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Autore: Darkrama    14/06/2010    0 recensioni
Questa è LA storia d'amore ma non è una storia vera. E’ un’opera di fantasia per tutto quello che riguarda le ambientazioni e i personaggi. Solo una cosa è assolutamente reale: i sentimenti dei due protagonisti. Ho cercato di esprimerli al meglio e ogni volta che rileggo tutto mi sembra di non esserci riuscito appieno. Non sono ancora così bravo con le parole. Buona lettura. Ps: il finale è inventato!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passano i giorni e iniziano le riprese degli spot. Con sorpresa e un nodo allo stomaco scopro che Antonella li girerà con me. Non so se sentirmi più felice o preoccupato. Stiamo sempre insieme e inizio a conoscerla. Il viso di Kiara sempre dentro di me e mi sento in colpa per entrambe. Devo risolvere questa cosa. Il giovedì prima della gara vado in sede. Ci incrociamo in corridoio e chiacchieriamo tranquillamente. Mi racconta le ultime cose che ha fatto e la vedo leggera e felice. Dentro di me si riaccende nuovamente quella fiamma ma non posso dirle nulla. Non posso farle male, non se lo merita. Fingo che non sia successo nulla e mi tengo le staffilate che sento al cuore. E’ bellissima!

Ci salutiamo con un sorriso perché Francesco mi sta chiamando. Parliamo un po’ di lavoro e poi lo saluto, domani ci vedremo di nuovo. Sto andando via che dall’ufficio del presidente esce Antonella. Un sorriso radioso mi investe.

“Ciao Luciano” mi dice non appena è vicina.

“Ciao Antonella” rispondo al suo sorriso.

Mette un attimo il broncio.

“In questi giorni che siamo stati insieme pensavo mi avresti chiesto di uscire”.

Resto impalato, decisa la ragazza. Che faccio? Penso a Kiara e penso che non ci dovrei pensare. Guardo Antonella e rivedo i giorni passati. Sono stato bene con lei.

Balla colossale: “Ero un preso. Agitato per le riprese e poi non credevo di interessarti”.

Mi guarda con un sorriso che la dice lunga, le mie bugie sono state scoperte!

Resta in silenzio attendendo una mia mossa seria. Sorrido e rischio.

“No è che ho poca pratica con le ragazze e temo sempre di sbagliare”.

Sorriso tenero.

“Questo week end c’è la corsa a Monza. Se vuoi domenica sera usciamo a cena”.

Mi guarda colpita.

“Non ti dispiacerà lasciare il team per venire con me?”sorride maliziosa.

L’assecondo.

“Per una sera possono festeggiare da soli” dico sorridendo.

“Dopo la gara andiamo via insieme. Io sarò a piedi se hai la macchina farò il passeggero”.

Ride divertita: “Ti fidi di una donna al volante?”.

“Vedremo” malizioso.

“A domenica allora”.

Mi coglie di sorpresa avvicinandosi e dandomi un bacio sulla guancia, poi si allontana tranquilla. Bella camminata. Mi volto al rumore di una porta e vedo Kiara. Mi sorride e sembra felice davvero. Forse è contenta perché sto andando avanti? Le sorrido e la saluto con la mano in silenzio poi vado via.

Monza mi mancava. Da quando gareggio ci ho corso poco e niente la domenica. Voglio vincere qui dove tutto è cominciato e poi, poi festeggiare con Antonella. Spero di riuscire veramente a lasciarmi dietro il passato e smettere di vivere dei ricordi di questo amore che non posso avere. Incrocio le dita mentalmente. Volevo venissero i miei ma non hanno voluto. Per entrambi è ancora troppo presto. Per mia madre per la preoccupazione, per mio padre per la mia scelta. Mi preparo e salgo in macchina. Mi danno il via ed esco. La pista è bella come la ricordavo. La macchina però è molto diversa dalla mia e da quella dell’anno precedente. Io sono diverso e siamo in sintonia. Andiamo veloci ma ci sono regolazioni da fare. Discussioni ai box per alcune scelte e prove e consigli per migliorare ancora. Gli avversari sono agguerriti e lo stesso Michele vuole vincere domenica. Le libere sono sue. Col team resto a parlare dell’assetto. C’è qualcosa che vorrei migliorare ma non ci riesco. Cena e sono nervoso. Non mi era mai capitato di non riuscire a sentire cosa non va nella macchina. Sabato mattina giro per il parco. Rilassamento totale e il telefono che squilla.

