Nove.
Una volta
arrivato al parco, si guardò intorno più volte
per trovare con l’intuito la
strada indicata da Nike. Illuminate solo dai lampioni, purtroppo, le
strade
risultavano tutte apparentemente uguali. Ricordava bene che aveva detto
sulla
sinistra, ma non c’era solo una strada. Dovette andare a
caso, prendendo la
prima, che era parallela alla via principale. E di Nike nessuna
traccia. Tornò
indietro, prese l’altra strada. Decise anche di ignorare i
possibili pregiudizi
della gente o che potessero prenderlo per pazzo, ma gridò a
squarciagola e più
volte il nome della ragazza. E camminando per un po’, urlando
quanto più
poteva, lei gli rispose. Gli intimava di correre. Dritto davanti a
sé.
Anche lei
non aveva un ombrello. Era zuppa ma trascurava con naturalezza quel
fatto. Era
inginocchiata, noncurante delle pozzanghere, rovinando i jeans, ormai
sporchi e
strappati. Si era tolta il giacchetto, rimanendo a maniche scoperte,
per
avvolgere il pipistrello. Quando Ulquiorra si voltò per
vedere se era proprio
Murciélago, riconobbe la cicatrice formatasi
sull’ala, e vedeva una grossa
ferita sull’orecchio e sulla pancia dell’animale.
Sembravano tagli netti.
Difficile che se li fosse fatti schiantandosi contro un albero o
battibeccando
con un suo simile. Quello era opera dell’uomo. Ma
soprattutto, cosa ci faceva
in quella stradina desolata?
Le
risposte le avrebbe ottenute dopo, in un modo o nell’altro.
Ulquiorra agì
tempestivamente prendendo in braccio l’animale e bloccando la
perdita di sangue
col giacchetto ormai rosso della ragazza.
«
Sono gravi, ma credo di poter fare qualcosa. Corriamo a casa.
» disse, e Nike
annuì, alzandosi di scatto. Le ginocchia erano completamente
zuppe e diventate
un tutt’uno col fango. Inoltre, il ragazzo si accorse che la
sua mano destra
sanguinava.
« Che
ti è successo? » chiese, afferrandole la mano.
Aveva un taglio abbastanza
profondo sul polso. Lei disse che era scivolata e, per attutire la
botta, si
era parata con le mani ma l’orologio si era rotto e le
schegge le erano andate
nel polso. Ulquiorra la portò subito a casa, al riparo,
procurandole subito un
asciugamano con cui coprirsi mentre pensava a Murciélago.
L’orecchio
del povero chirotteri era stato tagliato, impossibile cercare di
ricostruire
qualcosa. Per la pancia riuscì a ricucirgli la ferita, con
perizia e buona
volontà. Era molto diverso dal curare un’ala rotta
o togliere una spina dal
piede di un elefante. Altro che le sciocchezze che aveva fatto fino a
quel
momento, anche allo studio medico. Quel pipistrello doveva averne
passate di
tutti i colori. Se solo avesse potuto parlare, il padrone gli avrebbe
fatto
vuotare il sacco subito.
Purtroppo
non aveva l’anestetico a portata di mano.
Murciélago dovette sopportare. Fu una
tortura per tutti e tre, Ulquiorra e Nike che lo sentivano schiamazzare
e
l’animale che doveva sopportare.
Una
volta sistemate quelle brutte ferite, gli diede da mangiare e lo mise
al caldo,
asciugandolo sommariamente. Poi si concentrò sulla sua
ragazza. La sua non era
una ferita profonda, ma perse un’ora a levare un paio di
schegge entrate
davvero nella carne. E non avendo l’anestetico dovette
sopportare anche lei,
anche se ce la metteva tutta. L’orologio, nel frattempo, era
diventato
inutilizzabile e potenzialmente pericoloso. Un vero e proprio
assassino,
secondo la ragazza.
« E’
colpa tua che corri come un’incosciente sotto questo
temporale. » disse il
ragazzo mentre la fasciava. Anche lui si era inesorabilmente bagnato, e
rischiava di beccarsi un brutto raffreddore o avere la febbre, ma non
importava. Stava senz’altro meglio di quei due sciagurati. E,
non appena furono
tutti curati, Ulquiorra si fece spiegare tutto.
« Ho
fatto girare la voce all’accademia, e un paio di persone mi
hanno suggerito un
posto in cui avevano visto un paio di pipistrelli. Era più o
meno vicino a al
parco, ma io non vidi nessuno. O meglio, non vidi pipistrelli.
C’erano un paio
di ragazzi, stavano per conto loro a fumare e bere, ascoltando musica
dallo
stereo della macchina. Sembravano persone a posto, così ho
chiesto se per caso
sapessero di un posto dove trovare dei pipistrelli. Mi hanno dato un
passaggio.
»
«
Nike… » iniziò a dire il ragazzo con
tono preoccupato.
