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Autore: Isangel    21/06/2010    9 recensioni
Un matrimonio combinato. Un odio profondo. Un amore dissoluto.
Sicilia, seconda metà dell’Ottocento. Marianna è una contadina ventenne allegra e impavida, amata da tutti gli abitanti di Santoro, il villaggio in cui è nata e cresciuta. Orfana di madre da quando aveva dodici anni, Marianna vive con il padre vedovo e lavora nei campi con la madrina Pinuzza, moglie del pescatore Calogero, e sua figlia quattordicenne, Tiziana.
L’arrivo inaspettato di don Pietro Ripamonti, il nuovo padrone delle terre su cui si estende il paese dalla morte del padre, getta nello scompiglio la sua vita. Il villaggio è sotto le tormentose angherie dei suoi cortigiani e l’unico modo per calmare le acque è offrire uno sposalizio. Essendo l’unica donna nubile del quartiere, Marianna si sacrifica per sposare il giovane e dissoluto conte.
Pietro è più che felice di accettare Marianna come sua sposa, avendole già messo gli occhi addosso.
L’odio che la ragazza nutre per il marito oscura completamente il desiderio che lui prova sin dall’inizio. I rapporti tra i due sono tesi e complicati: lui, dominatore stoico e deciso, non riesce a sottometterla e lei, fiera e indipendente, non ha intenzione di lasciarsi calpestare.
Solo quando entrambi abbasseranno l’ascia di guerra, a bordo di una barca sul mare sotto il cielo di luglio, le prospettive cominciano a cambiare.
Pietro vede Marianna come la sua unica donna, la sola per cui nutre un rispetto profondo e sincero. Marianna comprende più che mai che quello che riteneva il demonio in terra è una persona con un cuore, sepolto dall’antico dolore per la morte dell’amata sorella, Laura.
Entrambi si amano appassionatamente, in un amore senza veci e denso di possessione urticante e bruciante. Un amore malato che sarà diviso da un’imminente tragedia, in cui Pietro vede la sua unica donna nelle vesti di un angelo paradisiaco. E quando tutto finisce, entrambi capiscono ciò che da molto tempo temono.
Perché non è difficile lasciarsi incantare dai dolci occhi di Marianna, celesti come il cielo di luglio.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Come il cielo di luglio

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3.

Marianna Bruno si offre per lo sposalizio con don Pietro Ripamonti.

Le tristi nozze

 

Il giorno dopo, riprendere il lavoro fu molto difficile per Marianna. Aveva le membra indolenzite per il troppo movimento e la testa le girava ogni tre per due. Tuttavia si fece forza. Si preparò lentamente, per poi passare a prendere Pinuzza e Tiziana con il padre.

Michele camminava al suo fianco stancamente, il volto cereo.

“Papà, ti senti bene?”, chiese Marianna, tremendamente preoccupata.

Michele annuì, ma Marianna non ci cascò. “Papà, stai a casa. Ci manca che mi svieni per strada. Farò anche il tuo settore, a costo di starci fino a domani mattina, davvero”, lo rassicurò, afferrandogli la spalla.

“Non puoi capire, Marianna. Giovane sei”, sussurrò Michele, gli occhi marrone scuro fissi nei suoi.

Senza rendersene conto, si fermarono in mezzo al viottolo. Si osservarono attentamente per un paio di secondi, l’uno di fronte all’altro, la mano di Marianna sulla spalla del padre. E lei comprese che c’era qualcosa di ben più grave che minava la tranquillità di Santoro, qualcosa di terribile e misterioso. Chissà come, si rammentò dell’inquietudine delle donne il giorno prima. “Papà, non mentirmi, che diavolo sta succedendo?”, chiese, la voce lievemente isterica.

Michele si allarmò per la preoccupazione della figlia, e si affrettò a minimizzare. “Niente, Marianna, davvero”

Gli occhi chiari di Marianna si oscurarono come il mare in tempesta. “Papà, non sono più una bambina, ho quasi vent’anni! Che cosa sta succedendo?”

“Marianù…”, sospirò Michele, ma un rumore improvviso lo ammutolì.

Marianna aguzzò le orecchie, in allerta. Un sordo scalpiccio lontano si propagò nell’aria come uno sciame di api, atterrendola. Marianna era grata che nessuno dei paesani utilizzasse spesso i cavalli, avendone una cieca e sorda paura. Deglutì a forza, già in profondo panico.

Accadde in un attimo.

