Chilling Pills.
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
5
- Kazakistan
SBAM!
La Jeep color
verde militare ondeggiò alla furiosa chiusura della portiera, mentre
l’occupante che ne era scesa, livida in volto dalla rabbia, si allontanava
percorrendo a passo svelto il cortile infangato del campo base.
Il cielo plumbeo
aveva iniziato a scaricare le prime gocce di pioggia gelida direttamente sulla
sua testa bionda, ma lei, Nina Williams, quasi non se ne accorgeva tanto era
arrabbiata.
Entrando dentro
una delle baracche, chiudendo la porta con un calcio, lasciò cadere a terra il
pesante zaino per poi sedersi su una sgangherata sedia che scricchiolò in
maniera inquietante.
Un paio di minuti
dopo la porta si riapriva, e Nina rivolgeva il suo sguardo gelido e sprezzante
verso l’uomo comparso sulla soglia.
Non che Sergei
Dragunov si aspettasse realmente un saluto migliore, ma l’espressione di Nina
aveva avuto il potere di guastargli la giornata. Giornata che, dopo un
bombardamento ben riuscito, era stata dal suo punto di vista radiosa. “Ben
arrivata.” Disse, gustandosi il suo classico sigaro post combattimento. “Fatto
buon viaggio?”
Nina voltò lo
sguardo da un’altra parte, fuori dai vetri rigati di pioggia della finestra,
verso il cortile dove un mezzo blindato stava transitando.
“Volkov ti vuole
vedere per fare il punto della situazione e per darti ragguagli sulla missione.
Hai tempo mezz’ora.” Spiegò, cercando di non mostrarle quanto fosse realmente
infastidito dal suo muso lungo. Non ottenendo reazione, con una leggera smorfia
di insofferenza Dragunov richiuse la porta della baracca, per poi avvicinarsi
di più alla donna, chinandosi per averla ad altezza del viso. “Quattro mesi
senza vederci e questo è il tuo saluto?”
L’espressione che
gli rivolse Nina avrebbe potuto far congelare un vulcano in eruzione: “Quattro
mesi? Così pochi in confronto a quelli che ho speso cercando il mio obbiettivo, facendogli piazza pulita
intorno e trovando il modo di eliminarlo senza
attirare troppo l’attenzione generale. E quando sono ad un passo – ma che dico,
a tre centimetri! – dal completare la mia missione… tu che fai? Mi fai
trascinare in questa landa fangosa a cercare quattro mentecatti di merda
nostalgici Mishima e con deliri di
onnipotenza? E ti aspetti che faccia persino
i salti di gioia nel rivederti!”
“Guarda che non è
stata una mia idea… so benissimo che prediligi le missioni pulite da agente snob quale sei.”
“Agente snob? Razza d’un cretino, è
quello il mio RUOLO! Come il tuo è quello di andare a combattere a destra e a
manca puzzando come una capra.”
“Sono un soldato,
sono addestrato a ciò ed eseguo gli ordini senza far tanto il difficile, al
contrario di te.”
“Se sono qui,
significa che anche io ho eseguito gli ordini – di certo non sono arrivata a
casa di Borat per vederti. Stavo benissimo a Londra, in quello splendido sushi
bar pronta ad avvelenare la spia nemica.”
Il soldato scattò
in piedi, allontanandosi come se avesse preso la scossa: “TSK! Sushi bar… tu e
la tua stupida ossessione per il pesce crudo. Ne vuoi un po’? Beh, c’è un fiume
a tre chilometri, prendi una rete e vattelo a pescare il tuo cazzo di sushi!”
“Imbecille”
“Stronza”
Seguì qualche
minuto di silenzio, in cui Dragunov cercava di smaltire la furia guardando
anche lui il cortile, prima che Nina si alzasse dalla sedia e gli chiedesse
dove si trovasse il colonnello Volkov.
