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Autore: Kiary92    07/07/2010    1 recensioni
La storia di una ragazza: Angelica, che cerca di avere una vita tranquilla benché abbia compito davvero strano; diverso, più che altro. Questa ragazza fa parte di una misteriosa Agenzia, la quale la ingaggia per missioni, a volte pericolose, contro strane “entità” corporee e non; anche se la gente comune li chiama fantasmi e demoni. Il suo compito, e quello degli altri agenti chiamati anche Demons Hunter, è quello di sterminare ogni demone, e convincere i fantasmi con aure maligne di altri a “passare oltre” a trovare la pace in un altro posto. Benchè compia questo insolito mestiere, anche Angelica ha una vita normale: va a scuola come una semplice diciottenne, viene trascinata in strane feste dai suoi amici, nonché compagni di classe, litigi e risse con la più odiosa delle compagne e, chi può dirlo, magari troverà anche l’amore, chi lo sa? Magari sotto forma di un bellissimo ragazzo dagli occhi blu? Tra un insolito incontro in biblioteca, varie vicende sui banchi di scuola e, diciamolo chiaro e tondo, momenti di vera sf...ortuna, ecco a voi, la storia di una Demons Hunter. Una cacciatrice di demoni.
Genere: Romantico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- E questa...- annunciò il biondo aprendo la porta dove si erano fermati - È la mia camera da letto -
Guardò il suo interno: c’era un grande letto a baldacchino con dei raffinati dettagli incisi sulla testata di legno, dalla parte opposta un grosso armadio, anch’esso in legno scuro con l’incisione di una pianta d’edera che si arrampicava sulle ante. Davanti a lei, invece, c’erano tre enormi portefinestre, che portavano ad un balcone esterno, ed erano seminascoste da delle raffinate tende di un rosso scuro.
Fece qualche passo avanti, fingendosi senza parole, e si guardò intorno, studiando un po’ il posto.
- Ti piace? -
- Molto - disse in un sussurro - È questo il posto tranquillo che intendevi? - chiese con finta aria sognante.
Si voltò e, vedendo Leferve parlare con un addetto alla sorveglianza, l’allarme di pericolo nella sua testa scattò.
Rimase immobile, sudando freddo e si rilassò solamente quando Lucas congedò da guardia, annuendo.
- Ilaria - disse l’uomo con un sorriso sulle labbra, dopo che si fu voltato nuovamente verso di lei - Scusami, problemi con la festa -
- Viene richiesta la tua presenza? -
- Possono farne a meno - disse lo scienziato, entrando e chiudendo a chiave la porta.
Si avvicinò piano a lui, girandogli attorno - Comunque, non sarà più un posto tranquillo se faccio quello che ho in mente - sussurrò con un ghigno sul volto, giocando con la sua cravatta.
- Perché? Cos’hai in mente bella fanciulla? -
Sorrise - Non capita tutti i giorni di finire nel letto di una persona della tua importanza -
-- Ahahahahahah oddio --
- Speravo che dicessi così - disse lui, ghignando ed avvicinandosi per stringerle le braccia intorno alla vita, facendola indietreggiare finchè la sua schiena non toccò l’armadio.
Finse un gemito.
“Dio mio, che sto facendo?” penso, quando l’immagine di Matteo le apparve di nuovo davanti agli occhi.
Leferve, appoggiandole le labbra sul collo, la fece tornare alla realtà.
-- Basta giocare 33, fatti dare le informazioni -- disse J.
Con un piccolo scatto di reni allontanò il francese, staccando la schiena dall’armadio “Bene, perché non ne posso più di farmi baciare da questo lurido verme” pensò.
Lo spinse sul letto con forza, sedendosi a cavalcioni su di lui, mettendogli le mani tra i capelli e mordendogli il collo.
-- Mio Dio 33, a letto sei una belva --
Si staccò e gli tolse la giacca e la camicia, gettandole a terra, mentre lui le toccava le gambe, salendo sempre più su.
Lo fece sdraiare e si mise sopra di lui, facendo aderire i loro corpi, e gli si avvicinò all’orecchio, soffiando sensualmente.
- Dì che mi vuoi... -
Lucas s’impossessò delle sue labbra. Chiuse di scatto gli occhi cercando di non pensare a quello che stava facendo, e li riaprì quando lui si staccò.