“Pronto”.

“Ciao Luciano come va?”.

“Ciao mamma. Bene e tu?” Perché mi ha chiamato?

“Tutto bene. Sarà il sapere che sei vicino mi è venuta voglia di sentirti”.

Resto perplesso. Boh!

“Va tutto bene. Oggi pomeriggio le prove e domani la gara”.

“Sei tranquillo?” chiede preoccupata.

“Come sempre” mento un po’.

Dopo Kiara le mie emozioni sono tornate libere ed è difficile gestirle e a volte sopportarle ma sono le mie e non voglio più nasconderle.

“In settimana ci vediamo? Ultimamente non ti sei fatto nemmeno sentire”.

“Ho avuto veramente da fare ma. Non preoccuparti, dovrei avere un paio di giorni liberi. Verrò a cena una delle prossime sere”.

“Bene. Buona giornata. Ciao”.

“Ciao ma”.

Riprendo a camminare ma è strano mi abbia chiamato.

Il pranzo vola tranquillo. Con Luigi parliamo delle modifiche che sono state fatte in mattinata e speriamo il mio fastidio svanisca.

Andiamo ai box, mi preparo e salgo. Michele esce prima di me e lo seguo. Giriamo incollati per un po’ poi lo lascio allontanare per avere lo spazio di tirare. Quella sensazione è ancora li però quando mi fermo. Il tempo è migliorato ma è ancora li. Scrollo le spalle e dico che tutto è ok. Alla fine delle qualifiche sono terzo dietro Michele e Rodolfo. Tutti entusiasti. Cena e vado in camera. Voglio stare un po’ da solo. Manco a parlarne, squilla il cell.

“Pronto”.

“Ciao Luciano”.

Stupito.

 “Ciao Antonella”.

Come ha fatto ad avere il mio numero?

“Ho chiesto il tuo numero a Leonardo l’altro giorno che era da noi per il contratto” mi spiega angelicamente.

“Come stai? E le qualifiche?”.

“Sto bene grazie e sono terzo”. Mi ascolto. Devo essere meno telegrafico.

“Sono contenta”.

Ci è rimasta male.

“Tu invece cosa mi racconti? Quali disastri stai facendo?” le chiedo canzonandola. Durante le riprese più d’una volta è inciampata su fili o ha urtato i tecnici.

Ride e penso che ha una bella risata, mette allegria.

“Me la paghi questa, domenica vedrai. Comunque tutto bene. Hanno montato le pubblicità. Mio fratello le ha viste e mi ha preso in giro per il buon lavoro. Per il resto ho fatto qualche altro lavoretto ma nient’altro”.

Resto in silenzio un istante.

“A parte essere a cena con un attore bellissimo” butta lì.

“Davvero?” chiedo curioso.

“Sei geloso?” mi chiede allegra.

“No” guardingo.

“E’ un amico di mio fratello. E’ la prima volta che lo conosco è mi ha fatto una buona impressione”.

“Sono contento” dico tranquillo.

“Questo non mi risparmierà dal fartela pagare domenica sera” e ride ancora scherzosa.

“Non preoccuparti, mi farò perdonare”.

“E’ una promessa?” in aspettativa.

“E’ una promessa!” deciso.

“Ora vado ho un mucchio di cose da fare. A domani”.

“A domani” non faccio in tempo a dirle che chiude.

Guardo il telefono ancora stupito ma la sua allegria mi ha riportato il sorriso. Vedremo domenica.

Notte agitata. Il mio letto è di nuovo un campo di battaglia. Scrollo le spalle, mi vesto e vado a fare colazione. Dopo un paio di caffè mi metto a leggere in camera. A pranzo vengono a chiamarmi, ho perso completamente la nozione del tempo. Quando andiamo in pista tutti sono carichi. Sto per salire in macchina che vedo Antonella. Si avvicina sorridendo.

“In bocca al lupo”.

