle due poltrone del salotto e lanciava di continuo occhiate alla finestra.

Io non dissi niente, ben sapendo che quando c’era di mezzo mio zio anche l’operazione più semplice poteva diventare lunga e complicata: mi stupiva che la madre di Alex, che pure lo conosceva da quando era nata, non avesse ancora compreso quel che a me era sembrato ovvio in due mesi di convivenza. Però in effetti dovevo ammettere che quella donna era un po’ incoerente: quando papà ed Edward se n’erano andati, aveva dichiarato seccamente che non aveva la minima intenzione di aspettarli alzati, e che se fossero tornati a qualche ora assurda della notte sarebbero rimasti a dormire sul marciapiede. Eppure ormai la mezzanotte era passata da un pezzo, e non solo lei non era andata a letto, ma si era persino dimenticata di mandarci noi tre!

Ovviamente, tutti noi ne avevamo approfittato: Alex e mia sorella stavano disegnando, sdraiati sul tappeto, dopo aver sparso pastelli dappertutto. Io avevo recuperato un libro dalla libreria alle mie spalle, e passavo il tempo con quello. Non un granché, se devo essere sincero: una storia piuttosto stupida, grondante sangue e malvagità, e talmente assurda che persino io stentavo a crederci. Winry Stonebridge aveva commentato - con tono acido - che era del suo ex marito.

 - Guarda, mamma! - esultò Alex, mostrando fieramente un suo disegno, una specie di croce grigia immersa in un mare azzurro con delle meduse bianche.

 - Un giorno mi spiegherai perché ti piacciono tanto gli aeromobili... - commentò sua madre, con un sorriso stanco.

 - Sono belli. - replicò lui. - E volano. -

 - Anche gli uccelli volano. - commentò Lotte, con logica ineccepibile. Alex fece una smorfia, ma non trovò argomenti per ribattere.

Lasciai da parte il libro nel momento in cui mi fu chiaro che l’assassino era il fratello maggiore, e rimasi a guardare di sottecchi la signora Winry. Seduta in poltrona, a sua volta stava fingendo di leggere, ma i suoi occhi saettavano alla finestra e poi verso il corridoio che portava nell’atrio. Accavallava le gambe, poi le distendeva. Muoveva un piede. Faceva una smorfia. Tornava ad accavallare le gambe, e il ciclo ripartiva. Stava facendo diventare nervoso anche me.

 - Lotte, non hai sonno? - chiesi, giusto per infastidirla. Lei alzò il viso dal foglio giusto per scoccarmi un’occhiata assassina, e io la lasciai in pace.

 - Già, dovreste andare a letto! - si rese finalmente conto la signora Stonebridge.

 - Non ho sonno! - protestò immediatamente suo figlio.

 - Potremmo aspettare che tornino papà ed Ed, signora? - implorai.

Lei ci pensò su, poi si arrese: - E va bene. - concesse. - Ma ad una condizione. -

 - Quale? - domandò subito Charlotte.

 - Che la piantiate di chiamarmi signora Winry. Non sono tanto vecchia, sapete? -

Sorrisi. Era più o meno la stessa cosa che ci aveva detto Ed quando ci aveva ordinato di non chiamarlo mai zio.

Mi piaceva starmene in quella stanza, nonostante l’ansia. Era come tornare a una di quelle serate le serate a casa nostra, prima della guerra, quando potevamo tenere la luce accesa quando e quanto volevamo, e si poteva sprecare tutta la carta che si voleva per disegnare. Mi piaceva anche la signora... cioè, Winry, che mi ricordava mia madre nelle serate in cui papà rincasava tardi: lei cominciava a percorrere il corridoio, dalla porta alla loro camera e ritorno, con alcuni intervalli solo per controllare cosa stavamo facendo noi due. Quando suonava il campanello, si avviava in fretta ad aprire dicendo a se stessa che quella volta gliene avrebbe dette quattro, ma non lo ha mai fatto: sapeva che non era colpa di papà se c’era più lavoro del solito.

Quando suonò il campanello, anche Winry esclamò: - Adesso mi sentono! -

Saltò in piedi e uscì dalla stanza a passo di carica. La sentimmo bofonchiare mentre apriva.

