Sette.
Erano le sette
del mattino ed era una giornata soleggiata, anche se fredda. Si erano
completamente dimenticati di chiudere le tapparelle della finestra, e
il sole
filtrò con facilità nelle tende lasciando che il
bagliore illuminasse il letto
dei due giovani. Alla fine, Nike si era fermata a dormire da lui, visto
che era
tardissimo quando finì il ritratto. Mandò un
messaggio alla madre dicendo che
si fermava da un’amica. Classica scusa.
Il
ragazzo si infilò una vestaglia blu presa
dall’armadio e andò in cucina a prepararsi
del caffè. C’era qualcosa di strano, quel giorno.
Ma non sapeva dire cosa. Nel
frattempo anche la ragazza si era svegliata e vestita, facendosi fare
del
caffè. Mise sul tavolo un qualcosa di rettangolare,
incartato accuratamente con
della carta da regali azzurra. Chissà da dove
l’aveva tirata fuori.
«
L’hai addirittura incartato? » chiese Ulquiorra
guardando stranito ciò che
c’era sul tavolo.
« Non
voglio che si rovini. E non ci provare; tu lo vedrai insieme a tutti
gli altri
tra sei giorni. Intesi? »
Ovviamente,
Ulquiorra aveva tentato più volte di dargli una sbirciata,
con le buone
chiedendoglielo con le cattive facendolo in modo furtivo, ma lei era
irremovibile; l’opera l’avrebbe mostrata solo a
quella mostra. Il che sarebbe
stato anche imbarazzante per Ulquiorra. Andava a vedere un suo ritratto
in cui
era nudo. Davanti ad altre persone.
Che magari l’avrebbero riconosciuto. Nike sapeva essere
davvero perfida, anche
se non sembrava avere pensieri maligni a riguardo.
Piuttosto,
era impegnata a osservarsi il braccio, con fare scocciato.
«
Merda, mi hanno punta! Possibile che anche in pieno inverno debba
essere
vittima di questi esseri inutili? »
« E’
perché il tuo sangue è troppo buono. »
disse Ulquiorra scherzando e finendo il
caffè, mettendosene un’altra tazza. Ma poi, ecco!
Ecco cosa c’era che non
andava!
« E’
strano… Di solito zanzare o insetti vari non vengono da
queste parti.
Murciélago… Ne fa piazza pulita. » si
guardò in giro, vedendo in modo sommario
che c’era una presenza in meno a casa.
«
Murciélago non è ancora tornato. »
constatò.
Nike
si mostrò subito preoccupata, dicendo che poteva essersi
ferito, poteva essere
stato investito da qualcuno, maltrattato. Voleva andare a cercarlo
subito, ma
Ulquiorra la tranquillizzò.
«
Aspettiamo ancora un po’. Magari oggi a pranzo me lo ritrovo
sulla porta. E
poi, oggi devo assolutamente andare
all’università, ho un esame. E tu
all’accademia. »
« Ma
io non ho esami oggi. »
«
Nike. Fila a prepararti. »
«
Uff… Va bene, signor tutore! »
Quando
poi scesero insieme le scale del palazzo moderno in cui risiedeva
Ulquiorra
–tanto abitava al secondo piano e le scale non erano affatto
così pesanti da
dover ricorrere all’ascensore- trovò
un’altra sorpresa nella sua cassetta della
posta. Diverse buste, tutte per lui. E già si
stranì.
«
Bollette? Ma sono passato a pagare l’altro ieri! »
si rigirò pi volte le buste
tra le mani, controllò più volte il nome del
destinatario, ma quelle erano
proprio bollette, indirizzate tutte a lui. In particolare,
c’era una busta di
una ditta di qualche assicurazione a lui sconosciuta. Il che era
stranissimo,
lui non aveva fatto nessuna assicurazione.
Nike
lo convinse ad aprire le buste, solo così avrebbe scoperto
cosa c’era che non
andava. E invece Ulquiorra ci capì sempre meno. A quanto
sembrava, c’era un
terreno a lui intestato che doveva essere pagato perché ci
stavano costruendo
una casa. Purtroppo il terreno era abusivo. E la cifra che chiedevano
era
semplicemente assurda.
« Ma
che storia è? Io non ho terreni da nessuna parte!