La guardo e penso che sarà una cena interessante: è bellissima e qualcosa dentro di me si agita di nuovo. Forse potrò dimenticare Kiara?

Torno coi piedi per terra.

“Crepi!” e salgo.

Esco e mi posiziono sulla griglia. Warm up e tutti di nuovo pronti. Guardo Michele e Rodolfo davanti e la macchina di fianco a me. Pronto.

Lucetta uno, due e tre!

Parto deciso ma non c’è un varco. La curva è a destra e devo allargare. Perdo un paio di posizioni e mi infilo in un buco. Partenza schifosa. Si forma il solito serpentello e vedo Michele e Rodolfo allungare. Non posso perdere tempo. Non c’è molto spazio per sorpassare, mi devo inventare qualcosa. Curvone a sinistra. Arrivo lungo, frenata al limite e traiettoria interna. Il mio avversario mi lascia lo spazio che mi serve e sono dentro. Uscita di curva e sono davanti. Spingo a fondo per avvicinarmi al mio prossimo avversario. Non è facile e quella sensazione di qualcosa che non lavora a dovere torna a darmi fastidio. La macchina risponde. Le gomme, i freni e il motore anche eppure….qualcosa non va.

Nei due giri successivi mi avvicino per tentare un attacco. Provo a prendere la traiettoria interna ma non me ne lascia la possibilità. Non mi rimane che un tentativo. La mia macchina ha una velocità maggiore in rettilineo. Uscirò a cannone dall’ultima curva, prenderò la scia e ritarderò la frenata. Ci provo. Esco dalla curva e gli sono attaccato. Scia e sono pronto. Finta a sinistra e mi butto all’interno. Nessuno vuole frenare per primo ma siamo al limite. Frena e appena, lo vedo e pigio con forza il pedale. Solo che va a vuoto. Con orrore riprovo rapido, niente. Cerco di buttare dentro una marcia bassa ma il muro è ormai davanti a me. Tento un’ultima mossa e sterzo a sinistra. Il rumore della lamiera che si piega e la sensazione di volare in alto.

Mi sveglio. Dolore ovunque, mi sembra di essere finito sotto uno schiaccia sassi. Apro gli occhi e cerco di voltare la testa ma qualcosa mi blocca il collo. Un rumore e mia madre entra nel mio campo visivo, dietro di lei mio padre. Hanno gli occhi rossi anche se mia madre piange ancora.

“Ciao ma” dico con la voce impastata.

“Ciao un cazzo” replica incavolato nero mio padre.

E alla faccia del bel risveglio. Mia madre in silenzio.

Abbasso lo sguardo e provo a muovere braccia e gambe. Tutto ok tranne il destro che è immobilizzato da qualcosa. Sollevo il sinistro e mi tocco il collo. Dev’essere un collare ortopedico.

“Buongiorno” dice un dottore sorridente avvicinandosi al mio letto.

“Finalmente ti sei svegliato”.

Sorrido della sua allegria anche se mi sento un blocco di marmo.

“Sarai felice di sapere che non hai praticamente nulla”.

Lo guardo perplesso.

Mi capisce.

“Il collare è stata una precauzione all’autodromo e lo stesso per la fasciatura rigida al braccio, una semplice botta probabilmente contro i roll bar mentre la macchina rotolava oltre il muretto”.

Mi verrebbe da spaccargli la faccia. La fa facile lui tanto sono io qui a letto a pezzi.

“Tempo due giorni e ti lasciamo andare a casa. Abbiamo voluto fare alcuni esami del sangue e vorremo fare anche delle ecografie per essere sicuri. Visto lo stato della macchina sei fortunato”.

“Grazie” gli dico, altro non mi viene.

“Visto che sei sveglio noi andiamo a prenderci un caffè” dice pratico mio padre.

Mia madre non ne vuole sapere.

“Vai ma tanto da qui non scappo” e la faccio sorridere.

Escono tranquilli e io torno con la mente all’incidente. Col panico ricordo l’attimo in cui i freni non hanno funzionato e poi, poi niente. Mi scuote il cell. Mi chiedo chi possa già sapere che sono sveglio e con un sorriso vedo in numero della mia meletta. Lei l’ha sentito.

“Ciao” le dico dolce.

“Mi farai morire!” e la sua pena è tutta li

Un lungo silenzio.