- Ti voglio -
Sorrise in modo maligno, allungando la mano per afferrare uno dei pugnali nella fodera legata alla gamba destra.
- Peccato che tu sia un Agente -
-- Oh cazzo --
Sgranò gli occhi, immobilizzandosi “Merda, questa non ci voleva”
- Come lo so? Facile, una soffiata -
-- Una soffiata? Da chi? --
Il biondo ribaltò le posizioni, mettendola sotto di lui e schiacciandola contro il materasso.
Si divincolò più forte che poté, liberando il braccio destro dalla presa dell’uomo, dandogli un pugno in pieno viso.
Leferve si allontanò portandosi le mani al naso che, nonostante il colpo, non stava sanguinando.
Si alzò dal letto, mettendosi davanti allo scienziato, dando le spalle alle tre portefinestre.
- I miei uomini sanno chi sei -
- E perché non mi hanno fermata subito? - chiese con arroganza.
- L’ho ordinato io - rispose lui - Potrei premere l’allarme in qualsiasi momento - aggiunse ancora il biondo, lanciando un’occhiata al comodino in parte al letto.
“Forse c’è un pulsante nascosto” pensò.
Lo guardò ghignando, anche quando Leferve estrasse una pistola, probabilmente nascosta nella cintura dei pantaloni.
- O potrei ucciderti subito -
- Perché non lo fai allora? -
- Non faccio male alle mademoiselle -
Abbandonò le braccia lungo i fianchi, tastandosi la gamba con le dita, alla ricerca della lama dei due pugnali - Non le farò del male signor Leferve. Se mi darà le informazioni che voglio ovviamente -
Il biondo tolse la sicura, stringendo la pistola con mani tremanti - Vediamo -
Ghignò - Non hai il coraggio di sparare -
- No, non ce l’ho - rispose lui - Ma ho altri che possono farlo al posto mio -
Iniziò a camminare verso di lui, tenendo sempre le mani lungo i fianchi.
- Allora perché non li chiami? - domandò, sperando di provocarlo e di fargli fare una mossa azzardata.
- Senti ragazzina - iniziò lui, stringendo la presa sulla pistola, tentando di non tremare - Non tentare di provocarmi, altrimenti ti faccio un buco in pancia -
Sorrise in modo maligno - Non hai il coraggio - sussurrò facendo un altro passo.
- Fermati o ti sparo -
- Non hai le palle per farlo -
- Dimmi perché sei qui -
- Mi dispiace tesoro - rispose fermandosi ad un paio di metri da Leferve - Top secret -
- In questo caso...-
Il biondo strinse forte la pistola, chiuse gli occhi e premette il grilletto.
Ferma in mezzo alla stanza, sorrise in modo maligno “Lo sapevo” pensò “Questo deficiente non ha caricato bene la pistola”
Una frazione di secondo e gli era già addosso con il pugnale alla mano, premendolo lievemente sulla giugulare - Adesso mi darai le informazioni che voglio -
Il francese presa a divincolarsi, ma lei non mollava la presa alle sue braccia, che teneva strette dietro la schiena, tenendo sempre il pugnale puntato alla gola dell’uomo.
- Sarò anche una ragazzina, ma prima di tutto sono un Agente. Non ti libererai tanto facilmente -
- Sei una puttana, ecco cosa sei - sibilò lui, smettendo di divincolarsi.
- Siamo in vena di complimenti eh? - chiese con un ghigno - Non voglio farti del male. Dammi la pistola e parliamo in modo civile -
Lucas Leferve, dopo qualche secondo di silenzio, gettò lontano la pistola, guardandola poi con la fronte aggrottata - Ecco -
Lo liberò dalla sua morsa e fece qualche passo verso la pistola, dandole un calcio per lanciarla dall’altra parte della camera - Mi dica dove sono i laboratori -
- Non lo so -
Sospirò - Non dica sciocchezze -
- Non sto mentendo - rispose lui sedendosi sul letto - Quelli ci bendano finchè non siamo dentro -
Si girò il pugnale tra le mani - Non costringermi ad usare le maniere forti -
Leferve si sdraiò, guardano le tende del letto a baldacchino - Se sanno che ho parlato mi uccideranno -
- Se ci dici tutto l’Azienda ti proteggerà -
- Però...-
Fece un passo verso di lui, impugnando meglio il pugnale - Però cosa? -
- Però loro non mi pagano -
Nemmeno il tempo di comprendere appieno la frase, che Leferve scattò come un serpente verso il comodino, facendo scattare l’allarme. Lo afferrò per la gamba e gli diede un pugno sul viso.
