Passano i giorni e iniziano le
riprese degli spot. Con
sorpresa e un nodo allo stomaco scopro che Antonella li
girerà con me. Non so
se sentirmi più felice o preoccupato. Stiamo sempre insieme
e inizio a
conoscerla. Il viso di Kiara sempre dentro di me e mi sento in colpa
per
entrambe. Devo risolvere questa cosa. Il giovedì prima della
gara vado in sede.
Ci incrociamo in corridoio e chiacchieriamo tranquillamente. Mi
racconta le
ultime cose che ha fatto e la vedo leggera e felice. Dentro di me si
riaccende
nuovamente quella fiamma ma non posso dirle nulla. Non posso farle
male, non se
lo merita. Fingo che non sia successo nulla e mi tengo le staffilate
che sento
al cuore. E’ bellissima!
Ci salutiamo con un
sorriso perché Francesco mi sta chiamando. Parliamo un
po’ di lavoro e poi lo
saluto, domani ci vedremo di nuovo. Sto andando via che
dall’ufficio del
presidente esce Antonella. Un sorriso radioso mi investe.
“Ciao
Luciano” mi dice
non appena è vicina.
“Ciao
Antonella”
rispondo al suo sorriso.
Mette un attimo il
broncio.
“In questi giorni
che
siamo stati insieme pensavo mi avresti chiesto di uscire”.
Resto impalato, decisa
la ragazza. Che faccio? Penso a Kiara e penso che non ci dovrei
pensare. Guardo
Antonella e rivedo i giorni passati. Sono stato bene con lei.
Balla colossale:
“Ero un
preso. Agitato per le riprese e poi non credevo di
interessarti”.
Mi guarda con un sorriso
che la dice lunga, le mie bugie sono state scoperte!
Resta in silenzio
attendendo una mia mossa seria. Sorrido e rischio.
“No è che
ho poca
pratica con le ragazze e temo sempre di sbagliare”.
Sorriso tenero.
“Questo week end
c’è la
corsa a Monza. Se vuoi domenica sera usciamo a cena”.
Mi guarda colpita.
“Non ti
dispiacerà
lasciare il team per venire con me?”sorride maliziosa.
L’assecondo.
“Per una sera
possono
festeggiare da soli” dico sorridendo.
“Dopo la gara
andiamo via
insieme. Io sarò a piedi se hai la macchina farò
il passeggero”.
Ride divertita: “Ti
fidi
di una donna al volante?”.
“Vedremo”
malizioso.
“A domenica
allora”.
Mi coglie di sorpresa
avvicinandosi e dandomi un bacio sulla guancia, poi si allontana
tranquilla.
Bella camminata. Mi volto al rumore di una porta e vedo Kiara. Mi
sorride e
sembra felice davvero. Forse è contenta perché
sto andando avanti? Le sorrido e
la saluto con la mano in silenzio poi vado via.
Monza mi mancava. Da
quando gareggio ci ho corso poco e niente la domenica. Voglio vincere
qui dove
tutto è cominciato e poi, poi festeggiare con Antonella.
Spero di riuscire
veramente a lasciarmi dietro il passato e smettere di vivere dei
ricordi di
questo amore che non posso avere. Incrocio le dita mentalmente. Volevo
venissero i miei ma non hanno voluto. Per entrambi è ancora
troppo presto. Per
mia madre per la preoccupazione, per mio padre per la mia scelta. Mi
preparo e
salgo in macchina. Mi danno il via ed esco. La pista è bella
come la ricordavo.
La macchina però è molto diversa dalla mia e da
quella dell’anno precedente. Io
sono diverso e siamo in sintonia. Andiamo veloci ma ci sono regolazioni
da
fare. Discussioni ai box per alcune scelte e prove e consigli per
migliorare
ancora. Gli avversari sono agguerriti e lo stesso Michele vuole vincere
domenica. Le libere sono sue. Col team resto a parlare
dell’assetto. C’è
qualcosa che vorrei migliorare ma non ci riesco. Cena e sono nervoso.
Non mi
era mai capitato di non riuscire a sentire cosa non va nella macchina.
Sabato
mattina giro per il parco. Rilassamento totale e il telefono che
squilla.
“Pronto”.
“Ciao Luciano come
va?”.
“Ciao mamma. Bene e
tu?”
Perché mi ha chiamato?