“La casupola in
fondo a destra è il suo ufficio” rispose l’uomo stancamente, avvicinandosi. In
fondo Nina non aveva tutti i torti ad essere furibonda: era stata appena
costretta a buttare alle ortiche il lavoro di quasi un anno. Il più era
convincerla che non c’entrava nulla, e che per quanto non vedesse l’ora di
ritrovarsela davanti, l’idea di chiamarla in Kazakistan tra i rinforzi gli
aveva fatto storcere il naso. Le appoggiò una mano sul braccio, attirandola
appena a sé. Riuscì a catturare il suo sguardo, avvicinando le labbra alle sue.
Con un colpo secco
in pieno petto, Nina Williams lo spedì sulla sedia, che rovinò a terra sotto il
peso dell’uomo. Senza indugiare oltre la donna uscì lasciandolo gambe all’aria
sul pavimento.
Imprecando
sonoramente, Dragunov si rialzò scivolando sui pezzi frantumati della sedia.
Doveva ammetterlo:
adorava quando faceva così. Già
pregustava la lotta per infilarsi nel suo stesso letto…
Alle h.23 della
stessa notte, montando di vedetta al campo base, Sergei Dragunov si era
ritrovato a pensare con nostalgia al bromuro che gli rifilavano nella minestra
in Accademia. Ma perché diavolo era diventato illegale? Neppure il diluvio
sotto cui faceva la guardia gli faceva passare il nervoso al pensiero di Nina a
pochi metri da sé, in branda, algida ed intoccabile.
Ne era uscita dal
colloquio con Volkov guardandolo con sufficienza, sibilandogli di starle alla
larga, perché c’era in gioco una sua promozione e non ne aveva la minima
intenzione di lasciarsela sfuggire a causa di una qualche distrazione
assolutamente irregolare.
Aveva dissimulato
il tutto con una smorfia ovvia: e che pensava quella, un trattamento di favore
solo perché era sua moglie? Erano in missione, non in luna di miele!
Fanculo
a Volkov…
Alle 5 di mattina
rientrò nel suo alloggio – la casupola
dalla sedia distrutta in cui aveva avuto il primo incontro con Nina, il
giorno precedente- completamente zuppo d’acqua, assonnato – non dormiva da
quasi ventiquattro ore - innervosito ed
imprecante.
E con sommo
stupore si ritrovò davanti a Nina che si allacciava la tuta militare. “Che ci
fai qui?”
Senza voltarsi,
annodandosi i lacci degli anfibi, la donna gli aveva spiegato che non c’era
posto nell’accampamento femminile, e così aveva avuto il permesso di dormire,
per quella notte, nell’alloggio del Sergente, dato che era di guardia. “Ti ho
lasciato il letto caldo, tesoro”
aggiunse poi, con una smorfia irrisoria.
“E tu ora dove
vai?”
“In
perlustrazione: mi hanno affidato alla squadra di Pavlov.”
Per sua fortuna la
dissimulazione era il suo forte. Dopo aver augurato buona fortuna alla moglie –
e una morte lenta e dolorosa a Pavlov - si era gettato sul letto, accontentandosi
di avere fra le sue lenzuola solo il profumo di Nina.
Poche ore dopo era
stato svegliato di botto da un soldato semplice, con la comunicazione di una
convocazione urgente da parte di Volkov.
Dopo neppure un quarto d’ora aveva assunto il
comando della sua squadra e si era lanciato sulla scia della squadra di
perlustrazione di Pavlov: doveva aspettarselo che quel coglione si sarebbe esposto al fuoco nemico.
Come
mandare a puttane un’intera operazione. Con Nina appresso, poi!
Sbuffando,
controllò di nuovo il suo equipaggiamento, intimando all’autista del mezzo
blindato di accelerare.
Sotto la pioggia
battente, con la luce del giorno che si affievoliva di minuto in minuto, il
fitto bosco dove avevano perso il segnale dei compagni cominciava a somigliare
all’Amazzonia.
