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Autore: roro    06/06/2010    11 recensioni
Allungai una mano con fare disinteressato, pregando che quella matta di Higurashi non notasse il mio imbarazzo – sarebbe stato ridicolo, e lei mi avrebbe preso in giro a vita –, quindi deglutii.
«Allora, stasera ti andrebbe di-».
«InuYasha, non fare l’idiota.
Leggi».
Grattandomi il capo, chiusi gli occhi e presi il fax. «Com’è andata?».
«Leggi, ho detto».

Prendete uno scrittore frustrato, la figlia del capo e tanti - troppi - amici irritanti. Mischiate tutto: cosa ottenete? Una storia folle, di istanti noiosi e di attimi lunghi una vita.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Diciamolo: mi ero ripromessa di aggiornare presto, invece ci ho messo mesi. E non voglio neppure contarli, ‘sti mesi, perché altrimenti mi viene l’ansia.
Non sono qui per dirvi né «perché» né «percome», sarò sincera, dato che tutti hanno una vita privata e che tutti, nessuno escluso, vivono pessimi istanti nel piccolo-e-non-sempre-confortevole ambiente casalingo.
Questa storia ha segnato una svolta nei miei ritardi: una volta una settimana senza pubblicare era per me un tempo enorme, ora sei mesi o giù di lì sono solo un battito di ciglia!
…sì, la sto buttando sul ridere. Compatitemi, l’ispirazione mi ha abbandonata definitivamente – AAA, cercasi ispirazione perduta, disposta a pagare oro per recuperarla! – e non mi sono divertita, stando lontana da questa fic. Anzi.
Ho trovato penoso il non riuscire a postare un capitolo in tempi umanamente accettabili, eppure ogni mio scritto non mi convinceva, ogni mia parola mi sembrava inadeguata, ogni mia idea troppo folle per risultare accettabile.
Il capitolo di Fairytale che ho pubblicato un mese fa è nato in un raro momento di ispirazione, l’inizio di questo capitolo pure. Credevo di essere finalmente tornata attiva: l’ennesimo problema a livello familiare mi ha nuovamente demolita, e così non sono riuscita a scrivere null’altro che Shot impubblicabili.
Come l’InuYasha di questo capitolo – sì, ormai vivo in simbiosi con questo personaggio sfigatissimo XD –, anch’io mi sono sentita molto stupida, non riuscendo ad andare avanti. Ma ci ho provato e, anche se i risultati non sono idilliaci, spero che l’elaborato vi strappi un sorriso.
A dopo-il-capitolo per i doverosi ringraziamenti! <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
The bothering life of a forced Writer.
[3050 parole circa, ricorrette rapidamente per non decidere di cestinarle. <3 Vero che sono geniale? Scrivo cavolate, yeah! XD
...quindi, perdonate eventuali errori di battitura e/o altro. Provvederò a correggerli il prima possibile. XD]

 
 
 
 
 
 
 
Di Peluche, fidanzatine isteriche e dichiarazioni imbarazzanti.
 
 
 
 
 
A Hime.
Perché se lo merita, stop. <3
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 

«Allora», ricapitolò, lasciandosi ricadere sulla sedia accanto a me, «ti è tornata la voglia di – InuYasha, sbaglio o quel sì-particella-affermativa è privo di accento? – scrivere. Almeno, così credevi».

Annuii. «Mi sono svegliato pensando di poter concludere il libro, ho scritto una decina di pagine e poi stop, niente, blocco», spiegai. La cosa mi aveva lasciato particolarmente insoddisfatto, ma evitai di fare la parte dello scrittore in crisi di nervi.

Kagome non avrebbe apprezzato, ne ero assolutamente certo.

«Mi sa che tuo padre ha fatto male, a puntare su di me».

«Mi sa di sì», concordò con una risata – i suoi occhi ebbero uno strano guizzo divertito, e rabbrividii per il terrore.

Perché quando Kagome mi lanciava simili occhiate, beh, significava solo una cosa: fa’ attenzione, sei nei guai. E la cosa, checché se ne possa dire, a me non piaceva. Non piaceva affatto.

«Su, su. Tesoro, facciamo un patto, ti va?».

«…che genere di patto?».

«Finché non ti decidi a portare avanti il tuo scritto», esordì, «non potrai, e con “non” intendo davvero “non”, né toccarmi né guardarmi né parlarmi. Mi trasferisco a casa di Sango, insomma».

