Non sono qui per dirvi né «perché» né «percome», sarò sincera, dato che tutti hanno una vita privata e che tutti, nessuno escluso, vivono pessimi istanti nel piccolo-e-non-sempre-confortevole ambiente casalingo.
Questa storia ha segnato una svolta nei miei ritardi: una volta una settimana senza pubblicare era per me un tempo enorme, ora sei mesi o giù di lì sono solo un battito di ciglia!
…sì, la sto buttando sul ridere. Compatitemi, l’ispirazione mi ha abbandonata definitivamente – AAA, cercasi ispirazione perduta, disposta a pagare oro per recuperarla! – e non mi sono divertita, stando lontana da questa fic. Anzi.
Ho trovato penoso il non riuscire a postare un capitolo in tempi umanamente accettabili, eppure ogni mio scritto non mi convinceva, ogni mia parola mi sembrava inadeguata, ogni mia idea troppo folle per risultare accettabile.
Il capitolo di Fairytale che ho pubblicato un mese fa è nato in un raro momento di ispirazione, l’inizio di questo capitolo pure. Credevo di essere finalmente tornata attiva: l’ennesimo problema a livello familiare mi ha nuovamente demolita, e così non sono riuscita a scrivere null’altro che Shot impubblicabili.
Come l’InuYasha di questo capitolo – sì, ormai vivo in simbiosi con questo personaggio sfigatissimo XD –, anch’io mi sono sentita molto stupida, non riuscendo ad andare avanti. Ma ci ho provato e, anche se i risultati non sono idilliaci, spero che l’elaborato vi strappi un sorriso.
A dopo-il-capitolo per i doverosi ringraziamenti! <3
[3050 parole circa, ricorrette rapidamente per non decidere di cestinarle. <3 Vero che sono geniale? Scrivo cavolate, yeah! XD
...quindi, perdonate eventuali errori di battitura e/o altro. Provvederò a correggerli il prima possibile. XD]
Di Peluche, fidanzatine isteriche e dichiarazioni imbarazzanti.
Perché se lo merita, stop. <3
«Allora»,
ricapitolò, lasciandosi ricadere sulla sedia accanto a me,
«ti è tornata la
voglia di – InuYasha, sbaglio o quel
sì-particella-affermativa è privo di
accento? – scrivere. Almeno, così
credevi».
Annuii.
«Mi sono svegliato pensando di poter concludere il libro, ho
scritto una decina
di pagine e poi stop, niente, blocco», spiegai. La cosa mi
aveva lasciato
particolarmente insoddisfatto, ma evitai di fare la parte dello
scrittore in
crisi di nervi.
Kagome
non avrebbe apprezzato, ne ero assolutamente certo.
«Mi
sa che tuo padre ha fatto male, a puntare su di me».
«Mi
sa di sì», concordò con una risata
– i suoi occhi ebbero uno strano guizzo
divertito, e rabbrividii per il terrore.
Perché
quando Kagome mi lanciava simili occhiate, beh, significava solo una
cosa: fa’
attenzione, sei nei guai. E la cosa, checché se ne possa
dire, a me non
piaceva. Non piaceva affatto.
«Su,
su. Tesoro, facciamo un patto, ti va?».
«…che
genere di patto?».
«Finché
non ti decidi a portare avanti il tuo scritto»,
esordì, «non potrai, e con
“non”
intendo davvero “non”, né toccarmi
né guardarmi né parlarmi. Mi trasferisco a
casa di Sango, insomma».
Oh.
Oh,
dannata donna del diavolo.
Cercai
di schiarirmi la voce, ma mi resi improvvisamente conto di non esserne
in
grado. E lei ridacchiava, conscia della geniale idea appena partorita
ed
esternata al mondo.
E
conscia di avermi appena mandato in paranoia.
«Sei
una strega». Le lanciai un’occhiataccia, e lei la
ricambiò indifferente. «Non
pensi alla, uhm, privacy di quei due? Al fatto che magari gradirebbero
stare un
po’ insieme, soli e innamorati, e-».
Mi
interruppe: «Guarda che così non mi fai cambiare
idea, tutt’altro. Più insisti,
più mi fai venir voglia di andarmene. E non credere che per
me non sia una
sofferenza, caro mio. Tutt’altro, ti assicuro che la cosa mi
irrita parecchio».
