Crossover
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Autore: Dk86    19/06/2010    3 recensioni
Nell’Universo ci sono un sacco di cose.
Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).
Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.
E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.
(dal capitolo 14, "Salvare l'Omniverso e altri sport estremi")
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO SESTO – IL QUARTIERE COMMERCIALE INTERGALATTICO


La giornata di Marco iniziò in maniera interessante: qualcuno gli stava premendo un foglio di carta sulla faccia.
“Forza, svegliati e firmalo!”. La voce acuta di Haruhi finalmente lo costrinse ad abbandonare il sonno.
“Che cosha?”, riuscì a biascicare, mentre un angolo del foglio gli finiva in bocca.
“Capitano, guarda che così muore, eh”, intervenne Elena, in tono un po’ assonnato.
“Dici?”.
“Beh, o soffoca perché sta ingoiando il contratto oppure perché gli manca l’aria”, osservò Pietro.
“Mh… già”.


Sigla d’apertura: Sleepyhead, dei Passion Pit

Quando finalmente Marco fu di nuovo libero di respirare si levò a sedere di scatto, tossì un paio di volte, riuscì a resistere all’impulso di rimettere la cena della sera prima e si guardò intorno, con gli occhi ancora impastati dal sonno: Elena e Pietro, ancora in pigiama, avevo l’aria di chi è stato appena svegliato a pedate, cosa che probabilmente era accaduta; Riccardo stava ancora dormendo della grossa, mentre Haruhi, già vestita della sua uniforme scarlatta da comandante, sventolava dei fogli con aria un po’ schifata. “Bleah, guarda che hai combinato, adesso l’angolo è macchiato di bava!”, si lamentò, quando vide che Marco la stava guardando. “Come pensi di rimediare, sottoposto?”.
“Guarda che sei tu che me l’hai ficcato in bocca, scusa!”, gli rispose lui a tono. “E poi che è questa storia del sottoposto?”.
“Beh, non lo siete? O meglio, lo sarete dopo aver firmato i contratti”.
“Contratti?”.
“Hai la memoria corta? Sei stato tu a chiedermi di darti un lavoro, giusto una settimana fa!”.
Alla notizia, Marco sobbalzò. “Fantastico! Non credevo te ne saresti ricordata!”.
“Ehi, mica sono scema, scusa! Vi avevo promesso uno stipendio e lo avrete. Ora qualcuno svegli anche coso, lì, così almeno vado a riconsegnarli subito alla divisione amministrativa e non ci penso più”.
“Non sarà facile”, disse Elena. “Il sonno di Riccardo è leggendario”.
Haruhi sorrise in maniera ben poco rassicurante. “Scommettiamo?”. E da una delle tasche dell’uniforme estrasse una piccola macchina fotografica digitale. “Tre, due, uno…”, disse, puntandola contro Riccardo.
“No, aspetta!”, urlò Pietro, scostando di botto le lenzuola e lanciandosi contro Haruhi. “Non sai quello che stai…”.
“Cheese!”.
CLICK.
PAFF!

