Chilling
Pills.
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
4- Just a little bit of love. (AnnaLee)
Anna Williams non
si sarebbe mai scordata il momento in cui la sua vita era cambiata radicalmente.
Quanto pesava
quella borsa che portava in spalla mentre si affrettava ad uscire dall’edificio
della Mishima Zaibatsu. Si
ricordava perfettamente il rimbombo della battaglia sulla sua testa e i vetri
che si staccavano dalle finestre del grattacielo e si schiantavano in strada.
Aveva varcato la
soglia dell’uscita principale nell’esatto momento in cui il grattacielo aveva
iniziato a tremare.
Subito dopo aveva
sentito il rombo potente di una Ferrari che svoltava l’angolo e inchiodava, a pochi
metri da lei.
“Posso offrirti un
passaggio?” Lee vestiva ancora gli abiti dell’incontro che aveva disputato
poche ore prima, un taglio sulla fronte medicato e dei Rayban
scuri. E il suo sorriso smagliante, provocatore e irresistibile.
Aveva intenzione
di sembrare inizialmente diffidente, di fare la preziosa, ma un boato proveniente
alle sue spalle l’aveva convinta a gettarsi all’interno dell’abitacolo
dell’auto con una certa fretta.
Sgommando, Lee era
partito a tutta velocità. “Destinazione?”
“Uhn… non ne ho una in particolare…
vediamo, dove potrei andare…?”
“Io sto andando
all’aeroporto, prima che scoppi il caos e che chiuda. Il mio jet privato mi
attende in pista. Posso invitarti?”
“Dipende dalla
destinazione.”
“Nassau, Bahamas.
Ovviamente. Con sosta necessaria per il rifornimento a Honlululu
e Miami. Posso contare sulla tua compagnia per tutto il viaggio?”
“Le Bahamas devono
essere un bel posto per una vacanza rigeneratrice.”
“Assolutamente.
Posso chiederti cosa hai portato in quel tuo voluminoso bagaglio? Sei l’unica
che è riuscita a fare le valigie, a quanto vedo!”
La donna
tamburellò sulla superficie di camoscio della borsa: “Honey… qui dentro c’è la mia liquidazione da Bodyguard di Kazuya…!”
“La cassaforte del
ventisettesimo piano?”
“Oh no, no. Quella
del centovettisettesimo: La personale del tuo adorato
nipotino”
Il Jet di Lee era
l’apoteosi del lusso. Sedici comodi posti a sedere, un salottino e una piccola
camera da letto completa di bagno con
doccia. “Sei incorreggibile!” rise di gusto lei, alla vista del letto rotondo.
Il viaggio verso
Nassau era stato lungo quanto piacevole. Alternavano gli atterraggi e i decolli
seduti sulle poltroncine ai brividi ad alta quota del letto rotondo. Tutto
questo finché, mentre facevano un giro nell’aeroporto di Miami durante il
rifornimento, sulle televisioni avevano mostrato chiaramente la distruzione
della Mishima Zaibatsu, i
cadaveri estratti dalle macerie dei Mishima e
l’elenco dei dispersi, tra cui figurava anche Nina. La borsetta di Gucci che si
era appena comprata le era sfuggita di mano ed era caduta per terra, mentre il
cuore le mancava di battito.
“Andiamo, Anna… sai quanto è brava tua sorella a nascondersi.” Aveva
detto Lee, raccogliendogliela con un gesto cavalleresco. “Per quanto riguarda i
Mishima… non potrei essere più sollevato di così. E’
grave?”
“…cosa?” aveva domandato lei assente, lontana.
Lee le aveva
rivolto uno sguardo sorpreso: “Forse è meglio che torniamo sull’aereo. Sei un
po’ scombussolata, non è vero?”
“Ah-ha…”
Erano passati mesi
interi in cui lei si sentiva completamente vuota, apatica e incompleta.
Conosceva bene quella sensazione, l’aveva provata più e più volte nella sua
vita. Niente la scuoteva, neppure notare come le calzassero a pennello i
vestiti che Lee le regalava per tirarle su il morale.