 - Cosa diavolo credono, che sia qui per loro? Fosse per me, li lascerei chiusi fuori... Arrivo, arrivo, volete smontarmi il campanello?? Siete due... -

Il ringhio della donna si trasformò in un urlo che mi fece gelare il sangue. Saltammo in piedi, e la vedemmo tornare di corsa in salotto, con gli occhi fuori dalle orbite: ma, invece di entrare, si parò di fronte all’ingresso della stanza e spalancò le braccia, impedendo il passaggio a chi le stava davanti.

Spalancai la bocca, ma non riuscii ad emettere suono, vedendo quella creatura nera senza volto. Sembrava coperta di fango, o catrame, che però restava saldamente attaccato al suo corpo. Lotte strillò e si nascose dietro di me.

L’essere guardò... o meglio, credo stesse guardando... Winry.

 - Controllare i bambini. Seguire gli ordini. - gracchiò, con voce attutita dalla sostanza scura che gli copriva la bocca.

 - Non osare avvicinarti ai bambini! - gridò Winry. La ammirai per il coraggio, perché nonostante tremasse da capo a piedi non indietreggiò di un passo.

Quello tese le mani, grosse e nere, e nell’aria comparve un cerchio simile a quelli che lo zio disegnava a Monaco, acceso di una luce verde.

Magia... no, alchimia!, pensai, subito prima che una folata d’aria bollente ci colpisse tutti e quattro. Volammo all’indietro, insieme a mobili, soprammobili e tutto quel che c’era nella stanza, come se fosse esplosa una bomba nel salotto.

Colpii violentemente la libreria con la schiena. Caddi, e quella mi rovesciò addosso tutto ciò che conteneva: mi riparai la testa con le mani, anche se non avevo modo di proteggermi dalle vampate roventi che si infilavano nei vestiti, negli occhi e nei polmoni. Credetti di soffocare, e probabilmente, tra questo e la botta, per alcuni istanti persi i sensi, perché non mi accorsi di essere stato afferrato fin quando non mi ritrovai a scivolare con le ginocchia sul tappeto.

 - Aiuto! - gridai, istintivamente. Mi guardai intorno: Winry era riversa al suolo, immobile, e temetti che fosse morta. Lotte non si vedeva da nessuna parte. Alex Stonebridge penzolava dall’altra mano dell’uomo nero.

 - Lasciami! Lasciami! - strillava, lanciando calci e pugni all’aria. - Mamma! -

Mi dimenai a mia volta, e scoprii che l’essere mi stava tenendo non per la camicia, come il bambino, ma per le bretelle. Me le sganciai in fretta, e rovinai al suolo come un sacco.

Per mia fortuna, aveva i riflessi lenti: perse tempo a fissarmi con stupore, e io riuscii ad aggrapparmi ad Alex, tirando per cercare di strapparglielo. Non era facile: la sostanza nera era leggermente oleosa, e mi scivolava.

 - Levagli le zampe di dossi, bestione! - ringhiai.

Mosse la mano libera, come per allontanare un insetto fastidioso. Il bambino aspettò che fosse a tiro e gliela morse con tanta violenza che la mascella gli tremò.

Inaspettatamente, la creatura accusò il colpo: gemette e ritirò la mano, cercando di staccare il piccolo senza mollare la presa sulla camicia. In effetti, ora che ero così vicino notavo che la fanghiglia non era una copertura rigida, come credevo, ma una sorta di seconda pelle; non ho mai capito se avesse delle terminazioni nervose anche lì dentro, o se il morso fosse stato così forte da arrivare fino alla sua carne. Io ne approfittai per alzarmi in piedi e tirargli un pugno in piena faccia, mettendoci tutta la mia forza. Sentii le dita scricchiolarmi, ma in effetti urtai ossa e carne, e non una cosa rigida: anzi, sotto le mie falangi - e il mio sguardo terrorizzato -, la sostanza nera cominciò a muoversi, a spostarsi, lasciando vedere il volto sottostante. Riconobbi il colonnello Holze, l’uomo che ci aveva portati nel Portale, minacciato dalla signorina Steinglocke. L’uomo nero che erano andati a cercare papà e lo zio aveva trovato noi!

 - Lei? - esclamai.

