-Autore:
Red Diablo
-Titolo: All
angels are equal [but some angels are more equal than others]
-Genere: Drammatico,
Distopico, Erotico
-Rating: Arancione
-Distopia scelta a modello:
alcuni elementi da
Animal Farm, altri da 1984
-Personaggi/Pairing: Sebastian
(Kuroshitsuji), Fay (Tsubasa
Reservior Chronicle); SebastianFay
-Avvertimenti: Death Charachter, Yaoi,
Lemon, One-Shot, AU
(Alternative Universe)
-Riassunto (facoltativo): Gli angeli ricercano
la perfezione. Questa
ricerca porta alla discriminazione. La discriminazione fa nascere la
categoria
del “diverso”. Questa categoria porta al razzismo.
Il razzismo genera vittime.
Le vittime sono costantemente torturate. Le torture generano odio.
L’odio porta
alla vendetta.
Finché non si capirà che la perfezione non esiste, ci sarà sempre un “diverso”… e una scusa per massacrarlo.
-Commento (facoltativo): ho inserito il commento alla fine ^^
L’uomo
non è né angelo né diavolo,
la
sfortuna è che chi vuole fare l’angelo, fa il
diavolo.
(Pascal)
All angels are equal
[but some angels are more equal than
others]
Primo
Comandamento delle Gerarchie Angeliche:
nessun
angelo ne ucciderà un altro.
Secondo
Comandamento delle Gerarchie Angeliche:
nessun
angelo farà uso di alcolici o sostanze
stupefacenti.
Terzo
Comandamento delle Gerarchie Angeliche:
nessun
angelo mancherà di rispetto ad un suo
superiore.
Quarto
Comandamento delle Gerarchie Angeliche:
nessun
angelo si lascerà andare ad un qualsiasi
eccesso.
Quinto
Comandamento delle Gerarchie Angeliche:
nessun
angelo compirà atti di fornicazione che non
siano finalizzati alla riproduzione.
Sesto
Comandamento delle Gerarchie Angeliche:
tutti
gli angeli sono uguali.
Le
mani
frenarono il brusco atterraggio, impedendo alla testa di sbattere al
suolo.
Il ragazzo cercò stremato una posizione vagamente comoda in cui rannicchiarsi, forzando i muscoli ormai prossimi al collasso.
Non
poteva
appoggiare la schiena al muro trasudante muffa della prigione, o
avrebbe
rischiato di morire di setticemia: il suo dorso era aperto da due ampi
crateri
scarlatti, laddove le ali erano state asportate alla radice.
Non
poteva
nemmeno usare il braccio come cuscino: il marchio che gli avevano
impresso a
fuoco sul bicipite era ancora fresco, e bruciava come una colata
lavica;
appoggiarlo a terra avrebbe significato un’ondata di cocente
dolore dritta nel
cervello.
Non
poteva
lasciarsi cadere sulle ginocchia: le sue rotule erano troppo provate
dalle ore
che avevano passato inginocchiate mentre la frusta si dava da fare
sulle spalle
e sul torace, e i muscoli, lasciati per troppo tempo immobili,
chiedevano
disperatamente di essere stesi.
Non
poteva
neppure serrare le mascelle per il dolore: sentiva ancora le gengive
dolorosamente intontite per i colpi subiti quella mattina, quando i
suoi denti
erano stato sbeccati a colpi d’acciaio nella forma
triangolare, consona ai
peccatori come lui.
Il
giovane cercò
di mettersi in equilibrio sulle piante dei piedi, corrose dalle
vesciche, e rimase
immobile a fissare l’entrata della sua cella in cui si
stagliava, come
un’apparizione di gloria in mezzo al putridume, la figura
altera ed immacolata
di una donna.
Oh,
loro erano davvero incommensurabili nell’arte
dell’inganno: persino in quella situazione, in cui era chiaro
chi fosse la
vittima e chi il carnefice, il suo affascinante boia era in grado di
elevarsi
ai livelli più alti di splendore, facendo sfigurare la sua
persona martoriata.
Un
demonio che recitava la parte di un angelo, ed un
ragazzo indifeso additato come diavolo portatore di disgrazie.
-“Tutti
gli
angeli sono uguali”… ma alcuni sono più
uguali di altri- commentò, cercando di
ignorare i fulmini che sembravano irradiarsi dai polpacci a tutto il
resto
della gamba.
Le
labbra
pallide si stesero in un sorriso anche troppo genuino per la situazione.
-Questo
l’hanno
tralasciato, quei birichini… non credo che ad un Arcangelo
sarebbero riservate
le medesime squisitezze…- considerò, scostando
una ciocca ruvida di sudore
dagli occhi.
-Fay,
non sei
qui per discutere della legge angelica- lo richiamò la donna.
Il
ragazzo
appoggiò su di lei i suoi grandi occhi azzurri, velati dalla
sofferenza: forme
proporzionate, un’invidiabile cascata di capelli dorati ed
una sobria veste che
nascondesse le fattezze che potevano indurre al peccato; il prototipo
perfetto
della razza pura tanto ricercata.
Anche
a costo di ingrassare quel modello utopico con
del sangue innocente.
-Lei
è convinta
che siano sufficienti quei sei comandamenti per far sì che
un angelo sia
davvero tale?- domandò, indossando la sua consueta maschera
di ilarità fuori
luogo. –Io credo che sia assai più
complicato…-
Il
sapore acre
della ruggine e del sale gli inondò la bocca: Fay dischiuse
velocemente le
labbra, facendo esplodere un fiore scarlatto nell’aria. Meste
gocce sanguigne
scivolarono lente dal suo labbro inferiore fino a raggiungere la punta
del
mento, e da lì si lasciarono cadere nel vuoto, alimentando
il lago rosso che si
apriva ai suoi piedi.