Si erano divisi,
restando in contatto via radio. Un paio dei suoi avevano ritrovato un cadavere
di un commilitone. Un altro era riuscito ad avvistare Pavlov ferito, e stava
prodigandosi per andare a soccorrerlo. Vincendo il desiderio di ordinargli di
lasciarlo crepare in quel bosco, Dragunov aveva acconsentito.
All’appello mancavano
ancora tre membri della squadra, compresa Nina.
Dragunov avanzava
lentamente, facendo il meno rumore possibile, mimetizzandosi nella vegetazione,
mentre gli occhi iniziavano a bruciarsi per lo sforzo di restare vigili nella
semioscurità.
Uno strattone alla
schiena lo fece cadere all’indietro, mentre il fischio di un proiettile gli
passava a pochissimi millimetri dal volto andando a conficcarsi nel tronco di
un albero e gli occhi celesti di sua moglie gli si piantavano in faccia. “C’è
un cecchino appostato sull’albero di fronte. E’ tutto il pomeriggio che cerco
di colpirlo: sei fatto apposta per rovinare i piani alla gente tu, eh?” sibilò.
Dragunov calcolò la traiettoria del proiettile che stava per colpirlo, poi
caricò il fucile e si alzò in piedi.
“Che stai facendo,
creti….!”
PUM!
Un urlo soffocato
e un tonfo.
Voltandosi
nuovamente verso la donna, non riuscì a trattenere un sorrisetto compiaciuto “C’era un cecchino. Ma grazie a me
abbiamo un problema in meno.”
“E grazie a me non
hai la testa aperta in due come un melone. Chissà quanta segatura ne sarebbe
uscita.” Rispose Nina accettando la mano che l’uomo le stava porgendo. Notando
una grossa macchia di sangue sulla casacca, l’uomo le domandò se fosse ferita.
“Oh, tesoro, non far finta di non conoscermi.
Sai benissimo che questo sangue non è mio!”
….Quando si parlava di dolce metà, eh!
“Andiamo, immagino
non ti garbi campeggiare in questo posto, vero?”
“Puoi giurarci.
Non vedo l’ora di farmi una doccia calda!” Pigolò la donna, stropicciandosi le
membra fradice.
“TSK! Doccia calda
al campo base? Ma dove pensi di essere, in villeggiatura?”
Nina stava per
aprire la bocca per insultare pesantemente lui e tutto l’esercito, quando la
voce di Volkov alla radio gli aveva richiamati all’ordine per dargli le ultime
direttive.
La notte era scesa
senza che la pioggia smettesse di scrosciare. “E’ difficile sentire i rumori
così.” Borbottò Nina, guardandosi attorno nella semioscurità che avvolgeva la
casupola semidiroccata che era diventata loro rifugio per quella notte.
Con l’oscurità che
avanzava e il nemico in agguato, Volkov aveva deciso di mandare rinforzi nel
bosco, sicuro di aver individuato la base nemica. Aveva comunque ordinato a
Dragunov di mantenere la posizione, essendo meno rischioso che tornare
indietro, e aveva individuato una vecchia catapecchia abbandonata dove si
sarebbero potuti rifugiare in attesa delle prime luci del mattino, in cui
avrebbero sferrato l’attacco decisivo.
Aiutandosi con il
suo visore notturno, decidendo fosse meglio evitare di accendere luci che gli
avrebbero fatti individuare, Dragunov aveva trovato una scala che conduceva ad
un piccolo scantinato. “Vieni di sotto, saremo più riparati.”
Intirizzita dal
freddo, Nina lo seguì, invocando un clemente fuocherello per riscaldarsi. “Non
sono abituata come te a questo genere di missioni” borbottò rabbrividendo.
L’unico mobilio
presente nello scantinato erano due panche rovesciate e zoppe, che Dragunov
rialzò e assicurò con qualche pezzo di legno sotto i piedi irregolari, per poi
unirle contro la parete dello scantinato. “Niente fuoco, ci individuerebbero.”
Spiegò brevemente, mentre la donna si sedeva e si raggomitolava su sé stessa
per preservare un po’ di calore. “Turni di guardia?”