Oh.

Oh, dannata donna del diavolo.

Cercai di schiarirmi la voce, ma mi resi improvvisamente conto di non esserne in grado. E lei ridacchiava, conscia della geniale idea appena partorita ed esternata al mondo.

E conscia di avermi appena mandato in paranoia.

«Sei una strega». Le lanciai un’occhiataccia, e lei la ricambiò indifferente. «Non pensi alla, uhm, privacy di quei due? Al fatto che magari gradirebbero stare un po’ insieme, soli e innamorati, e-».

Mi interruppe: «Guarda che così non mi fai cambiare idea, tutt’altro. Più insisti, più mi fai venir voglia di andarmene. E non credere che per me non sia una sofferenza, caro mio. Tutt’altro, ti assicuro che la cosa mi irrita parecchio».

E allora perché hai preso una decisione così drastica?, mi venne voglia di chiederle – tuttavia, preferii alzare gli occhi verso il cielo e attendere che finisse di illustrarmi il suo geniale piano, perché era meglio ascoltare e annuire che bestemmiare e scoppiare in lacrime.

Soprattutto perché il pianto non si addice agli uomini. Non a quelli che si sforzano di mantenere un contegno virile, almeno.

«Ci starò male, ma non mi va di essere una distrazione. Il tuo lavoro è troppo importante per essere mandato a puttane da una fidanzatina adolescente, capiscimi». Sorrise amabilmente. «Quindi, adesso chiamo Sango e le chiedo il permesso. Ti amo, lo sai, sì?».

Oh.

Mi aveva appena rovinato la vita. Di nuovo.

 

  -

 

Sota Higurashi era un demonio piccolo e con enormi, spaventosi occhi nocciola.

Quel genere di diavolo che si agita per la casa lasciando qua e là macchinine telecomandate e Gameboy-già-caricati-con-un-gioco-dei-pokèmon, oltre che una discreta quantità di caramelle mou e pupazzetti di Naruto e Sasuke.

Sota Higurashi era minuscolo, capace di infiltrarsi in qualsiasi spiraglio, mediamente curioso e, cosa più importante, incapace di mantenere seriamente un segreto, se non gli si offriva una ricca ricompensa.

«Ti compro», tentai, la voce che mi tremava leggermente per la rabbia, «tre manga e una rivista a tua scelta».

Il nanerottolo si grattò il mento, pensando – gli avevo già promesso un nuovo videogioco, tre pacchetti di gomme alla fragola, un giubbino, un paio di scarpe da tennis e, come se non fosse già abbastanza, un peluche.

Un peluche, dico. Un oggetto ingombrante e morbido che vendevano in un negozietto in centro, e che Sota aveva deciso di voler regalare a una tale Hitomi, sua compagna di classe e primo amore. La cosa sarebbe risultata schifosamente tenera, se quello obbligato a pagare non fossi stato io.

«Non so», disse. Negli occhi scorsi un lampo di compiacimento – sì, era proprio il fratello minore di Kagome – e un ghigno gli comparve sulle labbra. Mi afferrò un braccio di scatto. «Ehi, fratellone, farò quanto mi chiedi a una sola condizione!».

Deglutii, incapace di domandare quale fosse il suo arcano desiderio: mi limitai ad aggrottare un sopracciglio, sospirare e asserire col capo, lasciandogli intendere che sì, aveva vinto. Poteva farmi la sua schifosissima domanda del cavolo.

«Come ti sei dichiarato alla sorellona?».

Ora: conoscete quei manga di serie D dove il protagonista, imperturbabile, fissa il personaggio comprimario e gli racconta per filo e per segno le sue vicende sentimentali, senza tralasciare neppure il più piccolo particolare? Quelli dove il lettore strabuzza gli occhi, borbottando tra sé e sé qualche insulto vagamente offensivo all’indirizzo della mangaka?

Ecco. Io non feci così.

«Cosa», biascicai, ripetendo più volte la prima sillaba della parola, «intendi per “dichiarato”?».

«Dichiarato, voce del verbo dichiarare: affermare, esporre, dire qualcosa. In questo caso, prende il particolare significato di-».

Gli poggiai con ben poca delicatezza una mano sulla bocca, obbligandolo a tacere. Diavolo, ero già imbarazzato, non c’era bisogno di citare un intero passo del dizionario!