Anzi, la
compiacenza dell’uomo le dava fastidio, la innervosiva l’averlo vicino,
accondiscendente senza capire che cosa le stesse succedendo.
Si sentiva un’ingrata,
ma non riusciva ad evitarlo.
Così aveva deciso
che l’unico modo per star meglio era di farla finita. In una sera in cui Lee
era fuori casa si era immersa nella superba e gigantesca Jacuzzi di marmo con
un bicchiere di vino rosso in mano. Dopo aver svuotato il calice, l’aveva
spaccato contro il bordo e si era piantata un coccio acuminato nel polso. Stava
ammirando il sangue così scarlatto che ne sgorgava, prendendo coraggio per
terminare la sua opera, quando la porta si era improvvisamente aperta e si era
ritrovata davanti uno sbalordito e terrorizzato Lee.
E la
consapevolezza di aver sbagliato di nuovo tutto
l’aveva colpita come uno schiaffo.
Quando si tocca il
fondo, si possono fare soltanto due cose: O restare li ed annegare o darsi una
bella spinta e risalire.
Con Lee che teneva
la ferita avvolta nel suo fazzoletto di seta e l’accompagnava in ospedale, incurante
della camicia candida che si macchiava di sangue, Anna concluse che aveva una
buona ragione per risalire.
Qualche mesi dopo si
rigirava il test di gravidanza positivo tra le dita.
Era entrata
nell’ufficio di Lee e glielo aveva detto tutto d’un fiato. “Guarda che non è un
problema per me crescere il bambino da sola, se tu non lo vuoi.” Aggiunse,
vedendolo impallidire.
Sembrava che Lee
stesse per avere un infarto, mentre quasi la implorava di farsi vedere da un
medico.
Per averne la
certezza.
La cena della
serata, in un raffinato ristorante, l’aveva angosciata. Lee non aveva
spiaccicato parola per tutta la durata del pasto, rifiutandosi di rispondere
alle sue domande e alle sue richieste.
E quando lei stava
per sbottare e innaffiarlo con il contenuto incredibilmente analcolico del
bicchiere, ecco che tirava fuori imprevedibilmente una scatolina di velluto blu
dalla tasca interna della giacca.
Una scatolina cosi
piccola che conteneva il più grosso solitario che Anna Williams avesse mai
visto.
“Direi
che è l’occasione giusta per chiederti di sposarmi”
Tre mesi dopo si
erano sposati sulla spiaggia, davanti ad un tramonto mozzafiato. Loro due da
soli e la sua pancia che iniziava a spuntarle.
E da allora la
vita era stata di gran lunga più rosea. La perfezione che aveva tanto
invidiato, agognato, cercato sembrava tenerle la mano. Probabilmente erano gli
ormoni, che calmavano il suo animo irrequieto.
Eppure non si
sentiva ancora completa, nonostante la vita che stava crescendo dentro di sé le
regalava una serenità di cui mai avrebbe potuto crederne l’esistenza.
Così, dopo averne
parlato con Lee, aveva deciso di cercare Nina, cogliendo l’occasione dell’annuncio
del Settimo Torneo del Pugno d’Acciaio.
Quanto c’era
rimasta male davanti all’iniziale astio che continuava a covare sua sorella! Ma
poi Nina era con lei, al momento del bisogno, in mezzo a quella città distrutta
mentre aveva deciso di ‘scodellare il primo figlio’.
Jamie era la cosa migliore che la vita
potesse darle.
Eppure, nonostante
il suo bambino, nonostante il suo matrimonio perfetto e la sua famiglia
d’origine ritrovata in parte, ad Anna mancava qualcosa.
Nel corso degli
anni la ricerca della perfezione era stata il ritornello delle sue mille
peripezie, diventando un’ossessione da cui non riusciva ancora a liberarsi.
Non riusciva a far
pace con sé stessa. C’era sempre qualche ombra sui suoi passi.