E allora perché hai
preso una decisione così drastica?, mi venne
voglia di chiederle – tuttavia,
preferii alzare gli occhi verso il cielo e attendere che finisse di
illustrarmi
il suo geniale piano, perché era meglio ascoltare e annuire
che bestemmiare e
scoppiare in lacrime.
Soprattutto
perché il pianto non si addice agli uomini. Non a quelli che
si sforzano di
mantenere un contegno virile, almeno.
«Ci
starò male, ma non mi va di essere una distrazione. Il tuo
lavoro è troppo
importante per essere mandato a puttane da una fidanzatina adolescente,
capiscimi». Sorrise amabilmente. «Quindi, adesso
chiamo Sango e le chiedo il
permesso. Ti amo, lo sai, sì?».
Oh.
Mi
aveva appena rovinato la vita. Di nuovo.
Sota
Higurashi era un demonio piccolo e con enormi, spaventosi occhi
nocciola.
Quel
genere di diavolo che si agita per la casa lasciando qua e
là macchinine
telecomandate e
Gameboy-già-caricati-con-un-gioco-dei-pokèmon,
oltre che una
discreta quantità di caramelle mou e pupazzetti di Naruto e
Sasuke.
Sota
Higurashi era minuscolo, capace di infiltrarsi in qualsiasi spiraglio,
mediamente curioso e, cosa più importante, incapace di
mantenere seriamente un
segreto, se non gli si offriva una ricca ricompensa.
«Ti
compro», tentai, la voce che mi tremava leggermente per la
rabbia, «tre manga e
una rivista a tua scelta».
Il
nanerottolo si grattò il mento, pensando – gli
avevo già promesso un nuovo
videogioco, tre pacchetti di gomme alla fragola, un giubbino, un paio
di scarpe
da tennis e, come se non fosse già
abbastanza, un peluche.
Un
peluche, dico. Un oggetto ingombrante e morbido che vendevano in un
negozietto
in centro, e che Sota aveva deciso di voler regalare a una tale Hitomi,
sua
compagna di classe e primo amore. La cosa sarebbe risultata
schifosamente
tenera, se quello obbligato a pagare non fossi stato io.
«Non
so», disse. Negli occhi scorsi un lampo di compiacimento
– sì, era proprio il
fratello minore di Kagome – e un ghigno gli comparve sulle
labbra. Mi afferrò
un braccio di scatto. «Ehi, fratellone, farò
quanto mi chiedi a una sola
condizione!».
Deglutii,
incapace di domandare quale fosse il suo arcano desiderio: mi limitai
ad
aggrottare un sopracciglio, sospirare e asserire col capo, lasciandogli
intendere che sì, aveva vinto. Poteva farmi la sua
schifosissima domanda del
cavolo.
«Come
ti sei dichiarato alla sorellona?».
Ora:
conoscete quei manga di serie D dove il protagonista, imperturbabile,
fissa il
personaggio comprimario e gli racconta per filo e per segno le sue
vicende
sentimentali, senza tralasciare neppure il più piccolo
particolare? Quelli dove
il lettore strabuzza gli occhi, borbottando tra sé e
sé qualche insulto
vagamente offensivo all’indirizzo della mangaka?
Ecco.
Io non feci così.
«Cosa»,
biascicai, ripetendo più volte la prima sillaba della
parola, «intendi per
“dichiarato”?».
«Dichiarato,
voce del verbo dichiarare: affermare, esporre, dire qualcosa. In questo
caso,
prende il particolare significato di-».
Gli
poggiai con ben poca delicatezza una mano sulla bocca, obbligandolo a
tacere.
Diavolo, ero già imbarazzato, non c’era bisogno di
citare un intero passo del
dizionario!
«D’accordo»,
concessi. «Ho capito».
Ma
come spiegargli che quella tanto sospirata dichiarazione non era
propriamente –
insomma, come avrei potuto? Kagome le ripeteva ogni attimo, le due dannate parole, ma a me non
riusciva
affatto semplice, e quindi avevo tergiversato. E tergiversato ancora.
Ora,
dopo tre giorni di separazione, ancora non avevo avuto il coraggio di
afferrare
il telefono e chiamarla.
Sospirai,
affranto, ben conscio di essere un caso assolutamente disperato.
«Allora,
fratellone?», mi incitò Sota, battendo le mani.
Ecco, immaginai. Forse cercava
ispirazione per dichiararsi alla tale Hitomi per cui spasimava.