“Pietro, cazzo, te l’ho detto mille volte che non devi farmi foto mentre dormo!”.
“Wow, l’hai preso proprio nello stomaco”, disse Haruhi mentre guardava Pietro che si contorceva per terra. “Se questo fosse stato un gioco avresti preso cento punti come minimo”.
“Dici che morirà?”, domandò Marco, tendendo il collo per cercare di capire meglio la situazione.
“Beh, non è la prima volta”, gli rispose Elena, alzandosi dal letto. “E comunque, Riccardo, anche tu potevi evitare di tirargli un pugno, eh”.
“Senti, gliel’ho detto un sacco di volte che mi dà fastidio!”.
“Ma guarda che non è stato lui, è stata… oh, lasciamo perdere”, si arrese la ragazza, vedendo che Haruhi era riuscita a far sparire la macchina fotografica a tempo di record. “Dai, Pietro, ti do una mano a rialzarti”.
“Credo che… coff… credo che sputerò un polmone…”, riuscì a biasciare Pietro, mentre con l’aiuto della ragazza riusciva a rimettersi in piedi.
“Comunque, adesso che siete tutti svegli non fatemi perdere troppo tempo”, disse Haruhi, che iniziava ad essere spazientita. “Firmate questi contratti, così almeno possiamo ripartire prima di sera”.
“Come, prima di sera!?”, esclamò Riccardo. “Ma non abbiamo neanche fatto in tempo a vedere la città!”.
“Beh, di questo non dovete preoccuparvi”, rispose il comandante, sollevando il mento con aria di importanza. “Tanto dove andremo ora non vi farà certo rimpiangere quei quattro squallidi negozietti! Ora, chi ha una penna?”.
Marco la guardò storto. “Sei venuta per farci firmare dei contratti e non hai portato nemmeno una penna?”.
“E che, devo pensare a tutto quanto io?”.
In quel momento, la porta della stanza si aprì, scivolando sul suo binario con soltanto un leggero sbuffo.
“… e così le ho detto: “Questo è il modulo 87-b, a me serve l’87-d!”. E lei… Oh”.
Le teste dei cinque occupanti della stanza si voltarono verso la proprietaria della voce. Il vano dell’ingresso inquadrava tre persone: una ragazza con lunghi capelli rosa che vestiva un uniforme chiara molto simile a quella di Haruhi, un giovane uomo dai capelli castani in camicia bianca e cravatta, con in mano un sottile bastone bianco del tipo comunemente usato dai non vedenti, e un ragazzo dall’aria scazzata, i capelli neri raccolti in un’acconciatura che faceva sembrare la sua testa un ananas. La ragazza arrossì. “Oddio, scusate, abbiamo sbagliato stanza!”, esclamò, mentre la porta si richiudeva.
Un momento di silenzio.
“Wow, meno male che nessuno di noi era tipo, non so, nudo o stava facendo qualcosa di imbarazzante”, disse Marco, grattandosi la testa. “Di solito nelle commedie scolastiche le cose vanno sempre così”.
“Sì, ma…”, iniziò Riccardo, con tanto d’occhi. “Quelli erano Shikamaru Nara e Raito Yagami!”.
Anche lo sguardo di Marco si sgranò. “Ehi, è vero! E la ragazza era Hinagiku Katsura!”.
“Certo!”, disse Haruhi. “Sono i tre Consiglieri Giovani della Confederazione, sapete?”.
“E ci hanno visto in pigiama!?”.
“Che ti importa? Mica li devi frequentare. E comunque ti hanno visto solo in due, Yagami è cieco”, rispose la ragazza con un’alzata di spalle.
“Piuttosto”, intervenne Elena. “Raito non è un serial killer che ha ucciso migliaia di persone con quel suo quaderno? Com’è che una persona del genere diventa un consigliere?”.
“Beh… è per quello che ora è cieco, no?”, disse Haruhi, come se la cosa fosse assolutamente ovvia. “Silente gli ha levato la vista con la magia, così ora anche se trovasse un altro quaderno non potrebbe usarlo, visto che il suo gliel’hanno distrutto. Quanto ai suoi trascorsi da maniaco omicida, credo sia bastato un semplice lavaggio del cervello”.
“Ah”, fece Pietro, che sembrava essersi più o meno ripreso dal pugno nello stomaco. “E scusa, ma non si faceva prima a prendere qualcuno di meno problematico come consigliere?”.
Haruhi sbuffò. “Senti, prenditela con Silente, è lui che ha sempre ‘sta fissa di salvare tutti e di vedere del buono in chiunque gli stia intorno… Ora forza, firmate questi contratti così almeno leviamo le tende”.
Un altro attimo di silenzio.
“Ehm… capitano?”, disse Marco. “Ancora non abbiamo una penna, o sbaglio?”.


