Chilling
Pills.
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
6
– London Falling.
“Allora… Mini ricetrasmittente … c’è. Pistola con
silenziatore – ah, la mia cara Beretta 92,
anche. Colt di riserva…
ecco qui. Orologio multiuso… al proprio posto. Uhn…. Si, il filo nylon ogni tanto si inceppa, devo
ricordarmi di farlo controllare. Rossetto- bomba, ecco qui il mio tocco di
classe. Infine: latrotossina,
ottimo veleno: la vedova nera non sbaglia mai. Prendo su anche lo spray al
peperoncino? Ma si, tanto tiene poco spazio.”
Con movimenti
fluidi e calmi, come se stesse preparando il beauty case per un weekend fuori
città, Nina Williams faceva la cernita di tutto quello che le serviva,
nascondendo sapientemente le varie armi nella borsetta e nelle tasche. Si
ravvivò i capelli avendo ben cura di raccoglierli con un sottile ma appuntito
spillone, e si legò al collo una luccicante e robusta collana.
Ogni singolo
accessorio del suo guardaroba doveva poter essere utilizzato per raggiungere lo
scopo, niente veniva lasciato al caso.
Canticchiò un
motivetto mentre si ritoccava il trucco allo specchio: con dei cerchi scuri
attorno agli occhi, gli occhiali da sole non erano solo una formalità del suo ruolo.
Guardò il
risultato allo specchio con un sorrisetto compiaciuto, lisciandosi la camicetta
di seta verde lungo le curve perfette dei fianchi.
E’
tutto a posto. Cercò
di convincersi.
No
che non lo è. Ribatté un’odiosa vocina dentro di sé. Non lo
è affatto.
Era di una
settimana in ritardo.
Aveva la nausea da
quattro giorni.
L’odore del the
era diverso.
E lei conosceva
troppo bene quegli indizi.
Tanto più che, proprio
accanto al silenziatore faceva bella mostra un test di gravidanza ancora
impacchettato, acquistato un paio d’ore prima.
Ed ora
tamburellava le dita sulla superficie di marmo del mobile, indecisa se farlo
subito o meno.
Se
è positivo dovrei mandare all’aria la missione. Pensò. Aveva già sperimentato
cosa succedeva a portare a termine un compito del genere in quello stato.
Ma
se non lo faccio, non so se è positivo o meno e ho la coscienza a posto. No?
No.
Nina Williams
focalizzò la sua attenzione sulla sua immagine riflessa, mentre apriva
meccanicamente la confezione del test.
Dannato
Kazakistan.
Dannato
Dragunov.
E
dannata soprattutto la voglia costante che aveva di lui.
Camminava spedita lungo
il Millennium Bridge avvolta in un sottile
impermeabile scuro, gli occhi gelidi e nervosi nascosti dietro a degli occhiali
di Gucci del medesimo colore.
Per passanti era
un’elegante donna d’affari, indaffarata e frettolosa, che gettava un’occhiata
fugace alla facciata della Tate Modern Gallery con l’aria di chi dovrebbe decidersi prima o poi a
prendersi un pomeriggio libero per visitarla per poi girare per Canvey Street. Al civico 4 voltava quasi inconsapevolmente
il viso verso la vetrina del ristorante giapponese Tsuru, fermandosi come se si
ricordasse di non aver ancora pranzato e occhieggiando al menu in esposizione
con l’acquolina in bocca.
Ma
si, un veloce sushi ci può stare. Ne ho sentito parlare così bene di questo posto! Sembrava suggerire la sua
espressione. Dopo di che controllava nuovamente l’orologio Basta che sia veloce, però! Ed entrava.
Il bersaglio di
Nina, Vladimir Neitchenko, era seduto lungo il
bancone, e si stava giusto infilando un maki in bocca. Alla vista del piatto lo
stomaco le si attorcigliò improvvisamente, e fu davvero difficile dissimulare
la nausea che le era salita, mentre il cameriere le si avvicinava per ricevere
l’ordinazione.
La donna aveva già
aperto bocca per ordinare una porzione di sushi misto, quando la vocetta fastidiosa dentro di sé iniziò a pigolare: Ma non puoi mangiar pesce crudo!