«Come hai
fatto? Che le hai detto? Poi vi siete baciati?».
Contando
che ci eravamo baciati già prima, nessuna delle tre. Mi ero
pseudo dichiarato,
d’accordo, ma non le avevo detto nulla di speciale, e
comunque le mie parole
potevano risultare facilmente fraintendibili. Non le avevo giurato
amore eterno,
alla fine. «Nulla», cercai di spiegare,
«io-».
«Nulla?»,
ripeté. Aveva inarcato un sopracciglio, scettico, e gli
occhietti nocciola
luccicavano di puro stupore. «Non può non essere
successo nulla. Sei innamorato
di mia sorella, lo so».
Grazie,
ironizzai, bella scoperta. Credevo di averlo notato anch’io.
Scossi
il capo, trattenendo un moto di frustrazione e ansia – moto
di frustrazione e
ansia che mi suggeriva di prendere il piccolo Higurashi e recidergli la
carotide. Era così basito, il pupo, che pensai mi avrebbe
ucciso.
Invece
scoppiò solo in una risata nervosa, una mano a nascondergli
la bocca e gli
occhi fissi sul mio viso. «Ma fratellone, non puoi essere
serio, è ridicolo!
Sei un adulto, tu».
«Essere
adulti non significa necessariamente vantare una maturità
superiore a quella di
un bambino», specificai brusco, incrociando le braccia e
guardandomi la punta
delle scarpe. Una ciocca di capelli argentei mi scivolò sul
volto, e fui
costretta a sistemarla. «Renditi conto, dannato, che
io…», annaspai, «che io…
oh, insomma! La questione non deve interessarti, è un affare
privato».
Sota
inarcò un sopracciglio – per l’ennesima
volta mi trovai a constatare che,
benché notevolmente più basso e virile,
il piccoletto era la copia sputata di sua sorella. Riusciva persino a
farsi
venire la stessa fossetta sulla guancia, quando ghignava compiaciuto.
«Fratellone,
ti ricordo il nostro patto».
Oh.
«Volevi»,
aggiunse, «che io portassi un bigliettino alla sorellona, mi
sembra, e avevi
richiesto che il lavoro venisse svolto entro oggi. O
sbaglio?». Le sue labbra
si piegarono in una smorfia nauseante, di quelle che un marmocchio non
dovrebbe
essere in grado di fare. Era spaventoso, Sota, spaventoso davvero.
«Perché nel
caso, vorrei che ogni mia richiesta venisse soddisfatta entro le tre,
peluche
compreso».
Annaspai,
incapace di respirare con tranquillità: insomma, erano le
dodici. Mancavano
poche ore all’orario designato, e i negozi in centro erano
chiusi, non avrei
mai potuto acquistare il famigerato giocattolo.
…inoltre,
simili ricatti erano ingiusti. Se non fosse stato l’unico mio
alleato presente
in casa Higurashi, mi sarei affidato a qualcuno di più
intelligente. Il
nonno-ammazza-demoni, per dire, o il micio obeso. Chiunque, chiunque ma non lui.
«Mi
avevi concesso due settimane», gli ricordai, sentendomi
insolitamente a
disagio. Il bigliettino – era bianco, profumava di rosa,
l’avevo accuratamente ripiegato
– per Kagome soggiornava nella tasca destra del mio jeans: lo
scoprii insolitamente
pesante, un carico oneroso.
Sota
mi afferrò il braccio destro e tirò con forza la
manica. Oh, sì, lo fece
davvero.
«Cosa
vuoi, moccioso?».
«Voglio
sapere tutto sulla tua dichiarazione, fratellone, anche se in
realtà non hai
mai detto a mia sorella che sei innamorato di lei»,
annunciò. «Se lo farai, ti
concederò una proroga e andrò subito, proprio
ora, adesso, in questo stesso
istante da Sango, così da consegnare il foglietto
spiegazzato!».
Mi
sembrava di essermi spiegato, in verità: io non ero mai
stato molto chiaro
riguardo ai miei sentimenti, non con Kagome.
Le
avevo detto di aver voglia di baciarla – la cosa ancora mi
obbligava ad
arrossire e farfugliare frasi senza senso compiuto – e ci
eravamo addormentati
abbracciati, sì, ma non avevamo fatto altro che ridacchiare
imbarazzati. Quando
mi sfiorava, poi, finivo col sentirmi immensamente stupido.