» sbottò indispettito. « E
poi, devono essere pazzi! Questa cifra la raggiungerò in
cinque mesi di lavoro,
se tutto va bene! »
«
Sarà sicuramente un errore… Cercano sempre di
fregarti, in queste cose. » disse
Nike, guardando le lettere senza capirci nulla. « E dove
avresti questo
terreno? »
Già,
bella domanda. Voleva tanto saperlo anche lui. Iniziò a
rileggere tutto
scrupolosamente, ma quando arrivò a quel nome,
sentì la rabbia crescere.
«
Falkensee. » disse, con un viso scurissimo. « Dove
sono nato io. Scommetto che ci
sono di mezzo i miei. »
Aveva
già deciso di andare subito a chiarirsi con chi di dovere e
Nike non ebbe nulla
in contrario. All’università non riuscì
a concentrarsi come voleva, anche se
l’esame fortunatamente non era andato malissimo.
Cercò di pensare più e più
volte come poteva essere successo, cosa c’entrava lui,
perché c’era quel
fottuto terreno intestato proprio a lui. Non l’avevano mai
più cercato, perché
dovevano tornare in quel modo assurdo e fastidioso?
La
cosa snervante fu il giro quasi infinito che gli fecero fare. La banca
diceva
un’altra banca, che diceva l’ufficio postale, che
diceva un’altra banca ancora,
che diceva un ufficio di assicurazioni che inizialmente non sa nulla,
poi fa il
nome di un altro ufficio dove sicuramente
ne sanno di più. e quando finalmente si riesce ad
avere qualche fonte
certa, arrivano notizie catastrofiche.
« Vi
ho già detto che io non ho nessun terreno laggiù.
Non ho mai avuto nemmeno una
macchina là. Non c’è niente a mio nome.
» disse Ulquiorra per l’ennesima volta.
Il
responsabile di quell’ufficio, però, un signore
occhialuto e sulla mezza età,
con una faccia da sornione –secondo Ulquiorra, semplicemente
idiota- prese
alcuni documenti, mostrandoli al ragazzo.
«
Vede, signor Schiffer, questi documenti comprovano che il terreno in
questione
è di sua proprietà. Lei non ha figli o fratelli,
non può cederlo a nessun
altro, e nessun altro suo parente è stato incluso
nell’eredità e negli affari
che riguardano il terreno. Vede, nessuno ha potere a riguardo, oltre
lei, e quindi
solo lei ha l’onere di pagare la multa. »
La
verità sbattuta in faccia tramite un documento. Ulquiorra in
quel momento pensò
che non si poteva cadere più in basso di così.
«
Eredità? Ma… » prese i documenti e
iniziò a leggere per conto. Quasi non ci credeva.
Non voleva crederci. «
Mio padre è…
Morto? » chiese, ancora incredulo.
Il
signore capì che lui non ne era al corrente, ma volle
comunque chiederglielo,
con una bella faccia tosta, secondo Ulquiorra. « Lei non
sapeva nulla? È morto
una settimana fa. »
No che non lo
sapevo, vecchia montagna di
spazzatura, altrimenti non stavo qui a dirti che non ho nessun terreno
in quel
posto di merda, pensò
Ulquiorra. Ma poi, una settimana fa? E nessuno
si era degnato di avvertirlo?
«
Allora immagino non sappia nemmeno dell’eredità di
suo padre. Ha lasciato tutto
quanto a lei, signor Schiffer, condividendo solo alcuni beni di poca
importanza
ai suoi cugini. Ma quel terreno, in particolare; il vostro defunto
padre ha
chiesto espressamente di lasciarlo a lei soltanto. »
La
voce del signore era diventata solo un’eco lontana. Ulquiorra
pensava solo a un
padre morto, a una madre che non l’aveva nemmeno chiamato per
dargli la
notizia, a dei genitori che ora lo stavano mettendo un mare di guai. Un
oceano
di guai.
«
Sono desolato, signor Schiffer. » disse il signore.
Evita almeno
di dirmi stronzate,
spazzatura, questo
volò nella sua mente.
Camminava
a passo svelto, aveva leggermente il fiatone, stringeva i pugni. Non
riusciva
affatto a calmarsi. Era andato lì per cercare di capire come
risolvere la
faccenda, non per sapere che suo padre era morto e che si era rivelato
uno
stronzo fino alla fine.