“Allora?”, domandò Haruhi, con l’aria fiera di una mamma aquila che guarda i suoi pulcini spiccare il primo volo. “Come vi sembrano?”.
I quattro, allineati contro una delle pareti della sala di comando della Crazy Diamond, si fissarono l’un l’altro, nel più totale imbarazzo. “Perché?”, era la domanda che aleggiava sopra le loro teste.
“Non c’è affatto bisogno che mi ringraziate!”, stava continuando intanto il comandante. “Ma Nagi mi ha detto che Hayate vi aveva preso le misure e ho pensato di approfittarne!”.
Marco decise di prendere la parola per tutti quanti. “Ecco, veramente… Cioè, capitano, sei stata gentilissima e tutto, però…”.
“Però preferiremmo i nostri normali vestiti, grazie tante”, intervenne Elena, visto che l’amico non si decideva a concludere. I quattro indossavano una divisa identica a quella che portava anche Kyon, comprensiva anche di baschetto, ma grigia invece che blu. Prudeva da far spavento.
Haruhi sollevò un indice e lo sventolò davanti al naso della ragazza. “No, no. Adesso siete miei sottoposti, quindi dovete fare ciò che vi ordino; e questo comprende anche indossare le uniformi!”.
“Senti, non c’era una clausola riguardo a divise ridicole nel contratto o sbaglio?”, le rispose Elena. “E comunque non mi pare che qui a bordo nessun altro rispetti questo tuo ‘ordine’, eh?”.
“Te l’ho già spiegato, Piton e gli altri non sono dipendenti della Confederazione, oltre a me solo Kyon lo è!”.
“Beh, e scommetto che lui la divisa la porta soltanto perché altrimenti gli terresti il muso come una mocciosa. Vero, comandante?”.
Kyon, seduto in plancia, emise un borbottio che poteva significare qualsiasi cosa.
“Oh, va bene, fate come vi pare!”, esclamò Haruhi, voltandosi per dar loro la schiena, con le braccia incrociate. “Però non vi farò mai più un favore, d’accordo?”.
“D’accordo”, rispose Riccardo, facendo spallucce. “Ma per curiosità, dove hai detto che stiamo andando?”.
“Stiamo andando a recuperare dei… oh, già”, la voce di Haruhi si abbassò di quasi un’ottava, diventando un brontolio. “Beh, non vi farò più favori dopo questi due”.
“Che cosa stiamo andando a recuperare, capitano?”, la incalzò Pietro.
La ragazza si voltò, la fronte corrugata. “Si dà il caso che saranno pagati con i vostri stipendi!”, esclamò. Un paio di secondi dopo l’astronave ebbe uno scossone e si inclinò leggermente sul lato sinistro. “Ehi, Kyon, potevi anche parcheggiare in maniera un po’ più delicata!”.
“Vieni tu a farlo, la prossima volta”, borbottò lui, in un tono di voce comprensibilissimo.
“Parcheggiare? Perché, siamo atterrati da qualche parte?”, domandò Marco.
“Sì”.
“E allora come mai fuori dal finestrino si vedono ancora le stelle?”, ribatté lui, indicando l’enorme visore che riempiva i due terzi delle pareti della sala di comando. Su un uniforme sfondo nero scorreva una miriade di piccole luci bianche.
“Ah, quello?”, rispose Haruhi. “Quello è lo screensaver di Windows, mica quello che si vede fuori”.
E com’è possibile che sul finestrino ci sia il dannato screensaver di Windows!?”.
“Prima di tutto, non urlare. E poi quello non è un finestrino vero, è solo uno schermo. Ti pare che una nave vera possa avere un visore collegato con l’esterno? Sarebbe pericoloso e stupido. Tutte le astronavi hanno delle telecamere sulla superficie dello scafo”.
“E se qualcosa rompe le telecamere?”, si informò Pietro.
Ma la domanda del ragazzo non ebbe risposta: improvvisamente nella sala di comando irruppe una tigre. “Siamo arrivati a El Dorado, vero?”, esclamò Nagi, agitandosi in groppa a Tama.
Ed ecco il ritorno delle lucette inquietanti negli occhi…, pensò Marco, mentre Riccardo chiedeva: “El Dorado? E che sarebbe?”.
Haruhi si lasciò scappare un ghigno. “Lo vedrete fra poco”.