Il suo sguardo mi attraversò. Non mi aveva affatto riconosciuto: per lui ero solo l’intrigante che lo ostacolava mentre cercava di seguire gli ordini. Ero un ostacolo da superare, o eliminare. Nella sua mente non c’era traccia del fatto che io facessi parte di quegli ordini.

Alzò la mano, per riformare il cerchio. Sperai che liberasse Alex per avere entrambe le mani libere: a quel punto, sarebbe bastato cercare di correre a ripararsi dietro qualcosa - c’erano parecchi oggetti dietro cui farlo, ora che tutti i mobili erano rovesciati per terra. Inoltre, proprio in quel momento Winry sollevò la testa e disse, con la poca voce che aveva in gola:

 - Al! -, perché mio padre era appena piombato nella stanza, saltando addosso all’aggressore con un balzo.

Invece l’ufficiale con i baffoni non lasciò andare Alex. Schioccò le dita della mano destra. Si sprigionarono poche scintille, ma lo spostamento d’aria fu, se possibile, ancora più imponente, e mi sbatté contro la parete a velocità maggiore. Una pesante credenza, già rovesciatasi, si ribaltò nuovamente, scoprendo Lotte rannicchiata sotto. Il lampadario crollò, investendo mio padre in un turbine di gocce di vetro tintinnanti prima che potesse raggiungere il piccolo ostaggio.

Sentii la voce di Ed che chiamava il fratello, all’esterno. Conoscendo mio padre, doveva essersi precipitato qui e aver lasciato indietro gli altri: alzai la testa, per capire dove fossi finito e dove si trovassero la creatura e tutti gli altri.

Ero dietro la poltrona, a giudicare dalla fodera a fiori. Mi facevano male le costole. Il colonnello baffuto era ancora in piedi al centro della stanza, ma aveva voltato la testa sentendo mio zio. Forse temette che gli avesse già tagliato la via di fuga più ovvia - la porta d’ingresso -, perché sollevò Alex, ancora penzoloni, e gli circondò la vita con un braccio per trattenerlo più saldamente. Poi avanzò verso la finestra che già la prima detonazione aveva mandato in frantumi, ignorò il debole tentativo di Winry di aggrapparglisi ad una caviglia e il suo grido inarticolato, e uscì da lì.

Merda, pensai stancamente. L’idiota non si era neppure accorto che aveva rapito il bambino sbagliato.

 

 

Pensierino della buonanotte: pensavo venisse fuori un capitolo corto, invece è risultato essere uno dei più lunghi... questo per dire quanto io stessa abbia il controllo delle mie storie. Un grazie a Leuconoee per aver segnalato la mia fanfic per il concorso Storia coi migliori personaggi originali: accedeva solo chi aveva il maggior numero di voti, ma almeno potrò dire di aver guadagnato il punto della bandiera! E visto che ora si concorre per chi scrive più recensioni e più lunghe... cosa state aspettando?

            Siyah: da un certo punto di vista, in amore Al è quello messo meglio (il che è tutto dire!!): almeno lui si è sposato, si è costruito una famiglia, non si è fatto troppi viaggi mentali inutili e non ha sopportato vent’anni di tira e molla, mordi e fuggi, vai, torna, rivai e ritorna...

Sto cercando di non mettere un flashback unico di quel che accadde sei anni prima, perché spezzerebbe l’azione. Inserisco qualcosa qua e là, quando ha senso che Ed o Winry ripensino a quel che è successo. In realtà, già adesso si può intuire che il commiato tra quei due non sia stato nulla di epocale: una cosa del tipo “Beh, io ora vado!”, come già faceva il buon (?) vecchio (??) Hohenheim...

            Yolei87: visto che almeno stavolta hai commentato, puoi scrivere quel che ti pare come ti pare, ma chère! Allora: no, il tenente Howard non è il futuro generale Howard, perché ci sono oltre sessant’anni di distanza tra le due fanfic. Quindi, o il tenente ha cinque anni, o il generale ne ha ottanta, ed entrambi i casi mi paiono poco credibili. Il tenente può essere uno zio, o magari anche il padre, oppure solo un omonimo. Chissà?

(Beh, io lo so. Ovviamente.)