“Mi spiace” le dico piano.

 “Come stai?” dolce e premurosa.

“Bene, insomma…. Niente di rotto e solo un forte trauma al braccio desto. Un paio di giorni e mi mandano a casa”.

Silenzio.

 “Mi dispiace amo” e non mi interessa cosa possa dire.

“Mi spiace tanto. Perché ti sei preoccupata, perché hai pianto”.

“Come fai a dire…” mi interrompe e io la interrompo.

“So che hai pianto perché ti conosco, perché mi ami. Mi dispiace”.

E rischio anche se so che non dovrei per lei, per me.

“Sto bene e sarei felice se mi venissi a trovare. Resto qui due giorni, troverai un po’ di tempo per me?” le chiedo quasi supplicandola.

“Non lo so” e dal tono l’ho presa in contropiede.

So cosa sta pensando. Che non dovrebbe per la scelta che ha fatto, non dovrebbe per ricadere dentro quello che non può darmi.

“Se non puoi non preoccuparti. Tanto ci vedremo presto”.

La mia tristezza è trasparita. Non volevo farla sentire in colpa.

“Dai vedo. Non ti prometto nulla ma un po’ di tempo magari riesco a trovarlo”.

E’ più sollevata e io sono felice di averle alleggerito la richiesta.

“Tua mamma come l’ha presa?”.

Sa quanto sia premurosa.

“L’ho trovata qui con mio padre appena mi sono svegliato”. Sorrido al ricordo.

“Non avevo dubbi”.

“Ha i lacrimoni ma ora che mi ha visto sveglio sta meglio. Mio papà era arrabbiato, nulla più. Credo di più con lei perché piangeva che per altro”.

“Mi è venuto un colpo quando ho visto la macchina volare. Non sono riuscita a respirare finché non ti hanno tirato fuori. Non ti muovevi però, eri svenuto e ho temuto il peggio”.

C’è tanta tristezza nella sua voce e mi fa stare male sentirla così.

“Ho provato a frenare ma non c’è stato niente da fare. Così l’unica cosa che sono riuscito a pensare è stata di mandare l’altra fiancata a sbattere. Altro non mi ricordo”.

“Ho visto la manovra. Così non hai fatto un frontale ma la macchina ha scavalcato il muretto rotolando ed è andata oltre. Per fortuna i roll bar hanno retto”.

“Già e ho retto anch’io. Dai, un paio di giorni e mi hanno detto mi fanno uscire. Già mi sono stancato di stare qui. Lo sai che non sopporto gli ospedali” cerco di tranquillizzarla.

“Cerca di guarire altro che voglio andare a casa” dice riprendendomi.

La stuzzico:

“Se mi dessi un bacio guarirei subito”.

“Scemo” ma sta ridendo.

“Un bacio sul tuo naso” dice intrigandomi.

“Tutto qui?” le rispondo deluso.

“Io volevo un bacio vero” facendo il broncio.

“Vedremo”.

E quella parola è la promessa di una gioia immensa. Mi sento felice e innamorato perso. Torno coi piedi per terra.

“Amo se non vuoi non sentirti in obbligo” non voglio farla stare male.

“Non ti ho promesso nulla, vedremo. Ora vado, mi hai già fatto preoccupare abbastanza”.

“Ciao amo”.

“Ciao” esasperata ma col sorriso nella voce.

Chiudo e quel vedremo mi fa sorridere.

Poco dopo tornano i miei. Mia madre ha già una faccia migliore e vedermi col sorriso la fa stare meglio. Ciononostante non riesco a mandarla via. Resta tutto il giorno a farmi compagnia. Chiacchieriamo e coglie l’occasione per indagare, perché ha capito ma vuole la conferma e perché sa che non posso andarmene. Le parlo di Kiara, di quello che ancora provo per lei. Della sua situazione e del fatto che non può amarmi. Le parlo di quello che mi ha fatto, della barriera che è riuscita ad abbattere in questi mesi, col sorriso e con le lacrime. Mia madre ascolta e mi risponde. Ha trovato conferma ed è felice e triste. Felice di riavere il figlio sensibile di una volta, triste perché il suo dolce figlio è ancora una volta con l’animo sotto terra. Mi accarezza il viso prima di andare via. Ormai è ora di cena in ospedale e mio padre l’aspetta di sotto.