E quello che stava
capitando ora era il capitolo successivo della sua inquietudine.
Lee si infilò il
suo nuovo Rolex, regalo di Anna del loro secondo anniversario di matrimonio,
aggiustandosi poi il polsino della camicia e della giacca. Elegante,
impeccabile, anche quando doveva andare ad una banale cena con dei fornitori
della Violet System. La classe non era acqua, amava
precisare.
“Anna, tesoro, sto
andando.” Fece appena in tempo ad annunciare la sua partenza che la porta del
loro bagno en suite si spalancò
immediatamente. “TU non vai da nessuna parte!” Anna si lanciò tra le
sue braccia, facendolo cadere all’indietro sul tappeto, fissandolo implorante a
cavalcioni su di lui, mentre gli guidava con forza le mani sui suoi seni. “Non adesso, almeno. Lee, io sto ovulando.”
“… Anna…”
“… e la
temperatura basale è ottima!”
“…Amore, io…”
“Jamie è impegnato in salotto a guardarsi Cars. Questa volta ci siamo, me lo sento!”
Lee sospirò,
roteando gli occhi grigi. “Anna… per favore…”
“Solo un po’ di zucchero…”
“Anna…”
“Un pochiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiino…”
“NO.” era giunto
il momento di prendere una posizione decisa in merito. Ormai quella situazione
stava sfociando nel ridicolo. Riuscì a sfuggire dalla stretta della moglie,
facendola rotolare di lato, e ad alzarsi sistemandosi la giacca. Poi le porse
una mano, dispiaciuto della sua espressione abbattuta. Se pensava di
intenerirlo così però si sbagliava di grosso: Era ora di parlarsi chiaro.
“Principessa,
ascoltami: così non funziona. Stiamo cercando un altro bambino, questo è vero,
ma non mi pare il caso di buttar il tutto in una mera ginnastica, non sei
d’accordo? Non mi piace che quando tento un approccio tu prima scappi in bagno
a controllare il test della fertilità,
per poi informarmi che è inutile farlo in
quel momento. Così come non mi piace che tu mi salti addosso nei momenti
più improbabili giusto perché stai
ovulando. Mi rifiuto di essere il tuo gingillo di riproduzione.”
Anna si era
appoggiata alla parete, lo sguardo –adirato ed innervosito – che saettava sulla
sua faccia. “Stiamo cercando di avere un bambino, è questo il metodo, no?”
“Oh, Anna, per
avere Jamie ci è bastato…”
“Non so se l’hai
notato, ma pare che ora sia un po’ più difficile. Lee, è da più di un anno che
si stiamo provando senza risultati. Senza contare il periodo del se arriva arriva.
Siamo stati sull’isoletta dove abbiamo concepito Jamie
per ben quattro volte. Ho modificato
per tre volte la nostra dieta, ti ho
proibito di fumare e mi metto sempre a testa in giù dopo che abbiamo fatto. Nulla. Direi che è il caso di farlo solo al momento giusto, non trovi?”
Il marito incrociò
le braccia, fissandola serio. “No. Non stiamo facendo ginnastica per dimagrire,
Anna. Stiamo cercando di concepire un
figlio.”
“Una figlia” lo
corresse distrattamente la donna, giocherellando nervosamente con le dita.
“Giusto. Ma
evidentemente neppure questo funziona. E sinceramente non mi stupisco. Non
credi che ci voglia un pochino di amore, un pochino di tranquillità? Non credi
che senza ansia si possano migliorare le cose? Per Dio, Anna, ne stai
diventando ossessionata!”
“Io voglio solo…”
“… ed è quello che
voglio anche io, Principessa. Ma non posso permettere che questa ricerca
diventi una malattia. Non voglio che tu…”
“… io… non riesco a capire che cosa non funzioni…
ed è una cosa che... non mi va giù.”
L’uomo le cinse la
vita sottile, stampandole un bacio sulle labbra. “Forse è arrivato il momento
di rivolgerci ad uno specialista.”
“E’… come una
sconfitta.”