Non ho scritto che cosa pensasse Ed quando usava l’alchimia perché in quel momento mi era più comodo usare Al, e perché avevo intenzione di soffermarmi sulle reazioni di Thomas e Lotte: in ogni caso, il nostro Acciaio dovrebbe usare ancora le sue manine magiche, quindi c’è sempre tempo.

Niente da fare: Ed non ha avuto occasione di spaccare la faccia ad Artie. Non credo lo farà mai, visto che sta cercando - in modo molto velato - di far capire ad una certa persona che lui è più responsabile e affidabile di Stonebridge.

            mery_wolf: anche a me piace molto il periodo storico... cioè, in realtà mi affascina tutto ciò che va dalla Belle Epoque fino alla fine del secondo conflitto mondiali, però in questo caso mi piaceva l’idea di ambientare la fanfic nella Germania della seconda metà degli anni ‘40, durante la caduta del nazismo. Anche solo per fare qualcosa di diverso dal solito, visto che, girando su fanfiction.net, ho notato che le poche ff ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale si svolgono sempre in America: è vero che è possibilissimo che gli Elric si siano rifugiati lì all’ascesa di Hitler, però, sinceramente, che gusto c’è a scrivere una storia che si svolge in un periodo di guerra se tanto la guerra è lontana?

              bacinaru: che tristezza vedere un quarantenne e un - rapido conto - cinquantaquattrenne che battibeccano come due bambini... non lo ammetteranno mai, ma loro sono i primi a divertirsi...

            Kiki75: complimenti per la costanza di esserti ripresa tutti i quattordici capitoli precedenti! Grazie per i complimenti immeritati, in realtà per muovere i personaggi del canon uso semplicemente... l’anime. Fullmetal Alchemist è già fatto così bene, con caratteri così ben delineati, che a me è bastato solo aggiungere qualche sfumatura dovuta alle peripezie che io ho pensato per loro nei venti anni passati, e il gioco era fatto. Anche a me Mustang piace molto, specialmente quando Ed è nelle vicinanze: quando litigano (anzi, quando il colonnello punzecchia Edward e lui si incavola) sono esilaranti!

            Obito Uchiha: beh, il sensei resta sempre il sensei, ma un posticino nel mio cuore per Obito lo trovo facilmente. Come si può non amare uno che, dopo essere stato trattato per una vita come una pezza da piedi dal compagno di squadra e aver visto la ragazza che amava fare gli occhi dolci al suddetto compagno di squadra, decide di donare proprio a lui l’occhio sano rimastogli dopo che una frana lo ha ridotto a una frittatina? Obito è il portabandiera dei personaggi sfigati di Naruto - cioè, un po’ tutti.

Lo so che siete tutte curiose di vedere Ed a Artie su un bel ring mentre si riempiono di legnate, ma il nostro alchimista ha deciso che deve fare il bravo bambino per dimostrare di essere migliore di Quello Là. Quindi, per ora, nisba.

            Leuconoee: ti ho già ringraziata per il voto all’inizio del pensierino, dove tutti possono leggere e vergognarsi per essere dei lavativi *sguardo corrucciato*, quindi passo direttamente alla recensione. Spero che la quantità di azione sia stata di tuo gradimento (pure troppa, eh? =) ): Mustang resta un po’ in secondo piano, più che altro perché non è una delle voci narranti, però mi diverto un mondo a metterlo di fianco a Ed e lasciare che la natura faccia il resto. Si divertono troppo assieme quei due, altroché. E per le lacrime di Winry... poveretta, temo che da adesso in avanti ne verserà un bel po’. Io mi sono già trasferita in un bunker a prova di bomba e di chiave inglese, giusto per andare sul sicuro... *lancia un’occhiata preoccupata alla porta a tenuta stagna* Per quanto riguarda il sarcasmo... beh, dopo essere stata presa, mollata, ripresa e rimollata, essersi sposata, aver divorziato ecc ecc, o la prendi così oppure ti tagli le vene!

            Talpina Pensierosa: ho capito, più Mustang per tutti! Non è così difficile, a me piace da morire! Nella mia personale classifica se ne sta ad un dignitoso terzo posto, dopo Ed e Al, e da quando è morto Hughes non deve neppure dividerlo con altri. Sta un po’ diventando presuntuoso per questo fatto, ma appena dice qualcosa in proposito Edward lo zittisce, lui risponde e si scatena una rissa...

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Rika88