Doveva
sfogarsi. Assolutamente. Prese il cellulare e digitò
velocemente un numero,
aspettando ansiosamente una risposta, che arrivò diversi
squilli dopo.
«
Pronto? »
«
Ciao, mamma. Ti ricordi di me? »
« …
Ulquiorra? »
« Oh,
ricordi ancora come mi chiamo. »
Sua
madre, dal tono di voce che aveva, sembrava non essere cambiata
affatto.
Sembrava più stanca, ma aveva sempre quel timbro pacato e
tremolante.
Tremolante quando sapeva di essersi messa nei casini. Non
l’aveva mai sentito
quel tono con lui. Sempre al padre, ma mai al figlio. Con lui invece
non ci
metteva niente ad avere un tono severo per dire “fila in
camera tua a studiare”
oppure “quando torna tuo padre sentirai!” o ancora
“hai idea di quanti
sacrifici facciamo per te? E tu che pensi alle ragazze e agli
amici!”. Ora,
finalmente, la sentiva come avrebbe voluto sempre sentirla.
«
Ulqui, tesoro, volevo chiamarti in questi giorni… »
« Per
dirmi che papà è morto? E quando pensavi di
dirmelo? A Carnevale? »
«
Cerca di capire… E’ morto
all’improvviso, una settimana fa. Sembrava stare
bene, ma l’età gli ha provocato un infarto. Mi
sono ritrovata improvvisamente
da sola, in lutto… »
« Se
avessi saputo qualcosa una settimana fa, mamma, forse
sarei venuto anche al funerale. »
« Ma
ti avrei avvertito… Capiscimi, dovevo anche trovare le
parole adatte per
prepararti alla cosa e… »
« Oh,
hai trovato delle magnifiche parole. Tramite una bella raccomandata che
mi dice
che devo pagare un terreno abusivo su cui non so che diavolo ci stavate
facendo
e non lo voglio sapere. »
« Era
desiderio di tuo padre darti una casa… Ora che ha lasciato
tutto a te, potrai
farci quello che vuoi, finire il lavoro. Risolveremo questo malinteso,
vedrai. »
«
Mamma. » disse Ulquiorra, mantenendo un tono calmo anche se
era al limite della
sopportazione. Se solo suo padre fosse stato ancora vivo e lo avesse
avuto
davanti ai propri occhi per prenderlo a calci.
« Non
me ne importa nulla di ciò che volevate farci. Se era per
me, avete solo
sprecato tempo e soldi chiesti in prestito chissà chi. Io
non ci torno, a
Folkensee. Non la voglio una casa laggiù. Ho la mia vita
qui, a Berlino,
lontano da voi, che non vi siete mai degnati di cercarmi e non lo avete
fatto nemmeno
in questa occasione. »
«
Ulquiorra, ti prego… Non parlarmi così. Ci siamo
sempre preoccupati per il tuo
bene… »
« Ho
visto quant’è ammirevole la vostra preoccupazione.
Quindi ora suppongo che mi
aiuterai a pagare il disastro che avete combinato, tu e
papà. »
« Ma
non ho soldi… Ora che sono sola, non so come fare.
»
«
Ovviamente. »
«
Ulquiorra, non fare così. Perché non cerchi di
capire? »
« No,
mamma, sono stanco di cercare di capirvi. Ti avverto che questa
è l’unica telefonata
che ricevi da tuo figlio. E non mettere nessun fiore da parte mia sulla
tomba
di papà. Ciao. »
Bene,
ce l’aveva fatta. Aveva detto tutto quello che gli passava
per la testa.
Ma
adesso? Di certo sfogarsi non moltiplicava i soldi.
Quando
lesse un messaggio di Nike appena arrivato, dove chiedeva
cos’era successo,
pensò solo di volerla vedere. Andò a casa sua,
senza fermate intermedie e senza
scocciature. Sua madre non tentò di richiamarlo, come aveva
immaginato.
L’unica
voce che voleva sentire era quella di Nike. Che sollievo sentire
rispondere lei
al citofono.