“Kyon! Kyon! Si può sapere dove ti sei cacciato?”.
“Non c’è niente da fare, capitano”, disse Marco, con un filo di voce. “Lo abbiamo perso”.
Il gomito di qualcuno si piantò nelle reni del ragazzo con violenza, facendogli esplodere davanti agli occhi una miriade di nuove costellazioni. Il dolore fu tanto forte e improvviso che quasi svenne; ma anche se avesse perso i sensi non ci sarebbe stato spazio dove cadere. Ancora con la vista annebbiata si voltò, per cercare di capire chi fosse il colpevole dell’aggressione alle sue parti basse; la folla, però, era così fitta che riuscì a malapena a girare la testa senza scontrarsi con qualcuno.
“Maledizione!”, gridò Haruhi. “Le chiavi dell’astronave le ha lui”.
“Beh, possiamo incontrarlo di nuovo lì dopo, no?”, domandò Elena dal mezzo della calca. Il gruppetto si muoveva in fila indiana, tenendosi per mano: prima Haruhi, poi Marco, Pietro, Riccardo, Elena e alla fine Piton. Era difficile dire chi fosse più scontento della cosa, se la ragazza o l’uomo. “Basta che qualcuno si ricordi dove abbiamo parcheggiato…”.
“Dove siamo adesso?”, il tono di voce di Pietro rasentava l’isteria.
“Su El Dorado, no?”, rispose pratica Haruhi. “Il pianeta dove puoi trovare tutto, se sei disposto a pagare il giusto prezzo. O quantomeno questo sostiene la brochure informativa”.
“Credo intendesse dove siamo precisamente”, precisò Marco. “Cioè, oltre al fatto di essere in mezzo ad una fiumana di gente”. Il viale principale della città dove erano atterrati era fiancheggiato da due file di edifici senza alcuna pretesa di uniformità architettonica; e così a botteghe dall’aria primitiva si affiancavano enormi, imponenti grattacieli di vetro e acciaio non dissimili da quelli di Eidolon.
“Beh, stiamo cercando dei mercenari da assumere”. Il tutto detto con estrema naturalezza. “E anche delle bacchette magiche: per coso là dietro, quello che sta sempre male, e per te, visto che sarai l’healer”.
“Sentite, ci diamo un taglio con questa storia dell’healer?”, si inalberò Marco, mentre la faccia gli diventava rossa. Qualcuno gli pestò il piede, o forse se lo era semplicemente pestato da solo.
“Non hai un briciolo di personalità collaborativa”, lo rimproverò il capitano. “Quando ti troverai in pericolo e nessuno vorrà aiutarti non venire a piangere da me, eh!”.
Marco, saggiamente, decise di tacere. Non sapeva se la Confederazione avesse sigillato i poteri di Haruhi – doveva ricordarsi di domandarlo a Frau Totenkinder, quando fosse riuscito a capire in quale parte della nave alloggiava – ma era comunque il caso di non insistere, prima che per un semplice capriccio del suo inconscio quella profezia avesse ad avverarsi in un prossimo futuro.
“Ecco, siamo arrivati alla prima tappa!”, esclamò il comandante dopo qualche altro minuto di sgomitate. “Piton, li porti dentro tu? Così vado avanti con gli altri”.
“D’accordo”, borbottò il professore in fondo alla fila. “Voi due, venite con me”.
Mi chiedo se un giorno si disturberanno ad imparare i nostri nomi, pensò Marco, mentre Piton afferrava lui e Pietro per un braccio e li trascinava con non poco eroismo attraverso la barriera di persone, alieni e animali antropomorfi che arrancava lungo la via.
“Se non dovessimo trovarci più ci vediamo all’astronave!”, riuscì a gridare Haruhi prima di venir risucchiata nella fiumana insieme ad Elena e a Riccardo.
