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Autore: kannuki    06/09/2005    5 recensioni
Un pazzo che balbetta deliri, una fata che vive in un tulipano e una bambina punk che addestra tarantole chiuse in una scatola.
Un taxi verde che si muove per le città col suo Carico di Paradiso e l'Uomo dei Sogni che non è esattamente il principe azzurro. Una fotografa di cadaveri che ha perso se stessa e vaga nelle Nebbie dei Ricordi Smarriti. Un'Ombra che la segue e la studia, aspettando.
Strani personaggi che si intrecciano in un hard - boiled onirico e delirante, dove tutto non è mai come sembra, Realtà e Fantasia si mescolano in una caccia spietata che si spinge fino ai confini dell'autodistruzione. E se fosse tutto frutto di un'allucinazione?
Genere: Avventura, Dark, Drammatico, Mistero, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Rew

Rew

 

Era stata quella carnagione scura e quei capelli neri lunghi quasi fino alla vita, ad attrarre Bronx come una falena che vola verso la luce.

Il padre aveva sposato una donna italiana, una matrona romana dal bel colorito sano che si tingeva ancora più d’estate e lui doveva aver ereditato la passione per le straniere dai geni paterni. Non c’era altra spiegazione, si disse con un groppo in gola quando si presentò di fronte a lui con la sua camminata decisa e la parlantina sciolta, porgendogli la mano fresca e curata.

Si era aspettato una stretta molle come usano molte donne, ma avrebbe dovuto capirlo dall’affilatezza delle sue dita e dalle vene che spuntavano sul dorso che non era la classica femmina svenevole.

Così era stato lui a porgergli un’orata tiepida al posto della classica stretta spezzaossa che usava con gli amici e aveva fatto la figura del finocchio.

 

Lei l’aveva guardato con aria impenetrabile.

 

Una mano invisibile si era divertito a giocare con i suoi intestini, annodandoli come i giocolieri da strada con i palloncini gonfiabili mentre la donna parlava succintamente e lo studiava come fosse un insetto misterioso.

Doveva avere un’espressione idiota sul volto, perché Harvey aveva appena sperimentato il colpo di fulmine più ‘fulminante’ della sua vita e aveva risposto a monosillabi alle sue sintetiche domande.

In effetti non aveva parlato molto neanche lei, pensò quando la vide uscire dall’ufficio ancheggiando leggermente.

Non sculettava, quello no. Muoveva i fianchi quel tanto che bastava per avere un portamento carino ed elegante insieme. Quel tanto che bastava a calamitargli lo sguardo sul fondoschiena.

Con molta fatica e riluttanza si alzò dalla sedia e si diresse alla porta, il cuore che batteva furiosamente e il respiro assente.

Il sistema endocrino era entrato in sciopero per il troppo lavoro a cui era stato sottoposto in quei pochi minuti e d’un tratto si sentiva stanco e nervoso.

Aprì la porta guardando la manopola che era stata appena toccata dalle mani della donna – Mira, bel nome, sembra spagnolo – e si aspettò di trovarla liquefatta: lui stava letteralmente fondendo!

 

Si aggrappò allo stipite e la vide camminare fino in fondo al lungo corridoio, indecisa su quale diramazione prendere.

Doveva avere uno scarso senso dell’orientamento, visto che era appena venuta da quella parte, pensò appoggiandosi e osservandola chiedere indicazione ad un agente – dio ce ne scampi e liberi, adesso lo pesta – e fare un passo indietro sibilando una parolaccia che fece sorridere il collega accanto.

Skye non se ne perdeva una. Un giorno lo avrebbe trovato in gattabuia a fare compagnia ai veri ladruncoli con una denuncia per molestie sessuali sulla testa.

 

L’occhiataccia inviperita aveva svelato molto del carattere della donna e Bronx aveva deciso già quale comportamento non tenere con lei.

Era tornato nell’ufficio chiudendo la porta alle sue spalle e una volta seduto, aveva aperto il cassetto sinistro della scrivania.

Aveva guardato il pacchetto di sigarette semivuoto e vecchio di molti mesi e l’accendino Bic azzurro accanto.

Mai come in quel momento aveva desiderato fumare per calmarsi i nervi.

 

Aveva preso molte cose dal padre, inglese doc deputato della Camera dei Lord che aveva fatto di tutto per impedirgli di fare carriera nella polizia.

Ereditare un self control indiscutibile e un sangue freddo che sfiorava la glacialità nei momenti di bisogno, l’aveva aiutato non poco nel lavoro.

Ora sentiva il temperamento italiano urlare per essere liberato da quella staticità imbarazzante e il desiderio di gettarsi in strada per fermarla e parlare con lei ancora una volta, lo faceva agitare sulla sedia.