Michele la spinse contro il muro di una casa vicina, il tempo per evitare che l’enorme squadrone di cavalieri li travolgesse. Le si bloccò la gola, incapace di urlare, respirare o fare qualsiasi altra cosa. Non capiva che cosa stesse accadendo, chi fossero quelle persone quasi più numerose dell’intero paese, ma, soprattutto, che cosa ci facessero lì. Si tappò le orecchie come una bambina, le lacrime agli occhi per la paura. Percepì a malapena l’abbraccio rassicurante di suo padre, che tentava di trasmetterle un minimo di conforto.

Ma Marianna non capiva, non avvertiva niente. Solo un brutto presagio e tanta voglia di piangere.

Mamma, dimmi che succede… perché lo sai, vero?  

“Se ne sono andati, tesoro mio. Sono andati. Sono andati via…”. Marianna sentì la dolce carezza di suo padre sulla guancia e cominciò a respirare.

Non sentì nemmeno gli strilli disperate delle donne e le grida assordanti dei contadini nelle vie. I pianti dei bambini non erano per la gioia di vivere. Marianna rabbrividì, gettandosi nelle braccia di Michele. 

“Ecco che cosa sta succedendo, figlia mia”, le sussurrò Michele in un orecchio, disperato. “Il signore di Ripamonti è tornato”

 

* * *

 

Passarono esattamente due settimane dalla festa del raccolto e Marianna cadeva sempre di più nella depressione. Era sempre più difficile tollerare i commenti osceni dei guardiani di don Ripamonti, sempre più complicato lavorare con le strilla di uomo, donna o bambino risuonare per i campi. Marianna aveva paura. Non per sé stessa –probabilmente era l’ultima cosa a cui pensava-, ma per i suoi cari. Non avrebbe sopportato se quegli schifosi avessero messo le mani addosso a Tiziana o avessero maltrattato Pinuzza. O peggio, suo padre. Calogero probabilmente era quello che correva meno rischi, sempre all’aperto sulla sua piccola barchetta.

Marianna immaginò di essere un uomo. Michele le ripeteva sempre che, se fosse stata davvero un maschio, l’avrebbe vista bene come un soldato: forte e irruente, ma sempre leale.

Ma, purtroppo, così non poteva essere. Era una fimmina, e fimmina sarebbe rimasta. Ed essere una donna, in Sicilia, alla fine dell’Ottocento, equivaleva solo a una creatura dedita alla procreazione. Cosa completamente raccapricciante per un tipo romantico e puro come Marianna. Sapeva che la vita non era una favola, ma ancora ci sperava. Alla fine, era l’ingenuità che la fregava sempre.

Due settimane di terrore, angherie e frustrazione, finché non si giunse al punto di non ritorno.

Si indisse una riunione speciale.

 

* * *

 

Pietro Ripamonti sospirò, scocciato. Lamanna era davvero una gran perdita di tempo, lo aveva sempre saputo. Non aveva fatto altro che mandargli rapporti identici e privi di tono, noiosi solo alla loro vista apparentemente innocua nella busta gialla.

Pietro aveva ventisette anni e le lettere non gli erano affatto sconosciute. Aveva cominciato a maneggiarle dieci anni fa, quando il padre cominciò a venire a meno in quella famiglia così disastrata. Nonostante tutto, però, non si era ancora abituato a quella seccante inflessione monotona. Sbuffò nuovamente.

Bussarono alla porta, motivo di ulteriore scocciatura per il signore.

“Avanti”, ordinò, burbero.

“Voscenza, vi devo comunicare urgentemente una cosa”. Guido Lattuca si fece spavaldamente avanti, i grandi baffi sporgenti dal viso ossuto e cavallino.

Pietro si accigliò, turbato. “Che c’è?”

“Non sono capo guardiano da nemmeno due settimane e questi contadini rompono perché la smettiamo!”, si lamentò Lattuca, allargando esasperato le braccia. 

Pietro sbuffò. “Ci mancavano pure i contadini… starsene buoni no? Che cosa dicono?”, chiese, la bocca piena piegata in una smorfia.

“Dicono che vi sono troppi soprusi, che Voscenza è un criminale, un dissoluto, un corrotto e chi più ne ha ne metta… che devo fare, Voscenza? Schiacciarli?”, propose divertito Lattuca.