-- Angelica, Cristo Santo, vattene via da lì! --
Si avventò di nuovo su Leferve, sdraiato sul letto, con una mano al naso, dove usciva un fiotto di sangue e gli premette il pugnale alla gola. Digrignò i denti, emettendo una specie di ringhio cupo - Dov’è il laboratorio? -
L’uomo non parlò, così premette la lama contro la carne, facendo fuoriuscire una goccia di sangue.
- Dov’è il laboratorio?! O ti giuro che prima di morire ti trascinerò all’inferno con me! -
-- Non parlerà mai! Vattene! --
- DIMMELO! - urlò, premendo ancor di più il coltello contro il collo del biondo.
- Il laboratorio è alla sede centrale in via Manzoni, non riuscirai mai ad entrare -
Sorrise - Questo è tutto da vedere -
Gli diede un altro pugno e corse verso la finestra.
Si lanciò fuori pochi secondi prima che la porta si spalancasse, lasciando entrare alcune delle guardie di Leferve.
Atterrò in ginocchio e si mise immediatamente a correre, cercando di non farsi colpire dalle guardie che avevano aperto il fuoco, e si nascose dietro un grosso albero, raggiunta subito dai proiettili che si conficcarono nel tronco del pino o le passavano accanto alla testa, sibilando.
-- Cristo 33, salta sulla macchina e scappa --
Guardò la finestra della camera di Leferve, dove tre uomini puntavano nella sua direzione, con in mano dei fucili, pronti a fare fuoco non appena avrebbe lasciato l’albero.
Lanciò uno sguardo all’entrata della villa: gli invitati avevano lasciato la Sala Grande, radunandosi attorno alla fontana, presi dal panico per l’allarme. Alcune guardie tentavano di tranquillizzarli.
“ Ok, ora devo correre” pensò togliendosi le scarpe con i tacchi, abbandonandole in un angolo, ed alzandosi l’orlo del vestito. Uno dei due pugnali l’aveva perso durante il salto dalla finestra.
Prese un profondo respiro e lasciò il suo riparo, sfrecciando a destra e a sinistra.
“ Non mi spareranno in mezzo alla gente” pensò, fermandosi di colpo non appena due guardie, a pochi metri dalla folla, la notarono, impugnando le pistole.
- Merda - imprecò a denti stretti, cambiando direzione. Ora la sua unica speranza era la macchina, più o mento a cinquecento metri da dov’era.
Imboccò il viale, trattenendo le imprecazioni per i sassolini che le ferivano i piedi.
- Vaffanculo J.! Tu e il tuo cazzo di abito -
-- Era per non dare nell’occhio --
- Non avrei avuto problemi ad intrufolarmi dalla finestra con la solita cazzo di tuta aderente da puttana! -
-- Calmati gioia, pensa a correre --
Si fermò, lasciandosi sfuggire un lamento. Il piccolo fastidio alla schiena la fece voltare, ed osservò una guardia addetta alla sicurezza con uno strano arnese simile ad una pistola stretto in pugno, solo che quella non sparava proiettili, bensì quelle specie di dardi pieni di sonniferi o tranquillanti che davano agli animali selvatici per metterli in cattività nelle gabbie.
Piegò appena la testa, guardando un dardo giallo, la cui punta era conficcata nella morbida carne della schiena, oltrepassando il tessuto rosso del vestito. Con uno strattone, si strappò il dardo di dosso, gettandolo a terra con rabbia.
- Non muoverti - ordinò l'agente della sicurezza.
Scosse la testa cercando di allontanare la strana nebbia davanti agli occhi - Cosa...? -
- É un sonnifero molto potente, non riusciresti mai a scappare -
Crollò in ginocchio trattenendo un lamento - No... -
L'uomo si avvicinò cauto e le immobilizzò le mani dietro la schiena - Non muoverti -
-- 33! Ci sei 33? --
- Perché l'Agenzia vuole informazioni sui nostri demoni? - chiese la guardia, tenendole la testa abbassata.
Non rispose. Non vedeva più niente ed anche i suoni erano ovattati.