Sfilò una sigaretta con aria drammatica dicendosi che era stupido a ricaderci dopo aver tanto penato per uscire dal catramoso tunnel della nicotina e vide che gli tremavano le mani. 

Le strinse a pugno, le strusciò sulle cosce rivestite da un tessuto piuttosto elegante a dispetto dei colleghi ispettori – se sei ricco puoi permetterti tutto – e le aprì e chiuse più volte, finchè non agguantò la cicca gettata sul tavolo e la infilò fra le labbra.

Non esitò un secondo ad accenderla e quando l’alcaloide gli riempì la bocca e i polmoni, si sentì subito meglio.

Come poteva succedere una cosa del genere? In quel momento, con tutto il lavoro che aveva da fare, il divorzio da Marie e l’appartamento da cercare al più presto?!

 

La cenere cadeva in fiocchi grigiastri sulla scrivania, sfiorandogli la mano destra che teneva abbandonata, la sinistra a sorreggere la testa, le dita infilate fra i corti capelli brizzolati.

Ok, non era vecchio. Aveva solo 38 anni.

Niente andropausa, niente crepuscolo della virilità, decise scartando un’ipotesi.

Cos’era, aveva bisogno di un’altra donna che gli riempisse la vita di casini incommensurabili in una sorta di masochistica punizione? Non gli erano bastate le scenate di Marie, il suo tradimento e la richiesta di divorzio – non avrebbe beccato una sterlina in quel modo – le chiacchiere sulla sua promozione – fanculo, me la sono sudata!e il cane che gli era morto da un giorno all’altro?!

 

Si incupì sempre di più finchè non decise di essere stanco di quel comportamento infantile e dannoso ai muscoli facciali che dolevano per la tensione e accettò la triste verità: quando era ormai sicuro che non sarebbe più accaduto…era accaduto  

 

***

 

Mira aveva fatto uno sforzo non indifferente per sostenere quel colloquio e rimanere lucida e presente a se stessa.

Il suo capo sembrava essere appena uscito da un film degli anni 50: gli mancava solo un cappello di feltro in testa, l’impermeabile a tre ottavi e la sigaretta all’angolo della bocca; una pupa bionda platino al braccio sinistro in atteggiamento adorante e una pistola fumante in mano avrebbero completato il quadretto Casablanca post moderno.

E pensare che a lei neanche piacevano quelli più grandi…soprattutto non così grandi. Al massimo arrivava ad un paio di anni di differenza, tre a volere stare larghi.

Mira non li capiva gli uomini: non capiva i coetanei, figurarsi gli attempati quarantenni!

Quello è semplicemente perfetto!

Cioè…perfetto per lei.

Non era bello nel senso stretto del termine ma emanava fascino e mistero da tutti pori…e doveva essere terribilmente romantico! Quelli così sono sempre romantici…o stronzi fino al midollo, rettificò subito annuendo.

Quella piccola considerazione fu platealmente sospirata dalla donna che camminava spedita nel corridoio.

Era attraente come l’acqua fresca nel caldo torrido del deserto e quando si erano presentati, le dita erano andate inspiegabilmente in autocombustione.

Doveva essere sorpreso, non capita tutti i giorni di conoscere una fotografa di cadaveri. Mira l’aveva capito da come non le aveva stretto la mano…il che era stato peggio perché le aveva scatenato la fantasia spenta dai continui litigi col ragazzo. Nell’ultimo, Abe aveva preso definitivamente il volo, portandosi via il suo livore per la carriera di climber interrotta a causa di un ginocchio fallato e facendola respirare nuovamente.

Se si fosse sbrigato a portare via le sue cose, sarebbe stata molto più larga! Rimuginò acidamente, distraendosi per un secondo dall’immagine mentale di Bronx desnudo sopra di lei.

 

Era una tipa che andava velocemente al dunque, nei sogni!

 

Sorrise, stringendo un bicchiere di carta pieno d’acqua del silos trasparente e temette di vederlo emergere da un momento all’altro dalla porta chiusa.

Riprese il suo percorso quando lo vide comparire dietro la porta a vetri smerigliata e confusa per essere quasi stata beccata a sospirare come una scolaretta, esitò sulla direzione da prendere.

 

Aveva appena ricominciato a respirare l’aria non contaminata da quell’individuo ed eccola in procinto di morire di ipossia. Anche a quella distanza le sembra di sentire l’odore che emanavano i suoi vestiti: si costrinse a trattenere il fiato e a restare in silenzio, costringendo i turbinanti nel naso a creare un muro inodore.

La stava osservando, sentiva i capelli caderle a ciocche dalla nuca che stava trapassando con quello sguardo serio e penetrante che aveva notato subito al colloquio.