«D’accordo», concessi. «Ho capito».

Ma come spiegargli che quella tanto sospirata dichiarazione non era propriamente – insomma, come avrei potuto? Kagome le ripeteva ogni attimo, le due dannate parole, ma a me non riusciva affatto semplice, e quindi avevo tergiversato. E tergiversato ancora.

Ora, dopo tre giorni di separazione, ancora non avevo avuto il coraggio di afferrare il telefono e chiamarla.

Sospirai, affranto, ben conscio di essere un caso assolutamente disperato.

«Allora, fratellone?», mi incitò Sota, battendo le mani. Ecco, immaginai. Forse cercava ispirazione per dichiararsi alla tale Hitomi per cui spasimava. «Come hai fatto? Che le hai detto? Poi vi siete baciati?».

Contando che ci eravamo baciati già prima, nessuna delle tre. Mi ero pseudo dichiarato, d’accordo, ma non le avevo detto nulla di speciale, e comunque le mie parole potevano risultare facilmente fraintendibili. Non le avevo giurato amore eterno, alla fine. «Nulla», cercai di spiegare, «io-».

«Nulla?», ripeté. Aveva inarcato un sopracciglio, scettico, e gli occhietti nocciola luccicavano di puro stupore. «Non può non essere successo nulla. Sei innamorato di mia sorella, lo so».

Grazie, ironizzai, bella scoperta. Credevo di averlo notato anch’io.

Scossi il capo, trattenendo un moto di frustrazione e ansia – moto di frustrazione e ansia che mi suggeriva di prendere il piccolo Higurashi e recidergli la carotide. Era così basito, il pupo, che pensai mi avrebbe ucciso.

Invece scoppiò solo in una risata nervosa, una mano a nascondergli la bocca e gli occhi fissi sul mio viso. «Ma fratellone, non puoi essere serio, è ridicolo! Sei un adulto, tu».

«Essere adulti non significa necessariamente vantare una maturità superiore a quella di un bambino», specificai brusco, incrociando le braccia e guardandomi la punta delle scarpe. Una ciocca di capelli argentei mi scivolò sul volto, e fui costretta a sistemarla. «Renditi conto, dannato, che io…», annaspai, «che io… oh, insomma! La questione non deve interessarti, è un affare privato».

Sota inarcò un sopracciglio – per l’ennesima volta mi trovai a constatare che, benché notevolmente più basso e virile, il piccoletto era la copia sputata di sua sorella. Riusciva persino a farsi venire la stessa fossetta sulla guancia, quando ghignava compiaciuto. «Fratellone, ti ricordo il nostro patto».

Oh.

«Volevi», aggiunse, «che io portassi un bigliettino alla sorellona, mi sembra, e avevi richiesto che il lavoro venisse svolto entro oggi. O sbaglio?». Le sue labbra si piegarono in una smorfia nauseante, di quelle che un marmocchio non dovrebbe essere in grado di fare. Era spaventoso, Sota, spaventoso davvero. «Perché nel caso, vorrei che ogni mia richiesta venisse soddisfatta entro le tre, peluche compreso».

Annaspai, incapace di respirare con tranquillità: insomma, erano le dodici. Mancavano poche ore all’orario designato, e i negozi in centro erano chiusi, non avrei mai potuto acquistare il famigerato giocattolo.

…inoltre, simili ricatti erano ingiusti. Se non fosse stato l’unico mio alleato presente in casa Higurashi, mi sarei affidato a qualcuno di più intelligente. Il nonno-ammazza-demoni, per dire, o il micio obeso. Chiunque, chiunque ma non lui.

«Mi avevi concesso due settimane», gli ricordai, sentendomi insolitamente a disagio. Il bigliettino – era bianco, profumava di rosa, l’avevo accuratamente ripiegato – per Kagome soggiornava nella tasca destra del mio jeans: lo scoprii insolitamente pesante, un carico oneroso.

Sota mi afferrò il braccio destro e tirò con forza la manica. Oh, sì, lo fece davvero.

«Cosa vuoi, moccioso?».

«Voglio sapere tutto sulla tua dichiarazione, fratellone, anche se in realtà non hai mai detto a mia sorella che sei innamorato di lei», annunciò. «Se lo farai, ti concederò una proroga e andrò subito, proprio ora, adesso, in questo stesso istante da Sango, così da consegnare il foglietto spiegazzato!».