-Fay!-
La
secca
esclamazione della donna non era certo una brusca esternazione di
compatimento
per lui: era unicamente un rimprovero schifato per aver sporcato la
cella con i
suoi liquidi vitali.
Buffo
come gli
angeli, che avevano tante volte combattuto con i demoni, tremassero
alla vista
di un innocuo fluido proveniente dall’interno del corpo.
-Non
siamo qui
per parlare di questo- ripeté, scandendo con cura nauseata
ogni parola.
Tutto
ciò che
ottenne fu un momentaneo oscuramento dell’espressione
gioviale, prima che
questa riprendesse prepotentemente possesso dei lineamenti del giovane.
-Oh,
già- trillò
lui, portandosi davanti alla donna con una piroetta scoordinata
dall’intento
canzonatorio. –Di cosa dovevamo parlare?-
-Del
motivo per
cui sei qui- gli ricordò secca lei, inforcando un paio di
occhiali.
-Quei
fondi di
bottiglia la invecchiano, sa?- gorgheggiò Fay, assumendo
l’espressione da
cucciolo giulivo che inteneriva le donne e faceva imbestialire gli
uomini.
-Non
sei qui per
parlare di questo!- sbottò lei, con più veemenza
del dovuto: a quanto pareva,
anche le donne angelo erano sensibili alla propria bellezza.
–Allora, Fay…
spiegami cosa ti ha portato ad infrangere uno dei
Comandamenti…-
-Ho
scoperto che
la società non era esattamente come la
immaginavo…- minimizzò lui, con
un’alzata di spalle che gli costò una cocente
ondata di dolore alle scapole
squarciate.
-Non mi sono spiegata- rimbrottò lei, intrecciando le dita e osservando il ragazzo da sopra di esse con un’aria biecamente indagatrice. –Chi ti ha portato ad infrangere i comandamenti? E, più precisamente, dov’è?-
Gli
occhi si
socchiusero mentre le labbra si incurvavano in un sorriso talmente
affettuoso
da essere quasi disarmante, poiché mai un condannato aveva
mantenuto una simile
fedeltà nei confronti della causa del suo arresto.
Doveva
decidere
se annoverare Fay nell’esiguo numero dei geni o in quello
sovrabbondante dei
pazzi.
-Chi
può
saperlo?- chiese il ragazzo, incrociando le braccia dietro la schiena
come un
bambino pronto a cantare nel coro. –Lui è
talmente… inafferrabile, non è così?-
Le
unghie della
donna si conficcarono con forza in una delle ferite pulsanti sulla
schiena,
causandogli una sorta di elettroshock a tutti i nervi del dorso.
-Parla-
ordinò,
ripulendosi le dita sul fazzoletto perlaceo, disgustata.
Fay
ansò, mentre
la pelle tremava per lo sgomento di quel dolore improvviso e
lancinante. Poi la
sua inguaribile allegria risultò nuovamente vittoriosa sul
suo volto:
-Chi
può
saperlo?- ripeté, chiudendo gli occhi con fare ingenuo.
Questa volta fu il tacco della donna a torturarlo: si abbatté con violenza inaudita sui suoi polpacci stremati, facendolo rovinare a terra.
-Perché
lo
difendi?- s’infuriò lei, calpestando quel povero
essere che non aveva più
voglia di proteggersi.
Proteggersi
da
cosa, poi? Quella donna non era che una pedina, una foglia in balia del
vento
proprio come lui… ribellarsi a lei non avrebbe cambiato
nulla.
–Non
capisci che
è l’unico modo per ottenere clemenza al processo?-
rincarò quella, pronta a
sferrare un nuovo attacco.
-Clemenza…-
La
fievole replica
del ragazzo arrestò la discesa del tacco malvagio a
metà strada.
-La
vostra
clemenza non è altro che l’ipocrisia con cui
vorreste lavarvi l’anima dal mio
sangue- giudicò, con un ghigno reso tremendamente
inquietante dal rossetto
sanguigno che lo bagnava, colando sul mento in modo tale da farlo
assomigliare
ad un vampiro che aveva appena terminato il pasto. –Volete
mandarmi al
patibolo, e allo stesso tempo volete mantenere le vostre mani
candide… “povero
ragazzo, abbiamo fatto il possibile”…- i gomiti
tremarono violentemente, mentre
il giovane si issava sulle braccia. –No, non sarò
io ad offrirvi una falsa
redenzione- esalò, seguitando a sorridere in quel modo
terrificante nella sua
spontaneità. –Vi porterete le vostre colpe nella
tomba-
Una
tempesta di
sofferenza si abbatté sulla sua schiena lacerata.
Cosa
lo colpiva?
La
scarpa della
donna? Le sue mani? Qualche strumento preso dalla cella?
Che
importava,
in fondo? Saperlo non avrebbe diminuito la pena.
Così
come venire
a conoscenza delle brutture di quella società non aveva
aiutato a cancellarle.
Potrei
dire che è colpa tua, lo sai?
Tu
mi hai aperto gli occhi, e ora non riesco più a chiuderli.
Ma
non sarebbe giusto.
Perché
anche io avevo intuito l’ambiguità di questo
mondo, troppo immacolato per essere
reale.