- RISPONDI!! - urlò l'uomo, appoggiandole la canna di una pistola alla nuca, facendo scattare la sicura.
- No - rispose con un sospiro.
***
La ragazza in ginocchio davanti a lui era più testarda di un mulo, e anche con una pistola puntata alla testa non avrebbe parlato.
" Di solito le donne sono quelle che cedono per prime" pensò "Ma questa ragazza..."
L'Agente emise un lieve sospiro: pochi secondi e sarebbe crollata, per quanto forte o strana potesse essere.
- Lo sai quanti tuoi colleghi sono morti per aver tentato di entrare nei laboratori? - chiese afferrandole i capelli neri come la pece, reclinandole la testa all'indietro, in modo che potesse vedere il cielo - Forse trenta, o anche di più -
***
Osservò la luna, stupenda, come sempre, e si ritrovò a sorridere.
- Mi hai sentito? -
- Devi capire...- iniziò con un ghigno sul volto - ...che io non sono come gli altri -
Un colpo alla nuca e tutto si fece buio.
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Socchiuse appena gli occhi, cercando di ignorare la testa che pulsava per il dolore.
Era appesa al muro da qualcosa, corde molto probabilmente, che sembravano segarle i polsi ad ogni minimo movimento, e i piedi che toccavano il freddo pavimento di pietra.
- Finalmente la nostra ospite si è svegliata -
Alzò la testa, tenendo gli occhi socchiusi, scoprendo finalmente dove l’avevano portata: era una sottospecie di cella, i muri di pietre le davano un aspetto lugubre ed umido. Davanti a lei c’era Leferve con altri due uomini armati.
- Allora 33, dicci perché la tua cara Agenzia vuole i nostri demoni artificiali -
Scrollò la testa e fece un respiro profondo, scattando in avanti per un misero tentativo di afferrare lo scienziato per il collo e strozzarlo con le proprie mani, ma le sue dita strinsero solo il vuoto.
- Oh, oh, la pantera tira fuori le unghie - disse il biondo con un ghigno, facendo un passo avanti, arrivando a pochi centimetri dalle sue mani - Non puoi fare niente -
Ritornò contro il muro, appoggiando la schiena con un tonfo.
- Allora? -
- Non vi dirò niente -
Una delle due guardie, armata con un fucile, si avvicinò con passo deciso, colpendola con forza allo stomaco con il calcio dell’arma. Le gambe cedettero e si accasciò di lato, sorretta solamente dalle corde un po’ allentate.
- Figlio di... - disse boccheggiando all’agente, che indietreggiò nuovamente.
- Perché volete i nostri demoni? -
Ghignò solamente.
- Allora? -
- Scordatelo faccia da culo, va all’inferno -
L'agente si fece avanti ancora una volta, colpendola con più forza di prima, e trattenne a stento un gemito, osservando poi Leferve con espressione furiosa.
- Se risponderai alle mie domande ti libereremo -
- Neanche sotto tortura, schifosi bastardi - disse con rabbia.
Lucas Leferve sorrise, voltandosi verso l'agente con il fucile - Fatti dare delle risposte, altrimenti uccidila -
L'uomo annuì, attendendo che il biondo e il collega uscissero dalla cella, poi le si avvicinò, afferrandole con forza i capelli, facendole reclinare la testa all'indietro - Rispondi puttana - sibilò lui, con un accento russo.
Rimase zitta, stringendo gli occhi ogni volta che l'uomo le colpiva lo stomaco con un pugno.
- Sto cominciando a stufarmi ragazzina - sussurrò lui ad un tratto, accarezzandole una gamba nuda - Credo sia davvero ora di trattarti come una puttana -
La mano dell'uomo, dal ginocchio, salì sempre più in su, fermandosi non appena trovò la lama affilata dell'unico pugnale che le era rimasto. L'agente lo afferrò dal manico, estraendolo dalla cinghia stretta intorno alla sua coscia - E questo giocattolino? -
Lo guardò con rabbia, poi gli sputò in faccia, dandogli una ginocchiata all'inguine.
L'uomo indietreggiò, appoggiando la schiena contro il muro, portandosi le mani tra le gambe, imprecando in russo.
Sorrise, osservando la sua espressione di dolore, ma subito ritornò seria quando l'agente si riprese, riavvicinandosi a lei, premendole il pugnale contro il fianco. Gemette quando sentì la punta affilata penetrarle la carne, ritirandosi subito dopo.