« Non
è successo niente. O meglio, non hanno alzato le mani su di
me. Però ridevano
in modo strano. Forse erano un po’ fatti. Comunque, non mi
hanno accompagnata
chissà dove, giusto qualche metro più avanti, poi
mi hanno indicato una strada
stranissima che io neanche conoscevo. Ho vagato lì per un
po’, senza trovare
niente di niente. Però, che ne so, forse mi sono lasciata
prendere dall’ansia…
Mi sentivo osservata. I rumori notturni hanno poi aggravato la
situazione. Ho
iniziato lentamente ad accelerare il passo. E quando ho sentito il
verso di un
pipistrello e un qualcosa che mi afferrava i capelli, non ci ho visto
più. Sono
scappata via, non ho proprio pensato a Murciélago, e
comunque non era lui, era
un altro. sono scivolata e mi sono tagliata il polso. Più
avanti, invece, c’era
qualcosa a terra, e delle persone che si allontanavano. E quando mi
avvicinai,
trovai Murciélago con quelle ferite, così ti ho
chiamato subito. »
Ulquiorra
non poté che fare una carezza all’animale, ancora
tremolante per il freddo,
l’acqua e sicuramente le torture subite. Povero animale.
Chissà come aveva
fatto a finire ancora nelle grinfie di gentaglia simile. Ma questo il
pipistrello non avrebbe mai potuto spiegarlo.
Inoltre,
vedeva Nike ancora turbata. Le strinse la mano, avvicinandola a
sé, dicendole
di stare tranquilla.
« Non
lo so, Ulquiorra… » disse lei abbracciandolo,
stringendosi a lui, seduti
entrambi sul divano. « Mi sentivo in trappola. In balia di
qualcuno. Come se
non avessi scampo. »
« E’
tutto passato ora, dai. » disse lui. « Adesso sei
con me, a casa mia. E con
Murciélago. Vogliamo farci una cioccolata calda? »
« Sì,
ne ho proprio bisogno! Ci vediamo anche un film? »
«
Affare fatto. Scegli il film, mentre preparo la cioccolata. »
Quella
scenetta avrebbe voluto ripeterla all’infinito; loro due, con
un piccolo e
insolito animaletto da compagnia, avvolti in una coperta blu,
appollaiati sul
divano, con la cioccolata in una mano e le dita a intrecciarsi tra loro
in
un’altra, mentre guardavano Arancia meccanica. Lui amava
molto quel film, lo
vedeva volentieri anche cento volte di fila. E lei lo guardava
impressionata
dall’abilità degli attori, dal carattere buffo del
protagonista Alex,
perdendosi con lui nelle note di Beethoven, o come avrebbero detto nel
film,
Ludovico Van. Era un po’ violento, ma non era un problema.
«
Cosa ci mettono nel latte? » chiese lei durante il film.
«
Mescalina. » rispose prontamente Ulquiorra. «
E’ una droga che prendono da
alcune piante. Ti dà la nausea, ma non te ne accorgi. Perdi
il senso della fame
e della sete. Non ti senti per niente stanco. E provoca allucinazioni
sconvolgenti per quattro o otto ore. Anche tutta una giornata. Dipende.
»
«
Wow… » disse impressionata lei.
«
Diciamo che prendere un bicchiere di latte con qualche goccia di quella
roba…
Ti rende capace di fare sesso ininterrotto per sette ore. »
«
Sembri saperla lunga… »
«
Studio medicina. »
« Sì,
sì… Nascondi pure i tuoi peccatucci. »
Lui
in tutta risposta sorrise, abbracciandola e dandole dei baci sul collo.
Più
volte la ragazza si stava lasciando andare, ma poi tornava alla
realtà per
seguire il film. E lui sorrideva.
Dopo
il film la accompagnò a casa. A piedi, ovviamente.
Cominciò a belargli in testa
l’idea di doversi sbrigare a prendere una macchina. Lei era
ancora turbata
dall’esperienza in quella stradina per trovare
Murciélago. Doveva essersi
impressionata proprio tanto, poverina, anche se poteva anche aspettare
e
chiamare prima il ragazzo. Comunque ormai era andata.
L’importante era che
nessuno era morto.
Ulquiorra
restò ancora un po’ con lei, tenendole compagnia
davanti al portone di casa,
inebriandosi della sensazione, a suo dire favolosa, di stringerla a
sé, passare
le dita tra i suoi capelli, continuare a dirle di stare tranquilla, che
non
c’era pericolo, che ormai era arrivata a casa sana e salva,
che a lui non
sarebbe successo nulla. Continuare a baciarla cercando di gustarsi ogni
piccola
sfumatura di sapore, sentendo quel pizzico di cioccolata che si erano
bevuti
insieme. scoprendo, poco a poco, ogni giorno che passava, che si stava
creando
un bel rapporto tra di loro.
« Mi
raccomando. » disse la ragazza. « Non accettare
caramelle alla mescalina dagli
sconosciuti. »
Lui
rise, baciandola ancora. « Perché accettare
caramelle, quando ho un
distributore di mescalina a portata di mano? »
Lei,
avendo capito la battutina, arrossì. «
Mmh… Non so se sia una cosa bella. »
« Oh,
lo sei. Fidati, che lo sei. »
Ulquiorra
quella notte restò tutto il tempo alzato, a fissare il suo
ritratto.