 

Si sentiva stordita come se avesse appena bevuto un alcolico molto forte. Per un’astemia come lei, anche un tè al limone era troppo.

 

Ma che c’era in quell’acqua? Si domandò non arrischiando a girarsi per scoprire se era ancora li, se era fermo, se le stava andando incontro….

Fermò il primo agente che le passò accanto e con voce tremula gli chiese dov’era l’uscita.

Il panico le aveva bloccato il cervello.

La risposta non fu di suo gradimento e Mira lo mandò al diavolo, tanta era l’irrequietezza che provava.

Bella prova! Aveva reagito in maniera infantile ed esagerata e molto probabilmente l’avrebbero classificata subito come un’isterica frigida e altezzosa.

Sospirò afflitta una volta fuori: gli uomini chiacchierano, anche peggio delle donne…si era bruciata tutte le chance con il suo bel capo!

 

Play

 

“Quanto ti ci vuole per farmele avere?”

“Dipende da quanto puoi pagarmi” ridacchiò il negro sorridendo e mettendo in mostra tre denti d’oro.

Con tutto quello che guadagna potrebbe farseli cambiare tutti!

Marvin non è per niente felice: la licenza da tassista, la patente di guida e la carta d’identità false gli costeranno un patrimonio e lui ha il conto in banca ancora bloccato dalla polizia.

Deve farle, non può rischiare di viaggiare senza e di essere fermato dalla pula!

“Lo sai che non ho molto al momento. Ti propongo un accordo” sibila appoggiandosi al bancone di legno rovinato, sbirciando la vetrinola antiproiettile piena d’armi sotto le sue braccia smagrite “il tre per cento della prima consegna e il resto al momento della seconda. Ma mi servono subito. Oggi stesso.”

Abasi lo fissa a lungo senza parlare. Il ragionamento non fa una piega ma il tre per cento è troppo poco. “Il 5”

Marvin annuisce di malavoglia, serrando i denti. Non sei furbo, amico. Avresti dovuto accontentarti di quello che ti offrivo. Ora mi costringi a farti molto male.

“Ripassa questa sera verso l’orario di chiusura”

Marv deve fare uno sforzo per non far trapelare la scintilla di soddisfazione che gli brilla negli occhi come un faro del porto.

Si alza dalla vetrinola su cui era appoggiato e individua subito l’arma che gli occorre. “Mettici quella nel conto” ridacchia come un matto indicandola con un dito.

Abasi lo fissa ancora, non ha mai distolto lo sguardo da lui.

“Per difesa personale. Noi tassisti carichiamo sempre un sacco di matti, la notte” afferma con voce sorpresa, alzando le mani. “Sono contro la violenza, lo sai”

 

L’uomo annuisce e posa le braccia lungo i fianchi, il fucile a portata di mano sotto il bancone.

 

Marv lo saluta con un gesto scanzonato e tira su i jeans che sono scivolati ulteriormente, rinunciando dopo un secondo a farli stare a posto.

Stasera. Come no.

 

Molte ore dopo, Abasi lo vede rientrare con passo baldanzoso e la mano già tesa. “Ho un carico in partenza, adesso manchi solo tu” sibila con un sorriso sinistro “le hai preparate?”

L’uomo annuisce e le getta sul bancone velocemente “voglio un acconto entro domani. Il luogo del deposito è sempre lo stesso” borbotta con voce bassa. “Vattene, devo chiudere”

 

Marvin le prende, le gira, osserva la foto e i dati. Perfette, semplicemente perfette. E bravo negraccio!

Sorrise amichevole mentre Abasi si muove dietro il bancone, il fucile posato accanto alla gamba pronto all’uso.

Marv sorride un’altra volta e fa un paio di passi all’indietro. “Solito posto, come no…”

 

L’uomo lo segue, finchè non sparisce dietro il pesante portone e giù in strada. Quando lo vede partire, sospira di sollievo e toglie la mano dal fucile, appoggiandosi con la vita al bancone, la schiena rivolta verso la porta.

È psicopatico, è peggior…

Non fa neanche in tempo a finire il pensiero che qualcosa di molto pesante si abbatte sulla sua testa, facendolo svenire. Marvin lo colpisce più volte finchè non è sicuro di averlo ucciso e solo dopo avergli ridotto il cranio ad una pozza sanguinolenta si dichiara soddisfatto.

“Non lo vuoi il mio tre per cento?! Vaffanculo, allora” sibila trattenendosi dallo sputare sul cadavere.

Fa qualche passo indietro, il ramo dell’albero che ha usato per ucciderlo posato sulla spalla, rischiando di sporcarsi di sangue.   

“Potevi prendertelo quel tre per cento, coglione!”

 

 

 

 

  
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