- Il mio capo vuole delle risposte - disse lui - Ti concedo un'ultima possibilità -
Ringhiò contro l'uomo, iniziando a strattonare le corde, che la tenevano legata, sempre più allentate.
- É inutile che ti agiti -
" E tu impara a fare dei nodi più stretti" pensò, liberando definitivamente il braccio destro.
Veloce come un cobra, prese la guardia per i capelli, facendole abbassare la testa in modo da riuscire a dagli una poderosa ginocchiata in viso.
Sorrise in modo maligno vedendolo accasciarsi al suolo, urlando e tenendosi una mano premuta sul naso sanguinante.
Più in fretta che poté, slegò l'altro nodo, liberandosi completamente.
Si avventò sull'uomo a terra, che tentava di rialzarsi, imprecando sia in russo sia in italiano e gli prese la testa con entrambe le mani, girandola di scatto. L'agente si accasciò a terra con il collo spezzato.
Si abbassò per riprendere il pugnale, ignorando gli occhi vitrei dell'uomo che aveva appena ucciso, e lo rimise nel fodero.
Guardò prima la porta della cella, poi il soffitto, lasciandosi sfuggire una lieve risata alla vista della grata in un angolo, che portava al condotto di ventilazione.
-- 33...rispondi... --
Si portò una mano all'orecchio, dove l'auricolare gracchiava parole sconnesse - J.? Mi senti? -
-- 33!...stai...? --
- J. il segnale é disturbato. Ascoltami bene - iniziò parlando lentamente - Sto bene. Mi infilo nel condotto di ventilazione e me ne vado -
-- Ok... --
Prese il fucile alla guardia, si avvicinò all'angolo, posizionandosi sotto la grata per poi spostarla. Prese la rincorsa, fece due passi sul muro ed afferrò il bordo del condotto, issandosi con fatica, fino a ritrovarsi in posizione supina nel condotto di ventilazione. Si sistemò il fucile a tracolla, iniziando a strisciare nel condotto.


I minuti erano interminabili e l’aria sembrava mancare.
Vedendo finalmente uno spiraglio di luce, spostò la grata e scivolò fuori dal condotto di ventilazione, cadendo in ginocchio al centro del bagno, che sapeva, era accanto alle cucine. Si strinse il fianco, tornando in piedi, nascose il fucile dietro la schiena ed uscì dalla porta.
Al suo ingresso nelle cucine diversi maggiordomi, camerieri e cuoche si voltarono verso di lei.
" Cazzo" pensò - Eh...salve -
- E lei chi diavolo é? - chiese una donna grande e grossa ai fornelli.
- Temo di...aver sbagliato bagno -
Un maggiordomo le si avvicinò, sorridendo - Non si preoccupi signorina -
- Io...dovrei and... - sussurrò, bloccandosi non appena due guardie di Leferve, che le puntarono immediatamente la pistola contro.
Si abbassò di scatto, trascinando anche il vecchio maggiordomo, evitando le pallottole per un soffio.
Puntò il fucile a pompa e premette il grilletto.
“ Schifoso verme...era scarico” pensò tra se e se, quando il fucile non fece fuoco, osservando le due guardie che, in una frazione di secondo, si erano abbassate per mettersi al riparo.
Lanciò il fucile, sperando di colpirli, e si abbassò, nascondendosi dietro al bancone della cucina.
" Cazzo" imprecò a mente, aprendo i cassetti accanto a lei, cercando qualsiasi cosa da utilizzare come arma.
Lanciò un mestolo in testa alla prima guardia, colpendola poi al petto con un piccolo coltello.
Il vecchio accanto a lei tremava come una foglia, e si fece ancora più indietro, non appena lo guardò.
- Non uccidermi -
- Non voglio fare del male a nessuno -
Uscì appena con la testa, nascondendosi subito dopo non appena l’unica guardia rimasta iniziò a spararle contro.
Si spostò veloce, cercando di rimanere sempre al riparo dall'energumeno sulla porta, che sparava ogni volta che la vedeva, fermandosi a qualche metro dall’uomo.
Non appena lo sentì che stava ricaricando l’arma, saltò fuori, trascinandolo a terra. Uno sparo. Strinse i denti e gli tolse la pistola dalle mani, puntandogliela contro.