“Spero che sopravvivano”, disse Pietro, guardandoli scomparire nella calca.
“Nessuno si metterebbe contro il capitano”, lo rassicurò Piton. “Nessuno che abbia a cuore la salute del proprio cervello, quantomeno”.
I tre emersero dalla folla, e Marco in quel momento pensò di sapere che cosa provavano i tappi di champagne quando venivano fatti saltare dalle bottiglie. Rischiò quasi di finire per terra.
“Si può sapere che cavolo ci fa qui tutta questa gente?”, domandò, spazzolandosi l’uniforme impolverata.
“E dovresti vedere quando ci sono i saldi”, gli rispose Piton. “Comunque forza, entriamo”.
I due ragazzi sollevarono lo sguardo: il professore li aveva trascinati davanti ad un negozietto dall’aria pulciosa. In vetrina non c’erano che un paio di quelle che avevano tutta l’aria di essere delle bacchette magiche, posate su un telo di velluto rosso, e uno strato uniforme di polvere; l’insegna sopra la porta recitava: “Olivander: creatori di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C”.
“Olivander?”, esclamò Marco, stupito. “Ma non siamo a Diagon Alley!”.
“Mai sentito parlare di filiali estere?”, domandò Piton, quasi con disprezzo (leggi: usando un tono più gentile rispetto al suo solito), spingendo la porta che scricchiolò in maniera debitamente spettrale. “Ora forza, non abbiamo tutta la giornata da buttare”.
L’interno della bottega era tanto disordinato quanto lo si sarebbe detto da fuori: c’erano bacchette sparse ovunque, un vaso di fiori che galleggiava a mezz’aria e un vecchietto con i capelli bianchi e l’aria spiritata che se ne stava aggrappato in cima a una chilometrica scala a pioli.
“Bontà divina, meno male che è arrivato qualcuno!”, esclamò l’uomo. “Presto, fate qualcosa!”.
“Qualcosa?”, ripeté Piton.
Poi notò che il vaso da fiori lo stava fissando. E che aveva spalancato le fauci.
“Oh, merda!”, esclamò Marco, come al solito di estremo aiuto.
Il vaso ruotò pigramente nell’aria, tenendoli sotto tiro con i suoi occhietti a capocchia di spillo. Poi emise uno stridio e si lanciò a tutta velocità verso di loro.
Piton, per fortuna, fu più rapido.
BOMBARDA MAXIMA!”, gridò, estraendo di tasca la bacchetta e puntandola verso il soprammobile, che esplose spargendo ovunque microscopici pezzetti di ceramica.
“Grazie, Severus, grazie!”, esclamò Olivander, scendendo dalla scala con un’andatura ballonzolante da formichiere. “La concentrazione di magia qui dentro ogni tanto fa strani scherzi alle suppellettili, e avevo lasciato la mia bacchetta da qualche parte lì in basso”.
“Olivander, non perché io trovi gioia nel far sentire le persone stupide…”, disse Piton, in un tono che lasciava intendere che in realtà, sì, trovava gioia nel farlo. Trovava grandissima gioia. “Ma nei cassetti lassù non ci sono un sacco di bacchette?”.
L’uomo sollevò lo sguardo. “Oh”, disse. “Vero, non ci avevo pensato”. Riportò gli occhietti azzurro slavato sui tre clienti. Sembrava che ciò che era appena accaduto non fosse successo affatto. “Ma veniamo a noi: in che cosa posso aiutarvi?”.
“Li ho accompagnati a prendere delle bacchette”, spiegò Piton, dando una spintarella a Marco e Pietro.
“E così sono dei tuoi nuovi allievi?”, domandò Olivander, scrutando i due ragazzi con approvazione. “Hanno un’aria sveglia”.
“Sbaglio o dicevi lo stesso anche di Potter?”.