E
se tu volevi aprirmi gli occhi, io stesso ero ben felice di non tenerli
chiusi.
***
-Sei
di nuovo qui-
Così
lo accolse, in quello che si sarebbe rivelato il loro ultimo incontro.
La
prima volta
che lo aveva visto, aveva provato istintivamente timore di fronte alla
sua
persona.
Non
solo per
quegli occhi rossi, che richiamavano i biblici tormenti della Geena con
il loro
colore infuocato.
Forse era assurdo, ma ciò che più lo sconvolgeva era il contrasto tra la pelle eburnea e i capelli corvini: l’epidermide, così bianca e liscia, senza la minima imperfezione, si adattava perfettamente a quel luogo di beatitudine che gli angeli avevano tanto faticosamente costruito. Al contrario, quei capelli sembravano un estratto dell’ombra che i messi divini tanto temevano: neri come l’aria infernale, parevano collaborare con l’angosciante tinta delle iridi, per conferire un’aria satanica all’agghiacciante uomo.
I
temibili occhi amaranto si posarono su di lui, scrutando la sua minuta
figura
quasi volessero estrapolarne l’anima.
-Mi
chiedo quale motivo ti porti a ritornare sempre se, a quanto dici,
questo posto
non ti piace…- soppesò, curvando le labbra
demoniache in un ghigno.
Quello li accomunava e, allo stesso tempo, li divideva: Fay sorrideva di continuo, per dissimulare l’amarezza che la visione di quella società mascherata gli faceva provare. Il suo, però, era un sorriso altruistico: lui si sentiva inaridito, ma voleva fare il possibile per rendere il mondo un posto piacevole per gli altri.
Sebastian
no:
quando sorrideva, lo faceva solo per fuorviare il prossimo. Fingeva
tranquillità, e proprio quell’imbroglio era la sua
arma più pericolosa: se si
fosse mostrato per quello che era in realtà, avrebbe dato al
suo interlocutore
il modo di prepararsi ai suoi attacchi. Invece lo ingannava con
un’apparente
serenità, così che il suo l’altro
lasciasse cadere le armi.
E
diventasse
vulnerabile.
-Perché
tu sei seccante, inquietante, e, indubbiamente, sei folle-
spiegò Fay,
rischiando di rompersi la faccia per l’ampiezza del sorriso
che sfoggiò. –Ma
sei l’unica persona sincera che conosca-
Due
iridi purpuree lampeggiarono sotto i ciuffi irregolari della frangia
scura.
-Non posso darti torto- confermò Sebastian, rialzandosi lentamente dalla poltrona in cui si era elegantemente accomodato. –Eppure la prima volta… e anche tutte le successive, ad essere sinceri…- si corresse, portandosi un dito alle labbra nell’imitazione di un uomo pensoso. -… mi sei parso un poco… turbato, quando hai lasciato questo appartamento-
Per
un attimo, le labbra di Fay rinunciarono a tendere i loro angoli verso
il cielo
per farli sprofondare verso il basso, in un’improvvisa
serietà.
La
lunga veste frusciò quando il giovane biondo si
portò alla finestra.
-Se
qualche settimana fa mi avessero chiesto cosa vedevo attraverso questo
vetro
avrei risposto: “Vedo una perfetta società,
signore. Un meccanismo impeccabile
in cui ogni ingranaggio è inserito con cura ineccepibile in
un quadro d’insieme
dall’equilibrio accuratamente studiato”-
-Risposta
degna di una pedina devota- valutò Sebastian, lisciando
alcune invisibili
pieghe sulla sua maglia scura.
-Ora vedo ipocrisia- le dita affusolate si strinsero sulla tenda sgualcita. –Vedo dei bambini che corrono felici senza sapere che le strade in cui giocano sono state costruite da degli schiavi sfruttati a sangue. Vedo delle telecamere che spiano ogni movimento degli abitanti non per garantire la loro sicurezza, come viene propagandato, ma unicamente per avere un totale controllo sulle loro azioni. Vedo un mondo marcio che si vela di purezza per essere ammirato dagli esterni- le palpebre si strinsero, quasi volessero esporre la minor superficie possibile della pupilla alla vista di simili turpitudini. –Cercano di farci credere che la libertà sia la vera schiavitù, il vero pericolo, in modo da farci baciare le catene con cui ci imprigionano, venerandole come il sacro amuleto che può proteggerci dalla minaccia del pensiero libero ed incontrollabile- giudicò, incrociando risentito le braccia.
-Complimenti-
la voce roca dell’uomo gli scivolò sulle spalle
come la carezza di un diavolo.
–Hai conseguito notevoli progressi-
-E’
merito tuo, Seba-pin- cantilenò Fay, recuperando in un
attimo la sua baldanza.
-Sai
quante
lacrime sono necessarie per ricavare la tinta del sangue?-
-Questo
discorso
non ha senso-
-Come
i vostri
decantamenti sulla morale-
Ogni
parola di
quell’uomo lo colpiva come una pugnalata.
-La
morale è
qualcosa che serve unicamente ad imbrigliare, a demonizzare quelli che
sono
istinti naturali: gli angeli non capiscono che in questo modo umiliano
unicamente se stessi-
-Non
sarai tu a
demonizzare la morale?-
-Oh,
cielo,
certo che no. Io non ho intenzione di puntare il dito contro le regole:
solo
contro la falsità che si cela dietro di esse-
Ogni
parola di
quell’uomo sembrava accuratamente ponderata per ferire le sue
convinzioni
laddove traballavano.