«
Nike, sono io. »
« Oh,
Ulquiorra! Presto, sali! Quinto piano, porta a destra, comunque
c’è scritto il
nome. »
Era
la prima volta che saliva a casa sua. Avrebbe preferito farlo in
circostante più
liete, ma lei ne approfittò per farlo accomodare senza la
presenza di madre e
zia impiccione. Gli offrì qualcosa da mangiare e da bere,
facendosi raccontare
tutto nei minimi dettagli. Quando seppe della morte del signor
Schiffer, non
disse nulla e non fece nessuna espressione. Capiva meglio di chiunque
altro
cosa voleva dire perdere un padre, ma a scoprire tutti quegli scheletri
nell’armadio non c’era da stupirsi se un figlio
aveva dentro solo rabbia.
« E
tua madre…? Che vi siete detti al telefono? »
« Niente,
ho solo capito che non può, o non vuole, aiutarmi. E
comunque, per me quella
donna non esiste più. Non parliamone più, Nike.
»
«
Okay. Ma ora come intendi fare per pagare? »
« Non
lo so… Lavorerò, lascerò
l’università per un po’. Mi
cercherò qualcos’altro da
fare per raggranellare più soldi possibile…
» nascose la faccia tra le mani,
chinandosi, assumendo un modo di fare disperato.
La
ragazza gli diede una pacca sulla spalla e chiese. « Quanto?
»
E
Ulquiorra, quasi impaurito, disse. « Cinquemila e settecento.
»
Per
Nike fu spontaneo esclamare. « Cazzo! » assumendo
una faccia incredula.
Il
ragazzo buttò la testa su un cuscino rotondo che era sul
divano etnico del
salotto, e sembrò sprofondare nell’abisso. Cosa
che in effetti voleva. Almeno
lì non doveva pagare nulla.
Tornò
a casa sconsolato, distrutto, stanco, anche se Nike ce
l’aveva messa tutta per
farlo ravvivare anche solo un po’. Sicuramente ora si sentiva
inutile, povera
ragazza.
E che
tristezza ritrovarsi solo a casa. Murciélago non era
tornato. Ulquiorra non era
più abituato a stare solo. Aveva l’impulso di
prendere il telefono, chiamare
Nike, invitarla a cena e stare tutto il tempo con lei, magari rifacendo
l’amore, quello che voleva lei. Ma chi era lui per
disturbarla ancora coi suoi
problemi? Il fatto che fosse il suo ragazzo non lo faceva sentire
libero di
richiedere costantemente la sua presenza.
L’unica
soluzione che trovò fu quella di buttarsi sul letto e
dormire, senza neanche
mangiare.
Il
giorno dopo non perse tempo, si precipitò fuori a cercare
altri lavoretti.
L’importante era riscuotere, pochi ma subito. Avrebbe voluto
andare a cercare
il pipistrello, che ancora non faceva ritorno. Ma la
priorità ora era cercare
di salvarsi la pelle senza che gli pignorassero la casa o cose del
genere.
Fece
di tutto in quelle poche ore del mattino; consegna dei giornali,
lavaggio dei
vetri, delle macchine, pulizia delle scale, attaccare i manifesti.
Ovviamente,
andò anche allo studio medico e fece gli straordinari al
Ritter. Saltò il
pranzo ma non aveva importanza. Non c’era tempo per mangiare.
A dire il vero,
non sapeva neanche quanto tempo aveva prima di pagare.
Si
ritrovò a camminare esausto, con la voglia di sdraiarsi sul
prato e dormire lì,
fregandosene di tutti. Si trovava nel quartiere Tiergarten, al
Kulturforum.
C’era stato poche volte lì. Era un complesso di
edifici culturali. Erano un
insieme di musei, una sala concerti detta Philarmonie e una biblioteca
chiamata
Staatsbibliothek
zu Berlin.
Era
un posto rilassante. C’erano così tanti ragazzi
seduti per terra a fare pic
nic, a leggere, a chiacchierare. Anche a disegnare. Solo
all’accademia di Nike
aveva visto così tanta gente disegnare insieme. certo, era
prevedibile, visto
che lì c’erano dei musei. C’erano anche
delle bancarelle, di quelle che
vendevano i frammenti del muro di Berlino, o almeno li spacciavano per
tali, e
gli stranieri ci cascavano sempre. Oppure c’erano quei
ritrattisti che facevano
disegni su commissione, spesso caricature.