“Tutto bene.
Sarà il
sapere che sei vicino mi è venuta voglia di
sentirti”.
Resto perplesso. Boh!
“Va tutto bene. Oggi
pomeriggio le prove e domani la gara”.
“Sei
tranquillo?” chiede
preoccupata.
“Come
sempre” mento un
po’.
Dopo Kiara le mie
emozioni sono tornate libere ed è difficile gestirle e a
volte sopportarle ma
sono le mie e non voglio più nasconderle.
“In settimana ci
vediamo? Ultimamente non ti sei fatto nemmeno sentire”.
“Ho avuto veramente
da
fare ma. Non preoccuparti, dovrei avere un paio di giorni liberi.
Verrò a cena
una delle prossime sere”.
“Bene. Buona
giornata.
Ciao”.
“Ciao ma”.
Riprendo a camminare ma
è strano mi abbia chiamato.
Il pranzo vola
tranquillo. Con Luigi parliamo delle modifiche che sono state fatte in
mattinata e speriamo il mio fastidio svanisca.
Andiamo ai box, mi
preparo e salgo. Michele esce prima di me e lo seguo. Giriamo incollati
per un
po’ poi lo lascio allontanare per avere lo spazio di tirare.
Quella sensazione
è ancora li però quando mi fermo. Il tempo
è migliorato ma è ancora li. Scrollo
le spalle e dico che tutto è ok. Alla fine delle qualifiche
sono terzo dietro
Michele e Rodolfo. Tutti entusiasti. Cena e vado in camera. Voglio
stare un po’
da solo. Manco a parlarne, squilla il cell.
“Pronto”.
“Ciao
Luciano”.
Stupito.
“Ciao
Antonella”.
Come ha fatto ad avere
il mio numero?
“Ho chiesto il tuo
numero a Leonardo l’altro giorno che era da noi per il
contratto” mi spiega
angelicamente.
“Come stai? E le
qualifiche?”.
“Sto bene grazie e
sono
terzo”. Mi ascolto. Devo essere meno telegrafico.
“Sono
contenta”.
Ci è rimasta male.
“Tu invece cosa mi
racconti?
Quali disastri stai facendo?” le chiedo canzonandola. Durante
le riprese più
d’una volta è inciampata su fili o ha urtato i
tecnici.
Ride e penso che ha una
bella risata, mette allegria.
“Me la paghi questa,
domenica vedrai. Comunque tutto bene. Hanno montato le
pubblicità. Mio fratello
le ha viste e mi ha preso in giro per il buon lavoro. Per il resto ho
fatto
qualche altro lavoretto ma nient’altro”.
Resto in silenzio un
istante.
“A parte essere a
cena
con un attore bellissimo” butta lì.
“Davvero?”
chiedo
curioso.
“Sei
geloso?” mi chiede
allegra.
“No”
guardingo.
“E’ un
amico di mio
fratello. E’ la prima volta che lo conosco è mi ha
fatto una buona
impressione”.
“Sono
contento” dico
tranquillo.
“Questo non mi
risparmierà dal fartela pagare domenica sera” e
ride ancora scherzosa.
“Non preoccuparti,
mi
farò perdonare”.
“E’ una
promessa?” in
aspettativa.
“E’ una
promessa!”
deciso.
“Ora vado ho un
mucchio
di cose da fare. A domani”.
“A domani”
non faccio in
tempo a dirle che chiude.
Guardo il telefono ancora
stupito ma la sua allegria mi ha riportato il sorriso. Vedremo domenica.
Notte agitata. Il mio
letto è di nuovo un campo di battaglia. Scrollo le spalle,
mi vesto e vado a
fare colazione. Dopo un paio di caffè mi metto a leggere in
camera. A pranzo
vengono a chiamarmi, ho perso completamente la nozione del tempo.
Quando
andiamo in pista tutti sono carichi. Sto per salire in macchina che
vedo
Antonella. Si avvicina sorridendo.
“In bocca al
lupo”.
La guardo e penso che
sarà una cena interessante: è bellissima e
qualcosa dentro di me si agita di
nuovo. Forse potrò dimenticare Kiara?
Torno coi piedi per
terra.
“Crepi!” e
salgo.
Esco e mi posiziono
sulla griglia. Warm up e tutti di nuovo pronti. Guardo Michele e
Rodolfo
davanti e la macchina di fianco a me. Pronto.