“Buon appetito” dice guardando i piatti che ho davanti.

Per non offendere l’infermiere la guardo senza dire una parola. Stracchino e brodo? Pazienza.

Ma ha capito mia madre.

“Quando esci vieni da noi a mangiare” e sorride e io le sorrido perché ormai è serena.

Due giorni da incubo. Il vitto dell’ospedale è migliorato ma la noia è stata tremenda. I ragazzi con Luigi e Francesco sono venuti a trovarmi e mi hanno prima sfottuto poi si sono dispiaciuti per il problema ai freni. Ho minimizzato quando mi hanno spiegato il danno. Era impossibile da trovare. La macchina da sistemare poi gli darà dei bei grattacapi. Io e lei dovremmo essere sani per le ultime tre gare. In base ai risultati di Rodolfo e Michele il campionato si riaprirà di certo. Nelle gare che non potrò correre riempiranno il margine che mi ero conquistato. Pazienza. In serata viene a trovarmi Leonardo con Loredana. Camminano mano nella mano e sono felice di vederli così e forse, si forse un po’ li invidio. Loredana mi bacia sulle guance e vedo Leonardo trasalire. Credo sappia che aveva un debole per me e teme. Lei torna a prendergli la mano e gli sorride e lui sospira sollevato.

“Ti sei preso le vacanze?” mi chiede mettendola sullo scherzo.

“Già! Ero stanco. Poi volevo tornare a divertirmi in campionato. Tutto quel margine mi rendeva troppo tranquillo”.

Lui non è così contento.

“Se si piazzano primi e secondi nelle gare che tu non farai li avrai dietro a pochi punti”.

Scrollo le spalle tanto non ci posso fare nulla.

“E pensare che ero stato contattato da un team per provare la loro macchina a fine stagione” butta li noncurante.

“Posso farlo lo stesso. Se è a fine stagione” che problema c’è mi chiedo.

“Si ma ora che hai distrutto la tua macchina magari non vorranno farti provare la loro. Se gliela spacchi dovrai pagargliela per il resto della tua vita”.

“Esagerato! E che sarà mai una formula uno!” dico sarcastico.

Loredana ride e Leonardo mi lancia uno sguardo.

Mia incredulità totale.

“Dai non ci credo. Perché non mi hai detto nulla prima?”.

“Non volevo distrarti dal campionato ma ora potrebbe spronarti a riprendere subito e al massimo”.

Mi chiedo quale team di formula mi farebbe provare la sua auto e poi perché?

“Come mai ti hanno proposto questa prova?” chiedo curioso.

Il letto mi sembra pieno di spilli ora e non poter girare la testa mi irrita.

Loredana si siede ai piedi del letto e guarda Leonardo con un sorriso veramente dolce.

“Il contratto col loro secondo pilota termina a fine anno e non ne sono rimasti molto soddisfatti durante la stagione. Conosco il loro team manager. Ci siamo visti alcune volte e abbiamo parlato e visto che lui si lamentava io ho buttato li il tuo nome. Sapevo era un azzardo visto le differenze tra le due categorie ma provare non costava nulla”.

Lo guardo e guardo Loredana. Le faccio un sorriso.

“Grazie ancora per avermelo presentato” le dico e sono sincero.

“Niente” rispondendo al mio sorriso.

“La cosa che mi ha stupito” continua Leonardo “è che ci ha pensato poi mi ha detto:

“Sai anche il presidente mi ha fatto il suo nome. Ha sentito parlare di lui e ha mandato a filmare alcune delle sue gare. Gli è piaciuto”.

Ho pensato: “Siamo a cavallo. Ci siamo messi d’accordo e poi tu hai fatto il salto della cavallina col muretto”. Mi guarda esasperato.

“Dai vedrai che non cambieranno idea”.

“Se se. Devi perlomeno vincere il campionato e sarà difficile con Rodolfo e Michele”.

“Tenteremo” e sorrido.

“Andiamo adesso” gli dice Loredana alzandosi.

“Devi riposare e tornare in forze” dice chinandosi e baciandomi le guance.