Pensò
di sbagliarsi, Ulquiorra, ma uno di questi ritrattisti era proprio
Nike, che
contenta era nel bel mezzo di un ritratto di una ragazza che Ulquiorra
sentì
parlare inglese. Si avvicinò, con tranquillità,
aspettando che la ragazza
finisse il ritratto. Ma lei non si accorse della sua presenza,
finché non le
diedero i soldi per il magnifico lavoro. Erano tutti appostati
lì vicino ad
ammirare i suoi lavori, e tutti, turisti e non, chiedevano qualcosa
firmato da
lei.
« Oh,
ciao! Non ti ho visto arrivare. » disse lei sorridendo e
riponendo le banconote
in un barattolo già mezzo pieno di banconote e monetine.
« Che
stai facendo? » chiese lui come se non avesse capito cosa
stava facendo.
«
Diciamo che sto lavorando. » rispose lei in modo tranquillo.
Fece accomodare
davanti un altro ragazzo, pronta a disegnare un nuovo volto.
«
Hai… Guadagnato un sacco. » notò
Ulquiorra.
«
Qualcosina. » rispose lei, senza staccare gli occhi dal
foglio. « Saranno più o
meno cinquecento. Prendili. »
« …
Come? »
«
Prendili. » ripeté la ragazza con un sorriso.
Poteva
anche metterlo al corrente di quella pazzia. O forse non
gliel’aveva detto
apposta. Sapeva che, se gliel’avesse accennato, lui non
avrebbe mai permesso
una cosa del genere. E non voleva prendere quei soldi. Si sentiva
umiliato. Più
che umiliato, si sentiva mediocre. Ricorrere ai soldi guadagnati dalla
propria
donna per rimediare a un errore di quell’idiota di un padre.
Restò
lì interdetto per un po’, a osservare quel
barattolo pieno di soldi,
allettante, una salvezza, certo. Ma allora perché restava
lì combattuto a
decidere se prenderli o no?
« Ti
puoi liberare per un po’? Devo tornare a lavorare dopo
e… »
«
Finisco questo ritratto e pranziamo insieme. »
«
Alle tre del pomeriggio? »
Lei
in tutta risposta rise. Non importava l’ora, in fondo.
Dopo
molta insistenza, Ulquiorra accettò l’aiuto di
Nike. in effetti, non era il
caso di farsi scrupoli. Servivano soldi. E se lei voleva aiutarlo, non
faceva
certo schifo la cosa.
La
cosa negativa fu che non ebbero molto tempo di dedicarsi agli amici o a
loro
stessi. Si vedevano solo per contare i soldi. O al Ritter, dato che
Nike era
riuscita ad ottenere un posto lì come cameriera. Ma sul
posto di lavoro non
c’era molto da fare.
«
Ulquiorra. » fece lei un giorno, mentre lui puliva il
bancone. « Stasera c’è un
addio al celibato e il capo mi ha chiesto di fare la spogliarellista.
»
Il
ragazzo la squadrò da capo a piedi, con fare sospettoso.
Poi, con voce secca,
disse. « Assolutamente no. »
« Tanto
ho accettato. »
Ulquiorra
si pietrificò, spalancando gli occhi, e la ragazza rise di
fronte a
quell’espressione.
« Sto
scherzando! Però mi diverte troppo vederti così
geloso! » gli diede un
pizzicotto e tornò a lavorare.
Il
fatto che ci fosse un addio al celibato impediva ai due di avere un
contatto;
Ulquiorra impegnatissimo al bar, lei occupatissima a servire. Si
incrociavano
solo quando lei passava a prendere da bere, e sfiniva gli sorrideva o
diceva. «
E’ assurdo. Non immaginavo fosse così stancante
quando ci sono queste feste! »
Lui
sorrideva comprensivo e tornava a lavorare. Notava che qualcuno la
osservava un
po’ troppo. Sorrideva un po’ troppo. Beveva un
po’ troppo. Fortunatamente,
nessuno si azzardava a metterci le mani sopra, le spogliarelliste
ispiravano
molto di più. ma quanto avrebbe voluto mollare il lavoro e
portarla via dalle
grinfie di quei maiali.
Chiusura
del locale, cinque e mezza del mattino. Si appartarono agli spogliatoi
per
contare nuovamente i soldi. Tutti quegli straordinari, gli altri
lavoretti,
compreso l’aiuto della ragazza, stava dando i suoi frutti.