Pietro ghignò. Era strano essere già giudicato come un infallibile criminale in appena due settimane da dei contadini cenciosi. Forse aveva stabilito un nuovo primato. Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello che magari i suoi provvedimenti fossero davvero troppo drastici. Ma Pietro era convinto che quella gente aveva bisogno di stimoli per tornare a lavorare come si doveva e scordarsi immediatamente la bella e comoda vita che facevano durante il governo del padre. Dovevano ringraziarlo, perché Stefano Ripamonti avrebbe fatto davvero di peggio. La rendita era calata veramente troppo. “Temo che facendo così non ci saranno più braccia per lavorare nei campi”

“Altri se ne trovano, Voscenza. Anche perché qui tra un po’ scoppia una rivolta. Io non ne posso già più!”

“Invece di lamentarti, perché non ti dai da fare per un accordo?”, disse Pietro, quasi mortifero.

“In realtà, ci avevo già pensato”

Pietro si irrigidì, alzando lentamente gli occhi sul capo guardiano. Aggrottò le sopracciglia, scettico, ma curioso. “Cioè?”

Il sorriso di Lattuca parve lontanamente inquietante. “Uno sposalizio”

L’espressione disgustata di Pietro fu molto eloquente. “Scherzi? Dovrei sposarmi con una contadina?”

“Certo! Perché no? Almeno vi garantite la stirpe, Voscenza! E poi, belle fimmine ce ne sono qui a Santoro. Lo sposalizio è un rituale vecchio come il mio bisnonno, un modo ufficiale per garantire pace a lungo. Che ne dite?”. Lattuca strinse i denti, speranzoso. A dire il vero, quella era l’unica idea geniale che gli fosse balzata alla mente.

Pietro stette zitto. Non sapeva come controbattere o anche solo cosa pensare. Sapeva che un rituale del genere non avrebbe intaccato il suo casato. Certo, lo avrebbe impoverito, ma le entrate erano talmente alte da non doversi preoccupare più di tanto. Per quanto riguardava la gente, le chiacchiere non gli interessavano. Non più.

D’un tratto, il suo cervello gli inviò un segnale luminoso e appariscente. Pensò a Marianna Bruno… e la questione si fece interessante. Le donne nubili erano davvero poche a Santoro, lo immaginava con certezza. E se gli fosse andata male alla prima occasione, avrebbe chiesto esplicitamente di volerla. “E sia. Vada per lo sposalizio”

Lattuca annuì, seccamente. “Certo, Voscenza”. Si voltò, marciando come un soldato verso la porta.

“Ah, Lattuca?”, chiamò Pietro.

“Si, Voscenza?”

Pietro chiuse con un gesto secco le corrispondenze, gli occhi scuri resi più incavi e vivi dalla penombra. “Prima di inaugurare il tutto, portami il nominativo”

 

* * *

 

Marianna osservò inquieta la calca dell’intero villaggio di Santoro nella piazza. La folla brulicava, impaziente e scalpitante. I bambini piangevano affamati e stanchi, i ragazzini parlottavano tra di loro di cose ben più leggere, ignari della gravità della situazione.

Marianna era appoggiata al lampione con il padre alla destra e Calogero alla sua sinistra. Osservava attentamente quel bruto capo dei guardiani, Guido Lattuca. Era rimasta paralizzata dall’altezzosità e meschinità concentrate in un tale individuo. Era alto e minuto, dai lineamenti affilati e lunghi come quello di un cavallo (e questo bastava per intimorirla). Il mento sporgente e ossuto era coperto poveramente dagli enormi mustacchi neri, risaltando malamente gli occhi neri e liquidi.

Marianna rabbrividì.

“Contadini di Santoro, giungo qui da un colloquio con don Pietro Trasi di Ripamonti”, annunciò a gran voce, catturando l’attenzione di tutti i paesani. Si schiarì appena la gola. “Abbiamo parlato e vi ha proposto un accordo. Obbligatorio da accettare”

“E che razza di accordo è allora?”, protestò sottovoce Calogero, seriamente indignato.

Michele annuì, costernato.   

Gli occhi di Lattuca perscrutarono un istante i paesani. “Voscenza offre uno sposalizio, in modo da garantire un vero e civile accordo con il popolo di Santoro. Questo matrimonio sancirà non solo l’unione di due anime, ma una conciliazione tra dipendenti e padrone”, tuonò, le labbra secche piegate in un rapido sorriso.