-Non
avrei nulla
contro la legge… ma coloro che la usano come scudo per
celare la propria
malvagità… mi nauseano…-
-I
nostri capi
sono modelli di incorruttibilità…-
Anche
le risate
di quell’uomo sembravano studiate per destabilizzarlo.
-Oh
certamente,
poiché loro non sono obbligati da uno stuolo di telecamere a
seguire i loro
stessi Comandamenti: loro controllano, non sono controllati.
È assai diverso-
Quelle
parole…
-Le
bugie non mi
impressionano. Mi disgustano-
…
nessuno aveva
mai osato pronunciarle prima.
-Nessun
angelo
ne ucciderà mai un altro. Come spiegano, allora, tutti quei
messi alati
scomparsi nel nulla? Nessun angelo compirà fornicazione che
non sia a scopo
procreativo. E quei poveri emarginati, che con tanto disprezzo chiamano
“feccia”, a che scopo credi vengano usati? Tutti
gli angeli sono uguali. E
allora perché un nobile viene perdonato ed un plebeo viene
condannato?-
E
quegli occhi
che arrivavano a bruciargli l’anima con il loro fuoco
diabolico…
-Tu
hai una
spiegazione?-
-E
tu hai le
prove?-
Il
ghigno che
nascondeva un’insondabile perfidia era sempre annunciatore di
disgrazie.
-Sì,
ho le
prove. Perché io sono parte della
“feccia” di cui si servono per i loro
desideri osceni-
Gli
zaffiri che
mai si erano spalancati tanto per la sorpresa.
-Il
colore dei
miei capelli e dei miei occhi mi ha etichettato fin dalla nascita come
“diverso”…-
-Mi
dispiace-
-Non
usare la
tua compassione con me. Non ne ho bisogno. Sono fiero di non
appartenere alla
schiera di quei bugiardi. E poi, in questo modo conosco tutte le loro
nefandezze-
Di
nuovo quel
ghigno, foriero dei più malvagi degli intenti.
-Vuoi
conoscerle, Fay?-
E
gli aveva narrato ogni cosa.
La
prima volta se ne era andato dopo i primi racconti, incapace di reggere
un
simile fardello di bugie.
Ma
poi aveva voluto sapere.
Ed
era tornato.
E
aveva saputo.
Gli
assassinii, i complotti, i rapporti peccaminosi, le frodi…
Tutto,
tutto il marcio era venuto fuori.
Ora
si spiegava tanti atteggiamenti ambigui…
Nascosti
da una pretesa di perfetta compostezza, gli angeli perpetravano i
crimini più
abietti nell’oscurità che ripudiavano a parole.
-E’
quasi ovvio, a pensarci- rise Fay, allontanandosi dalla finestra.
–L’ombra più
oscura è proiettata dalla luce più
intensa…-
-L’ombra
è più sincera- dichiarò Sebastian,
appoggiando la schiena al muro di quella
stanza. –Nelle tenebre, tutti sono uguali. E’ alla
luce che emergono le
differenze e, con esse, le discriminazioni-
-Discriminazioni?-
gli fece eco l’altro, senza comprendere.
Un’espressione
di raffinata malvagità si stese sul volto
dell’uomo.
-Non
ti sei mai sorpreso del fatto che tutti gli angeli rispecchino il
candore della
luce con il loro aspetto?-
In
effetti si era soffermato più di una volta su
quell’insolito particolare, ma
aveva immaginato che quelli che non erano stati dotati dalla natura dei
tratti
della razza pura avessero provveduto con tinte, lenti colorate e quanto
necessario per attenersi ai canoni prestabiliti.
-La
politica eugenetica, che ovviamente viene svolta in segreto, pretende
l’eliminazione o l’emarginazione degli individui
che potrebbero minare la
trasmissione pura dei geni…- le spalle dell’uomo
si contrassero
impercettibilmente, trattenendo una risata più prossima alla
disillusione che
all’allegria. -Ma una simile crudeltà sarebbe
inaccettabile per quei
concentrati di virtù dei tuoi superiori- seguitò
Sebastian, lanciandogli
un’occhiata spaventosa dai suoi recessi rosso sangue.
–Quindi i bambini assassinati
o condannati a vivere perpetuamente ai limiti della società
diventano
sfortunati infanti morti tragicamente dopo il parto- concluse, con un
distacco
terrificante per un argomento così tragico. -Questa
è la versione ufficiale. In
questo modo, si liberano delle macchie della società,
mantenendo salda la loro
immagine irreprensibile-
-Tu
eri… uno di quei bambini, Seba-pin?- esalò Fay,
troppo sorpreso per emettere un
suono più robusto. –Ma com’è
possibile che tu sia un angelo? Non hai le ali…-
-Nemmeno
tu le sfoggi, in questo momento- gli fece notare pacatamente
l’uomo dai capelli
corvini, avvicinandosi di un passo ed incatenandolo con il potere
magnetico dei
suoi rubini. –Gli angeli mostrano le ali solo quando
necessitano di volare
oppure quando non riescono a controllare le loro emozioni-
-Qualcosa
mi suggerisce che un perfetto autocontrollo non sia il caso delle tue
strutture
per il volo, Seba-pin- ridacchiò Fay, cercando di smorzare
la tensione
elettrica quasi palpabile nell’aria.