Lucetta uno, due e tre!
Parto deciso ma non
c’è
un varco. La curva è a destra e devo allargare. Perdo un
paio di posizioni e mi
infilo in un buco. Partenza schifosa. Si forma il solito serpentello e
vedo
Michele e Rodolfo allungare. Non posso perdere tempo. Non
c’è molto spazio per
sorpassare, mi devo inventare qualcosa. Curvone a sinistra. Arrivo
lungo,
frenata al limite e traiettoria interna. Il mio avversario mi lascia lo
spazio
che mi serve e sono dentro. Uscita di curva e sono davanti. Spingo a
fondo per
avvicinarmi al mio prossimo avversario. Non è facile e
quella sensazione di
qualcosa che non lavora a dovere torna a darmi fastidio. La macchina
risponde.
Le gomme, i freni e il motore anche eppure….qualcosa non va.
Nei due giri successivi
mi avvicino per tentare un attacco. Provo a prendere la traiettoria
interna ma
non me ne lascia la possibilità. Non mi rimane che un
tentativo. La mia
macchina ha una velocità maggiore in rettilineo.
Uscirò a cannone dall’ultima
curva, prenderò la scia e ritarderò la frenata.
Ci provo. Esco dalla curva e
gli sono attaccato. Scia e sono pronto. Finta a sinistra e mi butto
all’interno. Nessuno vuole frenare per primo ma siamo al
limite. Frena e
appena, lo vedo e pigio con forza il pedale. Solo che va a vuoto. Con
orrore
riprovo rapido, niente. Cerco di buttare dentro una marcia bassa ma il
muro è
ormai davanti a me. Tento un’ultima mossa e sterzo a
sinistra. Il rumore della
lamiera che si piega e la sensazione di volare in alto.
Mi sveglio. Dolore
ovunque, mi sembra di essere finito sotto uno schiaccia sassi. Apro gli
occhi e
cerco di voltare la testa ma qualcosa mi blocca il collo. Un rumore e
mia madre
entra nel mio campo visivo, dietro di lei mio padre. Hanno gli occhi
rossi
anche se mia madre piange ancora.
“Ciao ma”
dico con la
voce impastata.
“Ciao un
cazzo” replica
incavolato nero mio padre.
E alla faccia del bel
risveglio. Mia madre in silenzio.
Abbasso lo sguardo e
provo a muovere braccia e gambe. Tutto ok tranne il destro che
è immobilizzato
da qualcosa. Sollevo il sinistro e mi tocco il collo.
Dev’essere un collare
ortopedico.
“Buongiorno”
dice un
dottore sorridente avvicinandosi al mio letto.
“Finalmente ti sei
svegliato”.
Sorrido della sua
allegria anche se mi sento un blocco di marmo.
“Sarai felice di
sapere
che non hai praticamente nulla”.
Lo guardo perplesso.
Mi capisce.
“Il collare
è stata una
precauzione all’autodromo e lo stesso per la fasciatura
rigida al braccio, una
semplice botta probabilmente contro i roll bar mentre la macchina
rotolava
oltre il muretto”.
Mi verrebbe da
spaccargli la faccia. La fa facile lui tanto sono io qui a letto a
pezzi.
“Tempo due giorni e
ti
lasciamo andare a casa. Abbiamo voluto fare alcuni esami del sangue e
vorremo
fare anche delle ecografie per essere sicuri. Visto lo stato della
macchina sei
fortunato”.
“Grazie”
gli dico, altro
non mi viene.
“Visto che sei
sveglio
noi andiamo a prenderci un caffè” dice pratico mio
padre.
Mia madre non ne vuole
sapere.
“Vai ma tanto da qui
non
scappo” e la faccio sorridere.
Escono tranquilli e io
torno con la mente all’incidente. Col panico ricordo
l’attimo in cui i freni
non hanno funzionato e poi, poi niente. Mi scuote il cell. Mi chiedo
chi possa
già sapere che sono sveglio e con un sorriso vedo in numero
della mia meletta.
Lei l’ha sentito.
“Ciao” le
dico dolce.
“Mi farai
morire!” e la
sua pena è tutta li
Un lungo silenzio.
“Mi
spiace” le dico
piano.
“Come
stai?” dolce e premurosa.