“Direi di si.
Inizio io.” Si sedette al suo fianco, cingendole la vita e facendole appoggiare
la testa su di sé. “Andiamo Williams, sei sopravvissuta alla Kamkatcha!”
“Avevamo delle
coperte e un fuoco per scaldarci là.” Brontolò di rimando, avvicinandosi di
più, passando un braccio attorno alle spalle, aderendo ulteriormente.
“Dovresti
toglierti quei vestiti bagnati” consigliò l’uomo, aprendosi il giubbotto e
sfilandoselo dalle spalle. “Credimi, è meglio.” Aggiunse, indovinando lo
sguardo perplesso della donna. Frugò poi alla cieca nel suo zaino
d’equipaggiamento, trovando un paio di barrette energetiche.
“Uh, che gentile
che sei ad offrirmi una cena…” commentò ironica Nina, prendendone una e
divorandola.
Rimasero per un
po’ in silenzio, le orecchie tese che cercavano di captare qualche altro rumore
oltre a quello della pioggia che ticchettava sulle tegole rotte e sulle foglie
degli alberi.
Nina sembrava
essersi assopita, il respiro regolare che tremava e la pelle d’oca lungo le
braccia nude. L’uomo se la portò in grembo, abbracciandola meglio per cercare
di scaldarla. Abituato com’era al freddo e al dormire all’addiaccio, reputava
quella debolezza di Nina una lacuna enorme cui sopperire il prima possibile.
Eppure non riusciva a scrollarsela di dosso.
Con un sospiro
Nina sembrò risvegliarsi. “Stavo pensando una cosa.”
“…?”
“Domani potremmo
morire.”
“…!”
“Uau. Morire
insieme. L’apoteosi del romanticismo”
“Uhn…”
Con un movimento
fluido, Nina si mise a cavalcioni su di lui, passandogli le braccia attorno al
collo. Individuò il suo fiato caldo e appoggiò le labbra sulle sue. Ne stuzzicò
la lingua, aderendo al suo petto. Dragunov non la fermò, rispondendo al bacio,
cercando la pelle sotto la maglietta bagnata. La casacca bagnata scivolò sul
pavimento, la ricetrasmittente cadde sul pulsante d’accensione, ma loro non
sentirono il lieve brusio che emise.
“…un po’ pericoloso non trovi?”
Nina si fermò,
pensierosa. La intravide mentre sembrava contare qualcosa con le dita,
pensando. “Beh, in effetti… però…” Le sue labbra tornarono sul collo. “In
fondo, è un rischio che vale la pena correre, no?”
“Terrò il fucile a
portata di mano…”
“…?”
“Beh, insomma, per
ogni evenienza e…”
“Oh, Sergei, ma ‘sta
zitto un buona volta!”
“Colonnello Volkov,
stiamo ricevendo una comunicazione dal Sergente Dragunov, signore!”
“Ah-ha! Sono sicuro
che è andato in perlustrazione notturna e ha trovato qualcosa di interessante:
Soldato, metti in viva voce, voglio sentire i dettagli delle informazioni.”
“Sissignore!”
“…
Terrò il fucile a portata di mano…”
“…?”
“Beh,
insomma, per ogni evenienza e…”
“Oh,
Sergei, ma ‘sta zitto un buona volta!”
“…?”
“….!!”
Senza dire una
parola, qualcuno sopprimendo una risatina qualcun altro alzando la fiaschetta
di Vodka, l’intera base stava fissando l’altoparlante della radio.
“Co-colonnello…
ehm… che faccio, chiudo la comunicazione?”
Signore, a voi il
famoso capitolo del Kazakistan! E voi sapete cosa ne viene fuori!
Sono es-ta-sia-ta
dai vostri commenti! Resto senza parole!
Miss Trent, visto
che ho seguito il tuo consiglio?
Spero che anche
questa Pill vi scivoli in gola senza intoppi!!
Una buona giornata da
EC