-Corretto-
ammise l’interessato, sorpassandolo con un’unica
falcata e liberandolo dal
sortilegio del suo sguardo. –Mi sono state strappate al
momento della nascita-
annunciò, con la stessa indifferenza con cui avrebbe potuto
parlare di quanto
aveva mangiato a pranzo. –Così, se avessero deciso
di scaraventarmi giù dai
cieli, non avrei potuto opporre resistenza-
Quando
era
piccolo, li aveva odiati.
Li
aveva odiati
tutti.
Tutti
coloro che
vivevano in quelle case appetibili, tutti coloro che non dovevano
subire quelle
angherie ogni giorno, tutti coloro che lo avevano condannato per la sua
nascita
indesiderata.
Come
se fosse
stato lui a spingere sua madre e suo padre ad avvinghiarsi
l’uno all’altro, la
sera del suo concepimento.
Che diritto avevano di dire che lui avrebbe portato sciagura? Come potevano, loro, che ogni giorno lo tormentavano fino a fargli rasentare la follia, a dire che lui era foriero di malvagità? Non erano assai più crudeli loro, che si divertivano ad infierire su un bambino indifeso a cui il mondo intero aveva voltato le spalle?
Come
potevano
dire che era crudele, lui, che per tutta la vita non aveva fatto altro
che
subire?
Come
potevano
dirsi puri, loro, che per tutta la vita non avevano fatto altro che
straziarlo?
Poi,
il suo odio
si era evoluto.
E
aveva imparato
a deriderli, ogni volta che tentavano di umiliarlo.
Loro
volevano
grida, strazi, lamenti.
E,
concedendo
loro l’esatto opposto di ciò che desideravano,
frustava il loro smisurato
orgoglio.
Avrebbe
continuato a sorridere per fargli male.(*)
A
sorridere con
quella grazia smisurata ed inattaccabile che li faceva sentire
inferiori poiché
in balia della propria furia, al contrario di lui, freddo e razionale.
Oh,
quanto adorava vedere i loro volti aristocratici distorti
dall’ira impotente.
Avrebbe
riso di
loro fino alla morte.
Dei
polpastrelli gentili si posarono sulle scapole dell’angelo
decaduto.
La
bocca del ragazzo dagli occhi celesti si arricciò per un
istante in una smorfia
di compassione, quando il suo tatto saggiò la presenza
frastagliata delle
cicatrici irregolari che testimoniavano la passata esistenza delle ali.
-Non
ti libererai mai di questi sfregi, Seba-pin-
Tanto
meno del rancore di cui sono intrisi.
Anche
tu sei come loro: un povero bambolotto in balia dell’odio
verso chi non è come
te.
L’unica
differenza è che tu lo accetti.
-Oh,
cielo-
esclamò l’uomo: nonostante fosse di spalle, il suo
sogghigno indecifrabile era
percepibile nel tono della voce. –Sono sufficienti due
cicatrici per farti
sprofondare nel più scontato romanticismo?-
-Trovi
così ripugnante
la dolcezza, Seba-pin?- tintinnò Fay, abbracciando con la
gioia di un bambino
il busto dell’uomo.
-Non
vi è nulla
di più vicino al perbenismo dell’affettazione-
sentenziò l’altro, senza
rispondere alla stretta amorevole del compagno più piccolo.
-Tu
sei sempre
rude, Seba-pin…- lo rimproverò bonariamente
il giovane dai capelli dorati, sfregando la guancia sul
torso marmoreo
dell’uomo. –Potresti scioglierti, ogni tanto-
Bastò
un
istante, e Fay si trovò improvvisamente premuto sulla
poltrona all’angolo della
stanza.
-Non
intendevo
questo, Seba-pin!- protestò infantilmente, senza intaccare
l’esposizione sulle
labbra dell’ennesimo sorriso. –Insomma, basta una
frase da nulla e tu vedi
subito risvolti sconci…-
-Sono
la feccia
della società, ricordi?- lo sfidò
l’uomo, adagiandosi con la calma di un
predatore sopra di lui.
Un’invisibile
gocciolina di sudore si formò sulla tempia del ragazzo
aggredito.
Non
ricordava
con esattezza quando fosse iniziato.
L’unica
cosa che
riusciva a rammentare era che un giorno aveva sentito il freddo
dell’indifferenza più pungente del solito.
Tutti
quei visi
superficialmente altruisti, che in realtà non erano altro
che studiate maschere
per distogliere dalla sozzura interna, come dei sepolcri imbiancarti;
quelle
parole gentili, viscide per la loro falsità;
quell’ostentazione esagerata e
fanatica della razza eletta…
Quel
giorno, il
gelo dell’ipocrisia generalizzata lo aveva colpito fino alle
ossa.
E
aveva sentito
la necessità violenta di combatterlo con il calore.
Ma
non voleva un
sentimento simulato.
Preferiva
qualcuno che gli sussurrasse parole ruvide ma oneste, piuttosto che una
persona
che si sciogliesse in promesse senza fondamento.
“Soltanto
una voce mi può far pensare …”(*)
La
tunica prevista per gli impiegati
come lui aveva il pregio di sfilarsi in un attimo: le mani
dell’uomo ne
arrotolarono i bordi, facendo scivolare il tessuto sulla schiena del
ragazzo,
poi sulle braccia fino a sfilarlo dalla punta delle dita.
-L’ultima
volta sei stato un po’ irruento…- lo
canzonò Fay, notando lo sguardo quasi
sorpreso dell’uomo, quando quest’ultimo mise a nudo
il petto dell’angelo puro,
esageratamente colorato da vistosi segni rossi.