Ulquiorra non poté
che lanciare un sospiro di sollievo, potendo tornare a casa con
l’animo un po’
più in pace.
«
Bene. » disse Nike dirigendosi verso l’armadio.
« Allora torniamo a casa. »
iniziò a spogliarsi, ma notò che Ulquiorra
restava seduto sulla panca,
impalato, a osservarla.
« Ehm
ehm… Io mi starei cambiando. E questo è lo
spogliatoio femminile. »
« Sì,
lo so. » rispose lui con tranquillità. «
Ma tanto le donne sono andate tutte
via. Ci siamo solo tu ed io. e dimentichi che stiamo insieme?
»
« E
se entra qualcuno? Ti licenziano, sai? »
Ulquiorra,
in tutta risposta, si alzò e chiuse a chiave la porta. Si
avvicinò a Nike con
un sorriso sghembo. « Basta non dar modo alla gente di
entrare. » sentiva il
bisogno di dedicarsi nuovamente a lei. Toccarla come preferiva.
« Vogliamo…
Rilassarci un attimo? »
«
Nello spogliatoio…? »
« E
dov’è il problema? » in effetti, non
c’era nessun problema. La panca diventò il
loro letto, o meglio, una sedia; lui si era seduto, facendo accomodare
sopra la
ragazza, abbracciandola. Certo, fu una cosa veloce, erano comunque
nello
spogliatoio femminile e il locale stava chiudendo. Ma era meglio di
niente,
dopo un po’ di tempo che non stavano insieme a quel modo. Ad
Ulquiorra le
mancava. Tanto. E che bello poter fare l’amore con lei senza
più preoccuparsi
di farle male. Per tutto il tempo non fece che ammirare i movimenti di
lei, il
suo seno, baciandolo con passione per tutto il tempo, facendosi
soffocare dai
suoi abbracci.
Nel
giro di una settimana di lavoro senza pause e senza svaghi, Ulquiorra
riuscì a
raggranellare la somma necessaria. Anche un po’ di
più. era talmente
soddisfatto che, dopo aver pagato tutto contento –e alla
faccia dei genitori,
oltretutto- decise di andare a far spese per conto suo. Buttare via dei
soldi
solo per il gusto di farlo. E finalmente poté tornare
all’università, alle
bitte con gli amici che avevano saputo alla lontana della disavventura
economica. Lui aveva detto che era un tentativo di truffa.
Perché in fondo era
così. E Nike. appena in tempo per la mostra, che si sarebbe
tenuta il giorno
dopo.
« Ah,
mi sembra di respirare finalmente dell’aria buona!
» fece lei respirando a
fondo. Erano al parco, dove si erano conosciuti, quasi per fare un
tuffo nel
passato. « Ulquiorra, ti dispiace se mi licenzio dal Ritter?
Non mi piace la
gente che ci gira. »
«
Stavo per chiedertelo io. Te l’avevo detto che era un pessimo
posto. Più che
latro per le cameriere e gli spogliarellisti. »
« Domani
c’è la mostra. »
«
Già. »
«
Meno male, abbiamo risolto tutto prima della mostra. Sai che
però è un peccato
che tuo padre sia morto? »
« E
perché? »
Si
aspettava una risposta del tipo che è comunque triste la
morte di una persona.
E invece, come al solito, Nike lo sorprese ancora.
« Tuo
padre è nato il venti dicembre, no? Tu hai sempre odiato i
tuoi genitori per le
pressioni che ti davano. Non credi che sarebbe stata una splendida
forma di
ribellione? Pensaci; lui festeggia il compleanno con torta e candeline,
e tu
invece sei a Berlino a fare allegramente sesso. Ammettilo, è
o non è geniale? »
Ulquiorra
sorrise, un po’ in imbarazzo. Le afferrò la mano e
la baciò dolcemente. « Sei
un genio del male, te ne do atto. »
Tornò
a casa col pensiero fisso della mostra, Ulquiorra. Doveva pensare a
come
coprire l’imbarazzo nel vedersi nudo. Davanti ad altre
persone. Peccato che al
museo non si potevano portare animali, altrimenti Murciélago
gli avrebbe fatto
compagnia.
Ma
tanto l’animale non era ancora tornato a casa.