Mi sembrava di essermi spiegato, in verità: io non ero mai stato molto chiaro riguardo ai miei sentimenti, non con Kagome.

Le avevo detto di aver voglia di baciarla – la cosa ancora mi obbligava ad arrossire e farfugliare frasi senza senso compiuto – e ci eravamo addormentati abbracciati, sì, ma non avevamo fatto altro che ridacchiare imbarazzati. Quando mi sfiorava, poi, finivo col sentirmi immensamente stupido.

Insomma: tra i due, l’adulto ero io. Non avrei dovuto essere così sensibile.

Presi fiato, cercando le parole più adatte. «Io», esordii, «le ho comprato un regalo di compleanno. E quasi sono inciampato per colpa dei tuoi giocattoli».

«Eh?». Il moccioso si era evidentemente perso, ma feci finta di nulla ed espirai, soddisfatto di me. Ero riuscito a dir qualcosa, e l’avevo fatto senza risultare un completo deficiente. «Cosa c’entrano i miei giocattoli con la tua dichiarazione, InuYasha?».

«Zitto. Comunque, tua sorella era appena rientrata da un’uscita con le amiche, o almeno così credo: era stata via un paio d’ore e sembrava stanca».

Per l’ennesima volta, il bambino si sentì in dovere di guardarmi perplesso. «Neppure questo è granché importante», commentò impaziente, sbattendo le palpebre.

Però. Non avrei mai creduto che il piccolo Sota-demonio-Higurashi si interessasse davvero alla vita sentimentale di sua sorella: questo rafforzava la mia tesi secondo cui il nanerottolo era solo alla ricerca di uno spunto per dichiararsi alla tale Hitomi. Se l’avessi detto a Kagome, che il marmocchio voleva utilizzarci come modelli, probabilmente l’avrebbe massacrato, quel piccolo decerebrato.

Sospirai. «Lei aveva frainteso tutto. Era convinta che il regalo che avevo acquistato fosse per una mia ragazza segreta – sì, puoi ridere, se vuoi. È una cosa ridicola».

Sota mi prese in parola, scoppiando in una risata fragorosa e assai divertita. Immaginai che si stesse mentalmente appuntando di donare l’orsacchiotto di peluche a Hitomi solo dopo la dichiarazione. Altrimenti la bambinetta avrebbe – il contrario era matematicamente impossibile – preso fischi per fiaschi.

«La sorellona non è molto sveglia», asserì divertito, scuotendo il capo.

«Forse no», confermai. «Per farle comprendere che il regalo era per lei, mi sono dovuto umiliare parecchio».

Ops. Avevo catturato nuovamente l’attenzione del piccolo folle.

Mi guardò, le mani che nuovamente si chiudevano intorno al mio braccio destro e lo strattonavano con furia, e non smise di ripetere neppure per un istante: «Come?».

«Ho confessato di volerla baciare. Te lo assicuro, questo è umiliante. Parecchio, troppo umiliante».

Il bambino rise giulivo, io mi sentii nuovamente sprofondare.

Ecco, era fatta. La mia reputazione si era frantumata, e nessuno me l’avrebbe mai restituita.

Meglio emigrare e fuggire in qualche Stato sperduto, meglio.

«Allora?», mi scoprii a biascicare imbarazzato. Sarei potuto scappare anche in seguito: l’essenziale, in quel momento, era liberarmi dell’opprimente peso nascosto nella tasca destra dei jeans. Non avrei retto ancora, se Sota non si fosse deciso a consegnarlo. «Vai?».

Il piccoletto sorrise – sì, aveva decisamente lo stesso sorriso di sua sorella, non potei che pensarlo per la terza volta in dieci minuti – e annuì. «Certo, fratellone!».

Pregai con tutte le mie forze che non combinasse cazzate. La speranza è l’ultima a morire, no?

 

-

 

«Ti renderai conto anche tu di essere un completo idiota», commentò Kagome, piegandosi in due e cercando di recuperare il fiato perduto.

La signorina aveva deciso di farsi una corsetta sino a casa Higurashi, sì. E l’aveva deciso dopo aver ricevuto il mio bigliettino bianco e profumato, o almeno così credevo di aver capito.

Non era stata molto chiara, in verità: pronunciava parole sconnesse e si limitava a rapide occhiatacce.