- Ora me ne vado - sussurrò, arretrando fino alla porta che dava sul giardino.
Uscì veloce, tenendo alzata la gamba ferita dal colpo che era appena stato sparato. Si accasciò a terra, guardando il foro appena sopra al ginocchio: la pallottola era entrata e uscita. Si strappò il vestito, rimediando una specie di benda, stringendola forte, rialzandosi subito dopo.
- Francesca -
Si voltò - Christian -
Il moro la squadrò dall’alto in basso, scandalizzato - Tu...tu...è a te che stanno dando la caccia -
Gli diede le spalle, incamminandosi verso il parcheggio. Doveva muoversi: le guardie sarebbero tornate da un momento all’altro.
- Francesca -
Si voltò, puntando la pistola contro l’uomo - Vattene -
Un attimo di silenzio e poi, sentendo delle vochi roche, entrambi voltarono lo sguardo in direzione del suono.
- Merda...- sussurrò appoggiandosi nuovamente contro il muro. Nascosta nell’ombra, poté vedere una guardia avvicinarsi a Christian.
- Hai visto una ragazza con i capelli neri, sui 18 anni alta più o meno un metro e settanta? -
Il moro scoppiò a ridere, mettendosi le mani sui fianchi - Magari -  
La guardia gli puntò la pistola alla testa - Non scherzare Christian -
- L’ho vista mentre saliva al piano di sopra, forse andava nella camera di Lucas... -
La guardia corse via, prendendo il walkie talkie, parlando velocemente.
- Forse è meglio che vai - disse lui senza guardarla negli occhi.
Si rialzò, dandogli le spalle - Grazie - sussurrò, prima di sparire nell’oscurità.


Raggiunta finalmente la macchina, saltò su, ignorando il dolore alla gamba, mise in moto e partì a tutta velocità.
Accese la radiotrasmittente - J. mi senti? J.? -
La radio, dopo diversi secondi con un sottofondo di strani suoni, iniziò a gracchiare con la voce del collega, agitato come non mai.
-- 33! Sei salva finalmente! Devi seminarli! --
Inarcò un sopracciglio - Seminare chi? -
-- Dalla villa sono appena partiti sette demoni artificiali --
Era uscita a tutta velocità dal vialetto ed aveva imboccato la strada che aveva percorso all’arrivo. Lanciò uno sguardo allo specchietto retrovisore, notando immediatamente sei figure che correvano dietro all’Alfa. Alti quasi due metri, la pelle scura ricoperta da ispidi peli neri, le lunghe braccia che gli arrivavano fino alle ginocchia e gli occhietti gialli puntati nella sua direzione.
- E dov’è il settimo? -
L’auto subì un piccolo contraccolpo, come se fosse passata sopra a qualcosa di grosso.
Guardò di nuovo lo specchietto - Ah, ecco dove si era nascosto -
-- Mando i tre Agenti --
Fece per controbattere, ma un tonfo sordo e la cappotta della macchina che si piegò sopra di lei, attirarono la sua attenzione. Quattro lunghi artigli scuri fecero capolino dalla lamiera, tagliandola come se fosse burro, per poi ritrarsi nuovamente.
"Perfetto" pensò stringendo con forza il voltante "Loro sono in sei ed io ho una pistola e un pugnale, sono ferita ed incazzata nera! Questa me la pagano"
Gli artigli  fecero nuovamente capolino dalla lamiera della cappotta, sempre più vicini alla sua spalla destra, accompagnati da un ringhio cupo.
Iniziò a sparare, puntando la pistola alla cappotta della macchina, finchè non sentì un tonfo sordo dietro l’Alfa.
Una frazione di secondi dopo, i finestrini andarono in frantumi, lasciando il via libera a due demoni che cercavano di afferrarla.
Sparò l’ultimo proiettile in faccia al demone alla sua sinistra, lanciando poi la pistola fuori dal finestrino.
- Si può sapere perché non mi avete messo una mitraglietta nella macchina? -
-- E chi diavolo sapeva che finiva così --  
- Metterla comunque per sicurezza? – chiese chinandosi leggermente in avanti quando un altro demone si affiancò al finestrino dalla parte del guidatore, ed afferrò il pugnale, ancora riposto nel suo fodero legato alla gamba ferita, strinse forte l'impugnatura e si raddrizzò, guardando il demone in quei diabolici occhietti gialli.