“Bene,
insomma…. Niente
di rotto e solo un forte trauma al braccio desto. Un paio di giorni e
mi mandano
a casa”.
Silenzio.
“Mi
dispiace amo” e non mi interessa cosa
possa dire.
“Mi spiace tanto.
Perché
ti sei preoccupata, perché hai pianto”.
“Come fai a
dire…” mi
interrompe e io la interrompo.
“So che hai pianto
perché ti conosco, perché mi ami. Mi
dispiace”.
E rischio anche se so
che non dovrei per lei, per me.
“Sto bene e sarei
felice
se mi venissi a trovare. Resto qui due giorni, troverai un
po’ di tempo per
me?” le chiedo quasi supplicandola.
“Non lo
so” e dal tono
l’ho presa in contropiede.
So cosa sta pensando.
Che non dovrebbe per la scelta che ha fatto, non dovrebbe per ricadere
dentro
quello che non può darmi.
“Se non puoi non
preoccuparti. Tanto ci vedremo presto”.
La mia tristezza è
trasparita. Non volevo farla sentire in colpa.
“Dai vedo. Non ti
prometto nulla ma un po’ di tempo magari riesco a
trovarlo”.
E’ più
sollevata e io
sono felice di averle alleggerito la richiesta.
“Tua mamma come
l’ha
presa?”.
Sa quanto sia premurosa.
“L’ho
trovata qui con
mio padre appena mi sono svegliato”. Sorrido al ricordo.
“Non avevo
dubbi”.
“Ha i lacrimoni ma
ora
che mi ha visto sveglio sta meglio. Mio papà era arrabbiato,
nulla più. Credo
di più con lei perché piangeva che per
altro”.
“Mi è
venuto un colpo
quando ho visto la macchina volare. Non sono riuscita a respirare
finché non ti
hanno tirato fuori. Non ti muovevi però, eri svenuto e ho
temuto il peggio”.
C’è tanta
tristezza
nella sua voce e mi fa stare male sentirla così.
“Ho provato a
frenare ma
non c’è stato niente da fare. Così
l’unica cosa che sono riuscito a pensare è
stata di mandare l’altra fiancata a sbattere. Altro non mi
ricordo”.
“Ho visto la
manovra.
Così non hai fatto un frontale ma la macchina ha scavalcato
il muretto
rotolando ed è andata oltre. Per fortuna i roll bar hanno
retto”.
“Già e ho
retto anch’io.
Dai, un paio di giorni e mi hanno detto mi fanno uscire. Già
mi sono stancato
di stare qui. Lo sai che non sopporto gli ospedali” cerco di
tranquillizzarla.
“Cerca di guarire
altro
che voglio andare a casa” dice riprendendomi.
La stuzzico:
“Se mi dessi un
bacio
guarirei subito”.
“Scemo” ma
sta ridendo.
“Un bacio sul tuo
naso”
dice intrigandomi.
“Tutto
qui?” le rispondo
deluso.
“Io volevo un bacio
vero” facendo il broncio.
“Vedremo”.
E quella parola è
la
promessa di una gioia immensa. Mi sento felice e innamorato perso.
Torno coi
piedi per terra.
“Amo se non vuoi non
sentirti in obbligo” non voglio farla stare male.
“Non ti ho promesso
nulla, vedremo. Ora vado, mi hai già fatto preoccupare
abbastanza”.
“Ciao amo”.
“Ciao”
esasperata ma col
sorriso nella voce.
Chiudo e quel vedremo mi
fa sorridere.
Poco dopo tornano i
miei. Mia madre ha già una faccia migliore e vedermi col
sorriso la fa stare
meglio. Ciononostante non riesco a mandarla via. Resta tutto il giorno
a farmi
compagnia. Chiacchieriamo e coglie l’occasione per indagare,
perché ha capito
ma vuole la conferma e perché sa che non posso andarmene. Le
parlo di Kiara, di
quello che ancora provo per lei. Della sua situazione e del fatto che
non può
amarmi. Le parlo di quello che mi ha fatto, della barriera che
è riuscita ad
abbattere in questi mesi, col sorriso e con le lacrime. Mia madre
ascolta e mi
risponde. Ha trovato conferma ed è felice e triste. Felice
di riavere il figlio
sensibile di una volta, triste perché il suo dolce figlio
è ancora una volta
con l’animo sotto terra. Mi accarezza il viso prima di andare
via. Ormai è ora
di cena in ospedale e mio padre l’aspetta di sotto.