Marianna trattenne involontariamente il respiro. Perché sapeva qual era il rischio che tutte incorrevano. Sposarsi senza amore, per la carità della sua gente. Fece un rapido calcolo. Le uniche giovani in età da matrimonio, in tutto il paese, erano cinque, comprese lei e Tiziana. Venti e quattordici anni a confronto. Le altre, erano fidanzate con uomini di un altro paese.

Forse perfino Michele ci aveva pensato, perché si irrigidì brutalmente e fissò Calogero con la coda dell’occhio.

“Chi si offre?”, tuonò a gran voce Lattuca, gli occhi neri scintillanti nella forte luce mattutina.

Tutti tacevano.

“Chi si offre?”

Marianna tremò appena, le mani strette convulsamente in grembo per l’indecisione.

È questo il mio destino, mamma? Sposarmi come una martire?

“Non lo ripeto più. Chi si offre?”. La domanda era perentoria. E Marianna capì che quello era il prezzo per salvare suo padre e suoi cari.

Ora o mai più.

“Io”, urlò, alzando la mano.

L’intera folla si voltò verso di lei, gli occhi talmente spalancati da sembrare gufi impazziti. Perfino i bambini si erano fermati per ammirare la loro Marianna Bruno che si offriva come un agnello al macello. 

Un sorriso di approvazione balenò sul viso del capo comandante. “Il nome?”

“NO!”. Il grido disperato di Michele si propagò per tutta la piazza. Per poco non si scagliò contro la figlia, come se facendo un passo avanti potesse commettere una sciocchezza, ma il vecchio Calogero si affrettò presto ad afferrarlo.

Il labbro inferiore di Marianna tremò appena, ma la sua voce fu ferma e decisa. “Marianna Bruno, se lo segni”

“NO!”. L’altro grido di suo padre fu una pugnalata al petto. Chiuse gli occhi pieni di lacrime pronte a traboccare.

Scusa, papà. Ma l’ho fatto per te, per voi.

Lattuca segnò il nominativo su un pezzo di foglio, per poi infilarlo nell’angolo della giacca nera. “E sia”

 

* * *

 

Non appena Pietro Ripamonti venne a conoscenza del nome della sua futura sposa, chiuse gli occhi per un istante. Non riusciva a credere di avere avuto così tanta fortuna. Sapeva che sposare una donna solo perché suscitava un insano desiderio era sbagliato, ma non riusciva a pensare altrimenti. Un uomo si sposava solo per avere figli e assecondare di tanto in tanto la passione che si covava in corpo. Nessuno contraeva matrimonio per amore. A Pietro premeva più che altro garantire pace e obbedienza dei contadini fino alla morte e progredire la stirpe Ripamonti, di cui lui era l’unico  superstite. Per il resto, se Marianna non gli avrebbe aggradato più, avrebbe potuto avere amanti e relazioni clandestine, ovviamente mantenendole nell’anonimato come giusto che fosse.

Sorrise appena, rievocando alla mente quei sogni osceni che lo avevano torturato per due settimane. Era ricco, avrebbe potuto prendersela quella Marianna Bruno. Ma qualcosa nelle parole di Madantoni, la sera della festa del raccolto, lo avevano fatto in qualche modo desistere.

“Marianna Bruno ha molte qualità, è bella, sagace e intelligente, ma sa quello che vuole. I pretendenti non le sono mai mancati, sin da quando è diventata una signorina a tredici anni. Eppure lei vuole scegliere quello giusto, piuttosto rimane zitella”

Il riso si allargò. Si alzò in piedi, le mani dietro la schiena, incurante della presenza fremente di Lattuca. Con un cenno, gli indicò il lungo e sontuoso abito da sposa che Pietro aveva fatto preparare alle serve per l’occasione steso sul lungo divano nero. “Datele questo. Di mia madre era”

 

* * *

 

Disperazione. Marianna non avvertiva altro dentro di sé. Nonostante fosse consapevole di aver fatto la scelta giusta, dall’altra sentiva che avrebbe potuto comunque trovare una scappatoia.

Fuggire da quell’inferno.

Non sopportava le lacrime silenziose del padre, dei silenzi sovrastanti di Calogero o dei pianti isterici di Tiziana e Pinuzza. Non riusciva a guardare in faccia i suoi compaesani che, in una muta gratitudine, le carezzavano la schiena o le toccavano la spalla. Non ce la faceva più.

Desiderava che tutto questo finisse presto.