«E stavolta sarei un idiota perché…?».

«Per via della tua letterina da “siamo studenti dell’asilo nido”», chiarì. «Tu e Sota siete due incoscienti!».

Sì, avevo indovinato. Che bello.

«Che bisogno c’era di scavalcare una recisione di metallo, quando avrebbe potuto tranquillamente citofonare? Ero in casa, avrei aperto, non c’era bisogno di essere così idioti!».

Forse aveva ragione, mi dissi con un sospiro, ma se l’avesse avvertita allora non ci sarebbe stato alcun effetto sorpresa, e io volevo che il bigliettino venisse nascosto senza-che-nessuno-lo-sapesse tra le coperte del letto di Kagome.

…okay, questo non era da me, non lo era proprio. Scossi il capo cercando di schiarirmi le idee. «Scusa», provai. «Non volevo che tuo fratello rischiasse danni semi-permanenti. Ma devo dirlo», aggiunsi, «se è caduto tra i rovi le colpa è sua. Aveva detto di essere un perfetto scalatore».

«E tu hai creduto alle parole di un bambino che passa le sue giornate davanti ai videogiochi?», pronunciò esasperata. Aveva le guance arrossate per colpa dello sforzo – o della rabbia, le possibilità erano molteplici – e i capelli completamente in disordine.

La trovai inaspettatamente carina. Che diavolo.

«InuYasha, non sei più un marmocchio, dovresti cominciare ad agire come un adulto degno di questo nome!».

Mi schiarii la voce, tossicchiando il minimo indispensabile per riuscire a pronunciare una frase che fosse quantomeno udibile. Non volevo essere considerato un deficiente, non quando metà della colpa era da attribuirsi al bambino che ora riposava – o almeno, credevo riposasse lì – in una camera della casa di Sango.

Era stato lui a dichiararsi capace, io non avevo alcuna colpa. Non mi piaceva che Kagome addossasse ogni responsabilità su di me.

Cercai di assumere l’espressione più seria consentitami dalla situazione. «Io sono un adulto degno di questo nome», dichiarai. «Tuo fratello è vivo e sta bene. Per la sua bravata verrà persino ricompensato, pensa un po’!».

Credo non le importasse tanto del premio che Sota avrebbe immeritatamente ricevuto, perché strinse i pugni e mi diede uno spintone, obbligandomi a indietreggiare. La cosa si ripeté per un paio di minuti, finché non cozzai con la schiena contro la parete, il suo respiro affannato che mi riscaldava il volto.

Si era alzata sulle punte, oh. E l’aveva fatto pur indossando delle scarpe col tacco.

«Sei», biascicò, «un incosciente. Potevi telefonarmi, o mandarmi una e-mail. Anche un sms, l’avrei gradito un mondo».

Socchiusi gli occhi, nervoso. Forse avrei dovuto spiegarmi, dirle che avevo sentito la sua mancanza e che desideravo tornasse. Che senza di lei la mia ispirazione era finita, morta, sepolta.

«Invece hai preferito far finta di nulla», sospirò. La sentii allontanarsi un po’, e d’impulso le afferrai un braccio: non volevo andasse via, non di nuovo. D’accordo, me l’ero meritato, avevo ancora un mese per finire il mio manoscritto e praticamente dovevo ancora terminare il terzo capitolo, ma che colpa ne avevo se Shinji e Mimi erano due psicotici?

«Non ho-».

«Sì, invece. Anziché mandare Sota, saresti potuto venire tu di persona», affermò sicura. «Te l’avevo vietato, ma desideravo tu venissi, idiota».

La mente femminile è assai complessa, commentai tra me e me. Se avessi osato andar da lei senza permesso, sono sicuro che mi avrebbe ucciso – d’altro canto, lei voleva che io infrangessi la promessa e osassi.

Un controsenso bello e buono.

La strinsi tra le mie braccia, riuscendo a calmarmi solo quando Kagome stessa smise di opporre resistenza e mi abbracciò a sua volta. «Ti avevo giurato che avrei finito il libro», spiegai. «Non volevo farti arrabbiare, così ho pensato di sfruttare un po’ Sota. In fin dei conti, lui voleva un regalo per Hitomi e io volevo mandare un biglietto a te, non c’era ragione per cui non mi aiutasse».

Lei ridacchiò. «Ah, ha trovato il coraggio di dichiararsi, allora».