- Muori bastardo - sussurrò prima di piantagli la lama nel cranio, estraendolo immediatamente e piantandolo nella gola dell'altro.
- E siamo a cinque - sussurrò mentre divelse la sua unica arma dal demone, che cadde all'indietro, rotolando lungo la strada.
Un altro tonfo sopra di le e il sesto demone fu sopra la macchina e, come l’altro, affondò gli artigli, perforando la lamiera e colpendole la spalla in profondità.
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola e, stringendo ancora più forte il voltante, premette il freno all'improvviso, e il demone artificiale venne scaraventato in avanti, rotolando sull'asfalto per diversi metri, rimanendo a caproni per rialzare solo lo sguardo ed emettendo un cupo ringhio nella sua direzione.
-- 33? Angelica tutto bene? --
Guardò il sangue che dalla spalla scivolata luogo il braccio, gocciolando sul sedile di pelle.
- Demoni del cazzo - sussurrò premendo l'acceleratore - Mi hanno rovinato talmente tanti vestiti che ho dovuto comprarmi un intero guardaroba -
L’Alfa scattò in avanti, con il motore che sembrava ruggire, ed investì il demone, che emise dei cupi lamenti non appena le ruote gli passarono sopra, spaccandogli le ossa.
-- Angelica? --
- Solo un graffio J. non ti preoccupare...mi farò vedere appena torno -
Continuò la sua corsa, lanciando di tanto in tanto delle occhiate allo specchietto retrovisore.
La testa le ciondolava di qua e di la, per via del sangue che usciva a fiotti dalla spalla, e le faceva vedere tutto sfuocato.
" La Direttrice mi ammazzerà per la macchina..." pensò.
Scrollò la testa, cercando di rimanere lucida e di non sbandare su quella strada, costeggiata da una parte da un fiumiciattolo e dall'altra da campi, dove, nell'oscurità, ancora una figura le correva dietro. Vedendo un paio di occhietti gialli brillare in modo maligno, capì immediatamente di chi si trattava.
La vista offuscata non le faceva nemmeno distinguere la strada e, notando un paio di fanali davanti a lei, riuscì a scansarsi all'ultimo secondo per non farsi travolgere da una Mercedes nera, che fece una brusca inversione dopo averla incrociata.
" Finalmente" pensò guardando la macchina dietro di lei. Si abbandonò contro il sedile, chiudendo gli occhi.
***
Quando vide l'auto davanti a lui sbandare, accelerò ancora di più per raggiungere Angelica.
- J., Angelica risponde? -
-- No Francesco, deve essere successo qualcosa. Forse é priva di sensi --
Guardò l’Alfa correre via, sbandando a destra e a sinistra. Gli salì un nodo alla gola quando l’auto, dopo un'altra sbandata, uscì di strada, finendo in acqua.
Frenò di colpo, scendendo dall'auto, pronto a tuffarsi, ma un ringhio alle sue spalle lo fecero voltare.
Un demone artificiale era fermo a qualche metro da lui: la schiena piegata leggermente in avanti, piccoli occhi gialli, le labbra arricciate mostravano la sfilza di denti acuminati, i muscoli nascosti dai peli scuri che coprivano tutto il corpo e le braccia che arrivavano quasi a terra.
- Che faccia da culo - disse, prendendo il fucile a pompa a tracolla, lo caricò e lo puntò verso il demone e fece fuoco.
La testa della creatura esplose, seminando a terra frammenti di carne ed ossa, impastati di sangue nero, mentre il corpo dopo pochi secondi, cadde a terra, spargendo sull’asfalto altro sangue, che usciva da quella che poco tempo prima era la testa.
Si voltò, osservando il punto dove l’Alfa aveva sbandato ed iniziò a correre. Oltre il ciglio della strada, il piccolo fiumiciattolo era percorso da mille increspature, provocate dall’auto che, ormai, era affondata del tutto.
Si tuffò e si avvicinò alla portiera del guidatore: Angelica era svenuta e l'interno della macchina era già completamente sommerso, per via dei buchi nella cappotta e dei finestrini rotti.
Allungò le braccia e l’afferrò, tentando di tirarla fuori dal finestrino senza successo: Angelica era intrappolata dalle cinture di sicurezza.