“Buon
appetito” dice
guardando i piatti che ho davanti.
Per non offendere
l’infermiere la guardo senza dire una parola. Stracchino e
brodo? Pazienza.
Ma ha capito mia madre.
“Quando esci vieni
da
noi a mangiare” e sorride e io le sorrido perché
ormai è serena.
Due giorni da incubo. Il
vitto dell’ospedale è migliorato ma la noia
è stata tremenda. I ragazzi con Luigi
e Francesco sono venuti a trovarmi e mi hanno prima sfottuto poi si
sono
dispiaciuti per il problema ai freni. Ho minimizzato quando mi hanno
spiegato
il danno. Era impossibile da trovare. La macchina da sistemare poi gli
darà dei
bei grattacapi. Io e lei dovremmo essere sani per le ultime tre gare.
In base
ai risultati di Rodolfo e Michele il campionato si riaprirà
di certo. Nelle
gare che non potrò correre riempiranno il margine che mi ero
conquistato.
Pazienza. In serata viene a trovarmi Leonardo con Loredana. Camminano
mano
nella mano e sono felice di vederli così e forse, si forse
un po’ li invidio.
Loredana mi bacia sulle guance e vedo Leonardo trasalire. Credo sappia
che
aveva un debole per me e teme. Lei torna a prendergli la mano e gli
sorride e lui
sospira sollevato.
“Ti sei preso le
vacanze?” mi chiede mettendola sullo scherzo.
“Già! Ero
stanco. Poi
volevo tornare a divertirmi in campionato. Tutto quel margine mi
rendeva troppo
tranquillo”.
Lui non è
così contento.
“Se si piazzano
primi e
secondi nelle gare che tu non farai li avrai dietro a pochi
punti”.
Scrollo le spalle tanto
non ci posso fare nulla.
“E pensare che ero
stato
contattato da un team per provare la loro macchina a fine
stagione” butta li
noncurante.
“Posso farlo lo
stesso.
Se è a fine stagione” che problema
c’è mi chiedo.
“Si ma ora che hai
distrutto la tua macchina magari non vorranno farti provare la loro. Se
gliela
spacchi dovrai pagargliela per il resto della tua vita”.
“Esagerato! E che
sarà
mai una formula uno!” dico sarcastico.
Loredana ride e Leonardo
mi lancia uno sguardo.
Mia incredulità
totale.
“Dai non ci credo.
Perché non mi hai detto nulla prima?”.
“Non volevo
distrarti
dal campionato ma ora potrebbe spronarti a riprendere subito e al
massimo”.
Mi chiedo quale team di
formula mi farebbe provare la sua auto e poi perché?
“Come mai ti hanno
proposto questa prova?” chiedo curioso.
Il letto mi sembra pieno
di spilli ora e non poter girare la testa mi irrita.
Loredana si siede ai
piedi del letto e guarda Leonardo con un sorriso veramente dolce.
“Il contratto col
loro
secondo pilota termina a fine anno e non ne sono rimasti molto
soddisfatti
durante la stagione. Conosco il loro team manager. Ci siamo visti
alcune volte
e abbiamo parlato e visto che lui si lamentava io ho buttato li il tuo
nome.
Sapevo era un azzardo visto le differenze tra le due categorie ma
provare non
costava nulla”.
Lo guardo e guardo
Loredana. Le faccio un sorriso.
“Grazie ancora per
avermelo presentato” le dico e sono sincero.
“Niente”
rispondendo al
mio sorriso.
“La cosa che mi ha
stupito” continua Leonardo “è che ci ha
pensato poi mi ha detto:
“Sai anche il
presidente
mi ha fatto il suo nome. Ha sentito parlare di lui e ha mandato a
filmare
alcune delle sue gare. Gli è piaciuto”.
Ho pensato: “Siamo a
cavallo.
Ci siamo messi d’accordo e poi tu hai fatto il salto della
cavallina col
muretto”. Mi guarda esasperato.
“Dai vedrai che non
cambieranno idea”.
“Se se. Devi
perlomeno
vincere il campionato e sarà difficile con Rodolfo e
Michele”.
“Tenteremo”
e sorrido.
“Andiamo
adesso” gli
dice Loredana alzandosi.
“Devi riposare e
tornare
in forze” dice chinandosi e baciandomi le guance.