«Già. Però prima mi ha fatto uno snervante interrogatorio».

Kagome alzò lo sguardo e mi fissò intensamente. Molto intensamente. Troppo intensamente.

Deglutii. «Cosa c’è?».

«Tu non sei la persona più adatta, quando si parla di dare consigli d’amore», spiegò serafica, inclinando il capo di lato e sospirando. «Trovi già difficile il dover provvedere a te stesso, figurarsi aiutare uno pseudo adolescente a coronare il suo sogno d’amore!».

Il problema è che non potevo darle torto. In ogni caso, nulla mi vietava di sentirmi offeso.

«Cosa ti fa credere che io non sappia aiutare il prossimo?», ringhiai.

Parve pensarci un po’ su. «Il fatto», mormorò, «che tu non ti sia ancora dichiarato? Sto aspettando, caro mio. Se desideri baciarmi, vuol dire che c’è qualcosa sotto, e se c’è qualcosa sotto tu devi dirmi-».

«Mi piaci».

Inarcai le sopracciglia – sì, entrambe – e la fissai. Arrossii. Mi sentii un idiota.

L’avevo detto davvero?

Lei sembrava perplessa quanto me. «Sei serio?», chiese, sbattendo freneticamente le palpebre. «Non stai scherzando?».

«Eri», balbettai, «stata tu a dire che se desideravo baciarti doveva obbligatoriamente esserci qualcosa sotto!».

«Sì, ma… oddio. Non ero preparata a questo. Credevo non sarei mai riuscita a strapparti quelle due parole, io… oh, dio. Non stai scherzando, vero?». Mi guardò, gli occhi sgranati e il labbro inferiore che tremava. No, aspetta, forse non era solo il labbro inferiore a tremare. Forse stava tremando tutta. «Di’ la verità».

«Sono serio». Forse stavo tremando anch’io, perché la mano che le poggiai sulla guancia destra non riusciva a sfiorarla come volevo. Forse avrei dovuto aggiungere una nuova dichiarazione, o magari dire qualcosa di intelligente.

Magari una battuta. Se avessi detto una cazzata, avrei certamente attenuato un po’ l’atmosfera seria che si era venuta a creare.

Non mi piaceva essere imbarazzato, mi faceva sentire dannatamente vulnerabile.

Feci per aprire la bocca, ma lei mi interruppe, ansante: «Ti amo».

Non che non me l’avesse già detto in precedenza, chiariamolo. Anzi, Kagome sembrava incredibilmente propensa a vomitarmi addosso quelle due paroline inutili – o almeno, io solitamente le trovavo inutili – e sorridere deliziata.

Ma in quel momento era diverso.

«Ti amo», ripeté, come se le costasse un grande sforzo essere sincera. Si morse il labbro inferiore. «Sono innamorata di te, InuYasha».

Fu la goccia che fece traboccare – metaforicamente – il vaso, quella.

La baciai, lei sbarrò appena gli occhi, poi ricambiò. Le carezzai il volto e Kagome mugolò in risposta, stringendosi ancor di più tra le mie braccia: era un micino sperduto, in quel momento, non la psicotica adolescente che tante volte mi aveva stressato per inezie varie.

Quando ci allontanammo, lei rise. «Ti amo».

«Idiota», le risposi. «Sei una scema».

Rise. Tanto lo aveva capito che il mio era un “ti amo” mancato.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Suvvia, almeno ho dato una svolta a ‘sta fic! ò_____o Cioè, guardate! Si è dichiarato persino il cane psicotico!
…e ho scritto più di tremila parole! Non credo di essermi mai dilungata tanto per BL, in passato!
 
Il dialogo tra Sota e InuYasha mi è servito per recuperare un po’ le fila del discorso, vorrei dirlo subito. Volevo che i lettori non fossero obbligati a rileggere il capitolo precedente per comprendere quanto stava avvenendo. <_____<”
Ringraziamo, va’. <3
 
La Nana: Massalve, e benvenuta tra i commentatori di questa stupidissima fan fiction! XD
Ti ringrazio sia per le seguite che i preferiti, comunque: fa sempre assai piacere essere apprezzati. ^*^
Spero vivamente che il capitolo sia stato quantomeno leggibile, e che non ti abbia fatta ricredere sul mio intero operato. XP
 