Insomma:
tra i due, l’adulto ero io. Non avrei dovuto essere
così sensibile.
Presi
fiato, cercando le parole più adatte.
«Io», esordii, «le ho comprato un regalo
di compleanno. E quasi sono inciampato per colpa dei tuoi
giocattoli».
«Eh?».
Il moccioso si era evidentemente perso, ma feci finta di nulla ed
espirai,
soddisfatto di me. Ero riuscito a dir qualcosa, e l’avevo
fatto senza risultare
un completo deficiente. «Cosa c’entrano i miei
giocattoli con la tua
dichiarazione, InuYasha?».
«Zitto.
Comunque, tua sorella era appena rientrata da un’uscita con
le amiche, o almeno
così credo: era stata via un paio d’ore e sembrava
stanca».
Per
l’ennesima volta, il bambino si sentì in dovere di
guardarmi perplesso.
«Neppure questo è granché
importante», commentò impaziente, sbattendo le
palpebre.
Però.
Non avrei mai creduto che il piccolo Sota-demonio-Higurashi si
interessasse
davvero alla vita sentimentale di sua sorella: questo rafforzava la mia
tesi
secondo cui il nanerottolo era solo alla ricerca di uno spunto per
dichiararsi
alla tale Hitomi. Se l’avessi detto a Kagome, che il
marmocchio voleva
utilizzarci come modelli, probabilmente l’avrebbe massacrato,
quel piccolo
decerebrato.
Sospirai.
«Lei aveva frainteso tutto. Era convinta che il regalo che
avevo acquistato
fosse per una mia ragazza segreta – sì, puoi
ridere, se vuoi. È una cosa
ridicola».
Sota
mi prese in parola, scoppiando in una risata fragorosa e assai
divertita.
Immaginai che si stesse mentalmente appuntando di donare
l’orsacchiotto di
peluche a Hitomi solo dopo la
dichiarazione. Altrimenti la bambinetta avrebbe – il
contrario era
matematicamente impossibile – preso fischi per fiaschi.
«La
sorellona non è molto sveglia», asserì
divertito, scuotendo il capo.
«Forse
no», confermai. «Per farle comprendere che il
regalo era per lei, mi sono
dovuto umiliare parecchio».
Ops.
Avevo catturato nuovamente l’attenzione del piccolo folle.
Mi
guardò, le mani che nuovamente si chiudevano intorno al mio
braccio destro e lo
strattonavano con furia, e non smise di ripetere neppure per un
istante:
«Come?».
«Ho
confessato di volerla baciare. Te lo assicuro, questo è
umiliante. Parecchio,
troppo umiliante».
Il
bambino rise giulivo, io mi sentii nuovamente sprofondare.
Ecco,
era fatta. La mia reputazione si era frantumata, e nessuno me
l’avrebbe mai
restituita.
Meglio
emigrare e fuggire in qualche Stato sperduto, meglio.
«Allora?»,
mi scoprii a biascicare imbarazzato. Sarei potuto scappare anche in
seguito: l’essenziale,
in quel momento, era liberarmi dell’opprimente peso nascosto
nella tasca destra
dei jeans. Non avrei retto ancora, se Sota non si fosse deciso a
consegnarlo.
«Vai?».
Il
piccoletto sorrise – sì, aveva decisamente lo
stesso sorriso di sua sorella,
non potei che pensarlo per la terza volta in dieci minuti – e
annuì. «Certo,
fratellone!».
Pregai
con tutte le mie forze che non combinasse cazzate. La speranza
è l’ultima a
morire, no?
-
«Ti
renderai conto anche tu di essere un completo idiota»,
commentò Kagome,
piegandosi in due e cercando di recuperare il fiato perduto.
La
signorina aveva deciso di farsi una corsetta sino a casa Higurashi,
sì. E l’aveva
deciso dopo aver ricevuto il mio bigliettino bianco e profumato, o
almeno così
credevo di aver capito.
Non
era stata molto chiara, in verità: pronunciava parole
sconnesse e si limitava a
rapide occhiatacce.
«E
stavolta sarei un idiota perché…?».
«Per
via della tua letterina da “siamo studenti
dell’asilo nido”», chiarì.
«Tu e
Sota siete due incoscienti!».
Sì,
avevo indovinato. Che bello.