“Non lasciatemi qui. E’ una noia mortale” dico trattenendola per la mano e supplicandoli.

“Smettila” mi rimprovera Leonardo ridendo e tirando a se Loredana.

“Ho parlato col primario e mi ha detto che domattina vai a casa”.

“Si ma stasera mi annoierò a morte”.

“Potevi stare più attento” mi silura “Dormi bene”.

Mi prendo la mia vendetta. Loredana si china e mi bacia di nuovo le guance. La trattengo appena per il fianco. Mi sorride complice e dolcemente mi augura la buonanotte.

Di fronte alla faccia di Leonardo scoppiamo a ridere come bambini.

Li guardo andare via col sorriso sulle labbra. Poi penso che non gli ho chiesto che team vuol farmi guidare la macchina. Scuoto mentalmente le spalle, sarà un team minore. Chi altri mi farebbe provare una formula uno? Più sereno torno a sdraiarmi a letto ma la serata è ancora lunga. Squilla il cell.

“Ciao Antonella”.

“Ciao Luciano” e sorride.

“Come stai?”.

“Meglio. Qualche doloretto, il braccio ancora immobilizzato ma nient’altro”.

“Tu tutto bene?”.

“A parte lo spavento quando ti ho visto volare?” dice ironica.

“Si dai a parte quello” la canzono.

“Tutto bene. Francesco mi ha fatto sapere che stavi bene e finito il lavoro ti ho chiamato.

Non riesco a non fare paragoni. Francesco le ha fatto sapere, Kiara mi ha chiamato perché nel suo modo strano sentiva. Devo smetterla, non è giusto!

“Ero troppo lontana e quando ti hanno portato via ho pensato al peggio”.

“Per fortuna invece tutto bene”. Cerco di tirarla su.

“L’hai fatto apposta per non venire a cena con me” mi prende in giro.

Però e vero.

“Dai mi sembra esagerato. Potevo inventarmi una scusa o dirti di no subito”.

E se fosse stato un segno? Ammazza che segno!

“Ricordati che mi sei debitore di una cena, non pensare di svicolare”.

“Non preoccuparti” e sono tornato a ridere “manterrò la parola”.

“Bravo”.

Un po’ di silenzio.

“Ti chiamo nei prossimi giorni così mi dici come va la guarigione”.

“Va bene. Ci sentiamo allora”.

“Buonanotte”.

“Notte”.

E ora sono davvero da solo. In stanza non c’è nessuno. Mi alzo e vado a fare due passi. In corridoio solo con le luci di cortesia perché per loro è orario di dormire ma mi annoio e non ho sonno. Un infermiere mi sente e si affaccia.

“Tutto bene?” tra il sonnolento e il tono allarmato che qualcuno abbia bisogno proprio a quell’ora.

“Si si tutto bene. Non ho sonno, faccio due passi”.

“Vuole qualcosa per dormire?”.

Ma sei fuori!

“No grazie. Torno in camera”.

Mi guarda sollevato allontanarmi. In camera mi siedo sulla poltrona e guardo il cielo. Le parole di Antonella mi tornano in mente. Un segno veramente? Ma l’alternativa non c’è. La sua immagine torna a balenare dietro i miei occhi. Come vorrei fosse li. Ma lei non può darmi nulla. Mi sto per tirare i pugni in testa da solo quando ci ripenso. Meglio evitare. Accarezzo il braccio destro, domani mi levano quella cosa e torno a casa. Sorrido triste, mi manca.

Alla fine mi metto a letto e chiudo gli occhi e lei è li, sdraiata di fianco a me. Mi volto e sposto il braccio per farla accoccolare più vicina. Sento la sua mano sul mio petto e le sue gambe contro la mia. Dolcemente mi addormento col suo viso a pochi centimetri dal mio.

Il sole mi sveglia e apro gli occhi. Prendo il cell per vedere le ore e trovo un sms:

“Hai visto che stanotte sono venuta da te?”.

Meletta! Sorrdo e sono felice. Innamorato e felice.

Le rispondo: “Grazie per la compagnia, ho dormito benissimo…” e lo invio.