Rimase un istante
con le labbra schiuse, a formulare questo pensiero con una nausea crescente. E non dovresti neppure essere qui.
“U- una bottiglia
d’acqua. Naturale, grazie.” Biascicò, aggiustandosi nervosamente gli occhiali
da sole. Neitchenko, al suo fianco, la stava
osservando con la coda dell’occhio. Merda.
Si è insospettito. Meglio battere in ritirata. Prese la bottiglietta
d’acqua, la pagò ed uscì con un sorriso tirato, bevendone un sorso e avviandosi
sempre a passo svelto dalla direzione opposta al suo arrivo.
Ecco che si era
impantanata. La sortita della sua coscienza infame l’aveva portata a commettere
un errore. Neitchenko era una ex spia, certi particolari
non passavano osservati: Ora probabilmente le stava dando sua volta la caccia,
ed ora era costretta ad anticipare le sue mosse, ad attirarlo in trappola.
Ma prima doveva depistare
un suo eventuale inseguimento.
Riattraversò il
Tamigi sul Southwark Bridge e proseguì sino alla
City, dove per giustificare la fretta in caso il suo bersaglio la seguisse
davvero, individuò una banca di cui era correntista e vi entrò per una banale
operazione di prelievo allo sportello, prolungata con domande e richieste di
informazioni inutili all’impiegata.
Uscita, cercò di
sembrare più rilassata e passeggiò con più calma, come se avesse fatto tutte le
cose importanti.
Comprò in edicola
il nuovo numero di Cosmopolitan, si soffermò a
guardare una vetrina e a provare un paio di scarpe, dopodiché riprese la
metropolitana a Mansion House e tornò in albergo
facendo un giro più lungo e tortuoso del solito, cercando di far perdere le sue
tracce nel dedalo di vie di Soho.
Appena entrò nella
camera, gettò impermeabile e occhiali sul letto, e si sedette stancamente.
Doveva trovare un piano che non la coinvolgesse troppo a livello fisico, e alla
svelta.
Ma soprattutto,
doveva riflettere.
Incinta di quattro
settimane e due giorni.
Da quell’incontro
avventuroso e pericoloso (sotto molti aspetti) con Sergei
in quella catapecchia del Kazakistan. Avrebbe dovuto resistere, avrebbe dovuto
starci lontana, no? Era la cosa più
logica da fare quando ci si ritrovava a migliaia di chilometri di distanza da
una farmacia e con il blister della pillola contraccettiva sul comodino del suo
appartamento a Mosca.
E invece, complice
la prolungata lontananza e l’eccitazione per il pericolo, gli si era lanciata
tra le braccia.
Nina,
che idiota che sei stata. E adesso?
E adesso avrebbe
dovuto per prima cosa completare la missione. E poi affrontare tutto il resto.
Non ne avevano più parlato della possibilità di aver figli, e vista la
disastrosa esperienza precedente, era stata ben attenta a non farne capitare
più.
Una cosa era
certa: questa volta Sergei l’avrebbe saputo da lei, a viva voce e a quattrocchi.
E
poi cosa succederà?
“Valuteremo
insieme il da farsi.” Si rispose, sospirando. Affondò la testa nel cuscino: non
riusciva ad immaginarsi madre, per quanto realmente già lo fosse, tanto quanto
non riusciva a prendere in considerazione l’idea di non tenerlo.
Sfilò dalla
borsetta il cellulare e cercò sulla rubrica il numero di Steve, sentendo la sua
voce si sarebbe schiarita le idee.
Sergei la chiamò dopo pochi minuti che
aveva riattaccato con suo figlio.
“’Sera Williams, tutto bene?”
“Ciao.
Si, si, va tutto bene.” Mormorò con un filo di voce, trattenendosi dal parlare
oltre.
“…Fatto?”
“Non
ancora. C’è stato un inconveniente, non ho potuto finire. Ma è questione di
ore.”
“Niente di grave, spero.”
Dipendeva
dai punti di vista… “Oh, no. solo un contrattempo.”