«Che
bisogno c’era di scavalcare una recisione di metallo, quando
avrebbe potuto
tranquillamente citofonare? Ero in casa, avrei aperto, non
c’era bisogno di
essere così idioti!».
Forse
aveva ragione, mi dissi con un sospiro, ma se l’avesse
avvertita allora non ci
sarebbe stato alcun effetto sorpresa, e io volevo che il bigliettino
venisse
nascosto senza-che-nessuno-lo-sapesse tra le coperte del letto di
Kagome.
…okay,
questo non era da me, non lo era proprio. Scossi il capo cercando di
schiarirmi
le idee. «Scusa», provai. «Non volevo che
tuo fratello rischiasse danni
semi-permanenti. Ma devo dirlo», aggiunsi, «se
è caduto tra i rovi le colpa è
sua. Aveva detto di essere un perfetto scalatore».
«E
tu hai creduto alle parole di un bambino che passa le sue giornate
davanti ai
videogiochi?», pronunciò esasperata. Aveva le
guance arrossate per colpa dello
sforzo – o della rabbia, le possibilità erano
molteplici – e i capelli
completamente in disordine.
La
trovai inaspettatamente carina. Che diavolo.
«InuYasha,
non sei più un marmocchio, dovresti cominciare ad agire come
un adulto degno di
questo nome!».
Mi
schiarii la voce, tossicchiando il minimo indispensabile per riuscire a
pronunciare una frase che fosse quantomeno udibile. Non volevo essere
considerato
un deficiente, non quando metà della colpa era da
attribuirsi al bambino che
ora riposava – o almeno, credevo riposasse lì
– in una camera della casa di
Sango.
Era
stato lui a dichiararsi capace, io non avevo alcuna colpa. Non mi
piaceva che
Kagome addossasse ogni responsabilità su di me.
Cercai
di assumere l’espressione più seria consentitami
dalla situazione. «Io sono un
adulto degno di questo nome», dichiarai. «Tuo
fratello è vivo e sta bene. Per
la sua bravata verrà persino ricompensato, pensa un
po’!».
Credo
non le importasse tanto del premio che Sota avrebbe immeritatamente
ricevuto,
perché strinse i pugni e mi diede uno spintone, obbligandomi
a indietreggiare.
La cosa si ripeté per un paio di minuti, finché
non cozzai con la schiena
contro la parete, il suo respiro affannato che mi riscaldava il volto.
Si
era alzata sulle punte, oh. E l’aveva fatto pur indossando
delle scarpe col
tacco.
«Sei»,
biascicò, «un incosciente. Potevi telefonarmi, o
mandarmi una e-mail. Anche un
sms, l’avrei gradito un mondo».
Socchiusi
gli occhi, nervoso. Forse avrei dovuto spiegarmi, dirle che avevo
sentito la
sua mancanza e che desideravo tornasse. Che senza di lei la mia
ispirazione era
finita, morta, sepolta.
«Invece
hai preferito far finta di nulla», sospirò. La
sentii allontanarsi un po’, e d’impulso
le afferrai un braccio: non volevo andasse via, non di nuovo.
D’accordo, me l’ero
meritato, avevo ancora un mese per finire il mio manoscritto e
praticamente
dovevo ancora terminare il terzo capitolo, ma che colpa ne avevo se
Shinji e
Mimi erano due psicotici?
«Non
ho-».
«Sì,
invece. Anziché mandare Sota, saresti potuto venire tu di
persona», affermò
sicura. «Te l’avevo vietato, ma desideravo tu
venissi, idiota».
La
mente femminile è assai complessa, commentai tra me e me. Se
avessi osato andar
da lei senza permesso, sono sicuro che mi avrebbe ucciso –
d’altro canto, lei
voleva che io infrangessi la promessa e osassi.
Un
controsenso bello e buono.
La
strinsi tra le mie braccia, riuscendo a calmarmi solo quando Kagome
stessa
smise di opporre resistenza e mi abbracciò a sua volta.
«Ti avevo giurato che
avrei finito il libro», spiegai. «Non volevo farti
arrabbiare, così ho pensato
di sfruttare un po’ Sota. In fin dei conti, lui voleva un
regalo per Hitomi e
io volevo mandare un biglietto a te, non c’era ragione per
cui non mi
aiutasse».
Lei
ridacchiò. «Ah, ha trovato il coraggio di
dichiararsi, allora».
«Già.