Odio. Marianna era accecata da quel sentimento sconosciuto, tanto intenso da farle male. La mamma le diceva sempre che odiare era sbagliato e peccaminoso. Si doveva volere bene al prossimo sempre e comunque. Ma Marianna si ripeteva che quello non era il suo caso. Don Pietro Ripamonti l’aveva praticamente costretta sposarlo. Non aveva avuto scelta. Era come se sapesse che in paese solo lei e Tiziana fossero disponibili per uno sposalizio. Lo odiava. Con tutta se stessa.

Marianna non aveva mai avuto relazioni intime con un uomo, e nessuno aveva mai osato sfiorarla. Era bella e completamente intaccata nella sua purezza. Mala fimmina non era. Non avrebbe mai immaginato che si sarebbe sposata per salvare i suoi paesani dalla schiavitù, come una giovane e incessante martire. Ogni sera pregava il Signuruzzu, la Madonna e sua madre Lucia, per proteggerla dal male che lui poteva farle. Non aveva mai visto don Pietro Ripamonti, né suo padre prima di lui. Non riusciva neanche a immaginarlo. Non sapeva se era giovane o vecchio, se era brutto o bello, se era romantico o passionale. Niente di niente. Per lei era solo un nome. Un nome che ben presto si sarebbe tramutato in un uomo con desideri e appetiti da soddisfare. E lei, da brava moglie, doveva obbedire.

Il giorno prestabilito delle nozze, nessuno si premurò di asciugarle le lacrime che involontariamente le scorrevano sulle guance. Mentre le donne le infilavano il magnifico e sontuoso vestito che il padrone si era premurato di consegnarle, Marianna si fissava allo specchio, incapace di pensare a qualcosa di positivo. Sapeva che suo padre si sentiva in colpa per non essere riuscito a fermarla e se ne doleva. Ma di certo non avrebbe permesso che fosse stata Tiziana ad occupare il suo posto, quando era solo una bambina che doveva esplorare il mondo per quello che era. Mai e poi mai.

Marianna percorse la lunga navata al braccio del padre, il lungo strascico retto da Pinuzza e un’altra donna della sua età. Fu allora che lo vide per la prima volta.

Era senza dubbio un bell’uomo. Marianna non aveva mai visto una figura così alta e imponente. Dall’abito da cerimonia si scorgevano perfettamente i muscoli snelli e longilinei, più simili a quelli di una bestia pronta a scattare che di un uomo. I capelli erano lisci e scuri, leggermente spettinati dal vento che scorreva nel corridoio della microscopica chiesa di Santoro.

E i suoi occhi. Erano di un colore naturalmente bellissimo, nocciola. Ma privi di emozione.

Marianna, troppo distratta e addolorata, non ascoltò una sola parola del prete e si voltò a guardare da un’altra parte.

Una lacrima scorse solitaria lungo il suo zigomo, e non era di gioia.

Per la prima volta in vita sua, Marianna voleva morire. 

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http://www.centrosposiparadiso.it/modelos/a8212d_ottocento%20%5B640x480%5D.jpgL'abito da sposa 

Grazie a tutti, davvero. Vedere che tanta gente segue questa storia, peraltro probabilmente scritta in modo orrendo (ho tentato di scrivere in terza persona, che non è proprio il mio forte), non fa che riempirmi di gioia. È bello sapere che a qualcuno piace ciò che scrivi e con la quale vuoi comunicare qualcosa, racconto o trattato filosofico che sia. Grazie!

La storia sta entrando nel vivo e finalmente potremo seguire l’evoluzione del loro pseudo rapporto (dopotutto, Marianna è stata obbligata a sposarlo!).

Eccovi un piccolo spoiler, per chi potesse gradirlo:

 

“E così, mia cara Marianna, ti sei offerta volontariamente per sposarmi”, esordì Pietro, rivolgendole lo sguardo.

Marianna non si fece intimidire né dagli occhi nocciola e pieni di un sentimento che non riusciva a decifrare né dalla voce stranamente roca. Ci voleva ben altro per spaventarla. “Proprio così, Voscenza”, confermò, secca.

Pietro sbuffò. “Voscenza… come siamo formali. Siamo marito e moglie, adesso, Marianna. Un unione consacrata da Dio. E ho un nome”

Marianna si irritò così tanto da temere che le venisse un’orticaria. “Come vuoi, Pietro”, lo provocò.

La scintilla di indignazione che lampeggiò nelle iridi nocciola di Ripamonti bastò per soddisfarla internamente. Era evidente che il cambio di persona non era stato affatto di suo gradimento.

 

Al prossimo capitolo, che posterò il più presto possibile!

  
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