Il giorno è iniziato benissimo. Un sorriso e mi alzo. Bagno e aspetto la colazione. Più tardi arrivano i miei e finite le pratiche ospedaliere posso andare a casa. Chiacchieriamo del più e del meno e vado da loro. Sono invitato forzato a pranzo e cena. Credo mia madre si sogni anche a dormire ma lascio stare per ora. Effettivamente la mano mi da qualche dolore nelle prese, guidare la vedo dura. Il pranzo mi riscatta della due giorni in ospedale e satollo attendo il caffè. Coi miei si è chiacchierato su tutto come al solito e l’atmosfera mi fa sentire come sempre quella come casa mia. Anche l’odore, forse perché vi sono abituato, forse perché è sempre lo stesso ma mi dice: “Casa”.

Sorrido e mia madre è tranquilla. So che aspetterà il pomeriggio per sondare delicatamente gli argomenti che le stanno a cuore. Non c’è problema e in fin dei conti cosa le devo dire? Non c’è nessun cambiamento. Io l’amo e lei mi ama ma non possiamo fare altro che tenere i nostri sentimenti chiusi dentro di noi e sperare si affievoliscano col tempo. Ripenso all’incidente e al caso, i segni. Sbuffo. I miei vanno a dormire e io cammino per la casa. Osservo e ricordo e mi distraggo perché alcuni ricordi fanno bene ma anche male. Alla fine mi metto davanti al pc e perdo tempo a vedere le ultime cose scaricate da Elvis. Mia madre torna col caffè e mi rendo conto che sono passate alcune ore. Sorrido pensando a quanto è difficile cambiare mano per usare il mouse e le sorrido con calore per la gentilezza.

“Come stai?” e non si riferisce al fisico ma a me.

“Come vuoi che stia ma” glielo dico tristemente.

“Quello che provo per lei non è cambiato di una virgola, anzi a volte sembra anche più grande e vedere nei suoi occhi la stessa cosa mi fa stare male”.

“Non cambierà idea?”.

La guardo. Quanto lo sogno che lei venga a dirmelo ma so che non è possibile. Scuoto la testa.

“E’ un po’ come te. Tiene troppo alla figlia per farla soffrire”.

Pensa a lungo.

“Dovresti cambiare lavoro. Senza vederla forse”.

“Mamma ci vediamo si è no una volta ogni due settimane. Ci sono periodi in cui sto bene e anche parlare con lei non mi turba. In quei giorni spero che tutto sia passato e che possa vivere una nuova storia. In altri periodi sto male perché l’amo e non posso averla. Magari col tempo passerà” chiudo ironico.

Mi guarda dolcemente con l’affetto e il rimprovero che ha per me e il mio carattere.

“Vedrai che si sistemerà tutto prima o poi”.

“Spero prima” e le strappo un sorriso.

“Vuoi restare stasera?”.

Eccola.

“A cena si poi andrò a casa”.

Mi guarda e la fermo io.

“Guidare non devo per un paio di giorni e a casa ho tutto quello che mi serve. Verso fine settimana dovrei cominciare la fisioterapia e li mi arrangerò”.

“Puoi chiedere a tuo padre”.

Le sorrido.

“E portarlo via dal suo sacro giardino?” ridiamo entrambi.

“Ti ho sentito sai!” mio padre burbero e ridiamo ancora di più.

“Visto come ti sei conciato leone se ti serve un passaggio ti porto. Vedi che non diventi un’abitudine” chiude cercando di recuperare il tono burbero.

“Va bene pa. Grazie”.

“Vado a fare due passi”.

“E’ una bella giornata. Ci vediamo più tardi. Prima di uscire ricordati le chiavi o resti fuori”.

Sorrido alla premura di mia madre ed esco.

Una splendida giornata e un sole che spacca ma è un periodo no e insieme alle belle sensazioni tornano i pensieri all’incidente. Il caso o un segno?

Rivivo quei tre giorni di inquietudine e strane sensazioni ma non arrivo a nessuna conclusione. Se sto sbagliando ne arriverà un altro. Sorrido. Spero di no!

La cena è tranquilla e devo obbligare i miei a non accompagnarmi a casa. L’odore di casa mia mi accoglie. Con la sinistra apro le persiane e guardo il sole rosso al tramonto. Rivedo Kiara aggirarsi per casa.
  
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