Però prima mi ha fatto uno snervante
interrogatorio».
Kagome
alzò lo sguardo e mi fissò intensamente. Molto
intensamente. Troppo
intensamente.
Deglutii.
«Cosa c’è?».
«Tu
non sei la persona più adatta, quando si parla di dare
consigli d’amore»,
spiegò serafica, inclinando il capo di lato e sospirando.
«Trovi già difficile
il dover provvedere a te stesso, figurarsi aiutare uno pseudo
adolescente a
coronare il suo sogno d’amore!».
Il
problema è che non potevo darle torto. In ogni caso, nulla
mi vietava di
sentirmi offeso.
«Cosa
ti fa credere che io non sappia aiutare il prossimo?»,
ringhiai.
Parve
pensarci un po’ su. «Il fatto»,
mormorò, «che tu non ti sia ancora dichiarato?
Sto aspettando, caro mio. Se desideri baciarmi, vuol dire che
c’è qualcosa
sotto, e se c’è qualcosa sotto tu devi
dirmi-».
«Mi
piaci».
Inarcai
le sopracciglia – sì, entrambe – e la
fissai. Arrossii. Mi sentii un idiota.
L’avevo
detto davvero?
Lei
sembrava perplessa quanto me. «Sei serio?», chiese,
sbattendo freneticamente le
palpebre. «Non stai scherzando?».
«Eri»,
balbettai, «stata tu a dire che se desideravo baciarti doveva
obbligatoriamente
esserci qualcosa sotto!».
«Sì,
ma… oddio. Non ero preparata a questo. Credevo non sarei mai
riuscita a
strapparti quelle due parole, io… oh, dio. Non stai
scherzando, vero?». Mi
guardò, gli occhi sgranati e il labbro inferiore che
tremava. No, aspetta,
forse non era solo il labbro inferiore a tremare. Forse stava tremando
tutta.
«Di’ la verità».
«Sono
serio». Forse stavo tremando anch’io,
perché la mano che le poggiai sulla
guancia destra non riusciva a sfiorarla come volevo. Forse avrei dovuto
aggiungere una nuova dichiarazione, o magari dire qualcosa di
intelligente.
Magari
una battuta. Se avessi detto una cazzata, avrei certamente attenuato un
po’ l’atmosfera
seria che si era venuta a creare.
Non
mi piaceva essere imbarazzato, mi faceva sentire dannatamente
vulnerabile.
Feci
per aprire la bocca, ma lei mi interruppe, ansante: «Ti
amo».
Non
che non me l’avesse già detto in precedenza,
chiariamolo. Anzi, Kagome sembrava
incredibilmente propensa a vomitarmi addosso quelle due paroline
inutili – o almeno,
io solitamente le trovavo inutili – e sorridere deliziata.
Ma
in quel momento era diverso.
«Ti
amo», ripeté, come se le costasse un grande sforzo
essere sincera. Si morse il
labbro inferiore. «Sono innamorata di te, InuYasha».
Fu
la goccia che fece traboccare – metaforicamente –
il vaso, quella.
La
baciai, lei sbarrò appena gli occhi, poi
ricambiò. Le carezzai il volto e
Kagome mugolò in risposta, stringendosi ancor di
più tra le mie braccia: era un
micino sperduto, in quel momento, non la psicotica adolescente che
tante volte
mi aveva stressato per inezie varie.
Quando
ci allontanammo, lei rise. «Ti amo».
«Idiota»,
le risposi. «Sei una scema».
Rise.
Tanto lo aveva capito che il mio era un
“ti
amo” mancato.
Suvvia, almeno ho dato una svolta a ‘sta fic! ò_____o Cioè, guardate! Si è dichiarato persino il cane psicotico!
…e ho scritto più di tremila parole! Non credo di essermi mai dilungata tanto per BL, in passato!