“Non lasciatemi qui.
E’
una noia mortale” dico trattenendola per la mano e
supplicandoli.
“Smettila”
mi rimprovera
Leonardo ridendo e tirando a se Loredana.
“Ho parlato col
primario
e mi ha detto che domattina vai a casa”.
“Si ma stasera mi
annoierò a morte”.
“Potevi stare
più
attento” mi silura “Dormi bene”.
Mi prendo la mia
vendetta. Loredana si china e mi bacia di nuovo le guance. La trattengo
appena
per il fianco. Mi sorride complice e dolcemente mi augura la buonanotte.
Di fronte alla faccia di
Leonardo scoppiamo a ridere come bambini.
Li guardo andare via col
sorriso sulle labbra. Poi penso che non gli ho chiesto che team vuol
farmi
guidare la macchina. Scuoto mentalmente le spalle, sarà un
team minore. Chi
altri mi farebbe provare una formula uno? Più sereno torno a
sdraiarmi a letto
ma la serata è ancora lunga. Squilla il cell.
“Ciao
Antonella”.
“Ciao
Luciano” e
sorride.
“Come
stai?”.
“Meglio. Qualche
doloretto, il braccio ancora immobilizzato ma
nient’altro”.
“Tu tutto
bene?”.
“A parte lo spavento
quando ti ho visto volare?” dice ironica.
“Si dai a parte
quello”
la canzono.
“Tutto bene.
Francesco
mi ha fatto sapere che stavi bene e finito il lavoro ti ho chiamato.
Non riesco a non fare
paragoni. Francesco le ha fatto sapere, Kiara mi ha chiamato
perché nel suo
modo strano sentiva. Devo smetterla, non è giusto!
“Ero troppo lontana
e
quando ti hanno portato via ho pensato al peggio”.
“Per fortuna invece
tutto bene”. Cerco di tirarla su.
“L’hai
fatto apposta per
non venire a cena con me” mi prende in giro.
Però e vero.
“Dai mi sembra
esagerato. Potevo inventarmi una scusa o dirti di no subito”.
E se fosse stato un
segno? Ammazza che segno!
“Ricordati che mi
sei
debitore di una cena, non pensare di svicolare”.
“Non
preoccuparti” e
sono tornato a ridere “manterrò la
parola”.
“Bravo”.
Un po’ di silenzio.
“Ti chiamo nei
prossimi
giorni così mi dici come va la guarigione”.
“Va bene. Ci
sentiamo
allora”.
“Buonanotte”.
“Notte”.
E ora sono davvero da
solo. In stanza non c’è nessuno. Mi alzo e vado a
fare due passi. In corridoio
solo con le luci di cortesia perché per loro è
orario di dormire ma mi annoio e
non ho sonno. Un infermiere mi sente e si affaccia.
“Tutto
bene?” tra il
sonnolento e il tono allarmato che qualcuno abbia bisogno proprio a
quell’ora.
“Si si tutto bene.
Non
ho sonno, faccio due passi”.
“Vuole qualcosa per
dormire?”.
Ma sei fuori!
“No grazie. Torno in
camera”.
Mi guarda sollevato
allontanarmi. In camera mi siedo sulla poltrona e guardo il cielo. Le
parole di
Antonella mi tornano in mente. Un segno veramente? Ma
l’alternativa non c’è. La
sua immagine torna a balenare dietro i miei occhi. Come vorrei fosse
li. Ma lei
non può darmi nulla. Mi sto per tirare i pugni in testa da
solo quando ci
ripenso. Meglio evitare. Accarezzo il braccio destro, domani mi levano
quella
cosa e torno a casa. Sorrido triste, mi manca.
Alla fine mi metto a
letto e chiudo gli occhi e lei è li, sdraiata di fianco a
me. Mi volto e sposto
il braccio per farla accoccolare più vicina. Sento la sua
mano sul mio petto e
le sue gambe contro la mia. Dolcemente mi addormento col suo viso a
pochi
centimetri dal mio.
Il sole mi sveglia e
apro gli occhi. Prendo il cell per vedere le ore e trovo un sms:
“Hai visto che
stanotte
sono venuta da te?”.
Meletta! Sorrdo e sono
felice. Innamorato e felice.
Le rispondo: “Grazie
per
la compagnia, ho dormito benissimo…” e lo invio.