Diede qualche calcio alla portiera della macchina, nel tentativo di forzarla, ma non successe nulla poiché l'acqua attutiva l'impatto.
" Non puoi lasciarla lì" pensò guardando le ultime bollicine che uscivano dalle labbra socchiuse della ragazza.
Sentì la rabbia ribollire dentro di lui, come se il fuoco scorresse nelle sue vene.
Senza nemmeno sapere quello che stava facendo portò una mano alla maniglia della portiera, che staccò completamente dal resto dell'auto senza il minimo sforzo. La stessa cosa per le cinture di sicurezza, che strappò senza difficoltà.
Afferrò la mora per un braccio e la portò in superficie, tenendole alta la testa.
- Angelica - chiamò disperato vedendo che la ragazza non respirava - Angelica non morire -
La trascinò fino a riva, mettendosi subito sopra di lei, tappandole il naso ed appoggiando le labbra sulle sue per soffiare nei polmoni, poi si staccò e le praticò il massaggio cardiaco. Scosse la testa nel tentativo di ignorare il profumo del suo sangue, che, dalla spalla, scivolava lungo il candido braccio.  Era tentato di assaggiarlo: quello scatto di rabbia aveva lasciato libera la sua parte demoniaca, che ora richiedeva un premio.
- Forza Angelica - sussurrò prima di appoggiare ancora le labbra sulle sue.
***
Si mosse appena quando sentì l'acqua che, dai polmoni, saliva alla bocca. Scansò la persona sopra di lei e sputò l'acqua, tossendo forte.
- Porca...- sussurrò tra i colpi di tosse, mettendosi su un fianco, nel tentativo di respirare meglio.
- 33 -
Delle forti braccia le cinsero la vita e la fecero avvicinare al corpo caldo del suo salvatore.
Socchiuse lentamente gli occhi - Francesco...-
- Angelica, ti senti bene? -
Sospirò, passandosi una mano nei capelli - Eh...sì - sussurrò, voltando poi lo sguardo verso il punto dove l’Alfa era affondata - Oh cazzo, la mia giacca -
- La Direttrice ti ucciderà per la macchina e tu ti preoccupi per la tua giacca? - domandò lui, con il respiro affannato.
Inarcò un sopracciglio, cercando di tirarsi in po’ su usando i gomiti - Ti senti bene? -
Qualcosa non andava. Lo sguardo di Francesco continuava a soffermarsi sulla spalla, ed ogni volta le sembrava di vedere una strana scintilla in quelle iridi ghiacciate.
- Francesco? - lo chiamò, tirandosi un po’ su - Ti senti bene? -
- Sì -
Fece un profondo respiro - Dove sono finiti gli altri due? -
- Stanno arrivando - chiese lui senza staccare gli occhi dalla spalla ferita - Io ero quello più vicino e... -
Annuì - Grazie, per avermi salvata -
Il biondo sembrò non sentirla: si avvicinava sempre di più al suo viso.
Arretrò appena trascinando la gamba ferita - Ma che ti prende? -
Il collega alzò gli occhi, puntandoli nei suoi.
Trattenne il fiato: rossi. Le sue iridi, di solito azzurre, ora erano rosse come il sangue. Una frazione di secondo e capì, tentando subito di tirarsi indietro, ma fu schiacciata subito a terra.
Sentì l'alito caldo di Francesco sul collo e le sue mani che le scostavano i capelli bagnati. Lui si avvicinò sempre di più, finché non appoggiò le labbra sulla sua ferita alla spalla. Gemette appena, tentando di liberarsi.
- Il tuo sangue...- sussurrò il biondo afferrandole le braccia e portandogliele sopra la testa -...deve essere buonissimo -
- Francesco -
Il ragazzo si sistemò meglio sopra di lei, bloccandola del tutto.
L’Agente avvicinò le labbra al collo, leccandolo lentamente. Strinse i denti quando i due canini affondarono nella carne e si lasciò sfuggire un piccolo grido, subito soffocato dalla mano del ragazzo che le tappò la bocca.
Chiuse gli occhi e, ormai priva di forze, si abbandonò completamente a terra, lasciando che il ragazzo sopra di lei si nutrisse del suo sangue.
Prima di perdere i sensi completamente, vide un paio di fari brillare nell’oscurità.
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