“C’è qualcosa che non va? Sei
strana.”
Nina
prese un respiro. Valutò bene prima di parlare, ma l’importanza del discorso
richiedeva che lui fosse davanti a lei. Voleva vederne l’espressione, voleva
capire realmente cosa pensasse. Non
poteva dirglielo per telefono. “Dobbiamo parlare.”
La
voce di Sergei si era fatta improvvisamente più
bassa, iniziando a parlare inglese. “Cosa
è successo?”
“Voglio
parlartene dal vivo al tuo ritorno.”
“La settimana prossima torno a
Mosca, avrò un paio di giorni di licenza. Se non avrai ancora finito potrò
raggiungerti a Londra.”
“Va
bene.”
“Williams, sei sicura di star
bene?”
Nina
sorrise. Sbagliava o quella era una punta di preoccupazione? Magari anche di
gelosia. Qualsiasi cosa fosse, proveniva da suo marito ed era indirizzata a
lei. Una cosa più unica che rara, parlando di Sergei Dragunov.
“Si.
Sto bene.”
La
stazione della metropolitana di Leichester Square all’ora di punta era affollata come al solito. Nel suo
cappotto Burberry in tartan beige, dietro ai soliti
occhiali scuri, Nina Williams attendeva il treno cercando di farsi venire in
mente un’idea su come risolvere la situazione. Il suo orgoglio e gli ordini del
comando le impedivano di lasciare libero un bersaglio senza neppure tentare
realmente di farlo fuori.
Ma
la sua lista delle priorità ora era cambiata.
Lascia stare, sai come è finita
la volta scorsa in cui hai deciso di portare a termine una missione. Sospirò stancamente la solita
voce interiore.
Aveva
sognato tutta notte quella goccia rubino che cadeva sul pavimento, tra i suoi
piedi, e che segnava il suo primo fallimento, la prima volta in cui aveva
pagato cara la sua attitudine omicida.
Si
sfiorò la tempia, colta da un lieve capogiro, poi si sforzò di prestare
attenzione all’annuncio dell’altoparlante. La donna vicino a lei spinse il
passeggino un po’ avanti, preparandosi ad entrare nel convoglio in arrivo.
Dentro, un batuffolo avvolto in una coperta rosa dormiva beatamente. Si ritrovò
a sorridere lievemente, decidendo all’improvviso sul da farsi.
Sarebbe
rientrata a Mosca, avrebbe fatto certificare il suo stato e si sarebbe ritirata
dalle missioni. Non per sempre, solo il tempo necessario.
Si
mosse verso il limite della banchina con la sensazione di essere osservata. Il
suo sesto senso, il suo istinto affinato da anni di clandestinità e di vita
mercenaria, l’avvertivano del pericolo. Si voltò lentamente, pronta a tutto,
mostrando quasi indifferenza.
A
tre metri di distanza, al di là della madre con la carrozzina e altre persone,
c’era Neitchenko.
Il mondo è fottutamente piccolo. Pensò, restando immobile.
Bluffa! Le impose il suo istinto.
Mentre
l’uomo rimaneva immobile a studiarne la prossima mossa, le labbra di Nina si
incurvarono nel suo piccolo sorriso sadico. Si alzò gli occhiali con studiata
calma, ipnotizzandolo con i suoi occhi di ghiaccio, mentre la mano le scorreva
all’interno del cappotto. L’uomo ebbe un moto di sorpresa, si mosse appena
dalla sua posa, sorpassò la linea gialla del bordo con un piede, mentre la
folla si accalcava.
Una
distrazione fatale: scivolò quasi comicamente dalla banchina.
La
folla fece appena in tempo ad urlare all’unisono che la metropolitana lo
travolse.
Nina
arretrò di un passo, in una mossa inorridita, imponendosi di non guardare il
sangue, di non controllare ulteriormente.
Non
l’aveva toccato con un dito. Non l’aveva ucciso. Neitchenko
era caduto vittima della sua distrazione.
Ora capisco perché lo volevano
far fuori. Altro che ex spia con informazioni strettamente riservate. Questo
era un idiota bello buono!