-Immagino
che questo…- mormorò Sebastian, portando la bocca
su uno di quei marchi
voluttuosi. -… offenderebbe i tuoi superiori, nevvero?-
-I miei superiori non li vedranno mai- affermò sicuro il giovane, sorridendo per dissimulare l’agitazione. –Loro non fanno questo genere di cose… o meglio, non ammettono di farle-
-Hai
imparato in fretta come funziona per loro- si compiacque
l’uomo, risalendo con
calma sul suo corpo in modo da deliziare gli occhi con la vista di quei
muscoli
agitati, prima di posare le sue labbra a pochi millimetri da quelle del
ragazzo.
Tutte
le volte
agiva con lentezza, quasi dovesse studiare ogni suo gesto prima di
portarlo a
compimento.
Fay
era abituato
ai contatti brevi, approvati dal galateo: una stretta di mano
all’amico, un
cenno di saluto al conoscente, un saluto militare al generale.
Perché
lui si
prendeva tutto il tempo del mondo, con una dolcezza tale che gli
fiaccava la
forza per ribellarsi?
Non
era una
premura visibile negli occhi dell’uomo, così
freddi anche in quei momenti, o
nelle sue parole, sempre sferzanti ed enigmatiche: erano i gesti., che
studiavano il suo corpo con una minuzia estenuante, a comunicargli
quanto il
compagno fosse attento a non imporgli forzature.
Quella
dolcezza
nascosta era molto più pericolosa dell’odio:
l’odio era solido, quindi era
possibile spezzarlo; la dolcezza era viscosa, infida: una volta
insinuata
all’interno, era quasi impossibile disincrostarla.
“La
voce mi dice: ‘Sai che cosa fare.
Non resistere, lasciati trasportare.’” (*)
-Mi
chiedo perché tu venga qui così
frequentemente…- sussurrò Sebastian, respirando
sul collo fremente del giovane, mentre le mani carezzavano con
ponderata
delicatezza la pelle del compagno.
Perché
fuori
c’erano solo ghiaccio e fango.
Travestiti
da
gioielli.
E
lì c’erano
ghiaccio e fango.
Ma
non menzogne.
-Ti
interessa
davvero, Seba-pin?- lo schernì Fay, rannicchiando le
ginocchia contro il petto,
in una specie di tagliola per le mani dell’uomo.
-Potrebbe
farmi
piacere saperlo?- domandò di rimando l’altro,
esercitando una leggera pressione
sulle cosce in modo che tornassero a distendersi, in una posizione
lievemente
più allargata rispetto alla precedente.
“Non
so se ti farà piacere.”(*)
Non
lo sapeva.
Conosceva
così
poco di lui, nonostante tutte le volte in cui avevano discusso.
Sapeva
cosa
pensava di quella società corrotta… ma di lui
come persona, come Sebastian, non
sapeva nulla.
Sogni,
desideri,
speranze…
Lui
aveva sempre
identificato Sebastian con il suo signorile rancore verso gli uomini
che lo
attorniavano: era la personificazione del rancore decoroso.
Non
aveva mai
cercato di scoprire altro.
Anche
perché era
sicuro che Sebastian non avrebbe risposto.
Rivelarsi
significava dare al prossimo una chiave di accesso alla propria mente.
Ed
una simile
condivisione poteva significare solo una cosa: offrire
all’avversario un’arma
per penetrare le sue difese.
Quell’uomo
era
sempre in guerra: non avrebbe mai commesso un passo falso.
Nemmeno
con lui.
“Non
so se ti può consolare.”(*)
Conosceva
solo
un abbozzo del suo passato.
Intuiva che doveva essere stato terribile oltre ogni dire: isolato e disprezzato dal mondo, costretto ad imparare fin dalla più tenera età i trucchi più abietti per sopravvivere, si era trascinato giorno dopo giorno lungo un’esistenza desolata, covando in silenzio il proprio risentimento nei confronti di tutti gli angeli indifferenti alla sua condizione.
E
ad avergli
imposto quei patimenti erano stati proprio i suoi superiori, che un
tempo aveva
tanto ammirato, come punizione per la tremenda colpa di aver scelto di
nascere
con un colore di capelli e di occhi non consono agli standard della
massa.
Non
sapeva quali
fossero le parole giuste per confortarlo…
E,
ad essere
sinceri, non era nemmeno sicuro che Sebastian desiderasse essere
consolato.
In
battaglia
servivano armi, non lacrime di commiserazione.
“Non
so se mi potrai capire.”(*)
E
non sapeva neppure
se quell’uomo sarebbe mai riuscito a capirlo.
Quando
era in
sua compagnia, pareva che nulla potesse scalfirlo o sorprenderlo, come
un
giocatore che ha il pieno controllo della scacchiera… ma
davvero lo conosceva
così a fondo?
Davvero
Sebastian era in grado di comprendere ogni pensiero che si agitava in
lui?
Oppure
era solo
una delle finzioni arroganti che utilizzava per difendersi dagli altri?
“Non
so niente eppure…” (*)
Eppure
continuava a nutrire la presunzione di essere l’unico, in
quel mondo, a non
nausearlo.
La
domanda
precedente rimase sospesa nell’aria.
Gli
occhi
dell’uomo non erano gli unici a condividere
l’ardore delle fiamme: le braccia
roventi lo strinsero con vigore, premendo il suo corpo esile contro
quello
scolpito del compagno, in un contatto talmente irruento da togliergli
quasi il
respiro.