“Capitano, giusto per sapere”, domandò Riccardo. “Prima hai parlato di mercenari, o sbaglio?”.
“Certo!”, replicò lei, facendosi largo fra la folla che per fortuna stava iniziando a diradarsi. “Chi credete che vi insegni a combattere, Kyon? È ovvio che ci serva gente esperta”.
“Ma i mercenari non vanno pagati?”, domandò Elena.
“Oh, non preoccupatevi: detrarremo tutto dalle vostre paghe, ovvio!”.
Ehi! Come sarebbe a dire!?”.
“Ecco, da questa parte!”, esclamò Haruhi, che nemmeno fece finta di aver sentito, prima di trascinare i due in un vicoletto laterale, fuori dalla calca. Lì la situazione era molto più vivibile, soprattutto perché non c’era anima viva. Qui gli edifici erano simili l’uno all’altro, case anonime dall’intonaco un po’ scrostato. “Almeno, credo”.
“Credi?”, ripeté Riccardo, perplesso.
“Anche El Dorado era un pianeta disabitato ed è stato trasformato in un gigantesco centro commerciale”, spiegò la ragazza, continuando a camminare. Raggiunto un incrocio, con il rumore della folla dietro di loro ormai ridotto ad un brusio, indugiò per qualche secondo e poi svoltò a destra. “Ci sono filiali di qualsiasi negozio conosciuto, in pratica; e ovviamente anche di quelli che invece ci tengono a farsi conoscere il meno possibile, se capite cosa intendo”.
“Attività illegali, dici?”, domandò Elena. “Ma poi aspetta, non sei una dipendente governativa, tu?”.
“Lo siete anche voi, ora”, replicò Haruhi, svoltando in una stradina sulla sinistra. “E comunque la Confederazione su cose come questa chiude un occhio… È ovvio che non puoi debellare la criminalità di questo tipo se hai sotto la tua giurisdizione decine di migliaia di pianeti, già è difficile impedire che degli idioti distruggano l’Universo!”.
Nel labirinto di vicoli non c’era anima viva. Ci volle qualche secondo a Riccardo e a Elena per rendersi conto che le case intorno a loro avevano qualcosa di strano. “Ehi!”, esclamò il ragazzo. “Ma perché non c’è nemmeno una porta?”.
“Perché non ci abita nessuno”, rispose il capitano, svoltando nell’ennesima viuzza deserta. “È solo che uno si aspetta un certo tipo di quartiere malfamato dall’atmosfera grigia e le case mal verniciate, quando deve assoldare qualche tizio poco raccomandabile, no?”.
“E non è uno spreco di spazio e di cemento?”, intervenne Elena.
“Sssh, zitta un attimo”, rispose Haruhi, secca. “Sentite anche voi?”.
“Sentiamo cosa?”, domandò Riccardo.
“Se tacessi sentiresti, no?”, sibilò il capitano.
“Io non sento assolutamente nulla”, bisbigliò Elena. “Sei sicura che non ti sei…”.
Fermi, se ci tenete alla pelle!”.
Improvvisamente, i tre si ritrovarono circondati. Dai tetti vicini erano balzati nel vicolo un quartetto di energumeni che sembravano usciti da un casting per le comparse di Ken il Guerriero: giacche di pelle strappate, pugnali dalla lama poco pulita stretti nelle mani callose, espressioni da folle… Due di loro avevano anche una cresta di capelli alta almeno trenta centimetri.
“Oh, per favore!”, esclamò Haruhi, spazientita e per nulla intimorita. “Certo che siete proprio banali! Se volete fare un’entrata in scena come si deve, almeno evitate una frase tanto trita e ritrita! La prossima volta cosa direte, “O la borsa o la vita!”?”.
“Non ci sarà una prossima volta… per voi!”, rispose uno di loro, leccando la lama del coltello con aria maniacale.
“A quanto pare non avete proprio capito”, la ragazza stava picchiando il piede per terra. “Siete noiosi. Avete capito o ve lo devo sillabare? E se fossi in te eviterei di fare quella cosa con la lingua. Non solo ti ci puoi tagliare ma la lama non mi sembra nemmeno molto pulita, non sai quante malattie strane ti puoi beccare al giorno d’oggi”.
“Non credo che tu li stia mettendo dell’umore giusto, sai?”, bisbigliò Elena, schiena contro schiena con Riccardo. Era chiaramente terrorizzata, ma cercava di non darlo a vedere.
“Ehi, capo! Questa tizia mi sta davvero sui nervi!”, berciò uno dei banditi, pelato e un po’ gobbo. Assomigliava vagamente a Gollum, ma era molto più brutto. “Posso ucciderla?”.
“Dai, anche questa scena l’abbiamo vista un mucchio di volte! Adesso tu ti avventerai contro di me e all’ultimo momento arriverà qualcuno a salvarmi”. “Capitano, per favore, stai zitta!”.
Il teppista che aveva leccato il coltello annuì. “Forza, falla fuori!”.
“Preparati, puttanella, sto arrivando!”, gridò il pelato, prima di lanciarsi contro Haruhi, il pugnale alzato.
“Continui ad essere troppo banale…”.
“Oddio, ci ucciderà!”.
“AAAAAAHHH!”.
ZING.
“AAAAHHH… eh?”, il teppista, arrivato ad un paio di metri da Haruhi, si voltò a fissare il proprio pugno chiuso con tanto d’occhi. Il pugnale non c’era più. “M-ma dove…”.
ZING.
Ai presenti fu tutto molto più chiaro, quando nel braccio dell’uomo si piantò una freccia, proprio sopra il gomito.
“AAAAAAAAAAAHHH!”, un altro urlo, stavolta di dolore. “Chi cazzo è stato, eh? Fatti vedere!”.
ZING.
Il terzo dardo si piantò ad un paio di centimetri dal piede destro del capo dei teppisti. Tutti e sette gli occupanti del vicolo alzarono lo sguardo.
“Volete che vi apra una seconda bocca? O anche un secondo buco del culo, non è che vada molto per il sottile”. Sul tetto, con una quarta freccia già incoccata, c’era una donna vestita con un gi bianco, i lunghi capelli neri legati in una coda alta da samurai che galleggiavano nel vento in maniera molto coreografica.
“Ecco!”, Haruhi schioccò le dita, fissandola con approvazione. “Questa è un’entrata in scena quantomeno sufficiente!”.
I teppisti, dal canto loro, non erano così contenti. “B-bastarda!”, le gridò contro il capo, che però se la stava dando a gambe. “La prossima volta non andrà così, te lo garantisco!”.
“Prevedibile anche nell’uscita di scena, eh?”, commentò Haruhi, guardandoli allontanarsi.
La nuova arrivata balzò davanti ai tre, atterrando nella polvere del vicolo con la leggerezza di un gatto. Vista da vicino sembrava un po’ mascolina – braccia ben tornite e lineamenti duri e affilati – ma era senza dubbio una donna affascinante. “È un po’ che vi seguo”, spiegò con voce roca. “Sbaglio o ho sentito che state cercando un maestro di tiro con l’arco? Sarei lieta di aiutarvi”, e si esibì in un sorrisetto accattivante.
Elena e Riccardo si guardarono.
“È fortissima!”, disse lei.
“Ha delle tette da favola!”, rispose lui.
“La prendiamo!”, esclamarono all’unisono.
“Ehi!”, sbottò Haruhi. “Sono io che devo decidere se la prendiamo o meno! Sono io il capitano!”.