Il giorno è
iniziato
benissimo. Un sorriso e mi alzo. Bagno e aspetto la colazione.
Più tardi
arrivano i miei e finite le pratiche ospedaliere posso andare a casa.
Chiacchieriamo del più e del meno e vado da loro. Sono
invitato forzato a
pranzo e cena. Credo mia madre si sogni anche a dormire ma lascio stare
per
ora. Effettivamente la mano mi da qualche dolore nelle prese, guidare
la vedo
dura. Il pranzo mi riscatta della due giorni in ospedale e satollo
attendo il
caffè. Coi miei si è chiacchierato su tutto come
al solito e l’atmosfera mi fa
sentire come sempre quella come casa mia. Anche l’odore,
forse perché vi sono
abituato, forse perché è sempre lo stesso ma mi
dice: “Casa”.
Sorrido e mia madre
è
tranquilla. So che aspetterà il pomeriggio per sondare
delicatamente gli
argomenti che le stanno a cuore. Non c’è problema
e in fin dei conti cosa le
devo dire? Non c’è nessun cambiamento. Io
l’amo e lei mi ama ma non possiamo
fare altro che tenere i nostri sentimenti chiusi dentro di noi e
sperare si
affievoliscano col tempo. Ripenso all’incidente e al caso, i
segni. Sbuffo. I
miei vanno a dormire e io cammino per la casa. Osservo e ricordo e mi
distraggo
perché alcuni ricordi fanno bene ma anche male. Alla fine mi
metto davanti al
pc e perdo tempo a vedere le ultime cose scaricate da Elvis. Mia madre
torna
col caffè e mi rendo conto che sono passate alcune ore.
Sorrido pensando a
quanto è difficile cambiare mano per usare il mouse e le
sorrido con calore per
la gentilezza.
“Come
stai?” e non si
riferisce al fisico ma a me.
“Come vuoi che stia
ma”
glielo dico tristemente.
“Quello che provo
per
lei non è cambiato di una virgola, anzi a volte sembra anche
più grande e
vedere nei suoi occhi la stessa cosa mi fa stare male”.
“Non
cambierà idea?”.
La guardo. Quanto lo
sogno che lei venga a dirmelo ma so che non è possibile.
Scuoto la testa.
“E’ un
po’ come te.
Tiene troppo alla figlia per farla soffrire”.
Pensa a lungo.
“Dovresti cambiare
lavoro. Senza vederla forse”.
“Mamma ci vediamo si
è
no una volta ogni due settimane. Ci sono periodi in cui sto bene e
anche parlare
con lei non mi turba. In quei giorni spero che tutto sia passato e che
possa
vivere una nuova storia. In altri periodi sto male perché
l’amo e non posso
averla. Magari col tempo passerà” chiudo ironico.
Mi guarda dolcemente con
l’affetto e il rimprovero che ha per me e il mio carattere.
“Vedrai che si
sistemerà
tutto prima o poi”.
“Spero
prima” e le
strappo un sorriso.
“Vuoi restare
stasera?”.
Eccola.
“A cena si poi
andrò a
casa”.
Mi guarda e la fermo io.
“Guidare non devo
per un
paio di giorni e a casa ho tutto quello che mi serve. Verso fine
settimana
dovrei cominciare la fisioterapia e li mi
arrangerò”.
“Puoi chiedere a tuo
padre”.
Le sorrido.
“E portarlo via dal
suo
sacro giardino?” ridiamo entrambi.
“Ti ho sentito
sai!” mio
padre burbero e ridiamo ancora di più.
“Visto come ti sei
conciato leone se ti serve un passaggio ti porto. Vedi che non diventi
un’abitudine” chiude cercando di recuperare il tono
burbero.
“Va bene pa.
Grazie”.
“Vado a fare due
passi”.
“E’ una
bella giornata.
Ci vediamo più tardi. Prima di uscire ricordati le chiavi o
resti fuori”.
Sorrido alla premura di
mia madre ed esco.
Una splendida giornata e
un sole che spacca ma è un periodo no e insieme alle belle
sensazioni tornano i
pensieri all’incidente. Il caso o un segno?
Rivivo quei tre giorni
di inquietudine e strane sensazioni ma non arrivo a nessuna
conclusione. Se sto
sbagliando ne arriverà un altro. Sorrido. Spero di no!