La
ruota gira per tutti. Nessuno escluso. Anche per Ulquiorra e Nike
girava,
ovviamente. E anche per Murciélago. La stagione degli amori
arrivava anche per
i pipistrelli. Soprattutto quando finalmente si resero conto di una
cosa
fondamentale a cui non aveva dato credito nessuno. E per Ulquiorra fu
una
disattenzione quasi imperdonabile. Lui, che studiava medicina, che si
stava
specializzando come veterinario, non aveva minimamente controllato una
cosa del
tutto normale. Una cosa che si fa subito. Una cosa ovvia. Talmente
ovvia da
dimenticarsela.
Murciélago
era una femmina che sembrava aspettare dei piccoli. Oh, ma se ne
accorse
subito; quando tornò a casa
dall’università era in pieno travaglio.
Ovviamente
chiamò subito Nike. « A quanto pare in casa avevo
una sgualdrina e non me ne
sono mai accorto. Vieni subito, mi serve una spalla femminile su cui
Murciélago
possa appoggiarsi. »
I
piccoli erano tre. In realtà erano quattro, ma uno di loro
non riuscì a
sopravvivere, purtroppo. Così piccoli, indifesi. Nike era
così intenerita, ma
non poteva tenerli. Li avrebbe tenuti momentaneamente lui. Certo, solo
per un
po’. Tanto lo sapeva che andava a finire che se li teneva
tutti a tempo indeterminato.
Chi vuoi che adotti un pipistrello in casa?
« E
brava Murciélago! » disse Nike accarezzandola.
« E idiota il tuo padrone che ti
ha sempre preso per un maschio. »
«
Taci. » rispose lui arrossendo.
«
Sarà il caso di cambiarle nome? »
« Nà,
lascia stare; ormai mi sono abituato a chiamarla così.
Questi, piuttosto? »
Ulquiorra indicò i nuovi nati, che già cercavano,
coi loro piccoli versi e i
musi all’insù, la mamma. La appena scoperta mamma.
« Ci
penserò su… Che ne dici di festeggiare, stasera?
Io, te, qualcosa da bere da
qualche parte. magari anche qualche amico. »
«
Perché no? Ho proprio voglia di uscire stasera.
Passo a casa tua verso le… Otto? »
«
Benissimo! Allora vado, a stasera! »
«
Scusa, dove? »
« A
casa… Perché? »
Lui
le fece fare abilmente retro marcia, e si avvinghiò a lei,
per nulla
vergognandosi del suo senso di possessione nei confronti di lei. La
guardò di
sottecchi, facendo sfiorare pericolosamente la labbra, sfiorandola
più volte,
mentre lei attendeva impaziente un qualcosa che non arrivava.
«
Sono solo le due… Rimani. Resta con me. »
E lui
lo sapeva bene che lei non poteva resistere a una supplica del genere.
Soprattutto mentre sentiva le mani di lui, con quelle dita fini,
lunghe, così
abili a toccare nei punti giusti. Così belle. Quanto amava
le sue mani.
E
mentre lo disfacevano un letto coi loro movimenti passionali, profondi,
mentre
impregnavano le lenzuola dei loro odori, dell’odore della
loro voglia di stare
assieme, mentre le loro voci cariche di soddisfazione si sollevavano in
aria.
La ruota girava.
La
ruota gira per tutti. Nessuno escluso. Logicamente una persona non ci
pensa se
impegnata in cose simili. Già non ci pensa più di
tanto quando compie azioni
del tutto normali.
Ma
anche se fosse stato così, non era un problema.
L’importante era che non
sconvolgeva troppo l’equilibrio che quei due ragazzi avevano
trovato. Nel quale
si trovavano bene.
Ulquiorra
nella sua mente espresse chiaramente il desiderio di rimanere con lei.
Quanto
più tempo possibile. Lo ammise a sé stesso; si
era innamorato. Come un
ragazzino qualunque. Lei era diventata quella stessa mescalina di cui
Alex di
Arancia meccanica non poteva fare a meno. L’unico modo che
avevano trovato per
farlo smettere era stato quello di condizionarlo con quello strano
lavaggio del
cervello.
Ma
per lei, per fortuna, non esistevano strani marchingegni, niente
congetture,
niente strane teorie. E non c’era nessuno che spacciasse
della droga buona
quanto lei. Era tutta sua.
E,
come uno stupido, arrivò sotto casa di Nike un quarto
d’ora prima dell’orario
stabilito. E lei che imbarazzata al citofono rispondeva che non era
ancora
pronta, per forza di cose. Che cercò di sbrigarsi; la vide
inciampare per le
scale, la vide con un’espressione spaventata, già
se la immaginava spiaccicata
a terra e invece era riuscita salvarsi saltando un paio di gradini. La
vedeva,
così bella in quegli abiti che le stavano divinamente, si
sentì lusingato nel
fatto che lei volesse sempre rendersi perfetta per lui. Cavolo, che
cosa
strana, l’innamoramento. Ti rende un perfetto idiota, e lo
sai. Però lasci
fare, perché ingenuamente pensi che un po’ di
idiozia ci voglia, in questo
povero mondo.
Pensi
che non è male il calore di due mani che si stringono.