Ed e Kusanagi entrarono nel sancta sanctorum in silenzio, quasi circospetti. Anche se ormai erano entrati nel numero dei Santi da quasi un anno, quel luogo tanto solenne e silenzioso riusciva ancora a metterli in soggezione.
Allineati contro la parete di destra attendevano Gray, Saber e Kurama, che dovevano essere da poco tornati dalla loro missione presso il Consiglio. L’unica altra presenza sedeva sul trono in fondo alla stanza, e li fissava con un sorrisetto ironico. “Oh, ecco Ariete e Toro!”, disse la giovane donna in gilé di pelle e pantaloni di taglio militare. “Nel prato a pascolare, come al solito?”.
“Questa battuta non fa ridere da parecchio, Steph”, la rimbeccò l’alchimista, le braccia incrociate.
“Stephanie non c’è, ora”, rispose lei secca, alzandosi in piedi. “Solo Critical”.
“Già, vero”, concesse lui con un ghigno. “Lei non farebbe mai una battuta così cretina”.
“Dove sono gli altri?”, domandò Kusanagi, per evitare che i due venissero alle mani. Quando hai a pochi metri di distanza un alchimista e un’ex-supercattiva che per di più possono usare il Cosmo, è tutto nel tuo interesse non farli litigare. “Siamo solo noi sei?”.
“Leone, Scorpione e Vergine stanno scortando la signorina Anthy”, spiegò Critical Maas. “Bilancia come al solito è andato ad infilarsi in qualche grotta per giocare all’eremita… E Sagittario sta cercando Cancro”.
“C-cancro?”, balbettò Ed; all’improvviso, sembrava spaventato. “Perché, è…”.
“Scomparsa di nuovo, sì”, completò per lui il Santo dei Gemelli. “Sai com’è fatta, lei e quel trio di spostati che si porta dietro”.
“E quindi, che facciamo?”, domandò Kusanagi, lo sguardo che si spostava dalla donna agli altri tre Cavalieri d’Oro. “Siamo sei su dodici… Non sarebbe meglio aspettare di essere tutti presenti per una riunione ufficiale? Oppure avete scoperto qualcosa di interessante sul conto di Akio Ohtori?”.
“Il nostro non era un lavoro di investigazione, Kusanagi-san”, rispose Kurama in tono rilassato. “E la signorina Anthy ci ha detto più di una volta che preferisce indagare personalmente su suo fratello, visto che è quella che lo conosce meglio e sa quali sono i suoi schemi di pensiero”.
“E quindi, Gemelli?”, domandò Ed, facendosi avanti, faccia a faccia con la donna (anche se in realtà il suo viso era almeno quindici centimetri più in basso di quello di lei). “Ci hai chiamato qui senza un motivo, solo per dimostrare che essendo il capo potevi farlo?”.
Critical scoppiò a ridere, un suono sprezzante che non sarebbe suonato male in bocca alla cattiva di un film di serie B. “Beh, ovvio, avrei potuto farlo”, rispose, tornando ad accomodarsi sul suo trono. “E l’ho anche fatto, un paio di volte”. Tacque, e Ed e Kusanagi iniziarono a pensare che avesse finito. Dopo essersi riaccomodata, però, riprese a parlare. “Ma non è questo il caso”.
“Potresti anche piantarla di essere così criptica e dirci quello che devi”, ribatté l’alchimista.
Critical si appoggiò contro lo schienale, la schiena lievemente inarcata, e fissò il ragazzo dall’alto verso il basso. “Perché sei così cattivo, piccolo Ed?”, domandò, in un tono finto contrito. “Vuoi forse privarmi del mio unico divertimento?”.
A CHI HAI DATO DEL…”.
“Calmati, Ed”, disse Kusanagi, poggiando una mano sulla spalla dell’alchimista. Attraverso il tessuto leggero della canottiera, poteva sentire il braccio metallico vibrare. “È assolutamente inutile arrabbiarsi”.
“Già, piccolo Ed, non fare il bambino; dai retta al tuo fidanzato”, ghignò Critical.
“Santo dei Gemelli, devo richiamarla all’ordine. Sta abusando del suo potere”.
Tutti si voltarono piuttosto stupiti verso Saber, che era rientrata nella sua tipica posa impenetrabile. Molto difficilmente la ragazza parlava, a meno che non le fosse richiesto. Critical era la più sorpresa di tutti: la sua faccia sembrava quella di qualcuno che ha appena sentito un odore sgradevole; dopo qualche secondo, però, riprese contegno. “Hai ragione, Capricorno: mi sono lasciata prendere troppo la mano”, disse, in un tono tanto serio che nemmeno sembrava possibile potesse uscire dalla sua bocca. “Comunque vi ho riuniti qui per un motivo ben preciso, stavolta. Ho delle fonti, sparse in giro per l’Universo; fonti affidabili, nel caso ve lo stiate chiedendo, e che ci tengono a rimanere anonime. E beh… Pare che una di queste fonti abbia ottenuto delle informazioni importanti su un pianeta scoperto di recente”.
Gli altri cinque Santi erano improvvisamente molto attenti. “Aspetta, Gemelli”, disse Gray, come al solito con indosso solo i pantaloni. “Stai parlando di…”.
Lei annuì. “Sì. Intendo proprio quella. La Civiltà Perduta”.