Ellena: Lo so, lo so, non aggiornavo da mesi, faccio mea culpa e mi prostro sui ceci. ._.” Ti assicuro che io desideravo continuare la storia, ma… ecco, seriamente, ho avuto problemi. Se potessi, passerei le mie intere giornate postando nuovi lavori! XD
Ti ringrazio sentitamente per il commento, e spero di rivederti ancora – ovviamente, mi auguro anche che il capitolo sia stato di tuo gusto. <3
 
kaggychan95: Tesoro, se tu ti disperi per un minimo ritardo, cosa devo dire io, che per secoli non ho toccato ‘sta fic? ò____o Ho battuto ogni record! Non credevo avrei tardato così tanto!
Boh. Sono proprio un caso clinico, io. .____.” Spero che il capitolo ti sia piaciuto. <3
 
pillo: Massalve anche a te! XD Bentornata sulla pagina dei, uhm, «Commentatori di BL»!
Dunque. Se l’altra volta mi ero sentita male per aver tardato un pochino, pensa ora, che non aggiornavo da più di sei mesi? XD Giuro, mi sento da far schifo. .____.”
Ti ringrazio sentitamente per i complimenti che mi fai: non li merito, proprio no. XD Sono una psicopatica, io! ò____o E InuYasha è regredito allo stato di marmocchio! Kagome è pazza, poi, ma questo lo sapevamo già. <3
Spero che il capitolo ti sia parso decente. U____U”
 
KaDe: Oh, son proprio secoli che non ci sentiamo, temo. <____<” *Coccola* Sono felice di sapere che il precedente capitolo t’era piaciuto.
Grazie del commento. <3
 
mikamey: Se il capitolo precedente non t’era parso troppo corto, questo allora ti lascerà di sasso. XD È due volte il precedente!
A parte gli scherzi, chiedo venia anche a te per il ritardo assurdo del mio aggiornamento. .____.”
Spero che il capitolo ti sia piaciuto almeno un po’. XD Visto che adesso il nostro adorato idiota s’è persino dichiarato?
 
hachi92: Tesooooooro! *Saltella* Meow! *_____* Non mi dilungo perché tanto ti coccolerò a dovere su msn, ma sono felice di sapere che il capitolo t’era piaciuto e mi auguro che anche questo ti soddisfi almeno un po’. <3
Baci, Kiki-tesoro! <3
 
YuikoChan: *Occhi dolci* Se l’altra volta c’ho messo un «pochino tanto», ora cos’ho fatto? *___* Meow! Sono una cretina! *O*/ *Sclera*
A parte gli scherzi, se il capitolo precedente era in stile manga questo le batte proprio tutte, no? XD Credo sia un parto scleroso assurdo!
Grazie per il commento, tesoro! <3
 
Flockkitten: *Fischietta* Oh, ho finalmente aggiornato! ò____o Mi spiace assurdamente per il ritardo, davvero. Non prometto nulla, ma in futuro vorrei evitare assenze del genere.
Che dici: sono o non sono più stupidi dei capitoli precedenti? XD
 
Onigiri: Nio-chan, tesoro, visto quanto tempo c’ho messo? ç____ç Me si sente cattiva per aver aggiornato dopo secoli!
Spero che il capitolo – sempre se lo leggerai XD – ti sia piaciuto almeno un pochino. ç____ç A me continua a sembrare idiota!
 
HimeChanXD: U____U DonnaH, ti voglio tantissimo bene. Questo è quanto. <3 *Stritola*
 
ryanforever: *Sospira* InuYasha sperava di averla ritrovata, la voglia di scrivere, invece si è bloccato proprio come me. .________.” Siamo proprio in simbiosi, noi due.
Ti ringrazio sentitamente per il commento, sei stata gentilissima, e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto almeno un po’. <3
 
 
Pardon per le risposte brevi e magari poco esaurienti ma, sapete com’è, quando io posto in realtà dovrei star facendo altro. XD In questo caso, dovrei studiare latino e greco ché domani mi interrogano. U____U”
Chiedo ancora scusa per il mostruoso ritardo, che spero non debba mai più ripetersi in futuro. E ah, grazie mille per i commenti: mi hanno spronata. In caso contrario, mi sa che avrei proprio mollato e stop. XD
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi auguro di leggere taaaanti vostri pareri. U___U Alla prossima, si spera! <3
   
 
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