Il dialogo tra Sota e InuYasha mi è servito per recuperare un po’ le fila del discorso, vorrei dirlo subito. Volevo che i lettori non fossero obbligati a rileggere il capitolo precedente per comprendere quanto stava avvenendo. <_____<”
Ringraziamo, va’. <3
La Nana: Massalve, e benvenuta tra i commentatori di questa stupidissima fan fiction! XD
Ti ringrazio sia per le seguite che i preferiti, comunque: fa sempre assai piacere essere apprezzati. ^*^
Spero vivamente che il capitolo sia stato quantomeno leggibile, e che non ti abbia fatta ricredere sul mio intero operato. XP
Ellena: Lo so, lo so, non aggiornavo da mesi, faccio mea culpa e mi prostro sui ceci. ._.” Ti assicuro che io desideravo continuare la storia, ma… ecco, seriamente, ho avuto problemi. Se potessi, passerei le mie intere giornate postando nuovi lavori! XD
Ti ringrazio sentitamente per il commento, e spero di rivederti ancora – ovviamente, mi auguro anche che il capitolo sia stato di tuo gusto. <3
kaggychan95: Tesoro, se tu ti disperi per un minimo ritardo, cosa devo dire io, che per secoli non ho toccato ‘sta fic? ò____o Ho battuto ogni record! Non credevo avrei tardato così tanto!
Boh. Sono proprio un caso clinico, io. .____.” Spero che il capitolo ti sia piaciuto. <3
pillo: Massalve anche a te! XD Bentornata sulla pagina dei, uhm, «Commentatori di BL»!
Dunque. Se l’altra volta mi ero sentita male per aver tardato un pochino, pensa ora, che non aggiornavo da più di sei mesi? XD Giuro, mi sento da far schifo. .____.”
Ti ringrazio sentitamente per i complimenti che mi fai: non li merito, proprio no. XD Sono una psicopatica, io! ò____o E InuYasha è regredito allo stato di marmocchio! Kagome è pazza, poi, ma questo lo sapevamo già. <3
Spero che il capitolo ti sia parso decente. U____U”
KaDe: Oh, son proprio secoli che non ci sentiamo, temo. <____<” *Coccola* Sono felice di sapere che il precedente capitolo t’era piaciuto.
Grazie del commento. <3
mikamey: Se il capitolo precedente non t’era parso troppo corto, questo allora ti lascerà di sasso. XD È due volte il precedente!
A parte gli scherzi, chiedo venia anche a te per il ritardo assurdo del mio aggiornamento. .____.”
Spero che il capitolo ti sia piaciuto almeno un po’. XD Visto che adesso il nostro adorato idiota s’è persino dichiarato?
hachi92: Tesooooooro! *Saltella* Meow! *_____* Non mi dilungo perché tanto ti coccolerò a dovere su msn, ma sono felice di sapere che il capitolo t’era piaciuto e mi auguro che anche questo ti soddisfi almeno un po’. <3
Baci, Kiki-tesoro! <3
YuikoChan: *Occhi dolci* Se l’altra volta c’ho messo un «pochino tanto», ora cos’ho fatto? *___* Meow! Sono una cretina! *O*/ *Sclera*
A parte gli scherzi, se il capitolo precedente era in stile manga questo le batte proprio tutte, no? XD Credo sia un parto scleroso assurdo!
Grazie per il commento, tesoro! <3
Flockkitten: *Fischietta* Oh, ho finalmente aggiornato! ò____o Mi spiace assurdamente per il ritardo, davvero. Non prometto nulla, ma in futuro vorrei evitare assenze del genere.
Che dici: sono o non sono più stupidi dei capitoli precedenti? XD
Onigiri: Nio-chan, tesoro, visto quanto tempo c’ho messo? ç____ç Me si sente cattiva per aver aggiornato dopo secoli!
Spero che il capitolo – sempre se lo leggerai XD – ti sia piaciuto almeno un pochino. ç____ç A me continua a sembrare idiota!
HimeChanXD: U____U DonnaH, ti voglio tantissimo bene. Questo è quanto. <3 *Stritola*
ryanforever: *Sospira* InuYasha sperava di averla ritrovata, la voglia di scrivere, invece si è bloccato proprio come me. .________.” Siamo proprio in simbiosi, noi due.
Ti ringrazio sentitamente per il commento, sei stata gentilissima, e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto almeno un po’. <3
Pardon per le risposte brevi e magari poco esaurienti ma, sapete com’è, quando io posto in realtà dovrei star facendo altro. XD In questo caso, dovrei studiare latino e greco ché domani mi interrogano. U____U”
Chiedo ancora scusa per il mostruoso ritardo, che spero non debba mai più ripetersi in futuro. E ah, grazie mille per i commenti: mi hanno spronata. In caso contrario, mi sa che avrei proprio mollato e stop. XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi auguro di leggere taaaanti vostri pareri. U___U Alla prossima, si spera! <3