Gli
sembrava
quasi di perdere coscienza del resto del mondo, quando si chiudeva in
quella
stanza con quell’individuo tenebroso: tutto il suo universo
si focalizzava su
loro due, confondendo ogni cosa nel delirio della lussuria.
Gli
occhi si
chiudevano e le dita graffiavano la schiena dell’uomo
tenebroso, quando quelle
mani diaboliche lo invitavano a muoversi secondo i loro desideri con le
loro
carezze esperte: lo costringevano lusinghiere ad inarcare la schiena,
solleticandogli la spina dorsale; gli suggerivano di stringere le
braccia
intorno al collo di quell’angelo perverso, conducendo
pazienti i suoi polsi
sulla nuca dell’altro; gli ordinavano di accettare la
presenza dell’uomo dentro
di sé, piegando le gambe arrendevoli secondo le loro
impudiche necessità.
La
pelle
sembrava essere formata unicamente da nervi iperattivi, tanto si
riscaldava e
fremeva sotto le attenzioni dissolute che le venivano concesse:
l’epidermide
bollente quasi si protendeva verso il compagno, cercando un contatto
più
duraturo dei baci che la ricoprivano, più intimo delle mani
che la lambivano
instancabili, più desiderabile della pelle
dell’altro uomo che la sfregava.
Sebastian, dalla sua prospettiva privilegiata, appariva contenuto persino in quel frangente: sembrava quasi che lo studiasse, con un’insaziabile sete di conoscenza, per registrare esattamente quale tocco ottenesse quale reazione.
Doveva
divertirlo vedere un angelo appartenente alla schiera dei suoi
aguzzini, cedere
ai suoi adescamenti, arrivando addirittura ad infrangere un
Comandamento per
lui.
Ma
era solo… divertimento?
Fay
non ebbe
modo di pensarci: i movimenti dell’uomo si fecero
improvvisamente più veloci,
frazionandogli il respiro in una serie di singulti imbarazzanti, e
facendogli
artigliare con forza la poltrona, quasi fosse l’ancora di
salvezza da quella
situazione proibita.
Le
ali si
sprigionarono improvvisamente dalla schiena quando il corpo
dell’angelo più
giovane raggiunse il limite: le piume si spiegarono come un niveo
stendardo di
casta beatitudine, in opposizione stridente ai due giovani stretti
l’uno
all’altro in un abbraccio di libidinosa dannazione.
-Devo
dedurre…
che in mia presenza non sei in grado di gestire le tue emozioni?-
sogghignò
l’uomo, afferrando con un pizzico di brutalità una
delle piume più vicine.
-Forse
sto solo
cercando di scappare, Seba-pin…- deviò Fay,
sgranchendo le ali in una vanesia
esibizione della loro bellezza eterea.
Un
bacio
possessivo, più simile ad uno scontro di denti e lingue che
ad un incontro di
labbra, gli fece chiaramente intuire che il compagno non aveva la
minima
intenzione di farlo volare via.
Non
adesso che aveva finalmente ottenuto un nuovo
paio di ali.
***
La
guardia stramazzò al suolo senza emettere un solo grido.
Tanti
anni passati a contatto con i peggiori individui della
società gli avevano
fatto sviluppare quelle doti di dubbia moralità, ma di
sicura utilità.
Non
incontrò alcuna difficoltà nemmeno nello
scassinare la serratura: gli angeli
erano davvero poco prudenti, oppure erano semplicemente così
pieni di sé da non
pensare che un reietto come lui potesse introdursi nelle loro prigioni
ad alta
sicurezza.
Dovevano
averlo
catturato mentre tornava a casa.
Se
ricordava
bene il loro modo di agire, dovevano averlo braccato in cinque: due per
le
gambe, due per le braccia, e uno per effettuare il controllo.
Non
doveva
essere stato difficile emettere la sentenza, visto che lui non aveva
avuto
riserve per il corpo di quell’angelo ingenuo.
Fornicazione
chiaramente
compiuta al solo scopo di appagare dei deviati istinti sessuali.
La
pena prevista
era la morte, che sarebbe servita come esempio a tutti i futuri
disertori.
Ma
non avrebbe permesso che Fay diventasse uno strumento per confermare la
loro
legge distorta.
Lui era il suo giocattolo, non aveva alcuna intenzione di cederlo a quei folli ideatori di Comandamenti assurdi.
Inoltre,
sarebbe stato un enorme schiaffo morale infliggere una simile
umiliazione a
quei superbi.
Non
lo faceva
per quel ragazzo dagli occhi cerulei.
Lui
non aveva
mai mosso un dito per gli altri, così come gli altri non
avevano mai riservato
una parola o un gesto per lui.
Era
solo per non
cedere nemmeno uno dei suoi divertimenti a quei burattini di
falsità che era
arrivato fin lì.
Ma
quello che
non immaginava… era che loro si fossero già presi
quanto reclamava come suo.
I
segni della lobotomia risaltavano tetri come filo spinato sulla neve.
-E’
entrato qualcuno?- rise sgangheratamente Fay, battendo gaio le mani.
Le
labbra che si
curvavano in un sorriso erano sempre le stesse ma…
l’antica anima che le
muoveva era evaporata.
Fay
era morto.
Quello era solo un involucro ancora respirante.
-C’è
il sole, fuori, signore?- domandò gioioso.