“Mi avevi detto
che avevi imparato ad accettarle, le sconfitte. E poi questa non la è proprio:
dobbiamo capire cosa non va: vogliamo dare a Jamie un
fratellino e…”
“Sorellina”
“Noi vogliamo dare
a Jamie una sorellina e cerchiamo solo di capire bene
cosa dobbiamo fare per farla arrivare.”
“L’altra volta era
stato così facile…” Anna sospirò sfregandosi gli
occhi, improvvisamente stanca. “Hai ragione, Lee. Ti ho trattato come gingillo
sessuale.”
“Non è quello che
mi ha dato fastidio. Adoro essere il
tuo gingillo sessuale. E’ il fine della riproduzione e basta che mi sconvolge.
Ultimamente non c’era più… passione, calore. Insomma,
le nostre solite cose. Domani contatteremo la migliore clinica di Nassau e
andremo a farci visitare entrambi. Vedrai che in men
che non si dica troveremo la soluzione. Nessuno
può mettere Baby in un angolo.”(*)
Anna sorrise
conciliante alla citazione cinematografica del marito. “Va bene ha ragione.”
Gli sistemò il bavero della giacca e il nodo della cravatta. “Ecco, così sei
perfetto. Buona cena, tesoro.”
Dopo un bacio a
stampo Lee scese al piano di sotto.
Anna sentì Jamie ridere ad un saluto dispettoso, rispondendogli con
una pernacchia e facendosi promettere un pomeriggio sulla spiaggia insieme.
Sospirò,
guardandosi allo specchio, gettando l’ennesimo ed inutile stick
di ovulazione nel cestino, a far compagnia ad altri sei uguali.
Si, tutto ciò
stava divento un’ossessione pericolosa. Come la era stata quella di battere e
umiliare sua sorella e quella, più
recente, di fare l’impossibile pur di mantenere un fisico perfetto per paura
che Lee cominciasse a rivolgere le sue attenzioni a qualcun’altra.
Pareva che la sua
vita gravitasse sempre attorno ad uno stato ossessivo. Ciò in cui non riusciva
diventava per lei un’ossessione, quasi una malattia.
“Mamma?” una vocetta sulla soglia della porta le fece voltare la testa
di scatto. Jamie, il suo cucciolo dagli occhioni blu e i capelli argentati la fissava stringendo
tra le mani il suo modellino di Saetta McQueen
preferito. “… tuo.” Decise, porgendogli la macchinina.
Anna si chinò di
fronte al figlio, prendendo Saetta delicatamente. Era raro che Jamie la facesse utilizzare a qualcuno, era molto geloso
dei suoi giocattoli preferiti. “E’ per me? Davvero?”
Il piccolo annuì,
dondolandosi da un piede all’altro. “E tu cosa usi, amore mio?”
“Sally” rispose,
porgendole la mano. “…giochi?”
Eccola lì, la
perfezione. Lei, che l’aveva cercata così tanto, alfine l’aveva creata. Con
quella faccia da furbetto – tutto suo padre, e i suoi occhioni
azzurri e limpidi. Il vero uomo della sua vita, quello che non l’avrebbe
lasciata neppure nell’improbabile ipotesi che diventasse vecchia, brutta e
grassa.
“Certo tesoro,
andiamo giù di sotto?”
Jamie annuì. “Andiamo Madame!” esclamò
ad alta voce, imitando suo padre, strappandole una sonora risata.
Ragazze!
I
vostri commenti positivi mi stravolgono!!!
Spero
di non deludervi con questo (improbabile, noioso, assurdo e non richiesto)
spaccato della vita quotidiana di un’altra coppia…
E
spero di riuscire ben presto a scrivere del ---- Kazakistan!!!----
(*) La
citazione viene da Dirty Dancing Non so se vi
ricordate, ma (stando alle mie Ff) ad Anna piaceva
Patrick Swayze.
Una
buona serata a tutti, vado a mettere le birre in fresco per Italia – Paraguay.
Un beso!
EC.