ELENA: La nostra salvatrice è stata davvero formidabile!

RICCARDO: Spero che la prossima volta troveremo anche qualcuno che possa addestrare me, però…

MARCO: Io invece mi auguro che facciano vedere anche me e Pietro; più che essere attaccati da un vaso di fiori stavolta non abbiamo fatto.

PIETRO: Sì, dai, di sicuro ci sarà spazio anche per noi!

MARCO: Ti vedo stranamente ottimista...

RICCARDO: Il settimo capitolo di “Il cielo è un’ostrica, le stelle sono perle”, si intitola “Dallo splendente mare al mare”. Non perdetelo o verremo a casa vostra a pestarvi!

ELENA: Come mai questo titolo poetico?

MARCO: In realtà pare sia un indizio sul personaggio che apparirà la prossima volta, ma è abbastanza incomprensibile…










Ed eccoci di nuovo qui, con il sesto capitolo! Finalmente la parte introduttiva è conclusa e si inizia un po’ a entrare nel vivo delle vicende… circa. La verità è che per il momento continuano a saltare fuori un sacco di nuovi personaggi, eh?XD
Ah, piccola precisazione: teoricamente l’arciera che compare in questo capitolo viene dal manga “Drifters” di Kouta Hirano… Il problema è che il personaggio in questione nel manga è disegnato in maniera abbastanza ambigua, e quando lessi i primi capitoli pensai che fosse una donna. Cosa che invece non è.XD
Dopo che scoprii l’amara verità, però, decisi di lasciare le cose come stavano; quindi è vero che l’ispirazione per il personaggio viene da quel manga, ma si tratta in effetti di qualcosa di diverso. Spero sia tutto chiaro!

E ora passiamo alle risposte alle recensioni!
Per Morens95: guarda, per me Fullmetal Alchemist è solo ed esclusivamente la prima serie animata. Fine. Il manga e Brotherhood non mi piacciono e faccio semplicemente finta che non esistano.XD

Per Anonimo: Sì, la citazione del titolo viene da Abenobashi ma è tutto qua.XD Vediamo se stavolta ci azzecchi, invece!
Comunque vabbé, chissà se Shin sarà contento di avere almeno un fan!



Saluto di nuovo anche AyuChan Uchiha, visto che so che attendeva questo capitolo!^^/

E anche per stavolta abbiamo finito! Al prossimo capitolo, vi aspetto!
Davide

  
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