Sebastian
arricciò il naso: quell’allegria insana era
disgustosa quanto l’incuria in cui
versava l’aspetto del ragazzo. La schiena era scoperta,
esponendo l’orribile
crosta scura che raggrumava i profondi solchi delle ali strappate;
l’oro dei
capelli era degenerato in un colore indefinibile, così come
la loro forma non
possedeva che il ricordo della precedente vaporosità; la
stessa pelle, così
segnata, così torturata, non era certo quella che qualche
giorno prima era
stato lieto di baciare.
-Oh,
sì… un sole meraviglioso…-
riuscì ad articolare, vincendo la nausea che gli
contorceva le viscere.
-Mi
piace tanto il sole!- ribadì ridente Fay, ciondolando con il
busto come per un
gioco infantile.
-Vuoi
vederlo?-
La
domanda dell’uomo rimbalzò minacciosa sulle pareti
scalcinate di quella
prigione.
Non
era la gentilezza ad aver mosso quella richiesta, ma qualcosa di ben
più
allarmante… ma Fay non era più in grado di
cogliere le sfumature celate nelle
parole.
-Lei
mi ci può portare, signore?- gioì, tirandosi in
piedi in maniera grossolana,
come un bimbo che ha appena imparato a muovere i primi passi.
-Certo...-
assicurò l’uomo, avvicinandosi in modo da poter
aiutare quel fagotto impacciato
a mettersi in una posizione adeguata.
Il
giovane batté le mani, spensierato.
-Cosa
devo fare?- biascicò, aggrappandosi fiducioso alla severa
figura dell’uomo
fosco.
-Rimani
immobile- lo consigliò lui.
Poi,
tutto avvenne in un attimo: il pugnale si infilò con
facilità nelle membra
morbide del ragazzo, trovando un comodo fodero nel suo polmone. Con
altrettanta
celerità abbandonò la calda custodia, lasciando
sgorgare una cascata dal
lucente colore rosso cupo.
Le
iridi cerulee fissarono la ferita sanguinante senza capire, mentre sul
volto
prendeva il comando un’espressione talmente vacua da sembrare
istupidita.
-Questo
non è il sole…il sole non ha questo
colore…- obiettò Fay, senza rendersi conto
che il sangue che zampillava dalla ferita sanciva la fine della sua
vita.
Il
viso si rialzò con la fronte lievemente aggrottata, come se
il giovane si fosse
reso conto solo in quel momento di essersi dimenticato di un
particolare di
vitale importanza.
-Lei
chi è, signore?-
L’ultima
sillaba venne inghiottita dal gorgoglio insanguinato che
riempì la gola del
ragazzo, poco prima che questo ricadesse pesantemente sulle ginocchia.
-Sono
il demone che condurrà tutti al loro inferno- si
annunciò Sebastian, osservando
dall’alto quel corpo che andava irrigidendosi nel feretro
cremisi del suo
sangue versato. -Forse per un po’ ti sentirai
solo…- stimò, dando le spalle a
quel bozzolo esanime per dirigersi verso la porta della cella. -Ma non
preoccuparti: presto l’Ade diventerà un luogo
molto affollato…- la sentenza
mortuaria fluttuò nell’immobilità della
prigione, lanciando nell’aria
soffocante i suoi intenti omicidi.
Sfilò
fuori dalla gabbia che l’ultima eco stava ancora terminando
di spegnersi sui
mattoni marci di quel posto di penitenza.
I
Comandamenti
lo fissarono beffardi dall’alto della montagna su cui erano
stati scolpiti.
“Quanto
a lungo
combatterai contro di noi, Sebastian?” sembrarono chiedergli.
L’uomo
voltò
loro le spalle, lasciando che le sue sacrileghe vesti nere lo
confondessero con
la notte circostante.
Finché
avrò pedine da sacrificare.
Fino
ad allora…
(*)
“Cuore nero”,
Punkreas
NdA: dunque, non è stato facile scrivere questa fic. Per nulla, anche perché doveva essere molto più lunga, ma, poiché non riesco mai a decidermi su di un’idea al posto di un’altra, mi sono ridotta a scrivere e consegnare all’ultimo minuto.
Vorrei spiegare alcune scelte stilistiche adottate dalla fic: non mi sono soffermata a descrivere il funzionamento della società o gli organi che gestiscono la vita cittadine per un maggiore realismo. Mi spiego: chi vive in un regime demagogico, ossia una dittatura mascherata da democrazia, raramente si rende effettivamente conto della propria mancanza di libertà, inoltre è talmente abituato dal funzionamento della sua società da non starci neppure a pensare, dandolo per scontato. Chi invece si rende conto del marcio che vi è sotto, si ritrova a pensarci con un’insistenza quasi ossessiva, tanto da non liberarsene neppure nei momenti di intimità, per questo certi concetti sono quasi ridondanti: volevo dare l’impressione di questo fanatismo.
Fay viene punito con la lobotomia perché, secondo me, perdere le proprie facoltà intellettive, la propria identità, è molto peggio che morire davvero.
Inoltre non ho approfondito l’introspezione di Sebastian perché volevo mantenere la sua aura di mistero, parzialmente rivelato solo dai gesti che compie con il suo compagno.
Lo stile ha alcuni periodi molto lunghi, ma è una scelta: volevo che lo stile ricalcasse l’atmosfera cupa della distopia.
Un ultima cosa: non mi sono dilungata a descrivere la società perché volevo che essa fosse visibile non come entità a se stante, ma solo attraverso gli effetti lasciati sui due protagonisti, come una malattia silenziosa.
Sperando che vi sia piaciuta, almeno
un pochino, e sperando di ricevere presto i vostri commenti, vi saluto
^^
Red-chan