Mentre
fingeva sgomento ed orrore lasciando la stazione, Nina sorrise dietro alla mano
che si teneva premuta contro le labbra.
Questo
si che era salvare capra e cavoli.
Luck
of the Irish.
“Agente Williams. Proprio lei desideravo vedere.”
Porc…!!
“Colonnello, agli ordini.” Salutò, mettendosi
sull’attenti, stringendo convulsamente tra lin una
mano la busta con il certificato medico, quasi nascondendolo tra le dita.
“Riposo,
agente. Volevo solamente complimentarmi con lei per come ha risolto la
questione Neitchenko. Ottima idea, quella di simulare
un incidente in metropolitana. Molto discreto e al di sopra di ogni sospetto. Anche
dalle telecamere di sorveglianza la Polizia londinese non ha trovato nessuna
anomalia, e l’episodio non è stato neppure sottoposto ad indagine. Non c’è che
dire, Williams, lei ha stile.”
“La
ringrazio, Colonnello.”
“Alla
luce di questo successo la sua promozione è praticamente assicurata, non
possiamo fare a meno dei suoi servizi: abbiamo altre missioni per lei.”
Nina
rimase un attimo interdetta. “Io...”
Prima
che potesse proseguire, lo sguardo del Colonnello Volkov
si era già posato sul cerotto bianco nell’avambraccio, indizio del prelievo di
sangue. “Controllo annuale? Non l’aveva già fatto prima di Londra?”
“Si,
signore.” Sospirò la donna. Oh, al
diavolo. Non è una cosa che si può nascondere a lungo, no? Lentamente,
vedendo la promozione volare lontano lontano da lei,
Nina porse la busta bianca al Colonnello, che la aprì.
“Ah.”
Disse, una volta letto il certificato, restituendole il foglio. “Questo cambia
le cose.”
La
donna non poté fare a meno di sospirare con un moto di delusione: “Già.”
“…
ed è di…?”
“Beh,
certo!” rispose piccata. Si accorse di dovere ulteriori spiegazioni circa la
propria condotta – anche uno stupido ci sarebbe potuto arrivare che il bambino
era stato concepito durante un’operazione militare - ma Volkov
non domandò ulteriori spiegazioni.
“Il
Sergente Dragunov farà di ritorno questa sera dal
Kazakistan. Credo sperasse di passare diversamente i due giorni di licenza.”
“Beh,
io…”
“Non
occorrono spiegazioni, Williams. Ad ogni modo, in bocca al lupo. Con il figlio
di Dragunov ne avrà bisogno.”
“Gr… grazie signore. Crepi. Il Lupo.”
Mentre
il colonnello si allontanava dalla direzione opposta alla sua, Nina pensò di
fortuna gliene serviva più di quanto fosse normalmente a disposizione di un’irlandese.
Buonasera ragasse!
Allora, premetto che NON sono MAI
stata a Londra…
Perciò, ringrazio prima di tutto Mr Google Maps per il suo
splendido servizio di mappe della città e di cartine della metropolitana! Le
stazioni, le vie e soprattutto il ristorante giapponese esistono! (e quest’ultimo
ha 5 stelle come recensione su Google)
Detto ciò, ora Nina è davvero nei
guai… J
Oltre a Mr
Google Maps ringrazio calorosamente:
Miss Trent,
i cui pareri/elucubrazioni/ipotesi sono sempre ben accetti, ricercati e
agognati.
Nefari,
puntuale ed entusiasta con l’immaginazione moooolto
ampia e la bocca piena di muesli dietetico.
Miss Rose, new,
graditissima entry che mi ha fatto andare ancora di più in brodo di giuggiole
Whisper
Of The Wind altra new entry
fanwriter, gentilissima e ‘Annista’:
Per quanto riguarda la morte del papa di Anna e Nina, mi sono basata sulla
storia di Tekken, in cui la morte avveniva dopo il
primo torneo per circostanze mai chiarite, e non su Death By
Degrees. Mi piaceva di più cosi….
Abbi pietà di una povera pazza!
Bloody
Road, che mi fa emozionare ed intrigare con la sua Cyanide…!
A
presto…!
EC